DISCLAIMER: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono di
proprietà di J.R.R. Tolkien. Questa storia è
stata scritta senza scopo di lucro.
Éomer
proseguì ad ignorare la giovane moglie che
gli sgambettava timidamente attorno e che ancora andava farfugliando
ragioni, cercando il suo sguardo, la sua attenzione. Non poteva
affrontare la questione in quel momento. Era arrabbiato. Furioso.
Sentiva di doversi allontanare al più presto da lei.
La sua armatura però non sembrava voler collaborare. Dopo
aver nuovamente fallito a sganciare lo spallaccio con cui stava
armeggiando, trattenne a stento un ringhio in gola. Sentiva
l’acido caldo del suo temperamento scorrergli nelle vene,
pronto a detonare. Si arrese. Sarebbe uscito a cavalcare
così, in armatura, non aveva importanza.
Si sollevò in piedi e incontrò in quel momento
gli occhi confusi di Lothíriel, che ancora non aveva smesso
di argomentare, anche se più debolmente. Il torrente di
emozioni crude che gorgogliavano nel suo petto si placò per
un istante.
La sua mano si mosse da sola e si insinuò nella chioma scura
della ragazza. Chiuse il pugno sulla sua nuca, attirandola a
sé, facendola finalmente tacere. La ragazza
sussultò appena, stupita, ma rispose comunque al suo brusco
bacio. Serrò di più il pugno attorno i capelli di
lei, costringendola a dargli maggiore accesso alla sua piccola bocca,
che esplorò avidamente. Sentì vibrare contro la
lingua un gemito soffocato che gli fece allentare di poco la presa.
Quando si separò dalla moglie le impresse un ultimo,
possessivo, bacio, poi la superò, lasciandosela alle spalle.
«No». Un sussurro pressoché
inudibile
raggiunse Éomer quando era già alla porta.
«No?», voltò appena la
testa verso di
lei.
«No»,
ribadì Lothíriel con
maggiore convinzione,
«Vorrei- Voglio che usi le parole.
Parlami… Spiegami».
Non finì nemmeno di ascoltarla. Era già al suo
terzo passo lungo il corridoio quando si bloccò sul posto.
Sospirò, frustrato, rendendosi conto di averla lasciata con
uno sbuffo quasi derisorio.
Tornò indietro, affacciandosi alla stanza. «Questa
mattina…», si appoggiò
allo stipite,
«Questa mattina
ti avevo detto di aspettare. Se-…
Iriel, maledizione, se ti fosse successo
qualcosa…». Serrò gli
occhi, inspirando
profondamente.
«Lo so, lo so.
Sono stata avventata, lo so. Ma solo
perché sapevo che stavi per arrivare».
Éomer guardò negli occhi sua moglie e si sforzò
di addolcire la propria espressione. No, lei non poteva capire. Non
poteva capire quanta paura gli facesse. E lui non era stato preparato a
tutto questo. Non aveva messo in conto che amare qualcuno potesse
essere così spaventoso.
«Iriel…»,
sospirò passandosi
una mano sul viso.
«Tu non puoi-… Io- Sono
così- così
arrabbiato…».
«Qui»,
un altro sussurro.
«Qui?».
«Sì.
Non parlarmi da lì, sulla porta.
Parlami da qui», gli chiese mentre indicava lo
spazio che li
divideva. «Ti-ti
prego…», aggiunse
più docilmente di fronte al suo aggrottamento di
sopracciglia.
Éomer inspirò di nuovo, lasciando che il silenzio
calasse nella stanza. Poi si avvicinò a lei lentamente,
mantenendo gli occhi nei suoi. Si fermò a un passo di
distanza, torreggiando sulla moglie.
«Tu. Tu.
Non ascolti mai», iniziò
pacato, «Corri
rischi evitabili. Di continuo», la
sua voce cavernosa andava caricandosi di irritazione, «Tu.
Sei così-».
Questa volta fu Lothíriel a zittirlo con un bacio. Aveva
agganciato le dita nella parte superiore del suo pettorale per
attirarlo a sé, sollevandosi sulle punte fino ad arrivare a
unire le labbra alle sue, modellando impazientemente la bocca contro la
sua. Éomer non tardò a circondarla con le
braccia. Attraverso la sua schiena, poteva sentirle il cuore battere
imbizzarrito.
