Capitolo 1
Buon
giorno care lettrici e cari lettori di EFP...che dire su questa mia
nuova fic senza rivelare troppo? Non lo so. Ovviamente i protagonisti
indiscussi sono sempre e solo loro (^^) e la loro storia si intreccia
con quella di Clare, una ragazza particolare, con un passato difficile
da dimenticare, soprattutto perché ci sono evidenti
testimonianze di quel passato, che tornano a tormentarla ogni volta che
guarda gli occhi azzurrissimi del bambino che dorme nel lettino accanto
al suo. I titoli dei capitoli sono strettamente legati alla musica. Che
so...potrebbero essere titoli di canzoni oppure frasi che magari mi
hanno colpita o che semplicemente ci stanno bene...in ogni caso alla
fine di ogni cap vi avviserò riguardo autore e canzone
(almeno
se non le conoscete le andate a sentire poi mi fate sapere =D)...poi
che altro rivelarvi? Non saprei...vi chiedo perdono se verrà
fuori una schifezza (il che mi sembra abbastanza probabile visto il mio
umore da topo morto =D) e se, come al solito, Gustav avrà un
ruolo piuttosto marginale. Mi impegnerò tantissimo per
tenerlo
in mezzo alla storia, ma ho letto pochissima roba sul suo conto e non
so proprio come gestire il personaggio...vabbè...in ogni
caso vi
auguro buona lettura.
E
dopo questa introduzione degna di Dante...let's go!
NON
HO L'ETA'
01.
Mi
ritorni in mente
Mi svegliai di
soprassalto,
spaventata per un incubo che nemmeno ricordavo. Corsi in camera dal
bambino e posai una mano sul suo piccolo petto, rassicurata dai
movimenti regolari del suo respiro.
Andai in cucina e
aprii il
frigorifero alla ricerca di qualcosa di fresco da bere, poi il mio
sguardo si posò sul microonde e sull'ora.
Erano quasi le cinque.
Scrollai le
spalle, quindi mi rannicchiai sul divano e accesi la tv cercando un
programma qualsiasi che non fosse vietato ai minori.
Sbuffai poi
fortunatamente incontrai un canale musicale in cui nessuno esibiva il
proprio corpo per denaro.
Il bambino dormiva
profondamente, quindi mi azzardai ad alzare un po' il volume, almeno
per sentire la musica.
Una ragazza poco
più grande
di me stava parlando degli MTVmusic awards. La mia attenzione
scattò quasi immediatamente. Amavo la musica, anche se avevo
dovuto smettere di studiare a causa della gravidanza.
Rimanere incinta ha i
suoi svantaggi.
Sospirai e mi misi ad
ascoltare.
C'erano state numerose premiazioni. Miglior gruppo emergente, miglior
singolo, miglior album e altre cose del genere, ma non ero dell'umore
giusto per star a sentire quella bionda platinata e petulante che
continuava ad ammiccare alle telecamere.
Mi alzai dal divano e
spensi la tele, poi tornai in camera mia, dove il letto ancora tiepido
mi stava aspettando.
Mi sedetti sul bordo
ed accesi la luce dell'abajour, sbattendo più volte gli
occhi, non abituati alla luce.
Presi un cd dal
comodino e lo misi nel lettore per ascoltarlo.
La voce di Christina
Aguilera mi fece venire i brividi. Quella ragazza era troppo brava.
Everyday
is so wonderful
Then
suddenly
It's
hard to breathe
Now
and then I get insecure
From
all the pain
I'm
so ashamed
I
am beautiful
No
matter what they say
Words
can't bring me down
I
am beautiful
In
every single way
Yes
words can't bring me down
Ohh
no
So
don't you bring me down today
To
all your friends you're delirious
You're
so consumed
In
all your doom
Trying
hard to fill the emptiness
The
piece is gone
Left
the puzzle undone
That's
the way it is
You
are beautiful
No
matter what they say
Words
can't bring you down
Ohh
no
You
are beautiful
In
every single way
Yes
words can't bring you down
Ohh
no
So
don't you bring me down today
No
matter what we do
No
matter what we say
The
sun will shine your way
'Cause
you are beautiful today
Everywhere
we go
The
sun won't always shine
But
tomorrow's another day
So
keep on looking to the sky
We
are beautiful
No
matter what they say
Words
can't bring us down
Ohh
no
We
are beautiful
In
every single way
Yes
words can't bring us down
Ohh
no
So
don't you bring me down today
Don't
you bring me down today
Don't
you bring me down
Today
Ripensai a
tutto quello che
era successo nella mia vita e che mi aveva portata in
quell'appartamento, a quell'ora, in quella condizione.
