Ciao! Note iniziali doverose
inerenti a buchi di trama e ad altri fatti che non sono riuscita a
inserire (potete saltarle, non sono importanti).
Fatto numero uno:
Hinata (Persefone) è allergico al polline. Come
caratteristica mi faceva tanto ridere, ma non ho trovato lo spazio per
inserirla da nessuna parte. Però starnutisce spesso.
Fatto numero due:
Hinata ha le mani più piccole di quelle di Sakusa. Avevo
scritto un paragrafo interamente dedicato alla differenza di grandezza
e di forma fra le mani di Hinata (piccole e un po' callose) e di quelle
di Sakusa (più grandi e affusolate), ma avrebbe dato il
voltastomaco a chiunque, quindi l'ho cancellato. Sappiate
però che ho scritto questa storia pensando continuamente
alle loro mani.
Fatto numero tre:
in questa storia sia Hinata che Sakusa sono divinità.
Essendo però la fiera dell’incapacità
troverete parecchie descrizioni (soprattutto fisiche) che in
realtà si addicono a esseri umani, e non a
divinità. Ma voi chiuderete gli occhi e ignorerete questa
incoerenza perché siete persone gentili (per favore).
Fatto numero
quattro: è un periodo in cui non sono ispirata,
di conseguenza questa storia non dice nulla perché io al
momento non ho niente da dire. È piatta come una sogliola,
la trama è inesistente, la caratterizzazione dei personaggi
è pietosa, perciò davvero MI DISPIACE. E infine
aggiungo: FLUFF. Altissimo livello di fluff.
Ora vi lascio, grazie per aver letto questo sproloquio, olè!
*
Una certa inclinazione di luce
Unable are the Loved to die
For Love is Immortality,
Nay, it is Deity—
Unable they that
love—to die
For Love reforms Vitality
Into Divinity.
Chi è amato non
conosce morte,
perché l'amore
è immortalità,
o meglio, è
sostanza divina.
Chi ama non conosce morte,
perché l'amore fa
rinascere la vita
nella divinità.
(Emily Dickinson)
Negli inferi il tempo non scorre e non esistono orologi. Gli unici
ticchettii che riecheggiano sincopati sono i latrati del cane Cerbero,
i gemiti sconsolati degli spiriti e le grida stridule delle arpie.
Un odore umido e terroso satura i campi di asfodeli, non esistono
né il cielo, né il mare, né le stelle:
c’è solo una fitta ragnatela fatta di ombre
avvinghiata attorno alle caviglie dei morti come una catena, per
scongiurare ogni eventualità di fuga. Nessuno può
lasciare quel luogo, perché nessuno può tornare
in vita.
Kiyoomi è il dio di quel regno tanto affollato e al contempo
tanto solitario. Gestisce un impero che diventa ogni giorno
più esteso, abita in un palazzo gelido come il ghiaccio,
costruito su mattoni fatti di rimpianto e di desideri mai esauditi,
cementati fra loro dalla rabbia che giunge incollata alle anime come un
parassita. La rabbia riesce a intrufolarsi persino in un luogo come
quello, celato nel ventre della terra: gli uomini non riescono a
lasciarsela alle spalle nemmeno quando muoiono.
Kiyoomi è lì da sempre, e per sempre
lì rimarrà.
Un giorno, qualcuno che non è uno spirito oltrepassa i
cancelli che delimitano i confini del suo territorio.
C’è un odore strano: profumato e dolciastro, evoca
immagini diametralmente opposte a quelle appartenenti al suo dominio di
oscurità. Kiyoomi arriccia il naso. Percepisce una presenza
non abbastanza forte da essere fonte di preoccupazione, ma abbastanza
strana da destare la sua curiosità.
Con la stessa rapidità di un ragno che si fionda sulla mosca
caduta nella trappola, Kiyoomi piomba davanti alla porta
d’ingresso del suo palazzo. L’intruso è
già svanito, perché della sua presenza non rimane
che una labile reminiscenza. Osservandosi intorno, il suo sguardo viene
catturato da una chiazza brillante, rossa e arancione come le fiamme.
Sul pavimento davanti all’ingresso, qualcuno ha lasciato dei
fiori freschi. Cerbero li annusa, scodinzola, guaisce rumorosamente e
distende le zampe.
Kiyoomi li osserva perplesso. Poi ne prende uno fra le dita affusolate,
stringe lo stelo vellutato e lo osserva appassire.
L’intruso ritorna il giorno dopo, e quello dopo ancora. Varca
la soglia del suo regno mentre Kiyoomi è impegnato ad
amministrare i campi, trascinandosi dietro l’odore dei fiori.
Kiyoomi prova a sorprenderlo in ogni modo, senza tuttavia riuscirci
mai. Quando piomba davanti all’ingresso del suo palazzo,
trova Cerbero che si aggira inquieto annusando l’aria
profumata in cerca di una presenza che si è già
dileguata, e dei fiori freschi sul pavimento traslucidi di acqua.
Kiyoomi li odia. Odia i loro colori sgargianti, che cozzano
terribilmente con l’ombra che fa da padrona, odia il loro
odore rivoltante, ma soprattutto odia che fra le sue mani appassiscano
subito, anche al tocco più delicato.
Nonostante l’odio e la diffidenza, sebbene sia restio ad
ammetterlo a se stesso, Kiyoomi freme di curiosità. Neanche
ricorda l’ultima volta che ha ricevuto delle visite. Tutti
evitano gli inferi, persino le divinità con cui condivide il
sangue e l’immenso potere. Kiyoomi, d’altra parte,
non può allontanarsi a lungo, essendo vincolato a quel
luogo. E poi non saprebbe né dove, né da chi
andare.