«Ti chiedo
scusa». Lothíriel
esalò con un filo di voce contro le sue labbra. Il fiato
già corto, le guance colorate.
«Tu- Mmh-
Uhmf-». Éomer tentò
di pronunciare una risposta ma la moglie non aveva smesso di rubargli
baci. Abbandonò la vita di lei per prenderle il viso tra le
mani,
«Lasciami parlare, Iriel», le
intimò con tono pacato ma fermo.
Non voleva le sue scuse. Voleva arrabbiarsi, rimproverarla. Farle
capire. Ma quando incontrò il suo sguardo, lei gli sorrise.
Gli sorrise, con uno dei suoi sorrisi, quelli belli, che le sollevavano
gli zigomi e coinvolgevano gli occhi, facendoli brillare ancora di
più. Maledetti quei suoi occhi che brillavano. Gli sorrise e
lui si ritrovò a ricambiarla, mentre sentiva qualcosa
tendersi e squarciarsi dentro la sua cassa toracica.
«Maledizione…»,
esalò
esasperato prima di tornare a baciarla.
L’amore era davvero qualcosa di spaventoso.
Due anni prima...
14 settembre 3019, Terza Era
Campo dei Tumuli, Edoras, Rohan
288 miglia a nord
Settembre
di
quell’anno memorabile era iniziato più dolcemente
di quelli precedenti. Il vento era gentile e sorprendentemente caldo,
correva vivace sui pascoli per poi spazzare le piazze di Edoras,
accarezzando con le sue dita invisibili i visi dei passanti. Gli
eorlingas esorcizzavano il ricordo dell’Ombra che aveva
abitato le loro terre tessendo arazzi per il re defunto e componendo
canti in onore degli ospiti che si attardavano ancora nel Palazzo
d’Oro: il sovrano di Gondor e il suo nobile seguito.
Éomer stava risalendo la strada verso i Cancelli, conducendo
Zoccofuoco a piedi, quando gli giunsero alle orecchie le voci che si
sollevavano dai cortili della città. Sorrise tra
sé e sé mentre i suoi occhi si spostavano sui
tumuli che costeggiavano la via, fermandosi su quello dello zio.
«Lo senti, mio
signore?», parlò a bassa
voce, «Canta,
la tua gente. Guarisce».
Passò lentamente la mano sui bianchi ricordasempre che
stavano gradualmente prendendo possesso del nuovo tumulo, facendoli
scuotere piano. Avrebbe volentieri indugiato un po’
più a lungo, ma tre uomini che conversavano tra di loro gli
stavano già venendo incontro.
«Siamo stati
ingannati, Re Éomer. A Gondor si dice
che i venti del Mark non conoscano moderazione»,
il Principe
Imrahil lo apostrofò bonariamente appena lo avevano
raggiunto; accanto a lui, Éomer riconobbe il figlio che lo
aveva accompagnato in guerra, Erchion. Un’ottima spada e
immagine del padre, anche se decisamente meno impostato e formale, come
aveva avuto modo di osservare nei mesi passati.
Il suo amico, Brandwine*¹, passeggiava con loro.
«Eppure»,
proseguì il Principe dopo che
gli uomini si erano scambiati un cenno di saluto con il capo,
«Questo vento
è più tenero della brezza
della nostra costa. Inizio a credere che fossero solo dicerie per
scoraggiare i visitatori».
«Non mi
stupirebbe se queste dicerie fossero provenienti da
Rohan», Éomer rivolse un sorriso dal
sapore amaro
al Principe, «Temo
che non siamo stati una terra
particolarmente accogliente negli ultimi anni».
«Non ditelo
nemmeno, mio signore. Noi gondoriani abbiamo
trattato con sospetto i nostri stessi fratelli, se vivevano anche solo
un passo fuori dalle nostre mura. Ma è vano guardare al
passato ora», Imrahil allungò un
braccio e strinse
la spalla del Re in un moto di affetto, «Guardate Meduseld,
guardate come fiorisce! Uomini, Elfi, Nani, Mezzuomini…
Tutti accolti dalla vostra gente con canti e calici traboccanti. Non
credo possibile che qualcuno di noi chiamerebbe mai Rohan
inospitale».
