Notti
Ci sono notti che
non trovi la tua
Ci sono letti che son coperti di ortiche
[…]
Ci sono notti dove
ho paura di chiudere gli occhi
Sono notti che non so spiegare
È notte fonda, il mondo intorno riposa.
Roddy riposa.
Mike no.
Ha gli occhi sbarrati, si dà dello stupido: ha preso troppi
caffè durante il giorno.
Eppure c’è qualcos’altro, qualcosa a cui non riesce a dare
un nome. Come spesso succede nella sua vita: tutto accade, ma lui non riesce
mai a definirne perfettamente i contorni.
Perfino la sua creatività non è stabile, è in continua
mutazione, in costante progressione – o forse dovrebbe dire regressione?
Non lo sa, non ha grandi certezze.
È uno di quei momenti in cui si sente smarrito, di quelli in
cui è completamente perso in un mare di nulla, quelli in cui gli sembra di
essere ancora un bambino che ha paura dei mostri.
L’oscurità è fitta attorno a sé, scorge appena la sagoma di
Roddy che dorme sul proprio letto.
A separarli ci sono sì e no due metri, eppure quel giaciglio
sicuro richiama Mike come il canto di un’ammaliante sirena.
Spesso si è approfittato di Roddy in più e più modi, quella
non è un’eccezione.
Non sa cosa gli prenda, ma ci sono notti, come quella, in
cui il materasso sotto di lui è talmente scomodo e inospitale da farlo quasi
sobbalzare.
Ha paura.
Forse è così che può definire quel senso di smarrimento, di
inadeguatezza, di sconforto che lo attanaglia.
Paura di rimanere da solo, di tornare faccia a faccia con
quei mostri che da piccolo si prendevano gioco di lui – di cui lui stesso si è
sempre preso gioco.
Si mette su un fianco e osserva Roddy, la sua figura che si
confonde tra le ombre di una notte qualsiasi. Ascolta il suo respiro pesante,
il leggero russare che fa da sottofondo al silenzio, può avvertire perfino il
suo odore mascolino e familiare.
Quell’aroma che conosce fin troppo bene e che per lui è casa.
Quello che non lo fa sentire perso come si sente adesso.
È una di quelle notti in cui non sa spiegare come si sente,
in cui non trova il coraggio di muoversi nonostante il letto che occupa gli
faccia prudere la pelle d’inadeguatezza.
Ci sono notti che
sei un cestino
Pieno e non sai dove svuotarti
[…]
Notti che non muovo
neanche un dito
Per salvarti, odiarti, svuotarmi
Poi arriva quel desiderio, quello spasmodico, irritante,
fastidioso.
Quello da soddisfare, da zittire – quello che in altre notti
Mike avrebbe messo a tacere in un attimo.
Il suo corpo reagisce all’aroma di Roddy, al calore che
ricorda sulla pelle, al sapore sporco di ciò che spesso hanno condiviso.
La sua mente corre veloce, così come la sua mano sinistra.
Si ferma sul cavallo dei pantaloni e là rimane, ferma,
immobile.
Si sente pieno di tensione – non soltanto tra le cosce che
sfregano appena tra loro –, ma non sa dove scaricarla.
Come fare.
Come svuotarsi.
E non ne ha voglia. Non ce la fa, non adesso.
Non ora che si sente smarrito, fuori controllo, solo come a
volte gli capita.
E non vuole rovinare il momento catartico in cui è immerso –
un istante sospeso tra le ombre, dove non fa altro che percepire Roddy.
Senza muovere un muscolo. Senza riversare lo schifo che ha
dentro.
Gli occhi cominciano a pungere, fastidiosi, brucianti.
Gli basterebbe muoversi, mettersi seduto, alzarsi – raggiungerlo.
Eppure pare così difficile, doloroso, faticoso.
Ti porti addosso il
peso
Dei tuoi giorni stanchi, avanti
Senza fede, se mi incontrassi
Cambieresti marciapiede
[…]
Notti dove vince la violenza e vomito follia
Potrebbe mollare tutto, in fondo.
La band.
Il tour.
La musica.
Roddy.
Tutto a puttane.
È quello che vuole? Mike non lo sa.
Non è consapevole di niente.
Avverte stanchezza, spossatezza, sfinimento.
Va avanti senza fede in un progetto in cui forse non
crede davvero.
I pensieri corrono veloci, ma la sua mano rimane ferma.
Immobile, fossilizzata, come fosse anch’essa ferita come la
sua anima.
Ma ferita da cosa, poi?
Dai mostri della sua infanzia, dai mostri del suo futuro –
dai mostri del presente che fanno ancora più paura di tutti gli altri.
È un folle, un malato psicopatico, ne è consapevole.