Quella specie di gioco che assomiglia al nascondino continua
finché un giorno Kiyoomi non scorge degli occhi baluginare
nell'ombra. Dopo aver percepito la presenza sconosciuta ed essere
piombato davanti all’ingresso del suo palazzo, Kiyoomi si
ritrova a fissare due grandi occhi spalancati, della stessa
tonalità brillante e aranciata delle fiamme. Per un istante,
prova una sensazione quasi dolorosa, una colata di cera bollente nelle
pupille. Poi l’intruso svanisce, lasciando Cerbero a
uggiolare sconsolato al vuoto, proprio come gli spiriti.
Finalmente, la volta dopo ancora, l’intruso decide di
mostrarsi.
Kiyoomi è certo che non sparirà nel nulla, e
difatti quando piomba davanti al suo palazzo non si stupisce di
trovarlo lì. Si stupisce però della bizzarra
scena che gli si para davanti: Cerbero, il ferocissimo Cerbero, terrore
di tutte le entità mortali e immortali, è
sdraiato a pancia in su e guaisce nella speranza di elemosinare
grattini sotto il mento da parte dello sconosciuto accovacciato accanto
a lui.
L’intruso solleva il viso, senza smettere di accarezzare il
muso del suo cane. Ha i capelli rossi come le fiamme, e piccoli fiori
incastonati fra i ricci. Le braccia sono scoperte e sulla pelle sono
disegnate delle spirali verde pallido che arrivano sino alle spalle.
Kiyoomi trova il suo sguardo e percepisce ancora quella sensazione
bruciante, simile a una colata di magma nelle orbite. È
un’emozione ignota, ma proprio per questo, proprio
perché è tanto diversa, capisce immediatamente di
cosa si tratti: vita. Colui che ha davanti è
indiscutibilmente legato alla vita, Kiyoomi la sente scorrere febbrile
intorno a loro, strusciarsi come un gatto contro l’atmosfera
di morte che satura il suo regno.
"Ciao," dice il tizio, con un tono cinguettante.
Kiyoomi inarca le sopracciglia, fissandolo stranito. Non ricambia il
saluto.
"Chi sei?" gli domanda torvo. Sente le ombre allungarsi sotto di lui,
affilarsi come lame.
"Shouyou," risponde l’altro, balzando in piedi. Cerbero gli
poggia le zampe sulle cosce. "Il dio della primavera."
Primavera, pensa
Kiyoomi. Ecco
perché tutti quei fiori. Ecco perché la vita.
"Perché sei qui?"
Shouyou gonfia le guance. "Per portare un po’ di colori,"
risponde. "Credevo che dei fiori sarebbero stati doni graditi, ma tu
non fai altro che ucciderli."
Cerbero comincia a ringhiare. Kiyoomi assottiglia le palpebre. Il
potere che satura quel luogo pulsa sotto la terra, le ombre cominciano
a strisciare verso Shouyou come vene appuntite, rampicanti di acciaio.
"D'accordo," si affretta ad aggiungere Shouyou, intimorito. "Era una
bugia. Sono venuto perché ero curioso."
"Curioso? Di cosa?"
"Di te, ovvio!" risponde l’altro. Kiyoomi ritira le ombre.
Cerbero si placa insieme al suo padrone e si acciambella a terra.
"Ero curioso del tuo regno, del tuo palazzo," continua
l’altro, gesticolando. "Non parlano mai di te,
lassù. E tu non ti fai mai vedere."
Kiyoomi non si sorprende. È naturale che gli dei
dell’Olimpo non parlino di lui. Superbi, vanesi, frivoli:
tutti troppo innamorati del proprio riflesso illuminato dal sole per
poter nutrire simpatie nei confronti di un dio come lui, ostile sia
agli specchi che alla luce. Kiyoomi è un dio a cui piacciono
il silenzio e la riservatezza, allergico agli ozii e ai pettegolezzi, e
per questo condannato dai suoi simili così diversi. E
soprattutto, è la divinità che incarna la morte,
e questo è più che abbastanza per spaventarli.
Nessuno vuole avere contatti con la morte, neanche gli immortali.
“Sono il dio della morte,” sibila Kiyoomi, e le
ombre tornano a contorcersi come serpi affamate. “E tu sei
entrato nell’Ade senza essere stato invitato."
"Non volevo mancarti di rispetto," si affretta a spiegare
l’altro. "Davvero, lo giuro. Volevo solo vederti."
"Beh, ora mi hai visto. Perciò sparisci."
Shouyou inclina la testa. "Posso tornare a trovarti?"
Kiyoomi ringhia. Shouyou sparisce con un sorriso furbo.
L’istante più tardi, Kiyoomi si accorge dei fiori
sul pavimento.
Che razza di impertinente, pensa. Fissa i fiori, esita, poi si accuccia
vicino a Cerbero e prova a sfiorarne uno con delicatezza.
I fiori appassiscono e Kiyoomi chiude gli occhi.
La primavera varca di nuovo la soglia del suo regno il giorno seguente.
Kiyoomi la trova accucciata a giocherellare con Cerbero.
"Ma tu," gli domanda Kiyoomi, inarcando un sopracciglio, "non hai
niente di meglio da fare?"
Shouyou solleva il viso. Gli occhi spalancati scintillano come flutti
di luce liquida arancione e dorata. Kiyoomi percepisce i suoi, neri
come la pece, sfrigolare come se stessero reagendo a qualcosa.
"È che l’autunno è alle porte," spiega
Shouyou, inclinando la testa. "Perciò sono in vacanza."
"E allora perché non resti sull’Olimpo?"
"Perché qui è più interessante,"
ribatte l’altro. "E poi qui c’è Cerbero."
Cerbero abbaia, rispondendo al suo nome, scodinzolando con foga.
Kiyoomi sospira esasperato.
Potrebbe cacciarlo all’istante. Shouyou è
più debole di lui, perciò potrebbe costringerlo
ad andare via oppure legarlo a un masso, e concedere alle Arpie il
divertimento di torturarlo. Eppure-
"Fa’ come ti pare," risponde invece. Poi gli volta le spalle
e svanisce, tornando nei campi punteggiati dagli spiriti,
l’odore di terra che non cela del tutto quella sfumatura
dolciastra che gli è rimasta appiccicata addosso.
