"She
was a prism
through
which sadness
could
be divided
into
its infinite spectrum."
-
Jonathan Safran Foer -
Lost
days
(2011)
A
letter to my future self, am
I still happy? I
began;
Have
I grown more pretty, is Daddy still a good man?
Am
I still friends with Colleen? I'm sure that I'm still laughing
Aren't
I? Aren't I?
L'ha
ignorata fino a quando ha potuto.
Ha
lasciato che diventasse grigia di polvere sul fondo della sua
valigetta, dietro una pila di libri, nascosta sotto gli ultimi
risultati del trial sul virus.
Ha
provato a dimenticarla - non c'è riuscita.
Ha
tentato di bruciarla - l'ha recuperata dalle fiamme con mani
concitate, frenetiche.
"Master
Alex."
L'aroma
del caffè nell'aria - una miscela arabica forte, robusta.
Il
dolce della crema alla vaniglia, l'aspro dei lamponi che vi si ergono
sopra come tanti piccoli soldatini rossi.
Stuart
le concede un breve cenno di commiato, scivola con lo sguardo
sull'orizzonte, dove una tempesta gonfia l'oceano, il cielo.
Alex
stringe tra le dita tutto ciò che resta di lui.
1987
"Ci
affiancano una nuova ricercatrice."
"Uhm."
William
dondola all'indietro sulla sedia, lo studia in tralice.
"Magari
è simpatica."
Wesker
regola il fuoco del microscopio, annota qualcosa nel foglio alla sua
destra.
"Oppure
una stronza di prima categoria; anche se trovo difficile superarti,
Al."
Schiocca
la lingua contro il palato, estrae dalla tasca del camice una
barretta ai cereali e cioccolato bianco; davanti a loro il nome A.
Fayer significa
ancora tutto e niente.
1987
Alexandra
Fayer,
si era presentata.
Capo
ricercatrice del progetto virus T,
il suo incarico.
William
si era scrollato nelle spalle, trovando la sua ironia pungente, ma
decisamente
più
gradevole di quella di Albert.
Annette
all'inizio si era tenuta alla larga, salvo poi sviluppare una strana
complicità
basata su turni di notte massacranti e confidenze inaspettate.
"Non
è male." ribadisce Birkin, passandosi una mano tra i
capelli.
"Sa
fare il suo lavoro."
William
sospira - che
piaga che sei, Al -
scarta un cioccolatino ripieno alla nocciola.
"Peter
ne è già innamorato."
Silenzio.
"Quello
del livello -3."
"Avevo
capito; non sono stupido quanto te."
"Ah.
Ah.
Molto divertente, Al, sul serio: avresti potuto fare il comico in
un'altra vita."
"Me
lo dicono tutti."
Birkin
gli regala un ossuto
dito medio, saltella con il ginocchio sotto il piano della scrivania.
La
dottoressa Fayer fissa entrambi e sorride.
1987
"Vi
assomigliate."
Glielo
dice proprio Peter,
quello del piano sopra.
Alex
solleva appena il viso dall'insalata di pollo in cui sta rovistando
con la forchetta, lo fissa.
Un
sorriso asimmetrico, gli incisivi separati da un leggero diastema;
Peter la osserva da dietro una massa ribelle di capelli neri, ricci
fin quasi essere troppo.
"Posso?"
le chiede, sedendosi davanti a lei.
Alex
tace, il coltello sospeso sopra un pomodoro e una foglia di
radicchio.
Peter
intreccia le dita davanti a sé, inclina il mento verso destra
- all'indirizzo di Wesker.
"Tu
e lo stronzo; vi assomigliate."
Alex
lancia un'occhiata di sfuggita al tavolo poco più in là,
dove Birkin sta bevendo un cioccolato al latte direttamente
dal
cartone - sulla cravatta macchie di crema e zucchero a velo.
"Voglio
che lo controlli, Alexandra."
"Non
sarete mica parenti, per caso?"
"Che
studi le sue mosse, i suoi progressi."
Peter
allunga la mano verso il suo polso ed è l'istinto a reagire
ancora prima che la mente - la
Bestia.
"E
che gli sia di... stimolo.
Deve migliorare. Di più. Ancora. Sempre."
Peter
libera un gemito sorpreso, ritrae la mano di scatto - lungo il dorso
un taglio trasversale e rossastro.
Wesker
e Birkin si voltano, le rivolgono uno sguardo annoiato il primo,
attento il secondo.
Sotto
le luci della sala mensa il coltello brilla
di
una luce malevola e accecante.
1987
C'è
qualcosa in lei che lo disturba.
Non
saprebbe dire cosa,
ma è una sensazione che gli stritola
le
viscere, le rende molli, cedevoli.
Si
era presentata come una dottoressa brillante e sicura di se stessa;
mostrava poi inaspettati lati infantili, quasi fragili.
Wesker
la osserva digrignare i denti, intestardirsi
su un grumo di cellule che non ne vuole proprio sapere di reagire
positivamente all'inoculazione.
Scivola
con lo sguardo sui piccoli denti bianchi che mordono il labbro
inferiore, la curva delicata del collo teso, contratto.
È
bella, la dottoressa Fayer; pallida, algida.
Attraversata
da rabbie funeste e improvvise, che l'accendono,
bruciandole gli zigomi, gli occhi.
Lo
irrita immensamente
- lei,
il
suo modo di contraddirlo, le sue continue
obiezioni
su tutto.
Alex
sbatte il pugno sulla scrivania, rovesciando la tazza vuota.
Sì,
è bella Alexandra Fayer - così bella che il pensiero di
una scopata lo vale.
Il
ricordo della mano di Peter è ovattato da una voglia che gli
risale le cosce e stringe.
(2011)
Hey
there to my future self, if you forget how to smile
I
have this to tell you: remember it once in a while
ten
years ago your past self prayed for your happiness,
please
don't lose hope.
Rompe
il sigillo in ceralacca, spezza
il
serpente in due - dà voce a un uomo ormai morto.
Alex
si umetta le labbra, tossisce - ascolta i polmoni accartocciarsi in
loro stessi, tra le costole.
Liscia
un angolo piegato verso il basso, inspira - comincia la sua lunga
discesa per il viale dei ricordi.
Sushestvovanie
è livida di pioggia e neve, grovigli umidi e gelidi che
percuotono la Torre, le sue mura.
Alexandra,
Alex
chiude gli occhi e comincia a piangere.
1987
"Ci
sta provando."
Birkin
si gratta una guancia, appoggia i piedi vicino alla centrifuga in
funzione.
Annette
lo riprende con lo sguardo, spingendolo più in là -
riportandolo con le scarpe per terra.
"Chi?"
ribatte lui, imbronciando le labbra in una smorfia che le ricorda
Sherry quando viene mandata a letto senza dolce.
"Albert."
William
la fissa, non capisce.
"Albert.
Con Alex." specifica Annette, puntandogli la penna contro.
"Ah.
Aaaaaah,
sì. Giusto."
Birkin
aggrotta le sopracciglia e Annette può chiaramente
scorgere
quel suo brillante cervello lavorare
-
compiere uno sforzo sovraumano per comprendere.
"Dici?"
