Io ricordo una Vigilia di Natale

di GiunglaNord
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Capitolo 7
 
 
Esistono procedimenti magici che aboliscono
le distanze di tempo e di spazio: le emozioni.
 
Simone de Beauvoir


Hermione lo vide scomparire per le scale.
Le sue parole si erano conficcate come dardi nella pelle. Pungevano e bruciavano.
Ma quello che più le scorticava l’anima era quello sguardo deluso, che ancora le colava addosso come olio bollente.
Aveva ragione: una volta avrebbe compreso il non detto, solo alcuni mesi fa sarebbe stata in grado di andare oltre le parole pronunciate. Ora non più. Ma davvero Malfoy poteva fargliene una colpa così grave?
La ragazza si strinse le braccia attorno al busto, infreddolita.
Improvvisamente ebbe paura, paura per Draco. Se solo mettere piede nella torre l’aveva prostrato in quel modo, cosa poteva accadere alla vista del luogo del delitto?
Prese a correre e a salire le scale a due a due, in preda ad una forte ansia.
Arrivò al piano superiore, scapigliata e con un sordo dolore al fianco: la stanza era quasi al buio.
 Illuminò la punta della bacchetta e si guardò frenetica intorno. Era una stanza semi vuota, una sorta di magazzino di vecchie sfere di cristallo incrinate, mazzi di tarocchi sgualciti e sbeccati servizi da tè.
Alte finestre lasciavano entrare il chiarore perlaceo del cielo notturno: una lastra compatta dalla quale continuava a cadere la neve, implacabile. Come se il cielo pietoso volesse coprire quel misero luogo, attutire i feroci pensieri dei suoi abitanti. Nascondere le loro anime come il seme nel solco dell’aratro, nella speranza di custodirle dal gelo di quel rigido inverno, reale e metaforico.
La luce della bacchetta incontrò un’ombra addossata ad una finestra lontana.
Hermione sentì il cuore cambiare impercettibilmente il proprio battito, appena meno frenetico.
 
Si avvicinò lentamente, titubante: era così maledettamente complicato approcciarsi ad una persona che di fatto esisteva solo nelle sovrastrutture della propria mente, disegnato dalle regole dei propri schemi mentali e dei propri metri, implacabili, di giudizio.
“Non c’era bisogno che ti precipitassi qui. Non mi ammazzerò sotto i tuoi occhi, se è quello che temi.” Sussurrò Draco, stancamente.
“Io… io… scusami per prima.” Rispose Hermione a bassa voce, fissandosi i piedi.
Il ragazzo, immobile davanti alla finestra, con un mano appoggiata al vetro e l’altra lungo il fianco, scosse impercettibilmente la testa, come a dire che non aveva importanza.
“No!” fece Hermione, un po’ troppo veementemente “Non dovevo aggredirti così, senza motivo.  Probabilmente è…”
“La forza dell’abitudine. Le abitudini sono dure a morire, Granger.”
“Già” disse Hermione, mettendosi accanto a lui e guardando fuori.