Shouyou torna a trovarlo quasi ogni giorno, aspettando davanti
all’ingresso del suo palazzo. Gioca con Cerbero e non appena
vede Kiyoomi, comincia a cinguettare come un passero. Lo riempie di
domande, gli parla dei fiori, degli umani, degli dei, di quello che ha
visto e di quello che vuole ancora vedere. Kiyoomi, che è
sempre stato silenzioso per natura, il più delle volte
ostenta un’aria disinteressata o addirittura infastidita, ma
questo non basta a smorzare la gioia di Shouyou, che non fa altro che
ridere di gusto e gesticolare entusiasta. E se in principio Kiyoomi era
seriamente seccato da quell’intrusione quotidiana e
indesiderata, adesso prova una sorta di tepore sconosciuto quando lo
trova ad aspettarlo, e sente le ombre intorno a lui farsi meno
acuminate.
Kiyoomi vede la vita nei suoi occhi, nei piccoli fiori intrecciati ai
capelli. La sente pulsante e fervida, un flusso in circolazione
perpetuo come la linfa verde delle piante, come il sangue denso e
brillante degli animali. È così diversa da lui e
da quello che gravita intorno a lui.
"Shouyou," gli domanda una volta. "Perché continui a venire
qui?"
Shouyou scrolla le spalle. "Mi piace qui."
"Ma qui c’è solo morte, e tu sei il dio della
primavera. Come può piacerti un posto tanto diverso da
quello che sei?"
"Non è mica così diverso," puntualizza Shouyou,
guardandolo negli occhi.
Kiyoomi pensa all’ombra penetrante,
all’oscurità che si dipana fitta intorno a loro,
ai sospiri mesti dei morti contrapposti ai colori primaverili e ai
canti dei vivi. Inarca scettico le sopracciglia.
"In effetti è molto diverso," si corregge Shouyou. "Ma la
morte e la vita sono collegate. Senza di te io non esisterei, e
viceversa. Come si può rinascere senza morire? E come si
può morire senza vivere?"
Kiyoomi non risponde. Non gli piace l’idea che il suo potere
dipenda da qualcos’altro. Che ci sia un legame tanto
indissolubile fra gli elementi che incarnano. Però non
può neanche negare l’evidenza: il suo regno non
esisterebbe se dall’altra parte non ci fossero il sole, il
sangue che circola, il tempo che scorre. Ma comunque, a prescindere
dalla forte connessione che li unisce, per un dio della vita
quel luogo deve essere orribile.
Shouyou, comunque, evidentemente se ne infischia perché
continua a venirlo a trovare. E il fatto che Kiyoomi stia cominciando a
trovarlo dannatamente carino di certo non aiuta.
Una volta Shouyou lo raggiunge direttamente sui prati di asfodelo.
Kiyoomi sente il suo odore e si volta a guardarlo. Shouyou cammina e a
ogni passo sbocciano primule, crochi e margherite.
"Scusami," dice, ammiccando al sentiero di fiori alle sue spalle con un
sorriso imbarazzato. "Non riesco a controllarmi molto bene. E poi qui
la terra è così fertile!"
Kiyoomi si stupisce. Non credeva che nel suo regno esistesse qualcosa
di fertile.
Prima che possa rispondere, comunque, viene colpito dal comportamento
degli spiriti. I loro sospiri si interrompono, e cominciano ad
affollarsi intorno ai fiori.
"Oh!" esclama Shouyou, raggiante. "A loro piacciono i miei fiori!"
"Piacciono anche a me," dice Kiyoomi, senza riflettere.
Shouyou si volta a guardarlo sconcertato. Poi incurva le labbra in un
sorriso senza aggiungere nulla, e Kiyoomi gli è grato per il
silenzio.
"Potresti ospitarmi?"
Kiyoomi si volta a guardarlo sorpreso. "Come?"
"Potresti ospitarmi?" ripete Shouyou, scandendo meglio le parole.
"Perché dovrei?"
Shouyou temporeggia. Dondola le braccia, fissa gli occhi sul terreno e
lascia che sboccino alti fiori di lavanda, poi ci si accuccia in mezzo.
Kiyoomi vede i suoi occhi che lo fissano dal basso, i fiori violetti
fra le ciglia ramate, le iridi liquide. Un tremito gli fa fremere le
scapole.
"C’è qualcosa di strano sull’Olimpo,"
dice infine Shouyou.
Kiyoomi rimane zitto, aspettando che prosegua.
"Tira una brutta aria, e non voglio rimanere coinvolto.
Perciò mi chiedevo se… se insomma, potessi
ospitarmi per un po’."
Kiyoomi continua a fissarlo. Ha voglia di afferrargli la faccia fra le
mani, di accarezzargli le orecchie rotonde, tirargli i capelli
intrecciati ai fiori. Ha voglia di fargli troppe cose. E quel bisogno,
quella necessità tanto incalzante che sembra indispensabile,
lo spaventa. Kiyoomi è abituato all’indipendenza,
a svegliarsi e ad addormentarsi con l’animo colmo di ombre e
doveri, è un dio che non concede agli altri di avvicinarsi.
Non perché non possa farlo, ma perché la sua
indipendenza è tutto ciò che possiede oltre quel
regno di morte a cui è incatenato, e di conseguenza
è disposta a salvaguardarla con tutte le sue forze.
Perché per lui avere bisogno di qualcuno, desiderare
qualcuno in maniera tanto intensa, significa debolezza. Significa
autosabotarsi procurandosi un punto vulnerabile. E a Kiyoomi
non piace per niente come Shouyou stia riuscendo ad addentrarsi sempre
più dentro, come se stesse scavando nella pietra con le
unghie, millimetro dopo millimetro, una goccia di acqua che erode la
superficie.
