Ci saranno altri giorni

di _Lightning_
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Ci saranno altri giorni
©Art: februeruri
©Graphic: _Lightning_



PARTE SECONDA


Già la pioggia è con noi



 
“La notte prende in segreto dai tuoi capelli
dimenticati riflessi tra le pieghe della tenda.
Guarda, desideravo soltanto le tue mani tra le mie

e quiete e silenzio e profonda pace.”

[Rainer Maria Rilke – La notte prende in segreto]

 

 

Tap tap tap.


La pioggia picchietta senza sosta sul soffitto della tenda. È un ritmo lieve, che Bertholdt vorrebbe saper seguire col cuore. Intravede per qualche secondo i rigagnoli che scivolano in controluce sul tessuto cerato, in contrasto col tenue chiarore esterno. Dev’essersi aperto un varco tra le nubi fitte, dal quale fa capolino una luna che, ormai, è quasi piena.

Lo sa, ne ha contato ogni singolo spicchio. Eppure, i giorni hanno smesso di scorrere.

Un brontolio riverbera nell’aria e attraverso le mura sulle quali sono accampati. La vibrazione attraversa i giganti colossali, suoi compagni, che dormono sogni neri là sotto di loro, e gli arriva fino alla spina dorsale. Bertholdt li invidia.

Invidia anche Reiner, che russa profondamente a un braccio da lui. La luce appena percettibile delinea la sua sagoma massiccia, distesa su un fianco. Ciuffi di capelli biondi emergono dal groviglio di coperte che fa loro anche da materasso contro il duro suolo di cemento.

Il suo respiro sembra andare a tempo con gli scrosci di pioggia sottile, ancora non abbastanza violenta da far imbarcare o ondeggiare la tenda. Forse anche il suo cuore è altrettanto tranquillo, ma Bertholdt ha paura ad affinare l’udito e scoprire che è agitato quanto il suo.

Dopo il pomeriggio passato nelle viscere devastate di Shiganshina, non si sorprenderebbe se Reiner avesse dietro le palpebre degli incubi ormai ricorrenti. Di sognare una pioggia diversa, fatta di macerie e corpi scaraventati in aria; di urla che trafiggono un mattino qualunque per i "demoni di Paradise".

Bertholdt ricorda ancora il calore del sole sulla pelle, un attimo prima che si trasformasse nell’abbraccio rovente del Colossale. Il resto sa ricordarlo solo in sogno: le immagini gli sfuggono nella veglia – sa solo che avrebbe dovuto fare di più, molto di più, sia quel giorno che tutti quelli a seguire.

Reiner freme leggermente e si tira la coperta quasi fin sopra la testa. Bertholdt ha l’impulso di accostarsi a lui e lo asseconda, quando cento altre volte l’ha soppresso nelle camerate del Corpo di Ricerca.

Forse perché qui, sulle spalle di mille giganti dormienti, il domani è ancor più incerto di allora. Forse perché i loro occhi freddi non possono davvero vederli, sepolti da tonnellate di calcestruzzo, mattoni e cemento.

Entra nell’orma di calore di Reiner e vi aggiunge il proprio. Percepisce, adesso, i suoi battiti lenti, in contrasto coi propri che galoppano contro il costato. Forse sta sognando davvero Shiganshina o, forse, cammina di nuovo nelle strade di Liberio, a casa.

Di certo, dietro alle sue palpebre non ondeggia il macabro pendolo di un corpo impiccato.


Tap tap tap tap.


La pioggia tamburella fitta, a tempo con quell’oscillazione funerea. È l’unica immagine che lo perseguita in ogni istante, giorno e notte. Non sa nemmeno lui perché – sa solo che ha passato troppe notti a cercare di recidere il cappio stretto attorno al collo di quell’uomo.

Ogni volta ha fallito. Ogni volta gli è sembrato di scorgere il suo viso. Ogni volta ha visto qualcuno di diverso che non vuole ricordare. Ogni volta ha temuto di vedere se stesso.


Tap tap tap tap tap.


«Dovresti dormire.»

La voce di Reiner, impastata di sonno, risuona nello spazio ristretto della tenda. Bertholdt si rende conto solo adesso che il suo respiro si è fatto rapido, rumoroso. Forse l’ha svegliato. Deglutisce a secco.

«C’è troppo rumore.»

Reiner emette un grugnito, ma non si gira verso di lui. Non si scosta, né si avvicina.

«Stronzate. Dormi pure a testa in giù, Bertl: non è un po’ di pioggia a tenerti sveglio.»

Bertholdt non risponde. Si limita a crogiolarsi nel lieve tepore che si è creato attorno a loro. Sa che Reiner non insisterà. Non lo spinge mai a parlare di ciò che gli passa snella testa. Una volta, forse scherzando, gli ha detto che riesce comunque a leggerglielo negli occhi.