Annette
sospira, accavalla le gambe.
"Ne
sono sicura."
"Ma
lui ci prova con tutte."
"Appunto."
Birkin
sembra soppesare l'informazione, scomporla - si scrolla poi nelle
spalle, decidendo che non è di suo interesse.
Estrae
una caramella al caffè dalla tasca del camice, la scarta; alle
sue spalle Wesker intreccia il primo filo di una storia che
condannerà tutti loro.
1987
"Sei
un coglione."
Silenzio.
"Questi
risultati sono sbagliati."
Birkin
socchiude la bocca, incredulo; Wesker solleva il viso dal
microscopio, la fissa - neutro.
Alex
sbatte
il plico di fogli che stringeva tra le mani sulla sua scrivania,
stizzita.
"Ho
dovuto rifare tutto daccapo."
"Non
sono sbagliati."
"Certo
che lo sono."
"Impossibile."
Alex
incrocia le braccia al petto, raddrizza le spalle - lo sfida.
"Stai
forse dicendo che io
sto
sbagliando."
"Sì."
"Non
credo proprio."
Wesker
si alza, sovrastandola.
"E
dove sarebbe l'errore, di
grazia?"
Alex
si flette verso destra, sfoglia la documentazione - punta poi il dito
a pagina cinque, paragrafo sei.
"Qui;
quella proteina non può comportarsi così.
Sei
partito da un presupposto biologico sbagliato."
Wesker
si sistema gli occhiali sulla punta del naso, controlla - schiaccia
le labbra in una piega contrariata.
Birkin
trattiene il fiato, sgrana gli occhi - si prepara a scattare, incerto
se verso la porta o verso di loro.
Alex
solleva il mento, nell'aria un vago profumo d'argan e karitè.
Wesker
si toglie gli occhiali, ripiegandoli con cura e mettendoli nel
taschino del camice; le rivolge poi un sorriso di plastica, che non
raggiunge gli occhi - da lupo.
"Le
mie scuse, dottoressa
Fayer;
devo essermi distratto."
"Controlla
meglio, la prossima volta. Se
ci sarà, vista la tua incompetenza. Sono stanca di rimediare
ai tuoi errori."
Lo
farò per tutta la vita, Albert; anche quando di te non rimarrà
che polvere e cenere.
Wesker
posa lo sguardo sulla carotide pulsante di Alex e prova la voglia
viscerale
di
mordere e strappare.
1987
Cinque
mesi e due giorni; da tanto Alexandra Fayer è entrata nella
loro routine lavorativa.
William
si siede di fronte alla sua postazione, spostando di lato la tastiera
del pc.
Alex
alza un sopracciglio, lo fissa - interdetta.
Birkin
le rivolge un sorriso sghembo, furbo;
estrae
una merendina dalla tasca del camice, ne stacca un generoso pezzo,
masticando con gusto.
"Alex."
"Dottor.
Birkin."
William
ride, sparge briciole di biscotto ovunque
-
sulla scrivania, negli interstizi della poltrona - le batte la mano
aperta sulla spalla una, due, tre
volte.
"Oh,
Alex;
quanta formalità. Puoi chiamarmi Will, sai?"
Alex
posa lo sguardo sulla mano di Birkin - sporca di cioccolato, ancora
appoggiata
sul suo blazer bianco - tace.
"In
fondo..." mormora, avvicinandosi "... sei una di famiglia
adesso, no?"
Diventagli
amica, Alex. Comprendilo. Sii la sua ombra - ciò che i miei
occhi non possono vedere.
Dall'altra
parte del laboratorio Wesker studia la sua espressione in silenzio.
1987
"Correte!"
Annette
si solleva di colpo dal microscopio, segue con lo sguardo suo marito
attraversare il laboratorio come se avesse il demonio alle calcagna.
"Correte,
ho
detto!" urla di nuovo William, la cravatta rossa sventolata come
una sorta di bizzarra e ridicola
bandiera.
"Cosa
diavolo
hai
combinato questa volta?" tuona Annette, afferrando alla rinfusa
fogli scarabocchiati e documenti stampati a metà.
Alex
aggrotta le sopracciglia, apre la bocca e...
Sbam.
"Cazzo."
Wesker
si volta - molto
lentamente
- Alex con lui.
"L'avevo
detto io
che
i topi erano una pessima idea." chiosa Birkin, serissimo.
Davanti
a loro trenta chili di roditore pesantemente
modificato dal virus T li fissa e ringhia.
(2011)
Oh,
oh what a pair me and you,
put
here to feel joy, not be blue,
sad
times and bad times see them through,
soon
we will know if it's for real what we both feel.
Il
dolore è pesante.
Il
dolore è piombo fuso che si accomoda tra le tue viscere e lì
rimane - strattona
verso il basso e non smette mai.
Il
dolore è una sensazione paradossale - anestetizza mentre
brucia.
Alexandra,
se
stai leggendo questa lettera significa che ho fallito.
Il
vento si alza lungo le coste dell'isola, ruggisce - frusta la terra
brulla dei faraglioni che si ergono a guardiani della Torre.
Significa
che ho perso; che l'Uroboros è stato un insuccesso.
Un
terribile sbaglio.
Stuart
la fissa con le mani congiunte davanti a sé, sul tavolino
vicino una tazza di caffè caldo e un vassoio coperto.
Non
osa
interrompere
il suo silenzio, perché dalla curva contratta delle spalle
comprende.
Vede.
Alex
si flette
verso
il pavimento, nella stanza solo il crepitio del fuoco e quello della
carta stropicciata.
Il
dolore è un'assenza che trascina con sé ogni presenza.
1987
Aleksandra:
questo
il suo vero nome.
Spencer
studia il volto di Astra, posa poi lo sguardo su quella figlia che
le avevano strappato
ancora
in fasce - identico.
Astra
Volkonskij, questo il suo titolo.
Un'aquila
nera in campo dorato, questo il suo stemma - a fianco un angelo di
bianco vestito in campo blu.
Vladimir
gli aveva assicurato che sarebbe stata una candidata perfetta
per l'esperimento, e così era stato.
O
quasi.
Alex
lo fissa dalla parte opposta della scrivania, aspetta.
Spencer
richiude quel fascio di foto nel cassetto - nomi, date di nascita,
parametri vitali, segreti
-
intreccia le dita tra loro, appoggiandole sul vetro del tavolo.
"Come
procede il soggetto #13?"
"Bene.
Le sue prestazioni sono ottimali."
"Me
ne compiaccio. Ti stai ponendo verso di lui come un avversario degno
d'essere
sconfitto e superato?"
"Certamente,
padre; come mi avevate ordinato."
Spencer
annuisce un paio di volte, torna con lo sguardo sul profilo di Alex -
su quella bambina fattasi donna che era già morta e tornata
ben due
volte.
La
mia creatura.
"E
il soggetto risponde come dovrebbe?"
"Mostra
segni di narcisismo patologico; è un manipolatore seriale e
non accetta d'essere inferiore a nessuno. Crede d'avere il diritto di
controllare e possedere gli altri e sfruttarli senza alcun senso di
colpa. Sotto il suo fascino è possibile riscontrare una natura
fredda e spietata, priva di scrupoli."