"No," risponde dunque Kiyoomi, poi torna ai suoi morti.
Shouyou non insiste. Il suo odore si fa più labile, e quando
Kiyoomi si volta vede che di lui è rimasta solo la nuvola di
lavanda fra cui si era accucciato. Kiyoomi la fissa frustrato, poi
schiocca le dita e quella prende fuoco.
Kiyoomi percepisce immediatamente che c’è qualcosa
di diverso. È l’odore, a essere diverso. Una
pungente sfumatura metallica copre quella dolce della primavera.
Kiyoomi piomba davanti all’ingresso e spalanca la porta, e
trova Cerbero che uggiola e guaisce addolorato, zampettando intorno a
Shouyou.
Kiyoomi lo fissa. Macchie dorate gli chiazzano le guance, gli
incrostano i capelli spogliati dei fiori. È icore, il sangue
degli dei.
Shouyou tossisce uno spruzzo dorato e barcolla verso di lui, fermandosi
a qualche passo di distanza.
"Te l’hanno fatto loro?" domanda Kiyoomi. I pugni si serrano,
e qualcosa dentro di lui, qualcosa di antico, una furia primordiale,
comincia a pulsare.
Shouyou annuisce.
"Perché?"
"Perché si annoiano,"
risponde Shouyou, esasperato. "E se non prendono parte alle guerre dei
mortali, si fanno la guerra fra di loro. E oggi ci sono capitato io."
L’ombra sotto di lui, l’ombra dentro di lui, si
ingrossa come il pelo rizzato di un animale. Erano secoli che non
provava una tale e irrefrenabile ira. Vorrebbe materializzarsi
sull’Olimpo e bruciarlo, per poi catturare gli dei e ordinare
alle arpie di torturarli per l’eternità. Vuole
renderli vittime di una punizione infinitamente peggiore rispetto alla
morte.
"Non farlo," dice Shouyou, come se l’avesse sentito. "Ho solo
bisogno di riposare un po’. E qui loro non possono venire."
"Certo che possono."
"Forse," conviene Shouyou. "Ma non lo faranno. Loro hanno paura. Temono
il tuo potere, sono terrorizzati da ciò che
c’è qui sotto. Vicino a te si sentono vulnerabili."
"Tu però non hai paura."
"No. Non ho paura."
"Come fai a essere sicuro che io sia tanto diverso da loro?"
"Tu sei molto potente e molto pericoloso," dice Shouyou, poi scuote la
testa. "Ma non sei crudele. Sei esattamente come la morte dovrebbe
essere."
Poi sorride e il sangue dorato s’incaglia nelle fossette
sulle guance e nelle screpolature delle labbra. Kiyoomi guarda Shouyou,
Shouyou che era luce e che adesso assomiglia a una luce spezzata come
se qualcosa la stesse deviando, e l’istinto brutale di fare
del male satura la sua ombra, gonfiandola e rendendola aguzza come un
puntaspilli.
"Non andare," gli dice Shouyou. "Piuttosto lasciami entrare."
Kiyoomi non si chiede quand’è stata
l’ultima volta che abbia permesso a qualcuno di varcare la
soglia del suo palazzo. Non si chiede neanche se ci sia stata, una
volta. Non se lo chiede perché non è importante,
perché quello che conta è che Shouyou sia al
sicuro, perché se gli dei dovessero venire, se dovessero
azzardarsi a raggiungerli, allora verrebbero annientati. Kiyoomi quindi
annuisce. Shouyou snuda i denti in un sorriso grato e feroce. Poi gli
si avvicina, si aggrappa al suo braccio come un koala, imbrattandogli
di dorato la veste scura.
Kiyoomi lo lascia fare per inerzia - e invece lo lascia fare
perché è quello che desidera. Ed è per
questo che la paura dentro di lui s’impenna,
perché capisce che Shouyou da lui potrebbe ottenere
qualunque cosa. Davanti a Shouyou c’è una strada
spianata che conduce dritto al cuore della sua ombra, e invece di
fargli perdere il senso dell’orientamento, Kiyoomi lo sta
accompagnando.
Cerbero li precede scodinzolando felice, e le stanze buie del palazzo
li inghiottiscono.
Shouyou guarisce in una notte. Con uno schiocco di dita, Kiyoomi fa
evaporare le gocce dorate che punteggiano il pavimento in marmo e che
hanno imbrattato le lenzuola pulite.
Shouyou guarisce in una notte, eppure non se ne va. Rimane nel suo
palazzo e fa sbocciare campanule, azalee e narcisi fra i solchi delle
mattonelle e fra gli scalini, mentre grappoli di rampicanti rossi e
bianchi iniziano ad attorcigliarsi attorno alle ringhiere esterne che
circondano le ampie finestre. Non appena Kiyoomi sfiora le piante,
intenzionalmente o meno, quelle appassiscono. Non appena Shouyou ci
soffia sopra, quelle rinascono. Ma un’ombra di tristezza
intacca la gioia che emana ogni volta che accade, perciò
Kiyoomi comincia a prestare attenzione e a camminare in punta di piedi
fra i suoi stessi corridoi, evitando i grappoli cascanti di fiori per
non ucciderli.
"Perché sei ancora qui?" gli domanda una volta mentre sono
sui campi di asfodelo. Shouyou fa spuntare un germoglio davanti a dei
piccoli spiriti che gli si accalcano addosso. "Potresti tornare
indietro. Gli altri dei non ti toccheranno."
Non adesso che sanno di
me, aggiunge mentalmente.
Shouyou non risponde. Unisce le mani e poi le solleva verso
l’alto. Gli spiriti cominciano a imitarlo, girando in
cerchio. Il germoglio cresce, si trasforma in albero, i rami protesi
verso l'alto diventano prima verdi e poi punteggiati di fiori,
finché frutti tondi e acerbi iniziano a fare capolino dalle
foglie.