Non l’uomo impiccato, però. Quello, Reiner non potrebbe mai riuscire a vederlo. L’uomo impiccato penzola solo nel nero delle sue pupille, invisibile a tutti gli altri.

Un tuono lontano formicola nell’aria, seguito da uno scossone di vento. Così forte che la corda potrebbe spezzarsi e il nodo scorsoio sciogliersi. Bertholdt sente sciogliersi anche la lingua, che articola le parole prima che possa frenarle:

«Rein... ci pensi mai all’uomo impiccato?»


Tap tap tap tap.


Il silenzio viene riempito così a lungo dalle goccioline di pioggia, che Bertholdt pensa quasi che Reiner si sia riaddormentato senza udire quella domanda.

«Da quando ce l’hai ricordato tu quella volta, sì» risponde invece, con la voce che gratta contro la gola. «Penso a perché continui a pensarci.»

L’ultima affermazione è un’accusa che gli si pianta nello sterno. O forse è preoccupazione – perché dovrebbe pensare a lui, altrimenti? Bertholdt riassesta il capo sulla mano che gli fa da cuscino. Osserva la schiena solida di Reiner, il modo in cui continua ad alzarsi ed abbassarsi senza un fremito.

«Cerco ancora di trovare una risposta.»

Dovrebbe tacere, ma gli sembra che ad ascoltarlo, oltre a Reiner, ci siano solo il buio e la pioggia, per quella notte.

«Perché ci ha raccontato quella storia e poi si è impiccato?» chiede alla schiena del compagno.

«Non lo so, come non lo sapevo prima» bofonchia lui, in modo evasivo. «Cercava un perdono che nessun uomo poteva dargli» aggiunge poi, in modo meccanico, come se fosse un discorso mandato a memoria.

«Forse» dice dubbioso Bertholdt.

È quello che in fondo pensa anche lui, ma c’è qualcosa di stonato, in quella spiegazione. Qualcosa di troppo personale su cui non vuole riflettere.

«Annie diceva che voleva... darsi un giudizio e ricevere quello della gente» continua poi, a voler fingere che anche lei sia qui, in questa tenda, a condividere vita e missione con loro.

Reiner tace a lungo, sempre col capo rivolto verso la parete della tenda. Non sa se è turbato per la menzione di Annie o se stia davvero pensando a una risposta da dargli.

«Io... penso che non fosse né per il perdono, né per un giudizio» mormora infine, con voce più fragile del normale, poco più di un respiro.

«E per cosa, allora?»

Bertholdt pronuncia quelle parole quasi in apnea. Non sa con chi stia parlando – gli sembra di non sapere più niente, ormai, nemmeno se la fiducia di Reiner in lui esiste ancora.

La fiducia di quale Reiner?

Scaccia il pensiero così come è apparso, con un battito rabbioso di ciglia umide. Si pente di aver parlato, di aver aperto a Reiner una porta affacciata sul buio proprio adesso che lui è in bilico.

Ha bisogno che accanto a lui, su quelle mura, ci sia il Guerriero che ha ucciso il Soldato. Il vero Reiner potrà tornare dopo, a Liberio. Vuole che torni, vuole stringerlo con la stessa foga che sta reprimendo adesso. Allo stesso tempo, vuole sapere cosa ha portato rinchiuso nel petto fino a quel momento. Così rimane in attesa, con le dita strette sulla stoffa fredda. Il silenzio è colmo di pioggia battente.


Tap tap tap.


«Espiazione» soffia via infine Reiner. «Cercava un’espiazione.»

Bertholdt tace. Riflette su quella parola, così diversa da giudizio e perdono, eppure così vicina, come se fosse quel qualcosa di mai illuminato bloccato tra le due facce della stessa medaglia. Quel qualcosa che non ha mai visto o voluto vedere.

Il tassello che ha cercato così a lungo si incastra finalmente al posto giusto: certi peccati si possono espiare solo con la morte e non portano alcun perdono, né chiedono un giudizio. Vanno affrontati da soli, senza aiuto, né pubblico.

Non chiede come faccia Reiner a saperlo con così tanta certezza, o come sia arrivato a quella conclusione. Non è sicuro che sia una domanda a cui vuole risposta – ma il nome di Marcel aleggia su di loro come un fantasma lunare. Illumina quell’espiazione che nessuno dei due ha ancora compiuto.

Tace, timoroso che il minimo sussurro possa portare il compagno oltre il baratro che ha dentro di sé.

«Non pensi di volerla anche tu, a volte?» continua Reiner, con un tono così calmo da gelargli il sangue.

Perdono. Lui vorrebbe un perdono, ma blocca quella parola dietro le labbra. Non merita perdono, e comunque non può assecondare Reiner. Ha bisogno del Guerriero.

