Dark Sirio

di _Atlas_
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Capitolo X

 
 
 
 

 
 
Aprile 1997, Mismar (Georgia)
 
«Ti stai impuntando un po’ troppo, secondo me.»
Jake scosse la testa e si arricciò nella mano i capelli che gli ricadevano sulla fronte.
«Non mi sto impuntando,» chiarì «vorrei solo che capiste il concetto: cancellare dalle scalette tutti i pezzi famosi farebbe dimezzare il pubblico che viene a sentirci. I Losers Club sono nati come una cover band, non possiamo di punto in bianco offrire qualcosa di diverso.»
«Non dovete eliminarli tutti!» obiettò Axel afferrando dal piatto una manciata di patatine fritte.
«Potreste inserire i pezzi originali un po’ per volta, perchè pensi che non sia una buona idea? Johnny’s eyes è piaciuta, non ha senso non proporre altro» aggiunse Jenna con l’aria di chi aveva ripetuto quel concetto un po’ troppe volte.
«No, è che non ha senso proporre qualcosa che non funziona.»
Jake sembrava particolarmente irrequieto e in quella frase Axel colse più frustrazione di quella che forse aveva intenzione di trasmettere. Cercò conferma nello sguardo di Jenna ma lo vide puntato altrove, rapito da due iridi nocciola oscurate da un velo di malinconia e rabbia.
Fu un pensiero rapido, ma che si incise subito nella sua mente non appena percorse la traiettoria dei loro sguardi: se Jake avesse avuto una maggiore consapevolezza di sé, pensò, avrebbe avuto ai suoi piedi chiunque e a quel punto i Losers Club avrebbero potuto suonare le peggiori hits reggaeton che nessuno ci avrebbe dato importanza.
Si costrinse a ignorare quella fitta di gelosia che gli punzecchiava lo stomaco attribuendone la colpa alla sua scarsa autostima e all’incertezza che lo inondava ogni volta che finiva per ricordarsi di Dark Sirio, ma era consapevole che quel collegamento non reggeva – o che comunque reggeva poco – e che la reale causa fosse da cercare altrove, magari a pochi centimetri dalla sua sedia.
«Grazie Darryl» disse Jenna afferrando altre due porzioni di patatine fritte e mettendole al centro del tavolo. L’uomo le fece l’occhiolino e scompigliò scherzosamente i capelli di Jake prima di tornare dietro al bancone.
«Dai retta a Jenna, ragazzo…» gli urlò in lontananza.
Jake sbuffò seccato e tornò a guardare i due amici: «Quello che voglio dire…»
«Quello che vorresti dire lo hai già detto trecento volte» lo frenò immediatamente Jenna, che a quel punto era esausta «Quello che devi fare, invece, è trovare un po’ di coraggio dentro quel cespuglio di capelli ingellati e imbrattati di brillantina. Chiaro?»
«Io non uso la brillantina!» ribatté lui, sulla difensiva.
«Raccontalo a qualcun altro!»
«Non racconto proprio un bel niente.»
«E tu» rincarò la dose Jenna con fare stizzito «hai intenzione di dirgli qualcosa o dobbiamo come al solito aspettare un allineamento dei pianeti prima che tu riesca a parlare?»
Axel non era pronto a quello scatto di Jenna e realizzare che stesse rivolgendo proprio a lui quelle parole e con quel tono perentorio gli causò un principio di vertigine. Non era certo la prima volta che succedeva, eppure non era ancora riuscito ad abituarsi.
«Mi sembrava di aver detto la mia al riguardo, no?»
«Forse, ma qui abbiamo problemi di memoria» insisté lei.
Axel tirò un lungo sospiro e si schiarì la voce, ignorando quel vortice di emozioni in cui era finito senza volerlo: «Beh, devi buttarti, Jake. Devi rischiare. E credimi, non te lo sto dicendo perché in questo momento sono sotto minaccia…» scherzò contro ogni previsione e sollevato di vedere un accenno di sorriso sulle labbra di Jenna «…ma perché è giusto così. Se non ti butti non lo saprai mai. E a me i vostri pezzi originali piacciono, non vedo perché non debbano piacere anche agli altri. Giusto?» chiese poi sottovoce a Jenna, che adesso lo guardava con una certa soddisfazione.
Jake li osservò entrambi per una manciata di secondi, apparentemente divertito, dopodiché scosse la testa e si alzò per uscire.
«Siete due imbecilli, a proposito.»
 
