How
To Love
I
“Diciott’anni! Diciotto fottutissimi anni,
ragazzi!”
sbottò Jonas in preda all’entusiasmo, sollevando
maldestramente il suo
bicchiere in aria.
Lo osservai mentre mandava giù l’ultimo sorso del
suo
drink; le luci del locale scorrevano tra i suoi capelli dalle ciocche
multicolore, scendevano sulla sua camicia azzurra con le margherite e
indugiavano sulla mano di Stephen, stretta attorno al suo ginocchio.
“Domani hai l’esame più importante della
tua vita:
dovresti arrivarci sobrio” asserì Destiny con una
risatina.
“Sarò sobrio abbastanza, tesoro”
biascicò lui, per poi
scoppiare a ridere e abbandonarsi contro il corpo di Stephen.
Quest’ultimo sghignazzò e gli lasciò
una carezza tra i
capelli. “E tu vorresti prendere la patente? Diventerai un
pericolo pubblico!”
“Grazie per la fiducia, amore mio!”
Presi un sorso di champagne dal bicchiere ancora pieno
per metà e tentai di distogliere l’attenzione da
quella conversazione,
focalizzandomi sulla musica di sottofondo che non era poi tanto
interessante.
Non amavo le feste né le serate trascorse a far nulla nei
locali, ma quella volta avevo fatto uno sforzo per rendere felice il
mio gruppo
di amici. I diciotto anni di Jonas erano un evento importante per tutti
quanti.
“Ehi, io ho voglia di ballare! Chi viene con me in
pista?” esclamò Toyah, ravviandosi i capelli
castano scuro dietro le spalle.
Detto ciò si voltò verso Destiny, seduta accanto
a lei, e prese a fissarla con
insistenza, gli occhi colmi di aspettativa.
Lei, dopo diversi secondi, sollevò gli occhi al cielo e
sospirò. “E va bene, andiamo a ballare! Per colpa
tua sto collezionando
talmente tante figure di merda che ormai ho perso il
conto…”
Toyah si lasciò sfuggire un gridolino di gioia,
saltò in
piedi e afferrò il polso della sua ragazza per incitarla a
fare lo stesso.
Le osservai dirigersi verso il centro della pista mentre
ridevano; erano proprio una bella coppia.
“Stephen?” strillò Jonas, nonostante
l’orecchio
dell’interessato si trovasse a pochi centimetri dalle sue
labbra.
“Dimmi.”
“Andiamo a ballare anche noi?”
“Ma se non ti reggi in piedi!” gli fece notare
Stephen
con una risatina.
“Sì invece! Ti prego, voglio andare a
ballare…”
“D’accordo.”
I due si misero in piedi – Stephen cingeva le spalle
dell’altro con fare protettivo –, poi parvero
accorgersi della mia presenza e
si voltarono verso di me.
“Vieni con noi, Joy?” mi domandò il
più grande,
stringendo più forte a sé il corpo di Jonas per
evitare che barcollasse troppo.
Scossi il capo e posai il bicchiere ormai vuoto sul tavolino,
attorno a cui ero rimasta solo io.
“Andiamo, è divertente! Ci sono pure Michael e
Scott! Sei
la persona più noiosa sul suolo lunare!”
tentò di convincermi il ragazzo dai
capelli multicolore, scoccandomi un sorriso sbilenco.
Mi strinsi nelle spalle. “Sto aspettando Indi, magari vi
raggiugiamo
più tardi” lo liquidai, sperando che smettesse di
insistere. Non amavo
particolarmente ballare, e quel giorno non ero decisamente in vena di
festeggiamenti e divertimento.
Entrambi gettarono la spugna e si avviarono verso la
pista, lasciandomi finalmente sola.
Mi godetti quell’istante di calma, nonostante mi sentissi
soffocare dentro il pub: mi sarebbe piaciuto uscire all’aria
fresca, o meglio,
trovare una scusa per andarmene definitivamente e stare lontana da
tutto e
tutti, ma non sapevo cosa inventarmi.
Dopo qualche minuto mi accorsi di una presenza al mio
fianco e realizzai che il momento di quiete era inesorabilmente
terminato.
“Tesoro, ciao! Che ci fai qui tutta sola?”
esordì Indi,
accomodandosi sulla sedia accanto alla mia e stampandomi un bacio sulla
guancia.
“Gli altri sono andati a ballare, ma io non ne avevo
voglia” ammisi.
“Sempre la solita” commentò lei con una
risatina, poi si
accoccolò con la testa sulla mia spalla. “E che
cosa ti va di fare?”
Ci riflettei su per qualche istante. “Beh… tra
pochi
minuti sorgerà il sole: mi piacerebbe vedere
l’alba.”
Era vero: l’alba e il tramonto erano degli eventi
naturali che mi rilassavano parecchio, adoravo osservarli e cercavo
sempre di
non perdermeli, visto che ne potevamo godere soltanto qualche volta al
mese.
“Allora usciamo a vederla” sentenziò
lei, alzandosi
nuovamente e rivolgendomi un sorriso raggiante.
Lasciammo il locale e ci immergemmo nell’aria fresca
tipica dei periodi d’ombra. Il cielo aveva già
cominciato a colorarsi e
illuminarsi all’orizzonte
Non era una sala d’aspetto come tutte le altre, come
quelle degli studi medici o degli uffici. L’arredamento era
sontuoso, i mobili
in mogano conferivano un aspetto anticato all’ambiente e le
poltrone imbottite
davano l’illusione di una comodità che nessuno
provava davvero là dentro.