«Che sia come
avete detto, Principe. Che sia come avete
detto». Éomer si rivolse al suo
amico,
«Dove porti
oggi i nostri ospiti, Brandwine? Non è
tardi per uscire a piedi?».
«Oh, io non
credo ci siano luoghi qui nei dintorni che i
Principi non abbiano già visitato. Stasera li accompagno
solo alla Guardiola Est».
«Uhm»,
Éomer annuì. Poteva
pensare solo a una ragione per recarsi in un posto così
banale. «Un
altro messaggio da Sud, Principe?».
«Temo…»,
Imrahil tossicchiò
quasi imbarazzato, «Temo
sia di nuovo così, mio
signore».
«State forse
cercando di governare tutto il Belfalas via
lettera?».
«Ci credereste
se vi dicessi che i messaggi non sono
indirizzati a me?».
Gli occhi dei presenti si indirizzarono sul Principe Erchion, che si
era semplicemente stretto nelle spalle. «Non sapevo aveste
moglie», Brandwine
inquisì, curioso.
«Oh no,
no-no-no», il giovane si
affrettò a correggerlo, «Non
una moglie. Ma una
sorella. Una sorella così avida di notizie che se fosse
possibile esigerebbe da me il rendiconto dei capelli in capo a nostro
padre».
Imrahil sospirò, «Erchion…
Queste
conversazioni non interessano i nostri amici».
«E che se
potesse cavalcare», continuò
il giovane non curandosi del velato richiamo del padre,
«Sarebbe già venuta a riportarlo da
sé».
«Le vostre
donne non cavalcano?»,
domandò Éomer, mal celando la propria confusione.
«Oh…
Mia figlia cavalca, mio signore».
«È
questo il problema». Erchion si
schiarì la gola cercando di nascondere il sorriso dietro al
pugno.
La cagnesca occhiata che Imrahil aveva appena riservato al figlio
cozzava buffamente con i suoi lineamenti nobili. «So che per
voi può risultare difficile da comprendere, ma mi fa dormire
meglio la notte sapere che mia figlia non ha sempre a disposizione un
cavallo».
«Uhm…
Capisco», Éomer
asserì. Non capiva affatto. Ma era saggio abbastanza da non
pretendere di comprendere gli usi della nobiltà gondoriana
in tutte le sue numerose declinazioni. Con la coda
dell’occhio, colse Brandwine incrociare le braccia sul petto
e assumere quella che avrebbe potuto descrivere come la postura della
pettegola del villaggio. Inspirò profondamente. Sapeva che
l’amico – come suo solito – si preparava
a immischiarsi in affari che non lo riguardavano.
«Posso
immaginare che un padre preferisca far scortare la
figlia ovunque si sposti», Brandwine
cercò di
approfondire la questione.
«Pft-…»,
Erchion si affrettò
a premere le labbra in una linea, visibilmente divertito.
«Sì. L’intento di mio padre era quello,
esatto. Per quanto riguarda l’attuazione…
L’attuazione è risultata lacunosa, possiamo
dire».
«Uhm-mmh…».
Éomer si
limitò nuovamente ad annuire, ma Brandwine
incoraggiò il giovane Principe con uno dei sui
«Oh~
È così».
«Dovete sapere
che mio padre aveva in tasca la strategia
perfetta», si era lanciato il giovano gondoriano
che ci aveva
evidentemente preso gusto nel testare la pazienza del genitore.
«Un figlio per
ereditare il principato. Un figlio per la
guerra», così dicendo
indicò se stesso,
«E un terzo figlio per custodire mia sorella, la
più piccola».
«Erchion…»,
Imrahil si stava
massaggiando la rughetta verticale che si era formata tra le sue
sopracciglia scure.
Brandwine lo incentivò, con fare interessato,
«Sembrerebbe un
ottimo piano».
«Un ottimo
piano sulla carta. Ma il vero scherzo del destino
è la complicità tra mio fratello minore e mia
sorella. La stessa che sarà il solo motivo per cui un giorno
mio padre diventerà il primo della nostra stirpe ad avere la
chioma completamente bianca».