Infine Shouyou si volta verso di lui, inclinando la testa.
"Me lo chiedi perché vuoi che me ne vada?"
"No," risponde Kiyoomi. Guarda Shouyou, guarda gli spiriti dei morti
che gli si affollano intorno. "È solo che per te
dev’essere difficile rimanere in un luogo simile."
"Hai un parere un po’ troppo negativo del tuo regno,"
risponde l’altro, tornando a rivolgere la sua attenzione
all’albero, come se il discorso fosse chiuso. Kiyoomi osserva
i frutti ingrossarsi e acquisire una sfumatura sempre più
matura - sono mandarini. Shouyou incurva le labbra in un mezzo sorriso,
infine ne stacca uno dall’albero e se lo porta alle labbra.
Un braccio di ombra affiora all’improvviso dal terreno,
strappandoglielo via dalle dita con violenza. Shouyou spalanca la bocca
per protestare, mentre il frutto cade a terra e rotola lontano. I
piccoli spiriti lo seguono curiosi, mentre l’ombra si
avvinghia intorno al tronco dell’albero, soffocandolo e
facendolo appassire immediatamente.
"Non c’è mica bisogno di tanta violenza!" esclama
Shouyou, voltandosi verso di lui con rabbia. "Se non ti piacciono gli
alberi basta dirlo e-
"Non è per quello," lo interrompe Kiyoomi. "Non puoi
mangiare cibo cresciuto qui. Se lo farai, sarai legato a questo posto
per l’eternità. Proprio come me."
Shouyou esita un istante, prima di rispondere. "E sarebbe tanto brutto?
Avermi con te per l’eternità?"
Non essere
più solo, per l’eternità.
Kiyoomi sgrana gli occhi e poi esala una risata amara, stupito
dall’ingenuità di quella domanda.
"Sei il dio della primavera, Shouyou. Per uno come te sarebbe un
disastro."
Shouyou si limita ad accarezzare il tronco dell’albero, che
riprende vita.
Poi all’improvviso Shouyou svanisce, e Kiyoomi se lo ritrova
alle spalle, mentre gli circonda la schiena con le braccia sottili.
"E per uno come te?" gli sussurra all’orecchio.
Una benedizione, pensa Kiyoomi.
"Una tortura," risponde invece.
Shouyou ride.
Una sera Shouyou gli chiede se abbia Netflix.
"Netf-cosa?" risponde Kiyoomi, inarcando le sopracciglia.
"Netflix," ripete l’altro, scandendo le lettere.
"L’app."
Il suo sguardo assume una sfumatura confusa. Shouyou sgrana gli occhi.
"Netflix!" esclama di nuovo, allargando le braccia, sconcertato dalla
sua ignoranza in materia. "Ma come vedi le serie TV?"
"Quali serie TV?"
Shouyou geme di dolore.
"Kiyoomi," dice, e Kiyoomi con un brivido realizza che è la
prima volta che lo chiama per nome. "Lo sai che abbiamo superato il
quattrocento avanti Cristo da un pezzo, vero? Che le persone non
compiono più sacrifici umani, che ci sono i cellulari ed
esiste una cosa chiamata internet, e che-
Kiyoomi ringhia. Shouyou s’interrompe, poi sorride amabile.
"È che volevo vedermi un film con te, spiega. Hai almeno la
connessione?"
Kiyoomi, per fortuna, ha una connessione, anche se sotto terra la linea
non prende troppo bene.
Shouyou armeggia con il telecomando, e dopo qualche minuto si ritrovano
seduti sul divano a guardare una cosa chiamata New Girls. Shouyou ha
detto che fa ridere. Kiyoomi dubita seriamente che riderà,
anche perché il senso dell’umorismo altrui lo
lascia perlopiù insoddisfatto o disgustato, eppure alla fine
ride davvero. Più che per le battute, ride perché
quella situazione è oggettivamente esilarante: il dio dei
morti, Cerbero che gli sbava sulla coscia, e la Primavera leggiadra
seduta a gambe incrociate accanto a lui. A un certo punto, Shouyou si
accoccola contro la sua spalla. Kiyoomi, per istinto, si irrigidisce e
si allontana. Shouyou lo guarda, gonfia le guance indispettito, e poi
ci riprova, questa volta sbattendo forte la testa scompigliata contro
il suo braccio. Kiyoomi lo fissa, lo trova buffo, lo lascia fare - gli
lascerebbe fare tutto quello che vuole.
"Lo sai," gli dice poi, con voce soffocata. "Dovresti prendere
tantissimi televisori con Netflix, e metterli nei prati di asfodelo.
Tipo dei cinema all’aperto. Secondo me gli spiriti sarebbero
felici."
Per un momento, Kiyoomi si immagina i campi punteggiati di televisioni.
Immagina le arpie litigare fra di loro per scegliere quale serie
televisiva vedere. È uno scenario talmente strambo da farlo
scoppiare a ridere di nuovo. Persino Cerbero drizza le orecchie a quel
suono inaspettato, come se non lo riconoscesse.
Shouyou inizia a ridere con lui. "È un’idea tanto
sciocca?"
"È completamente folle," conferma Kiyoomi.
Shouyou ride ancora contro la sua spalla, poi si zittisce e lo fissa
con gli occhioni spalancati. "E che ne dici dei fiori?"
"Fiori?"
"Vorrei far sbocciare tanti fiori nei prati," spiega l’altro.
"Prima che arrivi la primavera. Così poi gli spiriti avranno
i cinema all’aperto e i fiori. E tante altre cose ancora.
Potresti mettere delle biblioteche. O dei bagni termali. Oppure-
"Cominciamo dai fiori," lo interrompe Kiyoomi.
Shouyou scopre i denti in un sorriso grato, diventando raggiante.
Brilla come la superficie riflessa dell’acqua, è
una cascata cristallina e copiosa di luce dorata.