I miei erano inglesi,
si erano
conosciuti a Londra e avevano messo su famiglia in una piccola casetta
nel sud dell'Irlanda. Un luogo umido e piovoso, ma pieno di leggende e
forse un po' magico proprio per questo. Mia madre era la tipica
bellezza irlandese; occhi verdi come smeraldi, capelli rossi indomabili
e pelle chiarissima, fragile come la porcellana. Proprio per quelle sue
caratteristiche i suoi genitori l'avevano chiamata Rose. Lei era
fragile e delicata come un bocciolo di rosa rossa. La più
bella
di tutte. Mio padre invece sembrava un dandy d'altri tempi con i suoi
modi posati e sofisticati che la maggior parte degli uomini aveva perso
con l'avvento della tecnologia. Forse era un caso, ma si chiamava
Dorian, come il personaggio meraviglioso e aristocratico di Oscar
Wilde. Insomma, i legami profondi tra i nomi e le caratteristiche dei
miei genitori erano quasi degne di un libro. La loro vita era semplice,
ma piena di gioia, soprattutto dopo la mia nascita. Mio padre mi diceva
sempre che ero identica a mia madre, ma ero bionda. Insomma tanto per
continuare con l'associazione di nomi e aspetto, mi chiamarono Clare.
Non ho molti ricordi della mia infanzia in Irlanda, poiché
mia
madre morì in un incidente e mio padre decise di andarsene
da
quel paese, così carico di ricordi. Io avevo appena tre anni.
Ci trasferimmo in
Germania e
qualche anno dopo lui si risposò con una ragazza molto
più giovane di nome Lucilla. Una tizia strana. Un giorno era
simpatica, quello successivo l'avrei volentieri presa a calci.
In ogni caso il
matrimonio si tenne
quasi sei anni dopo la morte di mia madre e io mi ritrovai in casa con
due gemelle di dodici anni. Erano più grandi e io ero la
"nuova
arrivata" quindi non ci misero molto a mettermi i piedi in testa.
Insomma, mi sentivo
proprio come
Cenerentola e per rendere ancora più vera quella "favola" a
mio
padre venne un infarto pochi giorni dopo il mio quindicesimo
compleanno, lasciandomi completamente sola.
Non che la mia
matrigna fosse crudele come quella di Cenerentola, ma non era nemmeno
la più amorevole delle madri.
Non si preoccupava che
le sue figlie fossero odiose nei miei confronti e non le sgridava mai,
soprattutto in mia presenza.
Insomma, il tempo
passava e io ero
sempre più consapevole che nessuna fata madrina sarebbe
saltata
fuori dal nulla per darmi una zucca e tre topi che mi accompagnassero
ad un ballo per lasciare al mio principe azzurro una scarpetta di
cristallo per poi vivere felice e contenta nel suo castello.
Vivevo in casa e non
uscivo mai se non per andare a scuola, dove incontrai un ragazzo.
Era dolcissimo con me
e mi faceva
sentire meno triste e meno sola. Insomma la tipica storia d'amore
adolescenziale che ti fa stare al settimo cielo ogni giorno.
Una sera di dicembre
mi propose di
andare a ballare. Una roba non troppo impegnativa e ovviamente con
rientro previsto per mezzanotte spaccata.
Fatto sta che quella
maledettissima
sera avevo uno strano presentimento e ero quasi sul punto di disdire,
ma quando lo vidi sotto la mia finestra mi sentii più
tranquilla
e uscii.
Era quasi ora di
rientrare, quando
lui mi lasciò da sola per qualche istante. Mi disse che
voleva
prendere da bere qualcosa prima di andare via e io ingannai il tempo
andando in bagno.
Non mi accorsi che un
tizio mi
aveva seguita finché non vidi i suoi occhi allucinati nello
specchio. Mi prese con forza e mi chiuse in un bagno cercando di farmi
stare zitta.
Io tentai
disperatamente di liberarmi, ma ero ovviamente più debole di
lui.
Mi violentò
con rabbia in quel bagno maledetto, poi mi lasciò sul
pavimento a piangere, terrorizzata.
Oscar, il mio ragazzo,
mi venne a
cercare e quando mi trovò io mi ero data una sciacquata al
viso
e mi ero ripresa, decisa a non raccontare nulla a nessuno.
Almeno
finché non comprai il
test di gravidanza che dopo qualche minuto mi sorrise con quella
maledettissima croce che per me significò la fine della mia
vita. Soprattutto perché avevo diciassette anni ed ero sola
al
mondo.