«Erch-…
Ah, basta così»,
frustrazione, esasperazione e imbarazzo si susseguirono nel tempo di un
secondo sul volto di Imrahil, che si fermò ad esalare un
sospiro. «Vi
chiedo scusa, mio signore. Perdonate e ignorate
ciò che esce dalla bocca insolente di questo giovane. Pago
ogni giorno le conseguenze del non aver insegnato le buone maniere a
questo… questo mio... figlio
per la guerra, come ha deciso
di definirsi», scosse la testa con
disapprovazione.
Prima che il giovane principe potesse controbattere, una folata di
vento portò con sé lo scalpitìo di
zoccoli in avvicinamento. L’attenzione dei quattro uomini si
spostò sulla linea dell’orizzonte da cui videro
presto spuntare un vessillo azzurro raffigurante un argenteo cigno. Era
diventata una visione piuttosto familiare.
«Credo che non
dobbiate più arrivare alla
guardiola», commentò
Éomer,
segretamente sollevato che la conversazione avesse trovato una naturale
conclusione.
Il cavaliere proveniente dal Belfalas li raggiunse in poco tempo.
Smontò prontamente di sella esibendosi in un profondo
inchino. «Vi
saluto Re del Mark, vi saluto Principi. Viaggio
sotto lo stendardo del Cigno d’Argento e porto un messaggio
da Dol Amroth», si annunciò con la
formula di
rito, aspettando di ricevere una risposta prima di risollevare il capo.
«Bentornato
Rìathos», Éomer
lo salutò chiamandolo per nome, avvicinandosi per
accarezzare il collo del suo animale. «E
bentornata Filiher», riconobbe la
giumenta
grigia. Con la recente impennata di scambi tra Dol Amroth e Edoras,
Éomer aveva avuto modo di conoscere a rotazione quasi tutti
i destrieri delle stazioni di cambio tra il Belfalas e i Monti Bianchi.
Erchion si fece avanti,
«Con il vostro permesso, sire, vado
ad assolvere ai miei doveri di informatore segreto. Del resto, suppongo
che il messaggio sia indirizzato a me, corretto?».
«Sì,
mio signore, ho una lettera da
consegnarvi». Dopo aver parlato, il messaggero
sembrò esitare. Aprì e chiuse la bocca,
pensieroso.
«C’è
altro,
Rìathos?», lo incalzò
Imrahil.
«Non per quanto
riguarda il mio incarico, Principe».
«Parla
liberamente».
«Nel Lamedon,
mentre aggiravo i Monti Bianchi, ho visto
dall’alto, guardandomi alle spalle, altri messaggeri
percorrere fianco a fianco la via per Rohan. Tre in tutto. A meno di
mezza giornata di viaggio dietro di me».
«Sotto che
stendardo viaggiavano?»,
s’informò Éomer.
«È
proprio questo che mi ha portato a sollevare la
questione», Rìathos sembrava parlare
con cautela,
«Nessuno.
Nessuno stendardo esposto, mio signore».
«E tu sei
sicuro che fossero messaggeri?», si volle
accertare Imrahil.
«Indubbio,
Principe. Viaggiatori senza fagotto. E ho
riconosciuto alcuni dei loro cavalli. Li ho usati io stesso in
passato».
«Li hai visti
nel Lamedon, hai detto…»,
Erchion si strofinò il collo, «Perciò
provengono dalle Province del Sud. E viaggiano con gli stendardi
coperti per venire qui, ad Edoras, dove sono ospitati il Re di Gondor e
il suo consiglio quasi al completo».
Ci fu un loquace, per quanto rapido, scambio di sguardi tra i principi
gondoriani e i rohirrim.
«Rientriamo»,
sentenziò asciutto
Éomer. Sapeva che le buone notizie non viaggiavano a
stendardi ripiegati.
26 settembre 3019, Terza Era
Palazzo del Cigno d’Argento, Dol Amroth, Gondor
288 miglia a sud
Lesti
passi sul pavimento
marmoreo riecheggiavano per i corridoi del Palazzo.