"Perfetto."
Alex
accavalla le gambe, solleva il mento - raddrizza la schiena.
Regina
della polvere, signora del nulla.
"Nell'ambiente
si distingue per avvenenza fisica e modi gradevoli, per la buona
posizione sociale e professionale che offre e di cui non si vergogna
a fare alcun sfoggio. Fa leva sulla propria bellezza per manipolare i
membri femminili dello staff e farli aderire ai suoi obiettivi."
"Instaura
con loro relazioni durature? Che possono in alcun modo rallentare la
sua evoluzione?"
"No,
padre. Alcune sono state ricollocate
subito
dopo la fine della relazione."
Spencer
tamburella con l'indice sul bordo della scrivania, ascolta, assorto.
"Tuttavia
mostra anche segni di una natura dispotica e arrogante. Possiede un
atteggiamento spesso autoritario; umilia le persone con cui si
relaziona fino a che queste non si espongono più per paura
delle sue reazioni. Il soggetto #13 è sicuro che il suo punto
di vista sia unico e assoluto, non ha alcun riguardo verso gli stati
d'animo e la vita altrui. Non rispetta le regole che valgono per gli
altri, anzi: impone le proprie. Le crea."
"Quello
per cui siete stati allevati, mia cara."
"Posso
entrare, mia cara?"
Alex
trattiene una smorfia, la ingoia
-
affila il proprio rancore, la propria rabbia.
Spencer
sospira, fissa il muro borgogna davanti a sé.
"C'è
altro?"
"No."
"Bene.
Sei congedata."
Alex
si alza, flettendosi leggermente in avanti -
prostrandosi a
un padrone che presto sarà vittima e
schiavo;
il virus è una bestia che accumula tutto quell'odio e ne fa la
sua arma più bella.
1987
Un
biglietto in carta rosa e dal profumo di ciliegia.
Alex
lo fissa interdetta, stringendolo tra le dita guantate.
"Domani
sarà il compleanno di Sherry."
Annette
si appoggia con il fianco al bancone, abbozza un sorriso.
"Compie
un anno."
"Congratulazioni."
"Io
e Will daremo una piccola festa."
"Sembra
divertente."
"Oh,
non lo è: per niente."
Alex
solleva lo sguardo su Annette, la studia in silenzio - quel ridicolo
quadrato
rosa ancora stretto tra le mani.
"Genitori
curiosi. Bambini urlanti. Che si pisciano addosso e piangono. Una
torta gigante a tre piani di panna e mascarpone - la preferita di
Will; Sherry è ancora troppo piccola e ho come l'impressione
che preferisca il salato; così, giusto per fare dispetto a suo
padre."
Alex
si umetta le labbra, ruota il biglietto - siete
invitati al mio primo anno di vita! -
in sottofondo in quieto ronzio del dispersore.
"Ognuno
porta qualcosa, scegli tu. Ma niente dolci: Will è già
troppo vicino al diabete."
Il
sorriso sdentato di Sherry è quanto di più innocente
abbia mai toccato negli ultimi anni.
1987
È
piccola, Sherry.
È
una bambina spettinata che stringe la cravatta di suo padre come
fosse un trofeo - un cuore onesto, sincero.
Sorride
alla macchina fotografica, le guance sporche di panna rosa e glitter.
William
si sovrappone crudelmente al suo profilo - genio mai cresciuto, un
ragazzino nel corpo di un uomo ossessionato e devastato dalla propria
ambizione.
Annette
si affianca a loro all'ultimo secondo, rimane impressa nella
pellicola mentre si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio e
bacia la tempia di Sherry.
Alex
studia William attaccare la foto allo schermo del suo pc con del
nastro adesivo blu, allontanarsi dalla postazione e annuire con se
stesso, soddisfatto del risultato finale.
"Siamo
proprio una bella famiglia." cinguetta, allontanandosi poi verso
la macchinetta del caffè.
Alex
incrocia gli occhi di Albert e tace.
1987
Annette
la trova seduta in una delle panchine nel cortile esterno, l'affianca
in silenzio.
"Grazie."
Alex
rimescola la sua insalata verde senza convinzione, annuisce
bruscamente.
"Sai,
non può ancora guidare una bicicletta, ma immagino lo farà
presto."
"Non
sapevo cosa prenderle."
"È
stato un bellissimo pensiero."
"Non
ho mai avuto a che fare con un bambino così piccolo; per me
sono tutti uguali. Piangono, dormono, espletano."
E
Annette riderebbe
alle
parole di Alex - alla loro stranezza - se non vi leggesse dentro
qualcosa
di pesante, che c'è ancora.
"Posso?"
Alex
si scrolla nelle spalle, accetta Annette al suo fianco - il tepore
del suo corpo, il suo profumo floreale, rassicurante.
Anni
dopo quello sarà l'ultimo, autentico,
ricordo che rimarrà di lei.
(2011)
Though
I can't know for sure how things worked out for us,
no
matter how hard it gets, you have to realize:
we
weren't put on this earth to suffer and cry,
we
were made for being happy;
so,
be happy, for me, for you, please.
Non
ti chiederò scusa,
Alex
inspira, si stropiccia le palpebre gonfie - occhi iniettati di
sangue, da cui cadono lacrime sporche, nerastre di malattia e
morte.
perché
ero convinto d'avere successo: di vincere.
Il
caffè è ormai diventato freddo, fuori
le
asperità di Sushestvovanie sono state smussate dalla neve e
dal ghiaccio.
Forse
è stata colpa di Irving; magari di Excella.
Gli
infetti continuano a crescere, gli esperimenti a masticare vite su
vite - soffi di mortalità che regalano a lei
la
possibilità di scappare
e
trascendere.
Oppure
mia.
Una
folata di vento colpisce la vetrata del loft, facendola sobbalzare.
Alex
stringe istintivamente la lettera tra le mani, stropicciandola; la
donna che le restituisce lo sguardo è uno scheletro consumato
dalla disperazione.
1987
L'ha
studiata a lungo.
L'ha
osservata da lontano, memorizzando le sue reazioni, la prossemica di
un corpo esile, che potrebbe quasi
spezzare.
Alexandra
Fayer ha fatto altrettanto - ne è sicuro.
Ha
sorvolato sulla dottoressa Werman, su Martha e anche su Abigal.
Ricollocate,
eh, aveva
chiosato William, ridacchiando; come
no, Al; come no.
E
non era una novità per il loro piccolo e deviato
gruppo; ai tempi di Alexia il buon vecchio Will ne aveva ammazzati di
ricercatori - abbastanza da riempire due stanze di smaltimento
rifiuti biologici e barili di sangue e viscere.
E
Annette: oh, Annette.
Wesker
posa lo sguardo sulla moglie di William - occhi cerchiati di scuro e
una dipendenza d'ansiolitici che si sta avvicinando pericolosamente
al
limite.
Annette,
che amava un bambino mai cresciuto.
Annette,
che ricattava, ingannava, uccideva.
Annette,
che accarezza i capelli di William con una smorfia a metà tra
il disprezzo e l'amore.
Annette,
Annette, Annette
- l'unica ad avergli chiuso gambe e bocca.