Quando Lucilla lo
venne a sapere, a casa si scatenò la terza guerra mondiale.
Penso che l'abbiano
sentita urlare anche in Australia.
Mi sbraitò
addosso ogni
genere d'accusa, poi pretese di sapere il nome del ragazzo, ma io non
glielo rivelai. Anche perché non sapevo assolutamente di chi
si
trattasse.
Pensai che Oscar
potesse aiutarmi,
quindi gli dissi quello che era accaduto in discoteca, ma quando quella
sera gli telefonai per raccontargli tutto si fece prendere dal panico e
decise che la nostra storia doveva finire, che lui non si sentiva
pronto e che io dovevo cavarmela senza di lui. Insomma se ne
lavò le mani, proprio come Pilato. Solo che il mio destino
era
quasi peggiore della crocifissione. Pensai per giorni e giorni che
forse dovevo raccontare a Lucilla quello che era successo, ma ogni
volta che incontravo i suoi occhi colmi di risentimento sentivo venir
meno il coraggio e mi tenevo tutto dentro. La gravidanza avanzava e
ogni giorno mi sembrava di essere sempre più larga e
più
triste, ma il massimo dello sconforto lo raggiunsi quando, il giorno
del mio diciottesimo compleanno, Lucilla mi informò
garbatamente
che non mi voleva più in casa sua.
Non poteva sbattermi
fuori da minorenne, ma ora che avevo diciotto anni, per lei non ero
più nessuno.
Provai a chiederle il
perché, ma non mi diede mai una risposta. Cercai di trovare
la
forza per spiegarle che non era colpa mia se era successa quella
"cosa", ma da grande vigliacca quale ero non riuscii a spiaccicare
parola, così dovetti preparare le valige con dentro le mie
poche
cose, mi ritirai da scuola e con i soldi che mio padre mi aveva
lasciato presi in affitto un piccolo appartamento.
Ero al quinto mese di
gravidanza e non potevo di certo cominciare a lavorare. Chi avrebbe mai
assunto una ragazza incinta?
La mia vita sembrava
destinata a sprofondare nel nulla, fino al giorno del parto.
Michail nacque alle
tre del
pomeriggio nel settembre più assolato che abbia mai visto in
vita mia. Pesava due chili e mezzo ed era sanissimo.
Rimasi in ospedale per
tre giorni
e, ovviamente, non ricevetti visite. Quando l'infermiera veniva a
portarmi il bambino rimaneva sempre sgomenta di fronte alla mancanza di
regali e fiori che caratterizzavano ogni altra stanza del reparto
maternità.
Ero l'unica che si
fermava davanti alla nursery per guardare il mio bambino e questo
intenerì quella giovane ragazza.
Fatto sta che in quei
tre giorni cominciai a frenquentarla e l'ultimo giorno le raccontai
tutta la mia storia.
"Senti...tu non puoi
crescere un
bambino se non hai un lavoro. Che ne dici se per un po' te lo curo io?
Sai...qui sto facendo solo uno stage e da settimana prossima sono
libera" mi disse con un grandissimo sorriso.
Da quel giorno io e
Lydia diventammo inseparabili.
Mi presentò
ai suoi genitori
che mi accolsero come una seconda figlia, ma io rifiutai di vivere con
loro. Mi sembrava veramente di approfittarne, ma loro non si diedero
per vinti e mi presero un piccolo appartamento in centro dove avrei
potuto vivere tranquillamente con Michail senza essere troppo lontana
da loro e dal lavoro. Senza la preoccupazione dell'affitto.
Nella settimana in cui
Lydia si era
occupata del bambino avevo trovato lavoro in un negozio di dischi e le
cose sembravano andare bene.
Ok...questo
capitolo prende il nome da una canzone di Lucio Battisti...famosissimo
brano che ho ascoltato quando avevo più o meno sette anni e
che
ancora fa parte della playlist "preferite" di Windows media player ^^.
Beh diciamo che il significato del titolo è differente
rispetto
al titolo della canzone. Battisti parlava di una donna, io del passato
di Clare. Il titolo della fic, invece è lo stesso di una
canzone
risalente probabilmente al Creatceo o robe simili. Cantata da Gigliola
Cinquetti, probabilmente negli anni '40-'50...(ve l'ho detto che
è vecchia)...diciamo che mi sembrava carina come idea...alla
fine 17-18 anni non sono proprio l'età giusta per avere un
bambino...Ok...al prossimo capitolo kussen!
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