“Bello vero? Probabilmente è l’ultima volta che guarderemo questo paesaggio. Non c’ho mai fatto caso prima: che me ne importava della struggente bellezza di una notte d’inverno? Niente, Granger e sai perché? Perché avevo tutto e non me ne importava nulla di queste cazzate. E invece, ora che nelle mie mani stringo un pugno di mosche, passo il tempo a notare sciocchi particolari e a stupirmi di tutto.”
Hermione non distolse lo sguardo dal manto bianco: era tutto così strano, così fuori luogo.
“Ma forse non è neanche questa la motivazione. La verità è perché sono vivo, Granger! Così dannatamente vivo da percepire la realtà attorno a me come se la guardassi per la prima volta, o come se fosse l’ultima.” riprese Draco cercando il suo sguardo.
Hermione ora lo fissava, incredula.
“E credo che sia ciò che dovresti fare anche tu... Hermione.” concluse il ragazzo abbassando la voce, le guance un po’ più rosse.
“Tu mi hai chiamata per nome?!” esclamò l’altra sotto shock.
Draco si lasciò andare ad una risata cristallina.
“Sì, credo di averlo fatto davvero. Anche a te, prima, è sfuggito il mio nome.”
Hermione lo fissò ancora per qualche secondo prima di scoppiare  a ridere anche lei.
“Sono felice di vederti sorridere: non ti ho vista farlo molto ultimamente.” riprese Draco facendosi più serio, deciso a non mollare.
“Io non l’ho fatto spesso, è vero. Ma tu cosa ne sai?” rispose lei tornando confusa.
“Ti ho osservato di tanto in tanto. Non stavo scherzando quando ho detto che dovresti sentirti euforica solo per il fatto di essere viva, di non dare per scontata questa sfacciata fortuna.” Rispose Draco volgendo di nuovo lo sguardo alla finestra.
“Ma io sono grata!” ribatté Hermione piccata.
“Mi sembri tutto fuorché grata.”
“Come posso essere euforica sapendo che tanti altri sono morti, che intere famiglie sono state distrutte, che la guerra ha lasciato orfani e macerie! Dovrei andare in giro a sbandierare la mia sfacciata fortuna portandola in trionfo, Malfoy?” rispose Hermione alterata.
“Dovresti renderle giustizia e non girovagare come un fantasma, nascondendoti, deperendo a vista d'occhio, isolandoti da tutti i tuoi affetti, tu che hai la fortuna di averne ancora!” urlò in risposta Draco.
“Ma come ti permetti di venire ad insegnare, a me, come ci si comporta? Che ne sai di quello che ho passato o di quello che hanno passato i miei amici, Malfoy? Niente! E per tua informazione i miei genitori vagano da qualche parte in Australia, dimentichi di avere una figlia: mia madre non sa neanche di avermi partorita!” gridò Hermione di rimando.
Draco allargò gli occhi: “ In che senso? Qualcuno ha fatto loro del male per arrivare a te?”
“No, sono stata io." sospirò Hermione “Proprio per evitare che qualcuno li torturasse o peggio, ho modificato loro la memoria, cancellando ogni traccia di me e convincendoli del fatto che la cosa che più volevano al mondo fosse quella di andare in Australia. Ero convinta che, se fossi sopravvissuta, sarei stata in grado di trovarli in breve tempo e di far tornare tutto come prima. Ma non ci sono ancora riuscita e io… io…” ma le parole si trasformarono in lacrime.  La ragazza piangeva, le esili spalle scosse dai singhiozzi e i capelli sparsi sul volto reclinato verso il mento.
Malfoy si sentì in colpa per averla attaccata così, anche se in buona fede.
Fu il suo turno di avvicinarsi, delicatamente, con la paura di incrinare ulteriormente un vaso già crepato.
“Mi spiace, sono stato maleducato, non mi sono spiegato bene.” Mormorò.
L’istinto gli suggeriva che una mano appoggiata sulla spalla, o su un braccio, forse le sarebbe stata di conforto, ma la razionalità lo prendeva a male parole. Rimase così, con una mano sollevata in un vago gesto di conforto.
Hermione però non riusciva a smettere: proprio lì, proprio davanti all’ultima persona che avrebbe voluto per compagno in un momento del genere, tutti gli argini che aveva eretto a difesa del suo rimpianto più profondo crollarono in maniera rovinosa.
“Io… ho paura che non li troverò mai più o di non essere capace di togliere l’incantesimo o che loro non vogliano più avere nulla a che fare con me, con una figlia così diversa da loro…” buttò fuori tra i singhiozzi, offrendo alle orecchie dell’altro delle scomode e terribili verità.
Draco si sentì sempre più mortificato e avanzò di un passo, senza tuttavia osare sfiorarla. Era paura di una sua reazione scomposta oppure una sorta di pudore? Non conosceva nulla di lei. L’aveva sempre solo valutata con la lente dei suoi preconcetti e della sue fallaci convinzioni.
“Hermione, sono certo che…” iniziò a dire allora l’altro tentennante.
“Hai ragione sai? Non riusciamo mai a godere davvero di quello che abbiamo o di ciò che ci circonda: è tutto così scontato quando ce l’hai ogni giorno sotto gli occhi. Ma poi, quando l’hai perso, forse per sempre, ti accorgi di tutto il tempo sprecato, delle occasioni che hai sciupato per dire all’altro quanto l’amavi, quanto era importante per te!” lo interruppe bruscamente Hermione, parlando in maniera concitata come se avesse paura che quel pensiero potesse sparire da un momento all’altro.
Sputare fuori ciò che aveva dentro la fece ondeggiare dalla paura. L’istinto ebbe la meglio sulla ragione di Draco e questo, senza rendersene conto, si tuffò in avanti per prenderla tra le braccia.
Hermione, annientata dalla forza del suo dolore, non fece caso alla cosa, anzi si abbandonò a quell’abbraccio, troppo stanca per far prevalere il buonsenso, troppo affranta per rinunciare ad un po’ di calore umano. Anche se proveniva da un ex mangiamorte razzista.
Draco accarezzava lievemente con una mano la sua piccola schiena, mentre l’altra cingeva con delicata fermezza la vita della giovane. Poteva sentire la consistenza appuntita delle vertebre e la fragilità di quel corpo provato: era struggente percepire con il tatto come i tormenti di quella tenace ragazza la stessero erodendo.
A poco a poco i singhiozzi di Hermione si placarono, ma entrambi erano restii ad allontanarsi l’uno dall’altra, perché quella disperata e un po’ patetica vicinanza era confortante e rassicurante per entrambi. Erano rimasti rinchiusi nelle loro fortezze così a lungo da dimenticare cosa volesse dire condividere qualcosa con qualcuno.
Il movimento costante della mano di Malfoy era un metronomo che riusciva ad aiutare il cuore di Hermione ad andare a tempo con il respiro. Il bisogno di consolazione di Hermione invece sembrava sfamare il senso di colpa di Draco, pareva blandirlo.
 
Un gufo passò bubolando rasente alla loro finestra e quel verso li fece trasalire e separare velocemente. I cuori ripresero a battere furibondi, bruscamente strappati a quel conforto necessario, mentre entrambi i visi si tinsero di vergogna.
 
La torre dell’orologio batté le ventitré.
 
 
 
 
 
 
 




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