Come una lingua morta

di laurelleghuleh
(/viewuser.php?uid=1196828)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


“Sai che ore sono?”

Preso dal vivere, un giorno Levi si accorge di aver dimenticato la sua voce, come distrattamente accade per quella cosa lì, che ora non gli viene ma che era sul punto di dire. 

La risposta sta incisa sull’orologio da taschino che nasconde nella giacca. Il rintocco della lingua di Erwin che scandisce il suo nome, invece, non sa dove andarlo a cercare. 

Invano si tasta le vesti come si fa d’istinto quando si crede di aver perso qualcosa.
Invano tenta di accordare i ricordi all’ultima volta che deve averlo sentito o almeno a quando e dove deve essergli sfuggito.
Quello però è un dialetto antico e desueto che nessuno ormai parla più. 

“Allora?”

“No, non lo so.”
 



@speechlessback (che è il mio "viagra creativo") mi ha lanciato una sfida: una drabble su Er Winx... Ehm, volevo dire, Erwin e Levi. Poi un prompt: "sound". 

Uno dei momenti più drammatici nell’elaborazione di un lutto arriva di solito inaspettato e molti, se non moltissimi, anni dopo l’effettiva dipartita. E’ l’indesiderata e angosciante realizzazione di aver dimenticato come faceva la voce della persona amata e ora defunta. E’ un suono andato irrimediabilmente perduto, una di quelle cose a cui avremmo dovuto aggrapparci con maggior forza se solo avessimo saputo che ci sarebbe scappato di mente così e a nostra insaputa. I ricordi sono ora solo moviole dall’audio difettoso e le immagini un po’ sbiadite, è tutto tremendamente bidimensionale.





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4017152