Non
che ti sia mai interessata davvero,
mormora Lui - un languore a basso ventre, un ruggito nelle tempie,
tra le costole.
Peggiorato
da quando c'è lei.
Wesker
si accende la terza sigaretta della mattina, nell'aria l'odore acre
del tabacco e quello acido dei conservanti chimici.
Il
virus di Alex si avvicina a quello di Albert e rovista.
1987
O
non si parlano, o scendono in guerra.
Non
hanno vie di mezzo il dottor. Wesker e la dottoressa Fayer, e questo
l'hanno imparato molto bene tutti.
Tra
le rovine del laboratorio William raccoglie ciò che resta di
un paio di piastre, due microscopi, forse una centrifuga.
Wesker
è seduto nell'angolo più buio della stanza, una mano
sul viso e l'altra chiusa a pugno sulla coscia.
"Occhio
o mento?"
"Fottiti,
Will."
"Occhio,
allora."
"Tutti
e due." bercia Alex, seduta due postazioni più in là.
Birkin
sospira, melodrammatico.
"Che
primedonne che siete."
"Ha
parlato la Butterfly dei miei coglioni."
"Non
c'è bisogno d'essere così offensivi, Al."
"Già,
Al:
non
c'è bisogno di offenderlo. Non ne ha colpa lui se sei un
imbecille
su
scala mondiale."
"Crepa,
stronza."
"Magari.
Magari;
così
non dovrei più vedere la tua faccia da cazzo ogni giorno."
"Ti
mangiasse uno dei cerberi giù nelle gabbie."
Alex
solleva il dito medio verso Wesker, dà le spalle a entrambi.
William
scuote la testa e si chiede cosa
succederà
quando.
1987/1988
"Sei
qui."
Wesker
solleva appena lo sguardo dai filmati che sta visionando, tace.
Alex
lo fissa dalla soglia delle doppie porte rinforzate, un plico più
grande di lei contro il petto e in cima un contenitore di cibo
d'asporto.
"Pensavo
fossi uscito a festeggiare; il tuo turno è finito tre ore fa."
Wesker
torna a guardare lo schermo del televisore, la ignora.
Alex
inspira con forza, avanza verso la sua scrivania, appoggia il tutto
in un tonfo sordo, seguito poi da una bestemmia trattenuta.
Wesker
studia le immagini dell'ultimo trial sugli insetti senza un reale
interesse, ascolta i rumori alle sue spalle - il cigolio della
poltrona girevole, la plastica del contenitore che viene aperta,
l'odore di salmone affumicato che riempie l'aria.
"Hai
mangiato?"
"Non
sono un bambino."
Alex
si ritrae in se stessa, e sono questi
i momenti in cui Albert intravede la fragilità che si nasconde
sotto
la sua arroganza - dietro una pelle fredda e pallida.
E
lo fa solo con lui, Alex. Non è stupido: l'ha notato.
Nulla
la
colpisce davvero, se non quando lui
affonda
- e morde, allora, la dottoressa.
Contrattacca,
e non ha paura di farsi male - non ha paura di lui.
"Bene."
Percepisce
la forchetta che affonda nella carne tenera del salmone, l'aroma del
limone appena spremuto - origano e rosmarino.
L'orologio
segna le undici e cinquantasei di sera - quattro minuti al nuovo
anno.
Alex
mastica lentamente, dandogli le spalle e sfogliando gli appunti che
le ha lasciato William - un insieme confuso di formule e faccine
sorridenti o tristi per sottolineare i risultati.
Crick.
"Però
gradirei la torta al caffè che nascondi nel secondo
contenitore."
"Ne
ho una sola fetta."
"Mi
hai chiesto se avevo fame."
Alex
alza un dito verso di lui, puntualizza.
"Non
è esatto: ti ho chiesto se avevi mangiato, non se volevi un
dolce."
Wesker
si protende oltre di lei, afferra il contenitore - lo sistema nel
mezzo della scrivania.
"Non
vedo alcuna differenza; ho mangiato e
ho
fame."
Alex
lo fissa mentre solleva il coperchio azzurro, dietro di loro i numeri
in rosso segnano quasi mezzanotte.
Le
porge una seconda forchetta in plastica, occhi nudi - privi delle
solite lenti scure.
Curiosi.
"Buon
anno, dottoressa Fayer."
"Alex."
replica lei, e gli ultimi secondi dell'anno scorrono via in fretta,
senza riguardo "Puoi chiamarmi Alex."
Wesker
annuisce, ripete il suo nome - lo arrotola sulla lingua, provandolo,
tastandolo.
Il
nuovo anno accoglie quell'improbabile pace nel silenzio di un
laboratorio deserto.
1988
È
la prima volta che succede.
No.
Le
parole di William si fanno confuse, il volto di Annette grottesco -
contorto.
Non
adesso.
Lo
stomaco si accartoccia, i polmoni collassano - il virus lotta.
Fermati.
"Alex?"
Il
Progenitore avverte il pericolo e avvampa.
(2011)
Oh,
oh what a pair me and you,
put
here to feel joy, not be blue
sad
times and bad times see them through,
soon
we will know if it's for real what we both feel.
Dicono
che piangere liberi l'anima, ma per Alex le lacrime sono pesanti -
acide.
Corrodono
la pelle, i pensieri, lasciandola nuda dinnanzi una solitudine troppo
grande per essere combattuta da sola.
Stuart
si torce le mani tra loro, ansioso - preoccupato.
Il
caffè giace rovesciato sul tappeto bianco, la carne sotto il
coperchio d'argento marcia - morta.
"Master
Alex."
Comunque
sia andata, Alex, io non ci sono più.
Il
gemito che le fuoriesce dalla gola è patetico e raggelante
allo stesso tempo.
1988
Stai
morendo; gli esami parlano chiaro, le
sussurra il virus, e
io ne sono la causa.
Will
alza la mano verso di lei, Annette sorride.
"Bentornata;
immagino che quei tre giorni di riposo ti abbiano fatto bene."
Alex
posa lo sguardo su Annette, risponde al suo sorriso - indossa la sua
maschera migliore, quella più bella.
"Nessun
problema, padre: un banale calo di zuccheri."
"Una
meraviglia."
"Ah!
Comodo!
Solo perché siete due donzellette che venite dalla campagna
sul calar del sole e in difficoltà e zac!
L'azienda
vi regala tre giorni di riposo pagati."
Annette
fulmina suo marito - ma
taci, idiota, che a breve mi andrai in coma per un picco glicemico
- Wesker lo ignora, ma è su di lei che concentra tutta la sua
attenzione.
"Bene;
lo studio del soggetto #13 non può essere disturbato da altri
inconvenienti."
Perché
questo era Alex: un inconveniente. Un inciampo nel suo dorato
percorso
vero l'immortalità. La figlia disgraziata. La puttana redenta.
La bambina umiliata.
Nulla
più che un granello nel perfetto ingranaggio che era invece
Albert Wesker.
Alex
stringe al fianco la borsa - Gucci, collezione Ophidia, camoscio e
pelle nera - inspira - mente.
Cosa...?
Il
virus di Albert si sveglia e la fissa.