Lothíriel camminava senza celare la propria fretta,
tenendosi poco elegantemente sollevate le vesti per non inciampare.
Sapeva che la ramanzina che il fratello le avrebbe destinato sarebbe
stata proporzionale al suo ritardo. Si arrestò di fronte a
una doppia porta laccata, riportante un rifulgente emblema del Cigno
d’Argento. Si rassettò l’abito prima
bussare e spingere la porta verso l’interno.
«Mi hai fatta
chiamare, fratello?», si richiuse la
pesante porta alle spalle.
«Dove sei
stata?». Elphir
l’apostrofò incolore, seduto dietro al suo
massiccio scrittoio. Aveva parlato senza sollevare gli occhi dal tavolo.
«Ero scesa in
città».
«In
città dove?».
«Nella Piazza
delle Fonticoperte». Seguì
un silenzio che la Principessa trovò presto opprimente.
«Uhm…
In- in città c’era-
c’è una compagnia di cantastorie e… E
raccontavano dell’incoronazione del nuovo Re. Io ho pensato
di- di andare ad ascoltare e…». Si
fermò quando il suo cervello registrò di stare
straparlando. Dietro la schiena aveva preso a stropicciarsi
nervosamente le mani.
Dopo qualche interminabile minuto, il Principe Erede chiuse il registro
su cui aveva fatto delle annotazioni e si rilassò contro lo
schienale della sedia, alzando per la prima volta gli occhi sulla
figura che aveva di fronte. Lothíriel accennò un
timido sorriso nella sua direzione, ma il viso di Elphir rimase
inespressivo.
«Dove hai detto che sei stata?».
«Piazza delle
Fonticoperte».
«Accompagnata?».
«Amrothos e
Thïria*² erano con
me».
«Thïria?».
«Thïria…
La- La mia dama di compagnia,
Thïria». A volte Lothíriel
dimenticava
quanto il fratello maggiore si disinteressasse di imparare i nomi dei
domestici.
Elphir annuì appena. «Dunque,
veniamo al motivo
per cui sei qui. Il Comandante Sîrfalas si unirà a
noi per la cena di questa sera. Mi aspetto da parte tua un
abbigliamento adeguato», gli occhi di Elphir si
soffermarono
sul semplice abito da giorno che Lothíriel stava indossando,
«e maggiore
impegno per quanto riguarda la conversazione. Non
credevo fosse necessario farti queste raccomandazioni, ma
tant’è». L’uomo
accompagnò le sue parole con un sospiro.
La sorella sentì la gola farsi secca. «Il
Comandante? Ci-… Ci ha fatto spesso compagnia negli ultimi
mesi».
«Ti
stupisce?», inarcò un sopracciglio,
«Si attarda
dopo le riunioni del Consiglio per dipanare
questioni amministrative. È comune cortesia che io lo inviti
a rimanere a cenare, Iriel». Il “non essere
sciocca” iscritto nel suo timbro mordace era
sottinteso, ma
affatto velato.
«Sì…
Naturalmente… Dico
sol-».
«Non
farfugliare», la interruppe, freddo,
«Parla a modo,
Iriel. Ne sei capace».
Lothíriel deglutì. Sentiva il pizzicore delle
unghie che aveva affondato nella carne del suo stesso polso.
«Mi chiedevo
solamente se non fosse sconveniente ospitarlo
così frequentemente. Il Comandante potrebbe
fraintendere».
«Nessun
fraintendimento. Nostro padre non ha interrotto il
suo corteggiamento».
«Ma ha respinto
la sua proposta di matrimonio».
Elphir si fermò a studiare la sorella. Gli occhi taglienti,
quasi felini, ma del tutto imperscrutabili. «Sorella…»,
cominciò piano,
la voce bassa e innaturalmente calma, «Voglio essere franco
con te in modo da non dovermi ripetere in futuro. Nostro padre non ha
concesso la tua mano per questioni di tempismo, non di partito. Non ti
ingannare. L’iniziativa del Comandante non è stata
accolta per via della guerra imminente. Esclusivamente per via della
guerra imminente. Inizia a familiarizzare con quest’idea,
Iriel. Il nuovo Re di Gondor è stato incoronato, come anche
il nuovo Re di Rohan; esauriti i suoi impegni diplomatici, nostro padre
non può che fare ritorno e, se dovessi azzardare una
previsione, prima della fine dell’anno la proposta del
Comandante sarà riesaminata».