Quando qualcuno entrava nella Stanza degli Elettrodi,
quando un proprio caro era sottoposto alla grande prova di verifica che
avrebbe
sancito il suo destino, nessuno stava comodo in sala
d’aspetto. C’era sempre
quel pizzico d’ansia da parte di amici e parenti, quel dubbio
che i neurologi
trovassero qualcosa che non andava, qualcosa di diverso dalle
aspettative.
Mi alzai dal divanetto imbottito su cui mi trovavo e
raggiunsi la porta che conduceva al piccolo balconcino laterale
apposito per i
fumatori; la presenza di Indi, ma soprattutto quella di Stephen, non
facevano
che accentuare il senso di soffocamento che provavo in quel momento.
Una volta all’esterno, estrassi con gesti nervosi una
sigaretta dal pacchetto e l’accesi. Sapevo che questo non
avrebbe aiutato a
distendere i nervi, ma un po’ ci speravo.
Pensavo a Jonas che si trovava all’interno di uno sterile
studio medico, col capo trapuntato di elettrodi e attorniato da
un’orda di
neurologi intenti nel decretare se i circuiti del suo cervello si
fossero
formati nella giusta maniera – a decidere se fosse degno o
meno di vivere sul
nostro pianeta.
Intenti a esaminare il suo cuore oltre che la sua mente,
a scavare dentro di lui per capire chi fosse predisposto ad amare. E
alla fine,
sulla base di questo, l’avrebbero osannato o condannato.
Non m’importava veramente di Jonas: la sua presenza,
anzi, mi irritava parecchio e non riuscivo a sopportare che fosse il
ragazzo di
Stephen, che fossero così affiatati – ma era
giusto far credere a tutti che
fossi amica di entrambi. O meglio, era l’unica soluzione per
non destare
sospetti su di me; cosa fosse giusto o sbagliato, nessuno di noi era
nella
posizione di sentenziarlo.
Ciò che mi preoccupava davvero era che mancavano meno di
due mesi al mio diciottesimo compleanno e che presto la Stanza degli
Elettrodi
sarebbe toccata a me.
Pensavo e nel contempo consumavo la mia sigaretta con
nervosismo, urgenza, come fosse l’unica ancora di salvezza a
cui potermi
aggrappare. Una nuvola di fumo mi fluttuava attorno al viso e, anche se
non
potevo averne la certezza, supposi che anche le mie iridi fossero
altrettanto
offuscate.
“Joy.”
La voce di Indi alle mie spalle mi riscosse, ma non
battei ciglio e non mi voltai. Avevo sperato fino all’ultimo
che non mi
seguisse, ma ormai sapevo com’era fatta.
“Tesoro, che c’è?” Mi
affiancò e poggiò i gomiti sulla
balaustra che ci stava di fronte, poi si sporse appena in avanti in
modo da
potermi guardare in viso.
Non sopportavo il suo atteggiamento invadente, quel suo
volermi leggere dentro – come se realmente potesse
comprendere qualcosa di me.
Per quanto le volessi bene, era una persona troppo semplice per
riconoscere le
mie lotte interiori e capire quand’era il momento di
lasciarmi in pace.
“Niente” ribattei in tono piatto.
“Sei preoccupata per Jonas?” incalzò,
facendosi ancora
più vicina.
“Sì” mentii.
“Anche io. Siamo tutti un po’ in ansia, Joy, ma
secondo
me non c’è nulla da temere: lui è la
persona più gay dell’universo e gli esami
non potranno dire il contrario! Vedrai che andrà tutto bene
e lo avremo ancora
tra noi.”
Avrei voluto allontanarla, gridare che non me ne poteva
importare di meno di Jonas, che era ovvio che il
suo esito sarebbe stato
positivo, ma che il mio non sarebbe stato altrettanto scontato. Invece
tacqui,
come avevo sempre fatto per diciassette anni, e mi tenni ancora una
volta tutto
dentro, pronta a recitare il prossimo atto che componeva la mia vita.
“Lo spero.”
“Già gli esami di Stephen sono andati bene: questo
secondo me è solo grazie all’amore che lega lui e
Jonas. Si amano, quindi cosa
potrebbe andare storto? Un po’ come noi due.”
Il sole illuminava i suoi occhi colmi di euforia e
qualcosa che forse era amore. Avrei dovuto essere attratta da quelle
iridi così
particolari, color indaco, e dal suo viso bello e armonioso, dal suo
corpo
perfetto e dalle forme morbide. Indi era stupenda ed era giusto
che io
l’amassi, ma non ci riuscivo.
Annuii, accennai un sorriso tirato e tornai a guardare un
punto indefinito davanti a me. Secondo lei eravamo una bella coppia, ma
era
soltanto una ragazzina di sedici anni che non aveva mai conosciuto il
vero
amore: a lei andava bene tutto, l’importante era essere
fidanzata. Era
innamorata dell’immagine di sé che dava
all’interno di una relazione, non di
me.
Senza nemmeno rendermene conto, avevo spento il mozzicone
ormai consumato e le mie dita erano automaticamente andate in cerca di
una
nuova sigaretta. Poco prima che potessi accenderla, le dita dalle
unghie laccate
di viola di Indi si posarono sul mio polso. “Dovresti
smetterla di fumare, lo
sai? Te lo dico sempre.”
