Neve (insegnami tu come cadere)

di Quella Della Pasta
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Il titolo è tratto da Come neve, di Giorgia e Marco Mengoni.




 

A volte, Poirot li vede ancora. Negli angoli in ombra della sua stanza buia, quando fuori spira il vento freddo del nord, che fa sbatacchiare le imposte e rotolare foglie secche e latte lasciate in giro, che fanno un rumore infernale sull’acciottolato delle strade come se ci passassero cavalli e carrozze. O le carrozze di un treno. Sì.

Quando nevica, è pure peggio. Hastings è felice, ché la neve gli ricorda i giorni dell’infanzia, passata a scivolare sul lago ghiacciato e a costruire omini di neve da infagottare nelle vecchie uniformi da fante o generale dei nonni e dei padri. La signorina Lemon, invece, sospira, ché neve vuol dire strade intasate, bloccate da spazzini e ragazzetti in vena di tirar palle di neve fredda e compatta sui passanti, il che vuol dire ancor più confusione e ritardi nelle consegne di quella lettera o di quella sporta di spesa quotidiana.

Per Poirot, neve e vento significano solo brutti ricordi. Ed uno in particolare. Quando la neve era così alta da arrivare al tettuccio del vagone passeggeri, e fuori spirava un vento così freddo da gelare l’acqua nelle condutture dei rubinetti, e il fiato che si condensava sui suoi baffi. Sulla superficie opaca dello specchio, anch’esso gelato, Poirot vedeva soltanto un vecchio tricheco. La marionetta gonfia di stracci e paglia, che altri avevano adoperato, ne avevano mosso i fili, a pantomima del giudice onesto che avrebbe dovuto essere.

D’inverno, ogni cosa gli ricordava l’Orient Express, quando nevicava. Il delicato clangore delle tazzine e delle teiere nelle sale da tè, gli rammentava l’algida compostezza di una vecchia principessa russa. L’olezzo di sigari per le strade, gli faceva tornare in mente il baluginìo furbo e un po’ stanco di uno spietato assassino che cercava una miglior vita. E guai se vedeva il brillare di un lembo di stoffa rossastra: Poirot cambiava immediatamente strada, a costo di scivolare sulla strada ghiacciata, e rompere il suo bastone. Hastings ascriveva questo suo comportamento a una qualche superstizione, e nulla di più.

Hercule non aveva raccontato mai a nessuno cosa fosse accaduto su quel treno. Mai.

Lasciava che fosse affar suo e dei suoi sogni. O dei suoi incubi, più precisamente. Quando si svegliava con l’affanno, credendo di soffocare, le mani al collo strette da chi voleva mettere a tacere per sempre non soltanto la verità, ma anche il suo scomodo senso della giustizia – ed erano tante, quelle mani, infinite e d’infinita fattura: dalle dita affusolate, oppure tozze; pallide o abbronzate; inanellate o dalle unghie rose a furia di morderle in preda all’ansia che il loro piano venisse scoperto.

Poirot si svegliava vivo e vegeto. Soltanto Ratchet era morto, trucidato come la bestia che era. E la famiglia Armstrong, nel riposo eterno soltanto nelle loro tombe. Poirot non aveva portato al patibolo nessun altro, della compagnia che aveva viaggiato con lui sull’Orient Express, nessun altro aveva dovuto soffrire una condanna…per quanto giusta sarebbe stata.

Non riusciva mai a recuperare del tutto sonno, dopo quegli incubi. Si voltava su un lato, e guardava la neve cadere placida oltre la finestra, sullo sfondo cupo dell’ennesima notte londinese. Pregando tra sé che il giorno dopo si sciogliesse, e liberasse lui da un nuovo incubo.





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