 
 Axel aveva smesso da tempo di chiedersi se fosse normale chiudere le serate in quel modo, con Jake che saltellava da uno stato d’animo all’altro o da un discorso all’altro come se fosse la cosa più naturale del mondo. Non ci fece nemmeno troppo caso quando iniziò a camminare con la testa all’insù per le strade di Mismar, cercando di riconoscere le costellazioni che spiccavano luminose nel cielo.
«Quella secondo me è “Cane che si morde la coda”. La vedete?»
Axel, che quella sera lo aveva visto bere due boccali di birra, lo lasciò giocare con la fantasia senza interrompere il suo flusso di pensieri; suo malgrado provò un lieve senso di colpa nei suoi confronti, la gelosia che provava non aveva nulla a che fare con il suo carisma e piuttosto riguardava se stesso - si disse - la sua insicurezza e tutto ciò che gli impediva di muoversi dal punto in cui si trovava.
Sperò davvero che Jake trovasse il coraggio per portare la sua band a uno scalino più alto, non solo perché credeva davvero nel suo talento, ma perché pensava che lo meritasse anche per la persona che era e per l’amico che stava diventando per lui.
«A che pensi?»
La voce di Jenna lo fece sussultare di nuovo, anche se adesso aveva un tono più dolce e privo di qualsiasi sfumatura minacciosa.
Si limitò ad alzare le spalle, come faceva sempre quando non sapeva cosa dire, e innervosendosi non appena realizzò che stava perdendo l’ennesima occasione di parlare da solo con lei.
Jenna d’altra parte non si lasciò turbare da quel silenzio, o almeno così gli era sembrato, ma il cuore gli tremò nel petto ancora una volta quando lei intrecciò il suo braccio al proprio, stringendolo con delicatezza.
«Mi preoccupo troppo per lui, forse dovrei lasciar perdere» disse.
Axel, ancora frastornato da quell’inaspettato contatto fisico, realizzò con qualche secondo di ritardo a chi si stesse riferendo e subito dopo si sentì sommerso da una fitta pioggia di emozioni discrepanti.
Non capiva il comportamento di Jenna, né che tipo di rapporto ci fosse effettivamente tra lei e Jake. La loro amicizia aveva sfumature che lui non riusciva a cogliere, forse perché non aveva mai avuto un rapporto così intimo con qualcuno, o forse perché qualcosa di ambiguo c’era e per lui era solo molto difficile da accettare.
Ma allora che senso aveva avvicinarsi a lui in quel modo? Perché creare equivoci se ciò che desiderava davvero era stare con Jake?
Axel non sapeva rispondere a quelle domande, ma non poteva ignorare la fiamma che, seppur debolmente, gli scaldava il cuore da mesi.
«Troverà una soluzione, Jake è in gamba» si sforzò di pronunciare. Ci credeva, suo malgrado, e guardandolo brioso tra gli effetti dell’alcol e qualche risata di troppo non riuscì a capire il timore di Jenna e per un momento provò persino rabbia nei suoi confronti. Una rabbia che scemò non appena la sentì poggiarsi con la testa sulla sua spalla, mozzandogli il respiro.
«Dobbiamo proteggerlo, Axel» mormorò stancamente.
La risata di Jake ruppe quel nuovo silenzio tra loro, e Axel si chiese se quell’improvvisa angoscia che provava fosse solo una sensazione passeggera o se fosse il preambolo di qualcosa che ancora non aveva forma.
 
  

*

 
 