“Prima o poi smetterò.”
“Lo prometti ogni volta e non lo fai mai.” Mi
attirò a sé
e posò le labbra sulle mie, imbrattandole del suo rossetto
viola abbinato alle
unghie.
Non mi opposi anche se avrei voluto, e non lo feci
nemmeno quando approfondì quel contatto e costrinse la mia
lingua a una danza a
cui non voleva partecipare. Lei in quei baci ci credeva, se li godeva,
chiudeva
gli occhi e si lasciava andare al piacere, mentre io ero sempre rigida
e le mie
palpebre restavano ben aperte.
Il mio sguardo corse altrove, oltre la vetrata, nella
sala d’aspetto in cui erano ancora accomodati i genitori di
Jonas e Stephen. Mi
soffermai soprattutto su quest’ultimo, sul suo viso
– bellissimo nonostante i
lineamenti tirati dalla preoccupazione –, sui capelli castano
chiaro tra cui
passava le dita per scacciare il sudore. Erano le sue labbra che avrei
voluto
incollate alle mie, era il suo odore mascolino e non quello fruttato di
Indi
che volevo nelle mie narici, erano le sue mani che volevo strette
attorno ai
miei polsi.
Un crampo allo stomaco mi sorprese e mi scostai
gentilmente da Indi, sperando che mi lasciasse in pace. Non riuscivo a
sentirmi
sbagliata per ciò che provavo nei confronti di Stephen,
eppure sapevo di
esserlo. Per la società, per la nostra cultura, lo ero e
dovevo tener segreta
quest’oltraggiosa attrazione.
O meglio, l’avrei celata finché non mi fossi
trovata
nella Stanza degli Elettrodi, e allora avrei dovuto pregare per un
miracolo.
Avrei dovuto pregare per non ricevere il marchio bianco
sul polso e non essere mandata in esilio.
“Che c’è?” mi
domandò Indi, sistemandomi affettuosamente
una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio.
“Niente, è che… voglio fumarla
comunque, un’altra
sigaretta” affermai evasiva, accendendo finalmente la stecca
di tabacco e
portandomela alle labbra.
Lei tossicchiò teatralmente. “Sembra di stare
accanto a
una ciminiera.”
Allontanati se ti dà fastidio, avrei
voluto dirle.
Tanto non si sarebbe mai accorta che a perdere fumo ero
io, che stavo implodendo dentro la mia giacca, che la mia mente si
stava
riducendo in polvere a furia di crogiolarmi nella disperazione.
Che a lasciare una scia di cenere ovunque passassi ero
io, non la mia sigaretta.
“Comunque sei davvero bellissima, anche se qualche volta
mi fai dannare. Questa giacca da dove salta fuori? È stilosissima!”
Abbassai lo sguardo sull’indumento in jeans scuro: era da
uomo, mi stava largo, ma dal primo momento in cui l’avevo
indossato mi ero
sentita a mio agio.
“Me l’ha prestata Steph” spiegai,
accennando al nostro
amico oltre la vetrata.
Proprio in quel momento la porta della Stanza degli
Elettrodi si spalancò e un raggiante Jonas ne
uscì, raggiungendo la sua
famiglia e tuffandosi tra le braccia di Stephen. Lo vidi sollevare il
polso
destro, su cui era stato inciso grazie a un laser un marchio riportante
i sette
colori dell’arcobaleno. Perfettamente abbinato ai suoi
capelli.
Indi si lasciò sfuggire un gridolino entusiasta.
“Ce l’ha
fatta, è positivo! Che dici, entriamo?”
Annuii mio malgrado e fui costretta a spegnere la
sigaretta.
Stephen e Jonas si stavano scambiando un appassionato
bacio proprio davanti ai miei occhi, tutti erano contenti, eppure io
non
riuscivo a festeggiare – proprio come era avvenuto la sera
precedente.
Jonas, durante la sua adolescenza, aveva sviluppato i
giusti circuiti neurali che gli avevano permesso di essere un
omosessuale
modello, un degno membro della nostra società. Ora che aveva
superato quella
prova, poteva reputarsi libero di costruirsi una vita insieme al suo
ragazzo.
Sentivo il cuore stringersi in una morsa alla
consapevolezza che per me non sarebbe stato lo stesso.
Smoke was
coming
off my jacket
And
you didn't seem to mind
I
left a long trail of ashes
And
you said "I like your style"
Indi lo chiamava fare l’amore, mentre per
me era
una tortura a cui cercavo sempre di sfuggire. Le dicevo che ero
bloccata, che
non mi sentivo pronta e soltanto in rare occasioni, quando faceva il
muso lungo
e mi implorava di tentare, le donavo quell’anfratto di me
così intimo in cui
non avrei fatto entrare nessuno – nessuno a parte
Stephen.
Non sentivo mai niente, se non fastidio. Indi ci teneva a
farmi provare piacere, a ricambiare con le stesse sensazioni che io le
procuravo, ma non andava mai così.
