Notte
Stellata
-Buongiorno Michael. Sei caduto
dal letto stamattina?-
Michael non si voltò verso la direzione da cui proveniva la
voce; si limitò a sorridere. Aveva gradito non poco la
visita al
museo pochi giorni prima e aveva proposto a Sebastian di ritornarci.
L'amico aveva accettato di buon grado: amava raccontare storie e
spiegare la sua visione delle cose; forse
perché doveva sentirsi molto solo.
-Quale opera mi descriverai oggi?- Gli aveva chiesto.
Avanzarono piano nell'ampia sala del museo, l'uno affianco all'altro. I
cani non erano ammessi, per cui Mike aveva fatto affidamento unicamente
sul suo senso dell'orientamento per arrivare nel luogo
dell'appuntamento.
Sebastian gli aveva chiesto se volesse essere accompagnato, ma quando
l'amico aveva rifiutato gli fu subito chiaro ch'egli non voleva mettere
in discussione la sua indipendenza. E non sarebbe stato certo lui a
discuterla.
-Oggi ti racconterò un pezzo di storia di Van Gogh. Saprai
chi è, certamente.-
-Ma certo che so chi è, sono cieco, mica ignorante della
cultura. Mi offendi.-
Il risolino di Sebastian causò l'imbronciatura di Michael,
ma
subito quest'ultimo la rimpiazzò con un movimento rassegnato
del
capo. A volte, il suo amico sapeva essere un vero saputello; certo, non
poteva dire di non apprezzare quel lato di lui: era un aspetto che gli
permetteva di accompagnarsi a un uomo colto qual era Sebastian e di
apprezzare la verità dietro quei semplici discorsi d'arte.
Altre volte, avrebbe preferito ascoltare un altro tipo di parole da
parte dell'amico. Sebastian non si perdeva quasi mai in
sentimentalismi, tranne che alla fine delle loro visite. Momenti nei
quali pronunciava una sola frase che potesse far intendere il suo stato
d'animo, sottoforma di riflessione sulla vita.
Michael, invece, avrebbe avuto molto da dire. Parlare, per lui non era
semplice. Più della metà del lavoro, quando la
gente
parla, lo fanno gli occhi: in essi, negli sguardi apparentemente
normali, si cela una moltitudine di parole non dette. Era per questo
motivo che Michael preferiva ascoltare: sapeva di non poter essere
bravo abbastanza ad esprimersi. Ma, infondo, chi lo avrebbe ascoltato
mai?
-Senti, Sebastian, ti faccio una domanda. Secondo te, come si fa a
cadere nella solitudine?-
A quella domanda Sebastian sentì l'esigenza di arrestare la
sua
camminata e riflettere sulle parole da dire. Poi, decise che sarebbe
stata l'arte a parlare per lui.
-L'opera d'arte che ti descriverò oggi ha proprio questo
come
argomento centrale. Adesso, siamo fermi al suo cospetto. E preparati a
riflettere amico mio, perché la Notte Stellata è
uno dei
quadri più belli che io abbia mai visto.-
-Mmh. Vorrei avere gli occhi per vederlo, vecchio mio.-
Nessuno dei due rise a quella triste affermazione.
Michael gli fece cenno di procedere con la spiegazione e l'amico
sorrise, impaziente di cominciare.
-Questo è uno degli ultimi, inquietanti quadri che Van Gogh
dipinse prima di togliersi la vita. Si trovava all'intermo della
clinica di Saint-Rémy, nel Giugno del 1889. Sai che fu lui a
chiedere di essere rinchiuso?-
-Ma dai, e perché?-
-Van Gogh comprese di essere malato, e convenne che la soluzione
migliore fosse farsi internare. Ma la vita in quel posto non era
piacevole, affatto. L'uomo doveva sentirsi molto solo. Pensa che ormai
si era talmente rassegnato ad essere vinto dalla sua malattia mentale,
che non riusciva a trovare sollievo neanche parlando con se stesso.-
Michael sembrò rifletterci su. In quel momento, era convinto
che
l'amico parlasse di se stesso più che di Van Gogh. Ma, lo
lasciò comunque continuare: non sarebbe stato lui a
interrompere
un monologo interiore - nel caso ce ne fosse stato uno, si intende -
attraverso il quale potesse comprendere qualcosa in più del
suo
compagno di visite al museo.
-Van Gogh, una sera, guardò fuori dalla finestra. Credimi,
amico
mio, cercò di dipingere attenendosi a quella che era la
realtà, ovvero uno scorcio notturno suggestivo. Ma proprio
non
riuscì a restare dentro le linee dritte di quella gabbia di
matti, quando lui, in realtà, matto non lo era neanche un
po'.-
-Perché dici che non lo era? Si è automutilato!-
Allora Sebastian si fece una grassa, grossa risata.
-Ah, vecchio mio! Ti rendi conto di quanta forza mentale ci vuole a
realizzare di avere una malattia, accettarla e conviverci senza
combatterla? Van Gogh aveva trovato il modo di andare d'accordo con i
suoi demoni. Chi di noi sano di mente potrebbe dire di esserci mai
riuscito?-
Il silenzio che scaturì da quella domanda retorica era il
segno che Sebastian aveva centrato il punto.
-Ad ogni modo, come dicevo, il pittore non riuscì ad
attenersi
alla realtà piatta di una notte stellata normale. Ne dipinse
una
tutta sua, con diverse sfumature di blu e bianco per raffigurare il
cielo. Ma il protagonista assoluto del quadro è questo
enorme
cipresso, nero e ondeggiante. Ai piedi di esso, un piccolo paesino,
forse proprio Saint-Rémy. E per concludere, le stelle. Esse
sembrano ruotare su se stesse, creando un effetto vortice accentuato
soprattutto dal giallo al centro e dal bianco man mano che il contorno
della stella si allarga. Straordinario!-
Mike ascoltava rapito, ormai era troppo interesssato. Ma si sa: quando
c'è interesse, ci sono domande.
- Straordinario, sì, ma cosa c'entra con la solitudine?-
-Vedi, Michael, la solitudine cambia il nostro modo di vedere,
percepire, sentire le cose. L'inquietudine di Van Gogh si comprende
maggiormente osservando il cipresso, maestoso e di colore scuro, al di
sopra di ogni altro dettaglio tanto da oscurare addirittura la bellezza
delle stelle. Tutte quelle pennellate vorticose, tondeggianti, non sono
altro che diverse vedute della realtà; esse rappresentano
voglia
di evadere, di mettersi in contatto con la natura. In quel caso, Mike,
la natura poteva essere l'unica compagna dell'artista: egli si
è
rifugiato in lei, in una notte che sembrava durare
un'eternità.-
Si fermarono per un po', dando adito al silenzio di riempire ogni
vuoto.
Le parole causavano i vuoti: il silenzio li riempiva.
E così, era passata un'altra giornata apparentemente
ordinaria,
in cui ciascuno dei due uomini aveva dato qualcosa all'altro.
Nessuno dei due avrebbe voluto rompere il silenzio, ma a farlo fu
l'uomo cieco: spettava a lui quest'arduo compito.
-E tu, Sebastian, tu riesci a trovare sollievo quando parli con te
stesso?-
Allora entrambi capirono che quello era il momento di andare.