CAPITOLO 2
Il mondo si divideva in colori, solo così era possibile tracciare una linea, districarsi fra gli infiniti bivi della vita. Akshan aveva sempre agito così; niente dubbi, niente esitazioni;
nonostante le parole di Shadya, gli insegnamenti delle Sentinelle, quel dogma steso nelle
fangose strade di Marwi, nella solitudine di chi troppo giovane non aveva nessuno, lo
aiutava a non perdersi, a dire sto facendo la cosa giusta. Sempre. Jhin… Jhin non aveva
colori, una tonalità così neutra da risultare irritante; odorava di morte e sangue, senza
essersene scalfito, senza vacillare. Jhin lo confondeva… lo confondeva come nessun altro.
Miracolosamente erano riusciti a fuggire da Kenethet; miracolosamente, seguendo le sue
indicazioni mezze confuse, l’uomo aveva guidato il cavalcasabbia fino a casa; da lì Akshan
ricordava di essere svenuto. Eccolo ora, steso nel letto, la gamba sinistra fasciata. La ferita
doleva ancora, troppo, camminare era fuori discussione. A lato, scavato nella roccia, dove
la formazione continuava alla stessa altezza, ritrovò tutto; l’Assolutore, il boomerang, il mantello piegato con cura. No… non riusciva a capire. Attorno tutto era rimasto come
prima della partenza; libri e rotoli gettati in un angolo, il basso tavolino pieno di utensili,
vasi contenenti olio e acqua sulla parete destra, tappetti e cuscini disposti a terra, un telo
scuro a delimitare l'entrata bassa e irregolare della grotta. Colori caldi, il sapore del
deserto… poi Jhin entrò, portando l’imperscrutabile neutralità, qualcosa che strideva con gli abiti; una veste viola legata in vita da una corda indaco, pantaloni scuri e morbidi,
e, soprattutto, elaborati stivali in metallo color oro. Non indossava più l’inquietante maschera, ma perfino il viso appariva indefinito, avvolto da una magia sconosciuta, dove
l’assenza di particolari si mischiava al fascino. No… proprio non riusciva a comprendere.
Intanto l’uomo l’aveva raggiunto, si era seduto porgendogli una ciotola, una delle due che
reggeva assieme a cucchiai in legno. Zuppa fumante e calda. Incomprensibile, ma la fame
ebbe la meglio. La prese senza proferir parola… era buona, buonissima, eppure cercò
di non far trapelare l'insignificante gioia. Zuppa di pollo… Jhin aveva l’ucciso, pulito, sfilacciato con cura e cotto a puntino, arricchendo la zuppa con erbe sconosciute, forse provenienti da Ionia; l’aroma e la consistenza erano infatti più morbidi e delicati rispetto al sapore piccante e deciso di Shurima.
Poi... la realtà tornò… sospetto, diffidenza.
« Cosa avevano promesso i Khan? Quanto valeva la mia vita? »
Jhin rispose, il tempo di un respiro, troppo calmo, diretto perché fosse una bugia.
« Dieci armi… dieci reliquie… come quella », indicando l’Assolutore con un cenno.
« Ah… », la voce tradì un’inaspettata soddisfazione, « … devono essere davvero terrorizzati per arrivare a tanto! Bugiardi approfittatori… avresti preso un bel buco nell’acqua. »
« Davvero? Illuminami… »
« Beh… solo le Sentinelle possono brandire le reliquie! E non si diventa Sentinelle così! Occorre un lungo, lunghissimo addestramento… anni d’addestramento! Oltre a una noiosa cerimonia d’iniziazione per consacrarti all’Ordine. »
Aveva parlato senza guardarlo e pure adesso, nel silenzio, non osò farlo. Diffidenza.
Jhin rifletté, poteva scrutarne le mani mentre assaporava lento la zuppa.
« Immaginavo… hai documenti che attestino le tue parole? Magari nel tempio qui fuori?
Ne farò alcune copie prima di far ritorno a Ionia… così avrò qualcosa da mostrare ai miei benefattori. »
« Fai pure...! Ci sono montagne di quelle scartoffie! Aspetta… vuoi davvero fermarti? »
« Il tempo necessario… una settimana, due… e anche tu, hai ucciso un Khan ieri sera. »
Akshan trattenne un brivido. Si era avvicinato ad Atem, abbastanza per vedere in faccia
l'ennesimo bastardo mentre moriva, eppure... aveva esitato prima di premere il grilletto…
ancora. No, non doveva pensarci, non ora, non davanti a lui, lui… aveva ammazzato due uomini senza batter ciglio. Diffidenza… no... al dì là di tutto...
« Sì, resterò qui e... tu mi hai salvato la vita… sono in debito con te o qualcosa del genere. »
… al di là dell’incolore Jhin, una gentilezza rimaneva una gentilezza, un debito andava sempre ripagato. Shadya l’aveva ripetuto fra un sorriso e l’altro, sempre, fino all’ultimo…
« Sai… hai un modo curioso di esprimerti. Un po’ rozzo per una Sentinella… o meglio per come mi ero figurato una Sentinella », l’uomo sorrise in maniera impercettibile, il sottile ricordo svanì, « la zuppa… fredda è immangiabile. »
Senza aggiungere altro, Akshan la finì, trasportato in parte dai borbottii soddisfatti dello stomaco. Una gentilezza… ripagare una gentilezza con una gentilezza.