Sdraiate sul letto sfatto della mia ragazza, entrambe
nude e con la pelle madida di sudore, ci lasciavamo cullare dalle note
di un
brano di cui non conoscevo il titolo, ma che Indi adorava. Ogni volta
che ci
ritrovavamo da sole lei metteva su un album dal titolo Girl
di una certa
Maren Morris, uno dei suoi preferiti. Non mi aveva mai coinvolto
granché, ma
ormai lo conoscevo a memoria e alcune canzoni avevano finito per
entrarmi in
testa.
Indi mi stringeva da dietro, cingeva i miei fianchi e
faceva aderire il suo seno e il suo ventre alla mia schiena.
“Now heartbreak ain't a competition, but I took it
in
a landslide” sussurrò, seguendo la voce
della cantante, prima di lasciarmi
un bacio tra i capelli e abbracciarmi ancora più forte.
Non provai niente, come al solito. Mi sentivo soltanto
una prigioniera, ma ormai anche quella frustrante sensazione si era
tramutata
in un flebile pizzicore alla gola: mi ero arresa.
A volte provavo a farmela piacere, a sviluppare
attrazione e amore nei suoi confronti; ma, tutte le volte che riuscivo
a
provare qualcosa, non era Indi la persona che mi invadeva la mente. E
se con
lei potevo fingere, nella Stanza degli Elettrodi nessuna menzogna
avrebbe
retto. Nessuna bugia avrebbe potuto ingannare la scienza.
Mentre combattevo con l’ansia che mi opprimeva il petto,
una frase nel testo della canzone attirò la mia attenzione e
forse la ascoltai
per la prima volta, nonostante l’avessi sentita per mesi.
Your kind
of
heaven's been to hell and back
To
hell and back
“Oggi approfondiamo la storia del grande trasloco
sulla Luna.”
Rizzai le orecchie a quelle parole e aprii il mio
quaderno, cercando una pagina pulita per poter prendere appunti.
Storia era una materia che mi piaceva tantissimo;
quell’argomento in particolare mi aveva sempre incuriosito,
ma alle elementari
non ne avevamo parlato tanto.
I miei compagni di classe ridacchiarono e continuarono
a chiacchierare alle mie spalle come se il professor Lawyer non avesse
nemmeno
aperto bocca.
“Chi si ricorda la data del primo sbarco
dell’uomo
sulla Luna?” domandò l’insegnante,
facendo scorrere il suo sguardo perennemente
calmo tra di noi.
Io sapevo la risposta, ma come al solito non mi
azzardai a parlare.
“1969.” Spostai lo sguardo fino al banco
di Stephen,
nella seconda fila a destra: era stato lui a rispondere.
La classe del corso di Storia non mi piaceva, ma la
sua presenza rendeva tutto più sopportabile. Era il mio
unico amico.
“Esatto. È una data che dovreste
ricordarvi bene,
tutti quanti, perché sancisce l’inizio della
storia moderna. All’epoca gli
uomini vivevano tutti sulla Terra, ma quello fu il primo passo
perché si
potessero gettare le basi per un trasferimento di massa: dopo il primo
allunaggio l’uomo poté studiare il pianeta, la sua
superficie, il suo habitat e
le sue caratteristiche fisiche, in modo da apportare le giuste
modifiche e
renderla un ambiente vivibile.”
“Professore, ma c’è stato un
periodo in cui le persone
vivevano sia sulla Terra che sulla Luna, giusto?” prese la
parola Ritchie, uno
dei pochi ragazzini interessati alle lezioni.
“Adesso ci arriviamo.” Come suo solito, il
professor
Lawyer cominciò a passeggiare tra i nostri banchi mentre
spiegava. “Come tutti
voi saprete c’è stato un tempo, prima della grande
Esplosione, in cui sulla
Terra vigeva la supremazia dell’eterosessualità:
era la norma che un uomo
stesse con una donna, la cultura era strutturata in modo che
quell’immagine
passasse per giusta e scientificamente non si avevano ancora i mezzi
perché ci
si potesse riprodurre anche tra persone dello stesso sesso, quindi
l’unico modo
per portare avanti la specie era farlo in maniera naturale. Gli
omosessuali
erano costretti a nascondersi e vivere clandestinamente le loro
relazioni
amorose, dal momento che costituivano una minoranza e peraltro non
conforme
alle regole dell’epoca.”
Ormai la maggior parte dei miei compagni era
ammutolita e ascoltava con interesse. Probabilmente molti di loro
– così come
me – erano rimasti spiazzati: veniva davvero difficile
immaginare che in
passato le cose fossero andate nella maniera contraria a come eravamo
abituati.
Io, affascinata, segnavo tutto sul mio quaderno.
“Etero e omosessuali condivisero lo stesso pianeta
per
secoli; questi ultimi erano costretti a lottare costantemente per veder
riconosciuti i loro diritti, finché le tecnologie non furono
sufficienti per
permettere alla comunità allora chiamata LGBT+ di
trasferirsi sulla Luna.”
“Perché si chiamava
così?” domandò Stephen, gli occhi
curiosi fissi sul professore.
“G sta per gay, L per lesbiche, B per bisessuali e T
per transgender. Il più invece sta a
sottintendere altre categorie che
sono state aggiunte successivamente, come gli asessuali, ma non
rientrano nella
prima versione dell’acronimo.”
Nell’aula si diffuse un borbottio sommesso. Tutto
ciò
ci sembrava fantascienza: ai nostri tempi non era certo necessario
identificarci con una sigla, eravamo semplicemente… noi.
“Dicevamo…” riprese Lawyer.
