Un raggio di sole aveva colpito la bella casa
di legno dal tetto verde.
La luce filtrava attraverso le tendine color
menta della camera da letto al piano superiore, e i due fratelli che vi
dormivano si stiracchiarono.
Si guardarono attorno: c’era il loro amato
computer, il televisore, la console con i videogiochi. C’era una piccola pianta
ornamentale e il tappeto sopra il quale da piccoli si sbizzarrivano in
interminabili giochi di costruzione. Quel giorno, il giorno del loro
quindicesimo compleanno, avrebbero iniziato una nuova vita, salutando le
comodità e le abitudini che li avevano accompagnati fino a quel punto.
I due gemelli scesero le scale e trovarono la
loro mamma intenta a cucinare loro un’abbondante colazione.
“Ben svegliati!” li salutò Olivia, la mamma
dei ragazzi, una donna dai capelli neri raccolti e il sorriso solare,
accogliente.
Aveva indosso il suo classico grembiule
candido con i rombi rossi e gialli, una costante da quando erano bambini.
“Cosa c’è per colazione?” domandò Bettie, la
ragazza.
“Pancake allo sciroppo d’acero.” rispose
Olivia, riponendo in dispensa gli ingredienti utilizzati per cucinare.
“I miei preferiti!” esclamò Scottie, il
ragazzo.
La mamma ridacchiò e si mise a fare colazione
con loro. Mentre mangiavano, squadrò i suoi ragazzi con attenzione: erano
cresciuti così tanto…
Bettie aveva i capelli tagliati a caschetto,
in un colore a metà strada fra il viola e il blu, e gli occhi color fiordaliso.
Si era vestita con il body di tessuto tecnico
nero e l’aveva adornato di una bella t-shirt bianca e pantaloncini blu. Ai
piedi calzava le sue scarpe sportive preferite, blu con le saette gialle.
Suo fratello gemello
aveva occhi e capelli della medesima tinta; i capelli erano corti e pettinati
con un ciuffo verso la tempia sinistra. Indossava una t-shirt sportiva bianca e
pantaloncini neri al ginocchio, oltre a comode scarpe da tennis bianche, verdi
e nere.
Borgo Foglianova era un paesino tranquillo,
un crocevia tra la regione di Kanto e quella di Johto.
Il fabbisogno energetico veniva soddisfatto
da pale eoliche, e l’economia del piccolo centro veniva aiutata dal viavai di
giovani Allenatori verso il laboratorio del Professor Elm e dai turisti che
passavano di lì per fare escursioni verso le Cascate Tohjo.
Proprio mentre stavano uscendo di casa per
andare a prendere il primo Pokémon, squillò il Pokégear di Olivia, e la donna
rispose prontamente:
“Pronto,
mamma?”
Era la voce di Armonio, il maggiore dei figli
di Olivia, un ragazzo sedicenne che aveva cominciato il suo viaggio come Allenatore
l’anno prima.
“Ciao tesoro, dove sei?” gli aveva chiesto la
donna, con voce allegra.
“Sono
alla Spiaggia di Ula Ula. Mi prendo qualche giorno di riposo prima di
affrontare i Superquattro.”
“Va bene. Ti senti pronto?”
“Sì,
voglio solo abbronzarmi ancora un po’.”
“D’accordo. Ci sentiamo stasera.”
“Va
bene, mamma. A dopo!”
Una volta riattaccato, Scottie e Bettie
irruppero in risolini a denti stretti:
“Quanto saranno lunghi i giorni di riposo di
Armonio?” disse Bettie.
“Forse due o tre settimane!” sghignazzò
Scottie.
Entrambi sapevano bene che loro fratello
maggiore era un pigrone di prima categoria, e che le comodità lo attiravano
assai di più di una vita avventurosa fra boschi e sentieri di montagna.
“Andiamo ragazzi, dategli fiducia!” cercò di
mediare la mamma, anche se poco convinta.
“Ma dai, ma’! I Superquattro di Alola stanno
sul Monte Lanakila, a 3500 metri d’altezza. E’ un posto impervio, freddo,
scomodo. Per nostro fratello è una tortura.”
“Forse avete ragione…”
Armonio aveva i
capelli corti e neri e gli occhi grigi. Assomigliava molto ad Olivia, ma mentre
la donna era sempre pronta a rimboccarsi le maniche, il giovane amava stare in
panciolle e godersi la vita muovendosi il minimo indispensabile. Era già un
miracolo il fatto che fosse diventato Allenatore e fosse arrivato così lontano
da casa.
“Ciao ragazzi!”
Era la voce di Kristy, una ragazzina
dodicenne che aveva deciso di partire all’avventura con loro.