«Non ci credo…»
Mentre Jake passava in rassegna le prime vignette concluse del suo fumetto, Axel lo osservava in silenzio già dimentico delle ore che aveva speso per renderle il più presentabili possibile. Alla fine era riuscito a creare una trama che coinvolgesse l’invasione della Luna da parte di una navicella aliena, conservando l’idea originale di Jake ma rendendola meno confusa e più facile da disegnare.
Mancava poco più di un mese al termine della consegna dei lavori e Axel aveva bisogno di un riscontro per portare avanti la storia, così quel pomeriggio lo avevano passato insieme nel sottotetto a studiare nuovi dettagli della trama fin quando Axel non aveva messo un plico di fogli sotto il naso di Jake, che per poco non si era messo a piangere dalla felicità.
«Non pensavo che fossi già così avanti, come cavolo ci sei riuscito?» gli chiese sfogliando i disegni con aria sognante.
«Ho iniziato a provare una certa simpatia per gli alieni» rispose Axel con un’alzata di spalle. Mentre disegnava ricordò di aver pensato alle parole di Jenna a cui non era stato capace di dare un significato, e si era chiesto se la scelta di aiutare Jake non potesse essere il suo personale modo di proteggerlo, sebbene fosse stata una scelta presa a posteriori.
Proteggerlo da che cosa, poi? Non era stato abbastanza coraggioso da chiederlo e la presenza così vicina di Jenna aveva solo reso tutto più difficile. Il suo profumo gli era rimasto attaccato alla felpa per giorni interi, un lieve aroma di pesca che avrebbe voluto portare con sé ovunque.
«Come posso ripagarti, Axel?» disse improvvisamente Jake, lo sguardo ancora puntato sui disegni. «Lo so che non è ancora finito, ma vorrei davvero ringraziarti per questo.»
«Pagami in concerti, e possibilmente vorrei ascoltare pezzi originali.»
«Ancora con questa storia? Scommetto che Jenna ti ha fatto il lavaggio del cervello.»
Axel portò gli occhi al cielo e ne approfittò per sintonizzare il televisore su MTV, dove però trovò il notiziario.
«Parliamo di te, piuttosto» rincarò la dose Jake «Hai deciso cosa fare con Dark Sirio? Perché la questione non è poi così diversa, lo sai?»
Aveva ragione, doveva concederglielo, ma questo non avrebbe cambiato le cose.
Fu sul punto di dirglielo, che ormai la decisione di non partecipare al concorso era definitiva, ma qualcos’altro attirò la sua attenzione.
«Jake, il naso. Ti esce sangue.»
«Merda, di nuovo» disse lui posando i disegni e affrettandosi per pulirsi.
«Ti succede spesso?» gli chiese Axel, ricordando l’episodio di qualche settimana prima.
Jake fece un gesto vago e si ricompose, senza però rispondere alla domanda.
«Niente maglietta dei Beatles, stavolta?» gli chiese invece.
«Quella è rimasta a te, a dire il vero.»
«Giusto. Te la riporto, promesso.»
Probabilmente la cosa lo aveva messo in imbarazzo, o almeno fu così che Axel giustificò l’improvvisa goffaggine dell’amico, che adesso sembrava essersi dimenticato del fumetto e aveva preso a rovistare tra le sue audiocassette per camuffare la sua agitazione.
«Questo album è una bomba!» esclamò trovando Achtung Baby degli U2.
Axel sorrise, provando per lui una strana compassione, dopodiché si buttò a capofitto in una discussione sull’evoluzione stilistica di Bono Vox.
 
 

*

 
 
Aprile 2015, Georgia
 
Il getto di aria condizionata gli aveva bloccato il collo per l’intero viaggio e probabilmente anche per i giorni successivi. Se ne rese conto all’atterraggio, quando la hostess si avvicinò per svegliarlo e lui non era riuscito a voltarsi nella sua direzione.
In realtà non stava neanche dormendo, come poteva? Aveva solo chiuso gli occhi sperando di aver preso il volo sbagliato come quel film con Macaulay Culkin e di essere finito dall’altra parte del mondo.
L’insegna dell’aeroporto di Atlanta uccise definitivamente le sue speranze non appena scese dall’aereo, ormai certo di non avere via d’uscita.
Il taxi per Mismar lo aspettava all’uscita dell’edificio, e realizzò di avere davanti a sé l’ultima possibilità di scappare e di non fare ritorno.
Questa volta davvero.

 

 
 

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Note:
1. Kevin McCallister, il protagonista di “Mamma ho perso l’aereo” e di “Mamma ho perso l’aereo – Mi sono smarrito a New York”.

 
 
 
NdA
Buonassssera!
Più o meno puntuale sulla tabella di marcia, riesco a pubblicare finalmente il primo capitolo di questa seconda parte della storia. Spero che questo seguito possa piacervi almeno quanto sta piacendo a me chiudermi nel 1997, sperando di scrivere in maniera realistica e coerente. Se così non fosse aspetto il solito cestino di arance/pomodori/ananas(?).
 
Detto ciò, Axel è arrivato in Georgia. Ci resterà? Chissà? Lo scoprirete solo vivendo.
 
Grazie come sempre a chi è arrivato fin qui e a chi ogni tanto fa una sbirciata tra i capitoli.
 
_Atlas_





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