“La Luna era un pianeta
piccolo rispetto alla Terra, ma sufficiente per ospitare tutti i
non-etero. Più
tardi ci soffermeremo meglio sui personaggi che hanno reso il trasloco
possibile, ma intanto dovete sapere che i nostri antenati si sono
impegnati per
ricreare un mondo il più simile possibile a quello fino ad
allora conosciuto.
Grazie alla scienza e alla genetica, trovarono un metodo
perché le coppie
omosessuali potessero dare alla luce dei figli con il proprio DNA.
Forse in
scienze avete già studiato
quest’argomento… chi sa dirmi di cosa si
tratta?”
Sophie, che sedeva sempre al primo posto della bancata
centrale, sollevò la mano. “Tramutare il cromosoma
X in cromosoma Y in una
donna e fare il contrario per le coppie di uomini.”
“Esatto.”
“E l’Esplosione della Terra allora? Quando
arriva?”
“Ora ne parliamo. Intanto: qualcuno sa la data esatta del
trasloco sulla Luna?”
“3 gennaio 2417” mi lasciai sfuggire a
voce bassa.
“Brava, Joy” si complimentò il
professore, mandandomi
a fuoco le guance. Non pensavo mi avesse sentito.
“I due secoli che intercorsero tra il trasloco e
l’Esplosione, avvenuta nel 2604, furono particolari. Gli
etero e la nostra
comunità cercarono di mantenere un rapporto civile:
strinsero il Patto di
Residenza, secondo cui gli abitanti della Terra si impegnavano a
ospitare
coloro che fossero nati sulla Luna ma fossero risultati etero e
viceversa. Così
ognuno sarebbe stato collocato nel luogo più adatto a lui in
base al suo
orientamento sessuale; era un buon metodo, almeno fino
all’Esplosione. Fu una
catastrofe, distrusse la maggior parte della superficie terrestre e
spazzò via
quasi ogni traccia di civiltà. Morirono più di
cinque milioni di persone.”
Trattenni il fiato. Non riuscivo nemmeno a
immaginarle, tutte quelle vite umane.
“Solo due territori rimasero abitabili.”
Il professor
Lawyer si voltò verso la lavagna 3D, in cui campeggiava la
riproduzione della
Terra prima dell’Esplosione, e indicò un punto
quasi sulla cima della sfera.
“La Terra Nera, quella che in origine era la Scandinavia, e
la Terra Bianca,”
accennò a un punto più in basso, nei pressi del
ventre panciuto del pianeta,
“il vecchio Sudafrica.”
“Ma quelle sono le terre dove gli etero vengono
mandati in esilio!” esclamò qualcuno, dando voce
ai miei pensieri.
Non ne sapevo tanto sull’argomento, ma avevo sentito
dire che chi a diciotto anni non passava il test nella Stanza degli
Elettrodi
veniva spedito sulla Terra e non faceva più ritorno. Non
avevo mai avuto il
coraggio di chiedere di più e anche per quel motivo ero
contenta di studiare
quella fetta della nostra storia. Volevo sapere come funzionava.
Il professore scosse il capo. “Non chiamarlo esilio,
non si tratta di questo. I diciottenni che non hanno sviluppato i
giusti
circuiti, e che quindi non risultano né omosessuali
né bisessuali, vengono
mandati sulla Terra per un periodo chiamato percorso di
correzione. Ai
ragazzi viene destinata la Terra Nera, mentre alle ragazze la Terra
Bianca:
trascorrendo tanto tempo a stretto contatto esclusivamente con persone
dello
stesso sesso, gli etero hanno la possibilità di correggere i
loro circuiti
neurali e sperare in un futuro sulla Luna.”
E se questo non succede?, avrei voluto chiedere, ma
non ne ebbi il coraggio.
“Ma la Terra è distrutta, è un
ambiente orribile in
cui vivere!” obiettò Ritchie. “E poi non
è vero che si tratta solo di un
periodo di tempo: Charlie, mio cugino, è partito cinque anni
fa e non è ancora
tornato.”
Nell’aula cadde un pesante silenzio che nemmeno il
professor Lawyer sapeva bene come spezzare; anzi, sembrava a disagio e
i suoi
occhi erano stati velati da una strana malinconia. Sembrava sapere
qualcosa che
però non voleva dirci.
Dopo qualche istante si schiarì la gola.
“Non è tutto
così terribile come sembra, ragazzi.” Ma il tono
rassegnato che utilizzò non fu
per nulla convincente. “La nostra società
è stata costruita affinché tutti, fin
da piccoli, sviluppino i giusti circuiti e i casi in cui ciò
non avviene sono
estremamente rari.”
“E perché le persone etero non possono
restare a
vivere sulla Luna?” domandò Sophie scettica.
Lawyer sorrise amaramente. “Per il Patto di
Residenza.
Dopo l’Esplosione, sotto il governo di Megan Raynor, vi fu un
grande referendum
che diede la possibilità alla popolazione lunare di decidere
se abolire il
Patto o lasciare le cose come stavano, nonostante la Terra fosse
diventata un
pianeta ostile. La maggioranza votò per il mantenimento del
Patto di Residenza,
così il 21 ottobre 2604 venne negato il permesso
d’asilo ai pochi sopravvissuti
della comunità terrestre sul nostro suolo e vennero
istituiti i percorsi di
correzione.”