1988
L'attrazione
sessuale è una delle componenti fondamentali
nell'evoluzione
di una specie: persino le B.O.W. meno raffinate ne erano provviste.
Per
notti intere William aveva osservato i cerberi femmina dominare
quelli maschi - le api regnare incontraste dal fondo del loro
alveare.
Si
erano mutilati
a vicenda i maschi degli hunter per avere in premio la femmina
migliore - ondate di ferormoni che il delicato olfatto di Alex aveva
colto come la peggiore delle puzze.
Sbavavano,
i cerberi, dalle loro gabbie d'acciaio e polimeri termoplastici -
graffiavano le pareti, i loro simili.
Alex
irrigidisce un muscolo sotto la mandibola, ascolta il suo intero
sistema rispondere - ricettivo.
"Uhm."
annota Birkin "A quanto pare vanno ancora in calore."
Alex
s'inclina appena in avanti, alza un sopracciglio - nell'aria solo il
frenetico ansimare del soggetto B-03.
"Ma
non possono riprodursi: il virus T ha spogliato le femmine di questa
possibilità."
William
si scrolla nelle spalle, tamburella con la matita mezza masticata sul
labbro superiore.
"Non
è del tutto esatto, Alex."
Uno
dei cerberi schiocca le mandibole verso di loro, guaisce - la
riconosce.
"Uh
oh, ne abbiamo uno aggressivo, qui." ridacchia William,
arretrando appena.
Alex
rimane immobile, avanza - spinge
tra
le sinapsi del cane il virus, lo costringe
alla
resa.
"Dicevi?"
"Eh?
Ah, sì." Birkin si schiarisce la voce, fissandola da
sotto in su "Il virus le uccide, questo è vero. E, come
ben sappiamo, un morto non può procreare. Non
ancora.
Eppure ho rilevato una modesta quantità di attività
ormonale nelle loro ovaie; persino lo spessore dell'endometrio va
incontro a modificazioni mensili."
Alex
mantiene lo sguardo fisso sulle gabbie di contenimento, tace.
"Anche
perché il virus modula i propri stimoli sulla secrezione di
ferormoni. Attacca o riproduciti. Da questo punto di vista sono le
femmine le più pericolose della specie, quelle con lo scettro
del potere."
William
le assesta una gomitata al fianco, facendole l'occhiolino.
"Che
figata, eh Alex?"
Gli
occhi lattiginosi del cerbero non l'abbandonano per un solo fottuto
istante.
1988
Tutto
crolla in un mese.
Tutto
si crea.
Alex
viene sollevata sul bancone del laboratorio, schiude le cosce -
morde.
È
morbida la sua bocca, l'opposto di quello che si era aspetta.
È
vorace - esigente.
Sempre
piegata in una smorfia contraddetta, distesa in un sorriso derisorio;
contro la sua brucia,
liberandola.
Il
virus si dispiega tra le sue cellule come un grandioso
arco nerastro e rosso, pulsa
- nelle tempie, tra le gambe.
La
dipendenza da farmaci di Annette sta peggiorando, l'umore di William
è prossimo all'isteria.
E
loro invece brillano
- signori di un nuovo mondo, dèi della polvere.
Wesker
le stringe i capelli della nuca, tira
- la conduce verso di sé, piegandole il collo in una curva
quasi dolorosa.
Alex
si aggrappa alle sue spalle e affonda.
1988
C'è
qualcosa
che
lo guida verso di lei - un rumore di sottofondo, un brusio che lo
tiene sveglio la notte, tra le cosce di altre donne.
Gennaio
regala loro le ultime gelate dell'inverno - nevicate improvvise e che
tingono Raccoon City di bianco e grigio - e nel mentre Alex lo cerca
come una ragazzina alla sua prima cotta.
Sarebbe
quasi inbarazzante; quasi,
se non fosse che è così anche per lui.
Quanto
sei caduto in basso.
E
quel qualcosa
continua
a tormentarlo, a non dargli pace.
Lo
bacia come se fosse l'unica cosa al mondo - come se l'avesse fatto
mille e mille altre volte - salvo poi ritrarsi all'improvviso, negli
occhi uno strano miscuglio di curiosità e paura.
Ha
venticinque anni, Alex, ma ne dimostra almeno il doppio quando parla
- come tutti loro, in fondo.
Ha
venticinque anni e la morte nel cuore, sulle mani, eppure,
quando è con lui, si trasforma.
Muta,
senza cambiare mai.
E
sono ragazzi, direbbe qualcuno.
Sono
ragazzi che giocano a fare i grandi - bambini che hanno indossato i
vestiti di mamma e papà troppo presto.
Guardami,
guardami! Sono uno scienziato! Un astronauta! Un medico!
Alex
gli percorre la linea della mandibola in punta di lingua, geme
-
s'inarca contro il suo petto.
Anni
dopo Wesker riconoscerà quel sentimento per quella che era
stato davvero: una disperata e nuda
innocenza.
(2011)
We
were put here on this earth, put here to feel joy.
We
were put here on this earth, put here to feel joy.
We
were put here on this earth, put here to feel joy.
We
were put here on this earth, put here to feel joy.
E
mi dispiace.
La
neve ha smesso di cadere, il cielo di vomitare ghiaccio e acqua.
Mi
dispiace di non aver mantenuto la promessa.
Sushestvovanie
tace, quieta; un pugno di rocce lambite da marosi freddi, scuri.
Di
non aver potuto portare a termine quello che mi ero prefissato.
Una
lampadina penzola dal soffitto, divelta; Stuart la fissa, annotandosi
mentalmente di sistemare l'illuminazione del loft.
Di
non averti salvato.
"Sono
passati sette giorni, Master Alex."
Mi
dispiace, Alex.
"Nei
laboratori chiedono di lei."
Ma
rifarei tutto dall'inizio.
Stuart
avanza di uno, due passi; Alex gli dà le spalle, una curva
stropicciata e pallida.
E
lo sai.
Il
respiro le esce in una serie di rantoli asciutti, secchi - foglie
morte e crepitanti.
Stuart
intreccia le dita dietro la schiena, aspetta;
Alex
scivola verso le ultime righe e si abbandona all'abisso senza
rimorsi.
We
made this war - this tragic
story.
1988
Quello
che facciamo da bambini ci sembra eterno; inscalfibile.
Ciò
che abbiamo - che stringiamo
- pare non debba morire mai.
Ricorderemo
fino alla fine il nome del nostro pupazzo preferito, del gatto di
casa, persino il torto che quello della seconda fila ci fece in
quinta elementare.
Ricorderemo,
e lo renderemo infinito.
Alex
lo fissa con un misto di curiosità e voglia, le cosce
socchiuse - a dividerli solo un elaborato intrico di seta e pizzo
nero.
Albert
le bacia la linea piatta dell'addome, quella morbida del pube -
scende,
guadagnandosi le sue dita tra i capelli, un ansito strappato,
stupito.
Ricorderemo,
e ne faremo un monumento al futuro.
La
trattiene per i fianchi, spinge
- i pollici che affondano nelle piccole concavità del bacino,
la sua bocca tra le gambe (umida, vorace).