Anche se il padre non era stato schietto con lei come lo era stato
Elphir in quel momento, Lothíriel sapeva che il fratello le
stava dicendo il vero. Allora perché sentiva lo stomaco
attorcigliarsi in quel modo su se stesso?
«Fratello, non
sarebbe-… Non- non credi che
sarebbe più opportuno aspettare il ritorno di nostro padre
per- prima di-… Insomma, promuovere la
frequentazion-».
«Parla come si
deve, Iriel!», il fratello la
sgridò mentre gli angoli della sua bocca prendevano la
più lieve increspatura verso il basso, «A sentirti
balbettare così mi chiedo a cosa siano serviti quindici anni
di precettorato. Quel vecchio si starà rivoltando nella
tomba».
«I-il»,
la ragazza si interruppe quando
udì la propria voce uscire ancora più tentennante
del solito. Si sforzò di deglutire. «Il mio
precettore è vivo. Ora gestisce l’archivio del
Consiglio. Lo sai, lo incontri ogni settimana».
«Allora si
starà rivoltando
nell’archivio», Elphir mosse una mano
per aria come
a voler scacciare una mosca, «Non
vedo come questo cambi il
fatto che inciampi nelle tue stesse parole. Ad ogni modo»,
sospirò, «Non
ho altro da dirti per ora. Ti
rivedrò a cena». Bruscamente come gli
ebbe rivolto
la sua attenzione, gliela stava ora togliendo. Gli occhi
dell’uomo erano di nuovo sui documenti di fronte a lui.
Se il Principe Erede diceva che la conversazione era chiusa, allora la
conversazione era chiusa. Lothíriel ne era più
che cosciente. Lasciò lo studio in silenzio e
appoggiò la fronte alla porta che aveva appena richiuso. Si
prese un momento per poter far entrare aria nei polmoni, mentre i suoi
occhi seguivano sovrappensiero le venature del pavimento in marmo. Il
suo sguardo cadde sulla mano che ancora teneva sulla maniglia della
porta. Avrebbe dovuto indossare un abito a maniche lunghe per la cena.
Note dell’autrice
• Alcuni personaggi introdotti o nominati in questo capitolo
sono del tutto inventati ma rivestiranno ruoli ricorrenti. Tra questi
segnalo:
*¹ Brandwine, dal
Rohirric
brand
(lancia) + wine
(desinenza maschile che significa
“amico”). Personaggio originale, amico
d’infanzia di Éomer
e suo secondo
in battaglia.
*² Thïria,
dall’Ovestron tyriw
(fanciulla snella) + rë
(desinenza femminile); origine Sindarin. Personaggio originale, fedele dama di compagnia di Lothíriel.
• Feedback
riguardo la formattazione
So
che è formalmente sbagliato evidenziare in grassetto i
discorsi diretti, ma personalmente la ritengo una soluzione efficace
per quanto riguarda la lettura su schermo. Fatemi sapere se, al
contrario, vi disturba l’uso che ho fatto del grassetto e
provvederò a riformattare.
• Vi ringrazio per aver letto questo capitolo! Il cuore della
storia sarà ovviamente la relazione tra Éomer e
Lothíriel, ma permettetemi di prendere le cose un
po’ alla larga. Parole chiave: combustione lenta. A presto!
Razaghena
La storia ti sembra familiare? Una
prima
versione di questo racconto
è stata pubblicata sul sito 10 anni fa, sotto lo stesso
titolo. Ho rimosso la storia precedente solo di recente, per non creare
confusione.
Chi
ha letto la versione precedente deve rileggere tutto da capo?
Questa nuova versione è frutto di una radicale revisione:
sono stati tagliati alcuni personaggi, caratterizzati diversamente
altri. Molti dei nodi della trama sono rimasti però
invariati. I capitoli originali che si discostano al 100% dalla
versione precedente inizieranno dal decimo capitolo.
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