Ero veramente disgustata da quello che avevo appena
sentito: ragazzi di appena diciotto anni venivano allontanati dalle
loro
famiglie e dal loro amici per essere spediti in un luogo
inospitale… per colpa
di leggi vecchie di quasi quattro secoli.
Avevo da poco compiuto tredici anni e già avevo
compreso il sistema marcio in cui ero nata e cresciuta.
Stephen aprì il portone di casa e, non appena mi vide, il
suo sguardo si illuminò e mi avvolse in un affettuoso
abbraccio. “Joy! Come
sono andati gli esami di fine anno?”
Mi sentivo morire ogni volta che mi stringeva tra le
braccia in quel modo così caloroso, che non avrebbe dovuto
implicare nessuna
malizia. Aveva il fisico scolpito da anni di basket, ma era capace di
una
delicatezza che mi spezzava il cuore. Jonas era un uomo davvero
fortunato.
Ricambiai il gesto, poi lo seguii dentro casa.
“Abbastanza bene, credo. Ho risposto con sicurezza alle
domande di storia, ma
fisica… non ce la posso fare!”
Lui ridacchiò e si diresse verso il frigo per portar
fuori la solita bottiglia di succo di frutta alla fragola –
sapeva bene che lo
adoravo, ormai non era più necessario domandare.
“A proposito di fisica: ecco il tuo libro” dissi,
poggiando sul tavolo il volume che mi aveva dato in prestito.
“E questa è la
tua giacca” aggiunsi, lasciando sulla spalliera della sedia
l’indumento in
jeans per cui Indi mi aveva fatto i complimenti settimane prima.
“Non lo voglio indietro.”
“Cosa, il libro?”
“No, il giubbino. Tienilo pure: ti sta bene.”
Non era un complimento che celava secondi fini, nella sua
testa ero solo un’amica, ma non potei fare a meno di
arrossire; per
dissimularlo, abbassai lo sguardo e lasciai ricadere i capelli sul
volto –
erano troppo corti per farmi davvero da scudo.
“Ne sei sicuro?”
“Certo! Ho mille altre giacche simili. Comunque avrei
dovuto darti qualche ripetizione in più su
fisica… che domande ti sono
capitate?” Tornò al tavolo, vi posò due
bicchieri pieni di succo rossastro e
picchiettò con l’indice sulla copertina del libro.
“Soprattutto sulla gravità.”
“Non posso accettare che tu fallisca proprio nel mio
campo di interesse!” si finse indignato, per poi ridacchiare.
Accennai un sorriso e afferrai il contenitore colmo della
mia bibita preferita. Non potei fare a meno di pensare a quanto Stephen
fosse
intelligente, tra le altre cose: era entrato
all’università, superando un test
d’ingresso famoso per essere parecchio tosto, per
specializzarsi in Gravità. Il
suo sogno era lavorare presso i grandi tralicci che erano stati
impiantati
secoli prima per tutta la superficie della Luna e che avevano il
compito di
ricreare la stessa forza di gravità presente sulla Terra;
era un mestiere che
richiedeva grosse responsabilità e abilità, quasi
alla stregua dell’astronauta.
Stephen era un ragazzo ambizioso e sapevo che ce
l’avrebbe fatta. Aveva avuto e avrebbe avuto tutto dalla vita.
“Non so se avrei retto altre ripetizioni su questa
roba”
ammisi con una risatina.
“Invece come argomento a piacere cos’hai
presentato?”
Mandai giù un sorso del liquido zuccherino.
“Genetica.”
“Tosto!”
“Non direi: è un ramo che mi affascina
molto.”
Lui ci rifletté su. “Ora che hai finito con gli
studi
superiori, potresti pensare di iscriverti
all’università e specializzarti in
Genetica.”
Abbassai il capo e cominciai a giocherellare nervosamente
col bordo della giacca che Stephen mi aveva implicitamente regalato.
Non avevo
mai pensato a un futuro, perché negli ultimi anni avevo
appreso che non ne
avrei avuto uno.
“Mi piace molto anche la Storia” bofonchiai,
sperando di
togliermi dall’impaccio.
Continuammo a chiacchierare del più e del meno con quella
complicità che aveva sempre contraddistinto il nostro legame
– Stephen era una
delle poche persone con cui riuscivo ad aprirmi davvero –
finché lui, una volta
controllato l’orologio, non annunciò che sarebbe
dovuto uscire a breve.
“Non ti voglio buttare fuori da casa mia, ma ho promesso
a Jonas che sarei passato a prenderlo: al cinema danno un nuovo film
drammatico
che non vuole assolutamente perdersi”
spiegò roteando gli occhi con
finta esasperazione.
“Come sta?” buttai lì, giusto per fare
conversazione ed
evitare che mi liquidasse così in fretta. Per quanto mi
riguardava, Jonas
poteva aspettarlo anche per tutta la sera.
“È contentissimo da quando ha passato il test
degli
Elettrodi, ha cominciato a fare un sacco di progetti per il futuro, non
sta
zitto e fermo un secondo… stiamo pensando di andare a vivere
insieme, sai?”
Mi morsi l’interno della guancia per trattenere
un’esclamazione di disappunto. “Ah, ottimo!
È una cosa molto carina, ve lo
meritate…”
“Ehi, ma sbaglio o tra poco è il tuo
compleanno?”
s’illuminò all’improvviso.