Ricorderemo,
e ci salveremo da questo presente di sabbia - da noi.
Alex
accoglie l'orgasmo e se ne lascia trasportare senza alcuna paura.
1988
"Qui
gatta
ci cova."
Annette
sospira, si passa una mano tra i capelli - l'altra
nella tasca del camice, a contare quante pillole la dividono dalla
sanità
mentale.
"Al
ha combinato qualcosa."
Spirali
di DNA senza significato, proteine anomale, bestie infernali - nel
mezzo loro,
i signori dell'apocalisse, alfieri della fine del mondo.
William
l'affianca, tra i denti una matita blu, sul volto un cipiglio
infantile - fuori luogo.
"Non
so ancora cosa, ma lo scoprirò."
Annette
posa lo sguardo sul motivo d'interesse di suo marito - Albert e Alex.
Coglie
il sorriso a mezza bocca di Alex, il modo in cui guarda Wesker -
comprende,
ma non è questo a stupirla.
No;
perché non è una novità che ad Al
piaccia
fare un po' di casino in giro - nella sostanza; non tenersi le
mutande addosso per più di cinque minuti, salvo poi regalare
un biglietto di sola andata per il
Pozzo,
come l'aveva chiamato Will.
Ricollocate,
avrebbe detto Wesker.
Ammazzate,
correggeva
Annette.
Progressi,
li chiamava invece William; nuove
cavie donate alla scienza.
No,
non è come Alex lo guarda a sorprenderla.
Ma
è come lui
guarda
lei.
Wesker
accoglie Alex sulle sue ginocchia come se fosse la cosa più
naturale del mondo.
1988
"Mi
piaci."
Alex
fissa Sherry, un pulcino spelacchiato di appena due anni e mezzo.
"Sì,
mi piaci. Mi piacciono i tuoi capelli. E le tue labbra."
Alex
continua a studiarla come se fosse uno strano insetto sbucato fuori
dal nulla, tace.
"Sei
un'amica della mamma."
"È
una domanda?"
"No."
"Ah."
Annette
alza un sopracciglio a quel ridicolo
scambio
di battute, si chiede se in quel laboratorio non sia l'unica adulta -
a giudicare dal numero di tranquillanti che butta giù ogni
giorno di più no,
ma solo la meno pazza.
"La
baby-sitter era ammalata: ho dovuto portarla al lavoro."
Alex
continua a fissare Sherry con un'intensità inquietante, Wesker
la scavalca - letteralmente.
"Ciao
zio Al."
"Sherry."
Will
finisce di annodarle il codino sinistro, raddrizza il coniglio rosa
incollato sopra l'elastico - arretra, mettendosi le mani sui fianchi
ed esibendo un'espressione molto
soddisfatta.
"E
adesso fai la brava, Sherry, che papà deve andare a
scoperchiare qualche calotta cranica."
Sherry
ridacchia, torna a fissare Alex - le sorride, mostrando una chiostra
di denti storti e un po' traballanti.
Alex
le tocca la fronte con la punta dell'indice, arrentra come scottata -
quasi
squittisce;
Annette scuote la testa, vinta.
1988
C'è
qualcosa di fuori sincrono in Alex - di asimmetrico.
Non
ha bisogno di dirle cosa
fare - come;
non deve guidarla o
imbeccarla,
suggerirle
cosa
gli piace e perché.
Si
adatta ai suoi bisogni con una velocità disarmante, esige
con la sua stessa ferocia.
È
un corpo generoso, ma egoista.
Concede,
chiede.
Scivola
con la lingua lungo la sua erezione, stringe
-
lo riduce in ginocchio; geme poi il suo nome, si schiude alle sue
mani, per
lui, morbida, arrendevole.
È
un contrasto vivente, Alexandra; un'innocenza che in pochi istanti
diventa bestia e furia.
È
una donna geniale, una ragazzina spaventata, un qualcosa
che
lo chiama dal profondo delle viscere.
Quanto
sei stupido, gli
mormora Lui.
Quanta
strada devi ancora fare per capire, ride,
Lui, e non ha forma, colore.
Albert
socchiude la bocca, libera un ansito spezzato - fissa il soffitto
bianco del laboratorio e non
è pronto quando
l'orgasmo lo colpisce.
E
mai lo sarai dinnanzi a lei.
Alex
lo bacia, sulle labbra lui
-
lei, loro;
Wesker chiude gli occhi e respira.
(2011)
Here
I stand, helpless and left for dead; close your eyes, so many days go
by.
Easy
to find what's wrong, harder to find what's right.
I
believe in you, I can show you that I can see right through all your
empty lies.
I
won't stay long, in this world so wrong.
È
un sole pallido, malato, quello che schiarisce il cielo di
Sushestvovanie.
Come
te.
Stretta
in un blazer bianco Alex fissa un orizzonte spento, morto.
Ed
è ancora bella, Alex; distante come quelle nevi improvvise di
marzo - quegli ultimi
ruggiti
di un inverno che di andarsene non ne vuole proprio sapere.
Fili
d'oro attorno al collo, lungo le maniche - Alex respira piano (sembra
non farlo affatto).
Stuart
ha buttato il contenuto del vassoio sere prima, ripulendo la stanza
attorno a lei - cercando di dare un ordine alla sua confusione
emotiva.
Non
c'è riuscito.
La
luce taglia le pareti del loft in bave traslucide, brillanti,
illumina un sorriso vuoto - occhi trasparenti, lontani.
Non
ha mai saputo per cosa vivere, Alex.
Se
non per lui.
Adesso
sa per cosa morire.
I
was here - and you with me.
1988
La
guarda come se non ci credesse neppure lui.
Alex
non ha vergogna mentre fissa la macchia rossastra che va
allargandosi tra le sue cosce - su di lui, lungo la sua erezione.
Piega
le labbra pallide in una smorfia, trattiene un gemito quando lo
percepisce spostarsi
-
gli incide piccole mezzelune di sangue nelle spalle.
E
vorrebbe dire qualcosa d'intelligente, Wesker; forse anche di sagace.
Che
la umili e lo tolga
dalla
sgradevole sensazione d'imbarazzo che Lui gli urla nelle orecchie.
Sai,
per essere una così disponibile non ti facevo ancora vergine.
Sai,
per il modo in cui me l'hai preso in bocca non pensavo che non
l'avessi ancora data via come se non fosse tua.
Alex
chiude le dita a pugno, sbattendole contro il suo petto - quasi lo
rovescia all'indietro.
E
c'è rabbia nei suoi occhi: c'è una linea sottile
d'orgoglio e vergogna - una frustrazione che Albert riconosce come
propria.
Lo
strappo
che
logora le loro esistenze da sempre.
C'è
una risposta pungente, un coltello pronto a tagliare - a ferire,
esigendo
libbre di carne e sangue.
C'è
Alex, una contraddizione vivente che si raggomitola tra le sue
braccia e lo chiama - Albert.
Lo
invoca.
Alex,
che si schiude a lui fino a quando non
fa male - che gli prende il mento tra il pollice e l'indice,
costringendolo a guardarla.
"Non
ho bisogno della tua pietà." sibila, piccola serpe
velenosa.