Aveva i codini turchesi e gli occhi azzurri,
ed era matura per la sua età, e molto responsabile.
“Che Pokémon vorreste scegliere?” domandò
loro l’amica d’infanzia.
“A me piacerebbe Totodile. Apprezzo molto i
Pokémon carini ma che al momento giusto sanno essere feroci.” rispose Bettie.
“Io prenderei Chikorita. A differenza di mia
sorella, preferisco i Pokémon più pacifici, che trasmettono serenità.” disse
Scottie.
“Mi lasciate Cyndaquil allora. E sia! Quel
piccoletto sarà il mio primo compagno di viaggio!” urlò Kristy, e corse verso
la porta del laboratorio.
Una volta entrati, i nuovi aspiranti
Allenatori vennero accolti da Cetra e il suo Marill. Cetra aveva quattordici
anni ed era un’altra amica d’infanzia, figlia di un assistente del Professor
Elm.
Anche lei si pettinava i capelli castani in
codini, tanto che lei e Kristy erano soprannominate le “sorelle di coda”, ed
andava in giro documentandosi sui vari Pokémon della regione di Johto.
“Professore, è pronto?”
“Sì, certo. Venite pure, ragazzi.”
Il Professor Elm stava finendo di aggiustare
una macchina medica.
“Benvenuti. Spero che questo sia il primo
passo verso un viaggio glorioso, dove scoprirete forse più cose di quelle che
so io. Anzi, sapete che vi dico? Ve lo auguro!”
Il Professor Elm era gioviale, con i suoi
capelli arruffati, la barbetta di pochi giorni e il camice con le tasche colme
di appunti, penne e peli di Pokémon appena spazzolati.
Dalla prima Pokéball, l’uomo fece uscire un
piccolo Pokémon verde chiaro, simile ad un dinosauro erbivoro.
“Questo è Chikorita. E’ un maschio e molto
docile. Chi vuole allenarlo deve metterci pazienza e dolcezza.”
Dalla seconda Sfera, Elm fece uscire un
Pokémon dal muso allungato e gli occhi socchiusi.
“Questo è Cyndaquil. E’ una femmina e non ama
essere al centro dell’attenzione. Chi vuole allenarla deve cercare
letteralmente di farla uscire dal guscio!”
Dalla terza Sfera, Elm fece uscire un
coccodrillino azzurro.
“Questo è Totodile.
E’ un maschio e adora mordere tutto quello che trova. Comprategli qualche
giocattolo morbido!”
Scottie si avvicinò a Chikorita, che gli
annusò la mano e si fece accarezzare.
Bettie rimediò un morso da Totodile, che le
lacerò la pelle e necessitò l’utilizzo di garza e acqua ossigenata. Si era già
pentita di averlo scelto, ma ormai Kristy aveva in braccio Cyndaquil, il quale
ronfava beatamente.
Scottie aveva soprannominato il suo Pokémon
“Mint”, mentre Kristy la sua l’aveva chiamata “Brandy”.
“E il tuo, Bettie?”
La ragazza aveva un muso lungo un chilometro.
“Non gli ho dato un soprannome.”
Scottie non se l’aspettava.
“E perché no?”
“Perché non mi piace il suo comportamento.”
“Bettie, non ti conosce. Non credo l’abbia
fatto apposta a morderti.”
“E invece sì!”
“Te l’ha detto lui?”
Non era una domanda ironica quella di
Scottie. Lui e sua sorella erano nati con dei poteri straordinari, che non
avevano rivelato a nessuno che non fosse di famiglia. Scottie poteva leggere il
pensiero dei Pokémon, mentre Bettie poteva conversare tranquillamente con loro.
“Gli ho detto di chiedermi scusa. Lui mi ha
mostrato la lingua, aggiungendo che non
lo farà. Spero di catturare altri
Pokémon.”
“Bettie, dai, non fare così. Magari questo
Pokémon è stato traumatizzato in passato, per questo si comporta così.”
“Ah sì? Allora prova a toccarlo.” lo sfidò la
gemella.
Fece uscire Totodile dalla Sfera, e Scottie
gli afferrò la coda poco prima che questo lo mordesse. Bettie gli intimò di
smetterla.
“Hmm… Non vedo nulla di strano nei suoi
ricordi, mi sembra aver avuto un’infanzia serena.”
“Visto?” borbottò
Bettie, ritirandolo, “… E’ semplicemente un Pokémon inadatto agli umani.”
Il gruppo, costituito da Kristy, Scottie e
Bettie si mise in viaggio verso Fiorpescopoli, e mentre i primi due erano
soddisfatti, la terza aveva lasciato Borgo Foglianova con un amaro senso di
disillusione e una mano fasciata.