Forse gli basterebbe vomitare tutta quella merda, tutto
quello che lo attanaglia – che lo rende patetico, perso, solo.
Eppure c’è quel calore, quell’aroma, quel respiro.
Meno di due metri lo separano dal giaciglio sicuro a cui
tanto agogna.
Centosettanta centimetri, forse centottanta. Niente di più.
È che gli mancano le forze.
Non ha senso cercare conforto laddove si è seminata
sofferenza.
Non ha senso.
Domani sarà lo stesso.
Un’altra notte, altri pensieri che corrono veloci, altra
follia da ingoiare o vomitare.
Ci sono notti dove
non ho più cervello
[…]
Notti dove vorrei
parlare
Ma sono notti che le labbra bruciano nel sale
Poi la mano si muove, piano, è un lieve sussulto.
E si sposta dal cavallo dei pantaloni, si stringe a pugno,
poi si rilassa all’altezza del cuore.
Mike lo sente battere forte.
È arrivato il momento di raggiungerlo.
Il desiderio si fa spazio ancora una volta in lui, non
lascia posto ai pensieri, gli attanaglia il cervello e lo svuota.
È un richiamo impossibile da ignorare.
È folle, malato, patetico.
Quanto si sente solo. Perso. Smarrito.
È una di quelle notti in cui vorrebbe dire tutto e dire
niente.
Dire tutto quello che gli passa per la mente, anche se sa
che non troverà le parole.
E le lacrime ancora pungono i suoi occhi.
Lo fanno mentre scosta le coperte e poggia i piedi scalzi
sul pavimento gelido. Lo fanno mentre si alza a fatica e barcolla come fosse
ubriaco. Lo fanno mentre compie quei pochi passi dolorosi verso il suo rifugio
sicuro.
Si muove piano, un’ombra tra le ombre, un sospiro nel
silenzio.
Contempla il profilo di Roddy, il suo viso rilassato e
immerso in chissà quali sogni meravigliosi.
Sogni senza mostri.
Si sente in colpa, non vuole svegliarlo.
In fondo può farcela: gli basta scivolargli accanto, bearsi
del suo calore, drogarsi del suo aroma, lasciarsi accarezzare la nuca dal suo
respiro pesante.
Solleva un lembo di stoffa, piano, senza clamore.
Fa il possibile per non disturbarlo, gli basta soltanto
essergli vicino per ritrovarsi.
Ritrovare la strada che ha smarrito dentro se stesso.
Si sdraia, il materasso si abbassa sotto il suo peso, un
sospiro lascia le labbra di Roddy.
Mike si immobilizza.
Tutto si ferma, sono istanti infiniti quelli che scorrono
dietro le sue palpebre improvvisamente serrate.
Le riapre, ha troppa paura di tenerle chiuse.
Poi lo avverte, il familiare peso di un braccio attorno alla
vita.
Quel gesto gli basta per sciogliersi in patetiche lacrime –
gli occhi non hanno mai smesso di pungere.
Con il viso rivolto verso il proprio letto, piange in
silenzio mentre si sente stringere da dietro.
Avverte finalmente quel calore sulla pelle, quelle dita
sulle guance, quel pollice che asciuga ogni goccia salata – alla fine il modo
per riversare la sua merda l’ha trovato.
Ed è il peggiore.
Il cervello è spento, vuoto, desolato.
Notti dove ho paura
di capire
«Sono qui.»
Un sussurro assonnato e rassicurante, quello di Roddy.
E Mike vorrebbe replicare, ringraziarlo, dire qualsiasi
cosa.
Ma le lacrime bruciano, la gola brucia, il petto brucia.
Non riesce a parlare.
La sua voce si è fatta improvvisamente muta.
Non sa cosa sia quel calore, quel conforto, quel tocco che
lo aiuta a svuotarsi senza chiedere il permesso.
Non lo sa o forse non vuole capirlo.
Le labbra bruciano, inondate di lacrime che non sono amare
né dolci. Sono soltanto lacrime.
Se stesso riversato in gocce.
Roddy le raccoglie con pazienza.
Poi lo aiuta a voltarsi, delicato, gentile. Mike non se lo
merita.
Preferirebbe che lo prendesse a pugni, almeno potrebbe
odiarlo. Non trovarlo così tanto confortante. Non desiderare di morire tra
quelle braccia forti.
Eppure non vuole capire cosa lo faccia sentire in quel modo.
Ha paura.
Come sempre.
Non c’è qualcosa di cui non abbia paura, in fondo.
Ridicolo, patetico, smarrito.
Roddy gli prende il viso tra le mani e cerca il suo sguardo.
È tranquillo, forse un po’ preoccupato. Solo un po’.
Quegli occhi. Blu. Bellissimi.