Kiyoomi vuole chinarsi in avanti, affondargli le dita nei capelli
soffici, accarezzargli le spirali colorate delle braccia e delle
spalle. Però l’eternità di solitudine
è un retaggio che non può evaporare in un
istante, e poi è terrorizzato all’idea che Shouyou
possa appassire sotto il suo tocco proprio come uno dei suoi fiori.
Perciò rimane immobile, dilaniato interiormente da un
desiderio che lo spinge a chiudere gli occhi e ad abbandonarsi in
avanti, e da un altro che invece lo spinge a indietreggiare, a svanire
nel buio confortevole dell’ombra.
È Shouyou che si avvicina, senza però toccarlo.
Kiyoomi respira l’odore dolce e primaverile dei suoi capelli,
e Shouyou gli lascia un bacio rapido e vellutato sotto
l’orecchio.
"Grazie," bisbiglia.
Shouyou comincia davvero a disseminare i campi di fiori colorati. E
forse Kiyoomi ha sempre sottovalutato il suo potere, perché
i fiori nel giro di un giorno sono ovunque. Ci sono macchie vermiglie,
purpuree e arancioni sparse negli angoli più disparati di
quei prati infiniti, come se una neve colorata avesse ricoperto la
terra brulla.
Kiyoomi osserva i petali vellutati, le diverse tonalità di
verde sfoggiate delle foglie degli alberi, e vorrebbe…
"Vorrei poterli toccare," dice una volta dentro il suo palazzo, e alle
sue stesse orecchie quella risuona come una confessione. "Vorrei poter
toccare almeno un fiore senza farlo morire."
Shouyou, alle sue spalle, si avvicina. Kiyoomi sente il suo respiro
contro la sua schiena.
Vattene, pensa.
Non dovresti essere qui.
Tu la morte non dovresti neanche poterla vedere.
Shouyou soffia sulla pelle scoperta del suo collo. Kiyoomi viene scosso
da un brivido profondo, poi si volta e trova Shouyou che lo fissa con
il viso rivolto all’insù, gli occhi spalancati e
sgargianti, saturi di luce liquida.
Shouyou distende una mano con il palmo rivolto verso l’alto,
e un germoglio azzurro fa capolino, prima di sbocciare del tutto.
"Toccalo," gli dice Shouyou. "Questo non morirà."
Kiyoomi fa come dice. Lo tocca piano
preparandosi a vederlo appassire, eppure il suo colore rimane
brillante e lucido.
Kiyoomi inarca le sopracciglia, sorpreso. Poi capisce. Non è
che quel fiore sia immune al suo potere, quel fiore muore in
continuazione, ma è anche esposto all'influenza perpetua del
tocco di Shouyou, che gli permette di rinascere.
"Funzionano meglio quando ci sono entrambe," gli spiega Shouyou
saggiamente. "La vita e la morte. La luce e l’ombra."
Poi il fiore svanisce. Adesso c’è solo il suo
palmo esposto, la sua mano nuda che prende quella di Kiyoomi e la
stringe forte.
"No," gli dice Kiyoomi, senza tuttavia provare a liberarsi.
Shouyou inclina la testa. "Perché?"
"Perché-
Perché ho
paura di farti male, pensa. Perché ho paura che
tu ne faccia a me.
La mano di Shouyou è bollente contro la sua. Kiyoomi per un
istante è certo che appassirà.
"Non mi fai male," gli dice Shouyou, come se avesse intuito i suoi
pensieri. "Non sono mica così fragile."
E invece lo è, perché la vita stessa è
l’essenza della fragilità, è per questo
che tutti attraversano l’acheronte, è per questo
che esiste il suo regno.
"La morte non rende la vita fragile," ribatte Shouyou, accarezzandogli
il polso - scotta, scotta, scotta. "La morte rende la vita preziosa."
Shouyou è vicinissimo. Si solleva sulle punte, gli allaccia
le braccia intorno al collo. Kiyoomi ripercorre con gli occhi le
spirali verdi e violacee che gli ornano la pelle, inala il suo odore, e
l’ombra dentro di sé trattiene il fiato.
Shouyou gli accarezza le tempie, le guance, ripercorre con le dita le
clavicole, le spalle. Poi gli bacia l’orecchio, e infine si
ferma a un soffio dalle sue labbra.
"Apri la bocca," sussurra. "Lascia che ti mostri quanto forte e
disperata e devota sia la vita."
Non appena Kiyoomi si sveglia, vede la schiena nuda di Shouyou, le
scapole sporgenti attraversate da ghirigori colorati. Kiyoomi flette le
dita affusolate e l’accarezza, ripercorrendo il rilievo delle
ossa. Shouyou freme sotto il suo tocco, poi si volta verso di lui,
sveglio, e gli strofina il viso contro il suo collo.
Kiyoomi lo lascia fare, giocando con i suoi capelli.
"Shouyou," gli domanda dopo un po’. "Ma non ti manca il sole?"
Shouyou solleva il viso verso di lui, lo sguardo acceso di
curiosità.
"No," risponde, senza esitare. "Mi piace qui. E poi mica sono
prigioniero, posso andare a vederlo quando voglio."
"È vero," pensa Kiyoomi. Ma è questo a essere
strano, che tu sia ancora qui sotto.
"E a te?" gli domanda Shouyou.
"A me cosa?"
Shouyou esita, poi gli cerca i polsi, le mani. "A te non manca il sole?"
Kiyoomi, per un istante, visualizza la luce dorata del giorno. Vede il
bagliore tiepido che indora l’erba e le montagne, che si
riflette sulla superficie tremolante dell’oceano.
No, vorrebbe rispondere. Sto benissimo qui.
"Un po’, " risponde invece.
"Ti puoi prendere un giorno di ferie?"
Kiyoomi si volta sorpreso verso Shouyou, poi incurva le labbra in un
sorriso scettico.