Annuii, lo stomaco che mi si rivoltava.
“Quindi si avvicina il tuo turno per la Stanza degli
Elettrodi.”
Mi veniva da piangere: ci pensavo già abbastanza di mio,
non avevo bisogno che qualcuno lo rimarcasse. Ma le lacrime, come le
parole,
erano qualcosa che avevo ben imparato a trattenere.
“Joy… che c’è? Sei
preoccupata?” mi chiese Stephen,
addolcendo il tono della voce e sporgendosi sul tavolo per potermi
scrutare in
viso.
Ero fottutamente terrorizzata.
“Non proprio, cioè… è che
tutta questa faccenda mi
infastidisce.”
“In che senso?”
Una cosa che amavo di lui era che stava sempre a sentire
ciò che avevo da dire, con lui potevo esprimere le mie idee
senza sentirmi
giudicata o sminuita.
“Tutto. Questo sistema. Il fatto che siamo costretti a
sottoporci a questo controllo per essere ufficialmente inseriti in una
categoria: omosessuali o eterosessuali. Il fatto che questi ultimi
debbano
essere mandati in esilio come dei criminali, quando la loro unica colpa
è amare
qualcuno del sesso opposto, qualcosa che non possono controllare o
decidere. E
anche se restassero con noi sulla Luna, cosa cambierebbe? Farebbero
forse del
male a qualcuno?”
Stephen mi guardò smarrito per un attimo, poi le sue
iridi verdi si venarono di una triste rassegnazione.
“Dobbiamo farlo, non
possiamo opporci a prescindere dalle nostre idee.”
“Ma è il principio a essere sbagliato…
non trovi? Mi
sembra tutto un po’ ipocrita. Insomma, un tempo eravamo noi a
lottare per
ritagliarci il nostro spazio nel mondo, mentre ora trattiamo gli etero
come
fossero il nemico… esattamente come veniva trattata la
nostra comunità. Abbiamo
combattuto per secoli per far capire alla comunità etero che
l’amore è giusto a
prescindere del suo oggetto, mentre ora stiamo agendo nella maniera
contraria.”
Ammutolii, rendendomi conto che mi stavo infervorando forse un
po’ troppo, come
non mi capitava mai. Era raro che portassi fuori la mia opinione in
quel modo,
era qualcosa che spaventava anche me; tuttavia si trattava di un
argomento a
cui tenevo particolarmente.
Stephen sospirò e si passò una mano tra i
capelli. “Hai
ragione. Ci ho pensato anche io qualche volta, ma non è una
questione che mi ha
sfiorato in prima persona e ho sempre lasciato perdere. Non ho mai
conosciuto
delle persone che sono risultate negative al test degli Elettrodi, non
ho mai
perso nessun amico, ma immagino quanto può essere avvilente
essere mandate in
esilio in un luogo in cui non è rimasto niente.
Però sai che ti dico? Se è un
argomento a cui tieni tanto, esistono dei movimenti a cui prendere
parte.
Esistono un sacco di associazioni giovanili che scendono in piazza per
manifestare e propagandare, che tentano di cambiare il sistema e
salvaguardare
i diritti degli etero. Sicuramente ne avrai sentito parlare anche tu,
no?”
Annuii: ne ero venuta a conoscenza a scuola, tramite dei
volantini che circolavano sottobanco per mano di alcune ragazze degli
ultimi
anni. Avevo sempre trovato interessanti quelle iniziative e un paio di
volte mi
era saltato in mente di partecipare a qualche riunione, ma avevo sempre
rinunciato per codardia – per paura di essere additata come
etero. Ci avevo
rimuginato sopra per anni, ma ormai era troppo tardi.
“Sei sempre in tempo per associarti e combattere”
affermò
Stephen.
Avrei voluto dirgli che il mio tempo era finito, che
l’unica speranza per me era risultare quantomeno bisessuale
durante il test e
che avrei dato qualsiasi cosa pur di non entrare in quella maledetta
stanza. Ma
erano segreti troppo oscuri che non avrei potuto rivelare nemmeno a
lui,
nonostante fosse l’unico a sapere quasi tutto di me.
Si mise in piedi e mi posò una mano sulla spalla con fare
rassicurante. “Andrà tutto bene, quando sarai
lì ti accorgerai che non è nulla
di così spaventoso. Già il fatto che tu abbia una
relazione stabile con Indi la
dice lunga sul tuo orientamento sessuale.”
Mi veniva da ridere e da piangere allo stesso tempo.
Nemmeno il trucco che mamma Lili si era premurata di
applicare sul mio viso con precisione maniacale era in grado di
dissimulare il
mio aspetto sciupato e consumato. Mi guardavo allo specchio e, laddove
tutti
vedevano una bella ragazza appena diciottenne, io riuscivo a scorgere
ogni
segno della mia anima che andava in pezzi.
I miei occhi dalle iridi grigie sembravano ancora più
grandi e tempestosi sul viso magro e pallido. Sistemai la frangia sulla
fronte
in modo che coprisse quelle pozze di dolore, così magari
sarei riuscita a
fingere di essere contenta e desiderosa di festeggiare.
