XX: Il Giudizio – Samsara
«Non
credevo che ti avrei visto qui.»
Shaka
si voltò.
«Potrei
dirti la stessa cosa» disse.
Mu
lo affiancò e si inginocchiò davanti alla lapide,
il frusciare dei pantaloni tra l'erba alta del prato turbò
per un attimo la
quiete.
«Tu
lo sapevi, vero?»
Shaka
emise un breve sospiro.
«No,
non lo sapevo.»
«I
tuoi occhi non hanno visto la sua vera essenza?»
«L'hanno
vista.»
Mu
si alzò di nuovo.
«Allora
era davvero buona.»
Shaka
corrugò la fronte, ma rimase in silenzio. Non
c'era nulla che avrebbe potuto dirgli, nulla che avrebbe potuto
alleggerire il
suo animo. Non si era accorto della vera identità del Gran
Sacerdote; se
l'avesse fatto, forse avrebbe fatto altre scelte.
O
forse avrei compiuto le solite.
Mu
gli poggiò una mano sulla spalla.
«Torno
alla Prima Casa» disse, e di nuovo il frusciare
dei suoi abiti sull'erba riempì il silenzio per qualche
minuto.
Shaka
tornò a guardare la lapide su cui era stato
inciso il nome di Saga. Non la vedeva, in realtà, e non
percepiva più niente
del Santo di Gemini; sotto, il suo corpo stava venendo divorato dai
vermi, ma
la sua anima non era più lì. Solo un vuoto che
sapeva di tristezza.
Solo
sofferenza.
Per
un attimo gli sembrò di tornare di nuovo bambino,
in quelle fredde sale del tempio dove era cresciuto, dove la sofferenza
e il
dolore marchiavano i volti dei fedeli. Aveva chiuso gli occhi per non
vederli,
per non soffrire insieme a loro e più di loro, e da allora
li aveva sempre
tenuti chiusi.
Per
non vedere e per non compatirli.
Per
non provare dolore.
Alla
fine, però, si era illuso anche lui che si
fregiava del titolo di "Illuminato". Lui, che aveva chiuso gli occhi
al mondo sofferente, limitandosi a compatire il dolore altrui ma senza
accoglierlo davvero. Era questa la strada che doveva percorrere? Era
questa la
vera via?
Se
l'era chiesto a lungo, ma era stato Ikki a
mostrargli la risposta. Un tempo credeva che il nirvana attendesse solo
coloro
che si elevavano sopra le proprie spoglie terrene, che chiudevano gli
occhi al
mondo e vi volgevano le spalle, ma adesso riusciva a vedere davvero per
la
prima volta dopo tanti anni. Quel ragazzino era riuscito dove la
meditazione
aveva fallito e di questo gliene sarebbe sempre stato grato.
Si
inginocchiò sull'erba e poggiò un vecchio rosario
sul
marmo gelido, accanto al mazzo di fiori che aveva lasciato Mu. Diede un
ultimo
sguardo vuoto alla lapide e tornò verso la Prima Casa.
Persino
la morte non deve essere temuta da coloro che hanno vissuto saggiamente.
Perché
la morte non è la fine, è solo una breve fase nel
ciclo continuo del Samsara.
|