"Un giorno di ferie," ripete. "Con tutto questo lavoro?"
Con un ampio gesto, Kiyoomi indica i prati di asfodelo sempre
più affollati, sempre più estesi. Shouyou gonfia
le guance indispettito e incrocia le braccia.
"È facile per te parlare," lo rimbecca Kiyoomi. "Sei il dio
della primavera. Sei disoccupato per tre quarti dell’ann-
Un sapore amaro gli scoppia in bocca, impedendogli di concludere la
frase. Kiyoomi aggrotta le sopracciglia e sputa un fiore secco.
“Non insultare la mia professione”, si difende
Shouyou. “O ti farò sputare gerbere rinsecchite
per una settimana intera.”
“Provaci”, sibila Kiyoomi. “E io ti
farò scuoiare vivo dalle arpie, che ogni giorno verranno a
mangiarti il cuore mentre sei appeso al contrario, e poi-
È costretto a interrompersi. Questa volta, di fiori secchi
ne sputa tre.
"Piantala", gli dice. "Hanno un sapore disgustoso."
"Solo se ti prendi un giorno di ferie," lo incalza
quell’altro. "Voglio portarti in un posto."
"E dove?"
"Fuori. Sopra."
"Scordatelo," ribatte Kiyoomi. "Io sopra non ci vengo. E poi, sarei
comunque costretto a tornare dopo qualche ora. Sono vincolato qui."
Shouyou si avvicina. Si arrampica sulla sua schiena, stringendo gambe e
braccia intorno al suo corpo come un koala.
"Staremo via poco," insiste, lasciandogli un bacio in testa. "Lo
prometto. È solo che voglio farti vedere qualcosa di mio,"
aggiunge infine.
Ci sono infinite ragioni per dire di no, eppure in quel momento a
Kiyoomi non ne sovviene neanche una, perciò osserva le
ciglia ramate di Shouyou sfarfallare e si ritrova ad annuire.
Shouyou non lo conduce sull’Olimpo, bensì sulla
cima di una collina. È inverno inoltrato, l’erba
è secca ma spuntano qua e là fiori selvatici
resistenti persino alle temperature più rigide. Kiyoomi li
osserva senza azzardarsi a toccarli.
Dalla collina si possono scorgere i tetti colorati e fumo che sale a
spirale dalle comignoli. Gli edifici sono bassi e sporadici, come se
volessero amalgamarsi al meglio con la campagna stessa.
Shouyou inspira a fondo l’aria fredda, gli occhi socchiusi e
beati. Kiyoomi vede sul suo viso il sollievo di trovarsi finalmente
all’aperto, sotto un cielo vero, non uno fatto di ombra.
Un brivido di paura gli attraversa la schiena. Shouyou probabilmente
non vorrà tornare nel regno dell’Ade con lui, dopo
quell’escursione. E dopotutto perché dovrebbe?
Perché sottoporsi di nuovo all’atmosfera intrisa
di morte e di rimpianto, quando al suo posto può assaggiare
sulla lingua l’aria punteggiata di stelle e di luce dorata? E
ci sono gli uccelli che cinguettano, invece dei lamenti acquosi dei
morti? E ci sono le danze e la musica e le risate rumorose come lo
sciabordio del mare, e non quel silenzio opprimente che li avvolge come
una nebbia fitta?
Shouyou non dovrebbe tornare con lui, quella sera. Il suo posto
è nella striscia di vita collocata fra la terra e il cielo,
non nella morte che si estende lungo i prati di asfodeli.
"È un bel posto, vero?" gli dice Shouyou, prendendogli la
mano. Intreccia forte le loro dita, palmi e polpastrelli bruciano a
causa di quel contatto tanto avverso come se uno fosse fatto di fuoco e
l’altro di ghiaccio, eppure non esiste connubio
più giusto, la caducità della vita amalgamata
all’eternità della morte, un mondo pieno di
orologi che ticchettano rumorosi contrapposto a un mondo che si trova
all’interno di un orologio rotto, le cui lancette rimarranno
immobili per sempre.
Shouyou incurva le labbra, poi si alza sulle punte e gli poggia le mani
sulle guance. Gli occhi brillano come se avessero inglobato tutta la
luce del sole, le ciglia ramate tremolano come polline. La pelle scotta
dove Shouyou lo tocca, strisce di luce sull’ombra. Kiyoomi
lascia che gli baci la curva ampia del collo, ripercorrendo con la
bocca la clavicola e la linea delineata della mascella.
Vorrebbe che durasse per sempre. Vorrebbe che ci fossero per sempre
Shouyou e le sue mani e i suoi fiori fra i capelli sotto il cielo che
diventa sempre più rosso, ed è incredibile e
ingiusto che persino un dio immortale e onnipotente come lui non possa
fermare il tempo, non possa sfuggire al legame che ha con i mondo di
sotto.
E infatti eccolo, il richiamo del regno dei morti, la terra che pulsa
sotto i suoi piedi, come se stesse bussando per richiamare la sua
attenzione, come se scandisse gli istanti che gli rimangono sotto il
cielo, un conto alla rovescia, i battiti di un cuore che non ha mai
avuto, che non ha mai udito, perché il cuore pulsante
è dominio della vita e di conseguenza Kiyoomi non ha mai
potuto sperimentare quella felicità che si nasconde dietro
il suono caldo e rassicurante dei battiti contro le costole.
Kiyoomi ha paura. Ha paura perché ha scoperto cosa significa
non essere soli, e ha paura che quella con Shouyou non sia stata altro
che una parentesi fuggevole come una stagione.
Il terreno, dentro di lui, vibra sempre più incalzante.
"Devo tornare indietro," gli dice.
Vieni con me, vorrebbe dirgli, vorrebbe ordinargli. Ne avrebbe il
potere, potrebbe costringerlo, potrebbe obbligarlo, perché
Kiyoomi è più forte di Shouyou, le sue ombre sono
più forti dei fiori che sbocciano, potrebbe imprigionarlo
per sempre con lui, dentro il suo regno, nel suo palazzo.