« Ah… era buona… insomma meglio di quella che preparo io. Dall’aspetto non sembravi uno… sì, uno interessato alla cucina. »
« Quando si è soli... bisogna far di virtù normalità. Riposati. Entro domani la gamba sarà guarita », così dicendo prese le ciotole e uscì.
Nell’inaspettata solitudine Akshan si ritrovò a fissare l’Assolutore. La reliquia era lì, incombente e leggera, proibita e salvifica. Così aveva deciso, così sarebbe stato fin quando…
Strinse i pugni, l’afferrò puntandola davanti a se. Attese. La mano tremò, il Cuore grave.
« Ti prego… sbrigati a tornare Shadya… »
Uccidere ancora...
Jhin… forse lui…
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Aveva scorto lo Ioniano, i passi leggeri sulla sabbia, la sagoma a oscurare a tratti l’entrata;
sul calar della sera la presenza si era attenuata, così tanto ebbe l’impressione di esser solo; infine, quando la notte divorò il tramonto, Akshan si addormentò.
Sognò Shadya, i lunghi capelli grigi, il viso dolce segnato dalle rughe.
Il risveglio fu freddo, circondato dall’aria pungente che preannunciava l’alba. La gamba
non doleva più, proprio come aveva detto Jhin. In breve si alzò e si diresse fuori.
L’orizzonte bruciava, una sottile linea dorata, il blu scuro riempiva il cielo simile a un mare
in tempesta, attorno le alte rocce e il tempio erano fuse in una massa scura. L’uomo non
era nei dintorni; un giaciglio, la valigia chiusa, i resti crepitanti di un falò; riparato in una
rientranza, il cavalcasabbia. Scintille a perdersi nell’aria, a bruciare per un’istante dentro il Cuore.
Riavere qualcuno vicino, anche così… provocava già quel calore? Navigando in quel pensiero, si diresse in basso al limitar esterno della gola, dove le pareti si aprivano e il fiume sotterraneo emergeva per un breve tratto; una piccola oasi al riparo dal sole; un rifugio di normalità; il magazzino, il pollaio, le capre a sonnecchiare nel recinto. Jhin era lì, inginocchiato accanto allo specchio d’acqua; un intruso, una macchia di colore sbagliato; odore del sangue, pace; un rifugio di sporca, contorta normalità. Il fumo, un pentolino, un uovo teso verso di lui appena fu abbastanza vicino.
« Ce ne sono altri due per te, se vuoi. »
« Ah… grazie. Le galline non… non ti hanno beccato? », chiese stupidamente notando le dita perfette, lo smalto nero a risaltarle.
« Basta accarezzarle... sul dorso. »
« Oh… capito. Lo… lo ricorderò. »
Mangiarono in silenzio. Le uova erano perfette, il bianco compatto, il rosso morbido al punto giusto; pucciate nella salsa scura nel piattino assumevano un gusto particolare. Nostalgia. Il mare di sabbia davanti a loro si era tinto di un giallo accesso, quando Jhin
parlò, al che Akshan vide la maschera incresparsi, rivelare iridi dipinte di riflessi granati; occhi risaltati da una carnagione olivastra.
« Ho pensato a un modo carino per trascorrere il tempo. Le Sentinelle… desidero saperne di più. »
« Raccontarti i nostri segreti? Non c’è nulla d’eccezionale… la solita storia da Ordine segreto che da millenni combatte un’oscura minaccia. Noiosa. »
Irritazione. Non aveva più messo piede in un tempio da quel giorno, da quando tutto era crollato, da quando aveva imbracciato l’Assolutore, voltato le spalle ai ricordi con Shadya, a ogni suo insegnamento.
« Noiosa, dici… in ogni caso... sono piuttosto insistente quando qualcosa mi stuzzica. Nonostante il tono beffardo... i tuoi occhi si illuminano quando ne parli. »
Imbarazzo, intenso, persistente, accentuato da parole, da una carezza invisibile, le dita premute appena sotto la mascella. Aghi… delicati da muovere un pennello, sensuali da
farsi desiderare. Aghi che avevano ucciso... senza perdere se stessi, la loro grazia. Quante volte aveva ucciso Jhin? Senza tremare, senza esitare?
« Ah… pure questo rientra nell’interesse? »
« Rispondimi. »
Nessuna dolcezza, nessuna leggerezza. Akshan ne immaginò il volto inespressivo mentre
pronunciava quell’ordine; sentì la pressione aumentare, gli aghi invisibili conficcarsi nella
carne, sanguinare… sporcarsi del suo sangue. Una scarica di calore… magnifica, perversa, necessaria.
« Uno scambio… facciamo un scambio. Anch’io avrei… delle cose da chiederti, Jhin. »
Il tempo parve dilatarsi, poi l’uomo sorrise, il respiro a farsi più intenso.
« Interessante. Accetto. Soltanto… pondera bene le domande, Akshan. »
Angolo Autrice:
Scrivere capitoli brevi ma intensi si sta rivendo soddisfacente.
Iniziate a sentire le vibes fra ‘sti due? Per chi non mi conoscesse abbastanza, essendo che è da poco che ho iniziato a pubblicare con costanza su Lollino, sappiate che… per quando crack a farlo apprezzare. Se domanda successiva riguarda coccole… sì ci saranno ma… con contesto e non a caso.
Il motto in ogni capitolo è far emergere un po’ di Jhin, nel senso… anche se non ammazza deve comunque essere Jhin, e Akshan… piccino mi fa tenerezza.
Ps. Per la cronaca circa l’età dei personaggi… Jhin ha 38 anni e Akshan 28.
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