Quelle ciocche lunghe erano l’unica cosa che avevo
lasciato intatte quando, il giorno prima, ero stata dal parrucchiere:
avevo
chiesto un taglio netto, radicale, e i capelli corvini che prima mi si
posavano
sulle spalle ora mi accarezzavano a malapena la base del collo. Nessuno
aveva
capito il motivo della mia scelta, ma non potevo certo spiegare alla
mia
famiglia che sulla Terra Bianca avrei sofferto il caldo se avessi
tenuto i
capelli lunghi.
Mi morsi il labbro, poi mi ricordai del rossetto rosa
pastello che lo colorava in maniera estremamente falsa. Erano labbra
sottili e
spente le mie, che non si stiravano in un sorriso da chissà
quanto tempo e
sicuramente non l’avrebbero fatto quella sera.
Sarebbe stata l’ultima giornata della mia vecchia vita,
prima che tutte le persone che dicevano di amarmi mi ripudiassero.
"Joy, tesoro, sei pronta?” Mamma Carol si affacciò
alla porta spalancata del bagno, bussando appena sullo stipite e
parlando in
tono allegro. “Indi è appena arrivata, ti sta
aspettando.”
Mi voltai a guardarla, incrociando le sue iridi dello
stesso grigio delle mie, e annuì appena. “Sto per
finire.”
Lei spalancò gli occhi e un enorme sorriso le si dipinse
sulle labbra. “Tesoro, ma sei stupenda! Quel vestito ti sta
d’incanto!”
Abbassai lo sguardo sull’abito blu notte, sui dettagli
argentei che brillavano sul corpetto stretto e sulla gonna che mi
scendeva fin
quasi ai piedi. Era stato il vestito del diciottesimo di mamma Lili,
che lei
aveva conservato nella speranza di poterlo un giorno donare a
un’eventuale
figlia femmina.
“C’ero anche io alla sua festa, già le
andavo dietro… era
bellissima, proprio come lo sei tu” ricordò
dolcemente mamma Carol, gli occhi
pieni di emozione e nostalgia.
Accennai un sorriso e afferrai una boccetta di profumo
per spruzzarne qualche goccia sui polsi.
Volevo soltanto scomparire quel giorno, la sola idea di
dover uscire con il mio gruppo di amici mi metteva voglia di chiudermi
in
bagno, prendere una lametta e farla finita.
Invece ancora una volta mi costrinsi ad affrontare tutto
a testa alta e con la morte nel cuore: mi diressi in soggiorno, dove
mamma Lili
stava chiacchierando con Indi.
La mia ragazza era innegabilmente bella, con il suo
tubino indaco che metteva in risalto le sue forme generose pareva lei
la star
della serata. Eppure la sua vista non fece che disgustarmi, come tutte
le
volte.
“Joy! Amore mio, sei magnifica!”
cinguettò non appena mi
vide, per poi precipitarsi da me, gettarmi le braccia al collo e
baciarmi con
trasporto.
Se già i suoi baci mi erano indigesti, detestavo ancora
di più quel suo atteggiamento davanti alle mie madri.
Loro però sorridevano contente, ci osservavano con occhi
pieni di gioia e orgoglio.
Mamma Lili si accostò a me e mi carezzò appena
una
guancia, gli occhi lucidi. “Quasi non ci credo, i diciotto
anni della nostra
stellina…”
Volevo piangere.
Mamma Lili e mamma Carol erano due donne unite da un
amore sincero; si erano impegnate perché crescessi felice,
serena e senza
avvertire alcuna mancanza. Mi avevano trasmesso la loro calma e pace,
si erano
sempre mostrate orgogliose dei miei successi e comprensive nei
confronti dei
miei errori. Le amavo, nonostante nel profondo sapessi che nessuna
delle due mi
avesse mai pienamente compreso; del resto non era colpa loro se non
parlavo e
non raccontavo nulla della mia vita. Avevo sempre cercato di non dar
loro
problemi e di tenere per me il mio pensiero divergente dal resto del
mondo,
nella paura di deluderle e di non essere accettata.
Era tutta colpa mia se non conoscevano affatto la loro
unica figlia, era colpa mia se il giorno successivo avrei spezzato loro
il
cuore con una notizia tanto tragica quanto inaspettata. La sola idea di
dare un
dispiacere così grande alle mie mamme, quasi paragonabile a
un lutto, mi
toglieva il fiato.
Ricacciai il magone che mi stava bloccando la gola e
lanciai un’occhiata a Indi. “Si sta facendo tardi,
forse è meglio andare.”
Restare in quella stanza con loro stava diventando una
tortura, non riuscivo più a sostenere i loro sguardi.
La mia ragazza annuì e mi prese per mano.
“Divertitevi tanto, ragazze!” ci salutò
mamma Carol.
“Passate una buona serata” le fece eco mamma Lili,
la
voce rotta dall’emozione.
Uscimmo di casa ed ero già pronta ad avviarmi verso il
nostro solito locale, quando Indi mi strattonò appena verso
di sé e sussurrò a
un centimetro dalle mie labbra: “Sei bellissima ogni singolo
giorno, ma oggi…
oggi sei la donna più bella
dell’universo”, per poi baciarmi con passione.
Repressi quel moto di disgusto che mi assaliva a ogni suo
bacio e stavolta serrai gli occhi, pregando che Indi scomparisse in
quell’istante.
Almeno uno dei miei desideri sarebbe stato realizzato il
giorno seguente.
When my
demons
come a-calling
You
don't even bat an eye
[Per
note e spiegazioni rimando alla fine del secondo
capitolo.]
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