"Non
te l'avrei data comunque; nemmeno se l'avessi implorata."
ribatte Wesker, affondando.
Alex
snuda i denti e ride.
1988
Dal
suo trono d'ossa e spine Spencer osserva.
Dal
suo seggio putrefatto e già in rovina sogna.
Un
mondo a sua immagine e somiglianza; una purga
data
per bene, di quelle che non si dimenticano facilmente.
Stira
le labbra in un sorriso tutto denti e gengive, tamburella con le
nocche della mano sul mogano della scrivania - tump, tump, tump,
il richiamo di un vecchio.
L'assolo
di una condanna.
Patrick
gli serve il solito tè aromatizzato all'arancia della sera,
sul tovagliolo vicino un una fetta di torta Battenberg - poco
zucchero a velo, un cucchiaino di miele.
Spencer
fissa un pugno di foto sparse sul sottomano in pelle marrone - #12,
#13 - le distende come la chiusa vincente di una partita a poker.
L'Adamo
e l'Eva del suo
futuro.
Dall'altra
parte della città Alex spezza
il primo anello di una catena che l'ha uccisa troppe volte per
poterle contare tutte.
1988
La
studia in silenzio, la schiena curva, le mani congiunte in grembo.
Si
strappa una pellicina dal pollice, la schiaccia
contro l'unghia - osserva.
Alex
respira quieta al suo fianco, una curva nascosta dal lenzuolo di
cotone egiziano.
È
una manipolatrice, Alex; è una donna - ragazzina
- furba. Intelligente. Addestrata a prendersi quello che vuole.
Quando vuole.
È
come lui, Alex; l'ha saputo - annusato
-
fin dal primo momento.
È
crudele, Alex; senza scrupoli.
Ed
è questo
che non capisce, Wesker.
Il
perché.
Il
sesso è un'arma in ciò che sono chiamati a fare -
l'unica, invero, che Alex non abbia mai usato, a quanto pare.
Borbotta
qualcosa nel sonno, lo cerca
-
allunga la mano verso di lui, tastando lo spazio vuoto e
stringendogli poi il ginocchio.
Apre
un occhio - azzurro, pieno
-
ciglia pallide, fili d'oro attorno alle guance, sul cuscino.
"Dormi,
Albert." gli dice.
Dormi,
Albert, gli
dirà - quando la follia se lo sarà mangiato vivo e
l'Uroboros regnerà nelle loro vite, incontrastato.
E
stropiccia le lenzuola, Wesker: si ritrova sotto i polpastrelli una
macchia umida e rosata - sua, loro.
Dormi,
Albert.
Fuori,
la neve non ha ancora rinunciato al suo dominio su Raccoon City;
dentro, qualcosa in Wesker si spezza
e
libera un solo, soffocato, singulto.
1988
"Non
hai la panna."
Wesker
solleva appena una palpebra, mette a fuoco la figura di Alex - un
bricco di spremuta d'arancia nella mano destra e la moka in quella
sinistra.
"Non
hai la panna." ripete, come se fosse la cosa più grave al
mondo.
"No."
riesce a rispondere, nelle ossa una stanchezza che lo rende molle,
languido.
Libero.
Alex
schiocca la lingua contro il palato, irritata.
"Mi
serve la panna."
Wesker
posa lo sguardo fuori dalla finestra - bianco e ancora bianco.
"Ah,
già: i telefoni non vanno. Ho fatto a malapena in tempo ad
avvisare Annette; che, tra parentesi, è a casa anche lei con
un William isterico e una Sherry petulante."
La
ricerca viene prima di tutto, vorrebbe
replicare Albert, ma la verità è che, in quel momento,
il virus T gli sembra un'immensa stronzata.
"E
la luce va e viene; e io volevo
la panna."
Wesker
fa per aggiungere qualcosa, ma Alex gli dà le spalle e scivola
fuori dalla stanza - piedi nudi e addosso la sua camicia della sera
prima.
"E
ho bruciato una padella!" urla poi dal piano di sotto, piccata
come se la colpa fosse sua.
Wesker
sospira e torna a dormire, quieto.
(2011)
Say
goodbye, as we dance with the devil tonight.
Don't
you dare look at him in the eye, as we dance with the devil tonight.
Trembling,
crawling across my skin.
Feeling
your cold dead eyes, stealing the life of mine.
È
viva,
Claire Redfield.
È
un pugno di lentiggini sul viso giovane, pulito.
È
fuoco nello sguardo, tra i capelli: la forza di un sangue che di
morire non ne ha proprio voluto sapere.
"Procediamo
con l'estrazione, Master Alex?"
Stuart
trattiene un plico di fogli contro il petto, tra le dita una penna
stilografica, pennino in argento con rifiniture dorate, inchiostro
nero.
Alex
annuisce, fissa il volto di chi ha vinto tutto
- nemica, rivale, nemesi.
Riflesso
spietato.
"Provvedo
subito a chiamare il signor. Fisher."
Alex
tace, lo congeda con un gesto distratto della mano - passa al file
successivo, Moira Burton.
Sulle
ginocchia le parole di Albert bruciano e scavano.
1988
È
cambiata, Alexandra.
Spencer
lo nota dal modo in cui si siede, dall'espressione che gli rivolge.
Nulla
traspare da quel viso diafano - nulla
che possa rivelargli cosa vi si nasconde davvero sotto.
La
neve ha smesso di cadere da giorni, ma il gelo che avvolge la stanza
quando Alex vi è entra è terribile
-
l'anticamera di un inferno da lui stesso invocato.
"Padre."
lo aposotrofa.
"Padre."
lo chiama.
"Padre."
gli ricorda, e sorride, Alexandra - denti da lupo, occhi artici.
Un
mostro; ho creato un mostro.
Spencer
si porta il pugno chiuso dietro la schiena, osserva le vette dei
monti Arklay infrangere il cielo - le sue deboli
speranze.
"Il
soggetto #13 procede bene?"
"Senza
intoppi."
"La
sua maturazione?"
"A
buon punto."
"È
competitivo? Cerca di primeggiare sugli altri? Su di te?"
Nessuna
risposta. Il silenzio si distende nello studio come una patina
viscida e umida - un sudario che gli avvolge il volto, i polmoni.
Spencer
si volta, appoggiandosi al bastone dalla testa in peltro - un cigno
dal collo curvato innaturalmente
verso il basso.
Alex
accavalla le gambe, gioca con il simbolo dell'Umbrella - una spilla
d'oro e rubini che le aveva donato
per
la sua prima rinascita.
Un
marchio e uno stigma.
"Alexandra."
Si
ferma, le dita a mezz'aria, una scarpa rossa in bilico sulla punta
del piede.
"Senza
alcun dubbio, padre."
Alex
inclina il mento verso di lui, gli cerca gli occhi - non arretra.
Non
questa volta.
Spencer
osserva le sue labbra tendersi
nella parodia di un sorriso e tace.
1988
Cambia
in fretta la pelle, il serpente.
Se
ne libera come un peso inutile, l'abbandona lungo una strada di
sabbia e pietre - macerie e lacrime già asciutte.
Annette
si gratta una guancia, passa poi ai capelli - sotto le unghie una
cute trascurata, irritata.