«Sono qui» ripete in un soffio.
Mike viene scosso da nuovi singhiozzi, vuole nascondersi,
affogare nel suo petto.
Ci si tuffa e serra le palpebre – stavolta senza paura, non
ha più niente da temere.
Si sente abbracciare forte, scaldare, confortare.
È a casa.
Ci sono notti
decisive, notti furtive, notti corte
Tutto brilla e tu
sei quarzo sporco
[…]
Ci sono notti dove devo decidere
In quale notte stare
Mike si risveglia tranquillo, stretto nell’abbraccio di
Roddy.
Un’altra notte è trascorsa, tante ne arriveranno.
Tutte diverse, tutte uguali.
Lui continuerà a sentirsi smarrito, oppure saprà
perfettamente cosa vuole.
Ci saranno notti in cui si accanirà su Roddy come un
animale, notti in cui ricercherà soltanto il suo rifugio sicuro.
Notti in cui piangerà e altre in cui lo farà piangere.
Vorrebbe decidere qual è la sua preferita, in quale stare
per sempre senza stancarsi mai, ma la verità è che tutto in lui è incertezza.
La sua creatività, i mostri nella sua testa, il suo
terrificante futuro.
È in continua ricerca di un punto di riferimento, ma allo
stesso tempo non ne vuole uno.
È un continuo paradosso.
Vuole amore ma non vuole amare.
Vuole scoprirsi e rimanere chiuso in se stesso.
Vuole dolcezza, ma sa donare soltanto violenza.
Poi lo sente, quel calore familiare.
Il corpo di Roddy contro il suo, le sue braccia che lo
stringono, il suo respiro sulla nuca.
Il suo profumo.
Eccola la sua notte preferita.
Quella in cui non è solo, in cui Roddy lo fa sentire a casa.
Rara, preziosa, una gemma spenta in mezzo a un mondo che
brilla fin troppo forte.
Mike vuole cercare quella notte, ne ha bisogno – riesce a
stare tranquillo solo perché sa che può ritrovarla, da qualche parte, nascosta tra
tante altre notti.
Solleva piano le palpebre e non ha paura di richiuderle
quando il sole ferisce i suoi occhi.
Non ha paura di rigirarsi tra le coperte, di voltarsi a guardare
Roddy, di lasciar scorrere le dita sul braccio che gli circonda la vita con
forza e delicatezza.
Non ha paura dei lievi baci che gli lascia sulla fronte e
fra i capelli, né delle carezze sulla schiena e sulle spalle.
Forse è quella la notte che sceglierebbe, se solo sapesse
come ritrovarla tra centomila altre.
Una, nessuna,
centomila notti
[…]
Ci sono notti e ancora
notti, molte notti, solo
notti, ancora notti
~ Africa Unite,
Notti
§ § §
Ciao a tutti.
Cosa posso dire di questo scritto?
Intanto avevo voglia di scrivere qualcosa.
Qualcosa di angst, come avete potuto notare.
E qualcosa di Pattum.
Quindi, quale poteva essere il risultato nell’unire questi
miei due bisogni viscerali?
Mi erano mancati in maniera terribile.
Dio se mi erano mancati.
Ed ecco che ho pensato di prendere qualcosa di ancora più
oscuro – una canzone che ha il testo di una poesia oscura – e di usarla come
traccia, per farmi aiutare a sguazzare tra i pensieri e le sensazioni di Mike.
Gli Africa Unite sono un gruppo musicale italiano che amo
tantissimo. Amo il loro dualismo che passa dal roots reggae più classico a una
sorta di indie a tratti inquietante; dualismo rappresentato dai due cantanti
che sono come il giorno e la notte, ma che si sposano perfettamente in ogni
brano.
E Notti non è certo un’eccezione.
Ascoltatela, è un vero capolavoro:
Africa
Unite – Notti
Le parti a destra, ovviamente, sono estratte dal testo della
canzone; vi consiglio di leggerlo integralmente qui, ne vale
veramente la pena. È bellissimo.
Per quanto mi riguarda, vi consiglierei di ascoltare
l’intero album Vibra, io lo adoro *___*
Grazie a tutti coloro che sono giunti fin qui, davvero.
Grazie a chi mi ha tenuto compagnia anche durante quest’anno
appena passato e a chi avrà il coraggio di seguirmi nel successivo; a chi ha
letto in silenzio senza mai commentare, a chi ha skippato senza badare alle mie
storie, a chi si è palesato ogni tanto per ricordarmi della sua presenza.
Chiudere il 2021 con una storia sulla mia OTP Suprema è il modo
migliore che io abbia trovato per ringraziarvi TUTTI!
Alla prossima e buon anno, sperando che sia sempre migliore
del precedente ♥
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