Però non dice nulla. Non lo farebbe mai. Non
diventerà mai egoista come gli dei che l’hanno
condannato, e non toglierà mai la libertà a
qualcuno che invece l’ha fatto sentire così
diverso, così tiepido.
La terra sotto di loro tambureggia con più veemenza, in una
crescente impazienza di riavere indietro il proprio signore, di
ingoiarlo.
Kiyoomi lascia un bacio sulla fronte spruzzata di lentiggini di
Shouyou, prima di staccarsi dal suo corpo. Shouyou, rapido come uno
scoiattolo, scatta in piedi e si aggrappa al suo polso.
"Lasciami," dice Kiyoomi. "Devo tornare indietro."
"Non voglio trattenerti," gli spiega Shouyou. "Voglio venire con te. Ma
ho la sensazione che se non venissi con te adesso, che se ti lasciassi
andare… tu non mi permetteresti più di entrare."
Kiyoomi non risponde.
"Mi disprezzi?" gli domanda quindi Shouyou con un tono urgente, senza
lasciare andare il suo polso. "Non voglio infastidirti. Non voglio
costringerti se non mi vuoi."
"Non è quello," lo interrompe subito Kiyoomi. Certo che lo
vuole. "È solo che tu non sei adatto per essere sepolto
sottoterra. Non è… non è giusto."
Tu incarni la vita, sei
fatto di luce. Io uccido tutto quello che sfioro e sono fatto di ombra
e di lacrime. Perché qualcuno come te dovrebbe scegliere
qualcuno come me?
"Non puoi pretendere di sapere se i miei sentimenti siano giusti o
sbagliati. Non hai il diritto di giudicarli." Gli occhi di
Shouyou lampeggiano, infine il suo sguardo si ammorbidisce.
"Perché ti è così difficile credere
che mi piaccia stare con te? Che mi piaccia il tuo mondo?"
Perché quando
i morti arrivano, si trascinano dietro il peggio. Si trascinano dietro
la rabbia, l’invidia, l’ira e la corruzione. Il mio
palazzo è fatto di quello. Io sono fatto di
quello.
"Sei bellissimo," continua Shouyou invece. E Kiyoomi vede che lo guarda
come guarda i suoi fiori. "Lasciami venire con te. Ti prego."
Kiyoomi esita, si affonda le unghie nei palmi, sotto di loro il terreno
si spalanca, pronto a reclamarlo. Shouyou si stringe a lui,
perché vuole seguirlo nel vuoto. Kiyoomi dovrebbe liberare
il braccio, liberare Shouyou.
Invece se lo stringe al petto, Shouyou sorride nella curva del suo
collo, e Kiyoomi permette all’ombra di ricucirsi sopra di
loro.
Shouyou resta. E con lui restano i fiori che spuntano ovunque e i
tralicci dei rampicanti che pendono dal soffitto. Shouyou resta e
aggiunge profumi e colori al suo regno fatto di ombra.
Poi l’inverno finisce. E un giorno, Shouyou lo guarda negli
occhi e gli dice: "devo tornare di sopra. Devo portare la primavera."
Kiyoomi annuisce, e all’improvviso la gola si secca, e
qualcosa - qualcosa di crudele, graffiante come sabbia di vetro - lo
spinge per un istante a domandarsi: e se glielo impedissi? Se gli
proibissi di andar via?
Si impone tuttavia di soffocare immediatamente quella voce velenosa,
vergognandosi anche soltanto di aver permesso a quel desiderio
agghiacciante di prendere forma.
"Va bene," gli dice.
Grazie, vorrebbe
aggiungere, per quello
che mi hai fatto scoprire.
Shouyou sorride. Kiyoomi è certo che abbia ascoltato tutti i
suoi pensieri.
"Tornerò," aggiunge poi, e Kiyoomi annuisce, anche se non ci
crede.
Shouyou scompare. Kiyoomi torna ad amministrare i prati di asfodelo con
dedizione, accogliendo gli spiriti che giungono dal fiume Acheronte,
mentre Cerbero, un po’ più mogio del solito, fa la
guardia affinché nessun vivo entri e nessun morto esca.
I fiori, comunque, non se ne vanno. Kiyoomi presta attenzione a non
toccarli, e quelli continuano a crescere e ad affondare le radici nella
terra.
Shouyou gli fa un altro regalo: gli lascia la password di Netflix. E
Kiyoomi dopo essersi visto tutte e nove le stagioni di How I Met Your
Mother, si ritrova abbonato a tutte le piattaforme streaming esistenti
sulla faccia del pianeta. E pensa che l’idea dei cinema
all’aperto non sia così male, dopotutto.
E poi, all’improvviso, Cerbero lo sveglia leccandogli la
faccia e guaendo disperato. Kiyoomi apre gli occhi e percepisce un
profumo familiare.
Kiyoomi spalanca la porta e trova Shouyou che sorride
dall’altra parte, luccicante come la luce del sole.
"Ciao," gli dice, cinguettando. "Ciaaaao," ripete a Cerbero,
accucciandosi per accarezzarlo.
Kiyoomi vede i boccioli azzurri incastonati fra i capelli. Questo è amore,
pensa sconvolto.
Poi si accuccia pure lui e lo abbraccia, vita e morte di nuovo insieme.
E un cane.
*
Note:
Grazie per aver letto, se avete vomitato per l’eccessivo
fluff MI DISPIACE, mamma mia una roba smielatissima ma volevo il
comfort..... il tepore.... INSOMMA. Grazie davvero per essere
arrivat* sin qui !!!! Il titolo di questa storia è preso da
un'altra poesia di Emily Dickinson.
Alla prossima, con l’augurio di tornare con qualcosa di
decente, e buona giornata!
See ya! ♥
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