«Noi stiamo solo facendo il nostro dovere. Quello che nessun altro vorrebbe fare.»

Chi è che vorrebbe uccidere delle persone?

«Anche loro.»

«Sono demoni, Rein, ricordatelo» decreta infine, con la bocca così secca da inaridire quelle parole. «Sono loro che devono espiare un peccato, non noi.»

«Lo pensi davvero?»

Bertholdt strizza gli occhi. In quel momento, per quanto si sforzi, sta parlando con Reiner, non col Guerriero né col Soldato, ma non può permettergli di cedere adesso, quando finalmente qualcuno li ha trovati. La mandibola gli fa male, quando parla:

«Sì.»

«E per chi?» sbotta Reiner, ancora sottovoce. «Noi per chi facciamo il nostro dovere?»

Bertholdt sente una linea umida lungo gli occhi. Stringe i pugni fino a non sentirli più.

«Per Marley. Per...»

«Per chi, Bertl. Per chi stai combattendo tu?»

Bertholdt si morde le labbra. Non riesce a scacciare via Reiner, a riprendersi il Guerriero che gli serve adesso. Forse non vuole, non questa volta.

La pioggia parla per lui ancora una volta, finché non decide di sovrastarla:

«Per Marcel» sussurra sfinito, pronunciando quel nome come se fosse affilato. «Per Annie. Per Pieck. Per Porco. Per Zeke. Per Magath e mio padre e la gente di Liberio. Per... noi.»

Anche per te.

Non lo dice. Neanche Reiner lo direbbe, ne è certo.

«Non ti sembrano motivi validi, per combattere?» gli chiede, fissando la sua schiena immobile.

Reiner sobbalza fino a sfiorarlo, scosso da una risata secca e priva d’allegria.

«Adesso sì. Ma forse un giorno non basteranno più. Un giorno...» s’interrompe, come se qualcuno gli avesse tagliato il respiro.

Bertholdt non ha il coraggio di chiedere altro, né il tempo. Reiner si volta finalmente verso di lui e lo intrappola in uno sguardo nocciola liquido di sofferenza. Anche Bertholdt trema, avvinto nella consapevolezza di cosa stia dicendo Reiner. Di quello che nessuno dei due ha il coraggio di dire a voce alta.

Un giorno, potrebbe non esserci più nessuno per cui combattere.

Un giorno, uno di loro potrebbe svegliarsi da solo su quelle mura, lontano da casa e dall’unica persona che gli ha sempre ricordato dove fosse.

E dopo?

Al dopo Bertholdt non vuole pensare. Smette di farlo quando smette anche di cercare il Guerriero negli occhi in cui sta sprofondando: avvolge Reiner a sé, più vicino di quanto non sia mai stato. Anche Reiner lo stringe, dopo un istante d’incertezza, e mette a tacere ogni altro pensiero con le sue labbra.

Bertholdt lo accoglie. Dimentica i giganti dormienti là sotto e, in punta di piedi, sfugge ai loro occhi freddi per gettarsi in un calore respinto troppo a lungo.

Ha bisogno del Guerriero, ma adesso ha bisogno anche di Reiner e dell’anelito di vita che gli infonde. Ha bisogno di sentire la pioggia battere in fuori sincrono come i loro respiri affannati e ha bisogno di dimenticare nodi scorsoi e sangue e lacrime, di sentire pelle e carne viva sotto le dita.

Reiner è un brandello di casa capitato tra le sue braccia – nella sua bocca, tra i suoi capelli, sui suoi fianchi – e Bertholdt, per la prima volta, sente di potersi perdere senza la paura di non essere ritrovato.

Perché casa è sempre stata nascosta tra le sue dita forti e tozze, che riempie con le proprie, più esili. La trova e la stringe, la stritola, quasi, fino a perdere il sangue e l’aria. Si lascia portare via, lontano, per quel solo istante.

Ci saranno altri giorni, per tornare davvero.

Per stanotte rimane incastrato lì nei suoi palmi, in una corolla tiepida di tenebre e pioggia.


 

 

F I N E



 


Note dell’Autrice:
Cari Lettori (se ancora ci siete, nascosti da qualche parte)!
No, il secondo capitolo di questa storia non era esattamente dietro l’angolo... diciamo che mi sono allontanata dal fandom di AoT e quindi ho perso un po’ la connessione coi personaggi e di conseguenza la voglia di scriverne.
Non è uscita fuori esattamente come volevo, ma volevo dare un finale a questa minilong e spero possiate comunque apprezzare ♥
Grazie a tutti coloro che hanno letto, commentato e votato la storia, in particolare a Ciuscream che, con la sua recensione, mi ha fatto tornare la voglia di scriverla <3

Alla prossima (forse, riprenderò anche la raccolta Piume sparse :D)

-Light-

 





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