"Stai
uno schifo."
"Grazie
tante, Alex."
"Prego."
Annette
sospira, umettandosi le labbra.
"E
quel rossetto non ti dona proprio per nulla."
"Di'
un po', la stronzaggine l'hai presa da Albert per osmosi o cosa?"
Alex
allarga leggermente gli occhi, sbatte le palpebre una, due volte -
alza un sopracciglio.
"Era
solo un suggerimento."
"Dormo
male."
"I
tranquillanti che prendi devono essere ormai insufficienti."
"Conosco
l'assuefazione e i suoi sintomi, Alex."
"Potresti
smettere."
Silenzio.
"Sai
bene che non posso."
"Non
vuoi."
"Non...
"
"Non
dormi. Per quello che facciamo qua sotto, lo so. Non ci vuole un
genio per capirlo."
Annette
tace, si affloscia sulla sedia girevole.
"Vorrei
poter dire che non lo sapevo, ma sarebbe solo una gigantesca
cazzata."
"Allora
perché hai accettato?"
Annette
schiude le dita davanti a sé in un gesto ovvio, stringendosi
nelle spalle.
"Chi
direbbe di no
a un colosso nazionale come l'Umbrella Corporation?"
È
il turno di Alex di tacere, un bicchiere in plastica pieno di caffè
che va raffreddandosi in mano, nell'altra l'ultimo rapporto sul trial
di William sulle api.
"Non
si esce da questa azienda, Alex: c'è una sola porta ed è
quella per la tomba."
Silenzio.
"Ti
vado a prendere un altro caffè."
Annette
annuisce, stanca.
"E
mettici anche tre cucchiaini di zucchero, per favore: ne ho proprio
bisogno."
Alex
scivola con lo sguardo sulla sua figura - il volto scavato
(sconfitto),
i capelli raccolti in un nodo sporco, senza forma.
Guardala.
Guardala,
e imprimiti bene nella memoria la sua faccia, perché prima o
poi sarà anche la tua.
Il
virus le raggiunge gli occhi nella forma di una sola, vuota, lacrima.
1988
A
volte le sembra che William possa vederla;
lei e il suo virus.
La
sua malattia.
A
volte le sembra che l'aver passato così tanto tempo con i
mostri l'abbia reso più sensibile - attento
- a certi particolari.
"Cosa
c'è?"
Birkin
continua a studiarla in silenzio, sul volto un'espressione
ridicolmente adulta - tragicamente seria.
"Ho
qualcosa in faccia, Will?"
"No."
"Allora
perché mi stai fissando?"
"I
tuoi occhi."
"Cosa?
Me ne è spuntato un terzo?"
William
scuote la testa lentamente, come a voler raccogliere le idee prima di
risponderle.
Posa
poi lo sguardo sulle luci bianche del laboratorio, e Alex nota quanto
sia dimagrito negli ultimi mesi - la pelle delle mani tesa sulle
ossa, quasi trasparente.
"Mi
erano sembrati rossi."
Silenzio.
"Sarà
stata colpa della stanchezza."
Birkin
sospira, china il capo.
"Vorrei
solo dormire un po', Alex. Solo un
po' di
più."
Alex
gli appoggia una mano sulla spalla e accoglie la sua fragilità
di uomo-ragazzino mai cresciuto.
1988
Marcus
è morto.
E
suo marito ride.
Marcus
è stato ucciso.
Da
William. E da Albert. Da noi.
"Zio
Al!"
Sherry
allunga le braccia verso Wesker, sorride.
E
lei era d'accordo.
Alex
beve un sorso d'acqua, l'affianca - un vestito blu pavone fasciarle i
fianchi, la curva piccola del seno, spingerlo
verso
l'alto come un'offerta a lui.
"Smettila
di tormentarti." le dice, facendo tintinnare il ghiaccio dentro
il bicchiere.
"James
non era certo un santo; meritava la fine che ha fatto."
Neppure
noi lo siamo.
Annette
cerca a tentoni la boccetta di Valium, viene fermata da Alex - le
dita una morsa d'acciaio attorno al polso, sull'orologio dal
quadrante rettangolare e il cinturino in pelle chiara.
"Non
oggi."
"Non
sei mia madre."
"No:
ma sono una tua diretta superiore e ti dico non
oggi."
Sherry
sposta il peso da un piede all'altro, felice - grata
di
quel pomeriggio improvvisato al parco.
Annette
studia il volto di sua figlia accendersi
quando
Will le porge il vassoio di pasticcini che nascondeva dietro la
schiena -
i tuoi preferiti, Sherry.
L'omicidio
mette di buonumore.
"Non
sei una cattiva madre."
"Sono
un'assassina."
"Non
per lei."
"Non
sei contenta che tuo marito sia stato promosso,
Annette?"
"Verrò
ricordata per questo."
Alex
la fissa in tralice, respira l'odore della paura - quello tiepido dei
primi giorni di giugno.
"Per
aver ucciso uomini, colleghi;
per
aver strappato
feti dal ventre delle loro madri mentre gridavano e strillavano.
Averli
poi buttati
in
incubatrici sterili e osservati crescere e deformarsi
sotto
i miei occhi senza fare nulla."
Alex
tace, raddrizza la schiena - su di lei lo sguardo interrogativo di
Albert, quello perplesso di William.
"Non
lo saprà mai, Annette."
"I
segreti non sono eterni, Alex."
"Questi
lo saranno."
Annette
le rivolge uno sguardo speranzoso - angosciato; il vento attraversa
le loro parole rendendole già polvere.
(2011)
I
believe in you, I can show you that I can see right through all your
empty lies.
I
won't last long, in this world so wrong.
Hold
on. Hold on.
Goodbye.
Le
mani intrecciate dietro la schiena, spalle dritte - lo sguardo
rivolto agli elicotteri della milizia che stanno atterrando
sull'isola, fendendo l'aria gelida con le loro pale scure e nerastre.
"Sono
arrivati, Master Alex."
I
prigionieri vengono estratti dalla carlinga e Alex riconosce
immediatamente i capelli di Claire Redfield, il viso ancora giovane
della figlia di Burton - lei,
con il suo stupido orsacchiotto di nome Lottie.
"A
breve potremmo iniziare l'ultimo trial."
"Perfetto."
Stuart
la osserva ancora qualche istante - i capelli biondi raccolti a lato
del viso, la posa rigida, marziale,
del corpo.
Così
simile a quella di suo fratello.
La
malattia crepita
sotto
la pelle, la divora viva a ogni respiro - vene bluastre che pulsano,
trasportano un sangue infetto, marcio.
Te
l'avevo promesso, sciocca ragazzina, che sarei venuto per te: che non
avrei mancato questo appuntamento.
"Se
è tutto, Master Alex..."
Silenzio.
"È
stato un onore lavorare con lei."
Alex
tace e congeda la propria vita in un lungo, solitario addio.
****
Alexandra,
se
stai leggendo questa lettera significa che ho fallito.
Significa
che ho perso; che l'Uroboros è stato un insuccesso.
Un
terribile sbaglio.
Non
ti chiederò scusa, perché ero convinto d'avere
successo: di vincere.
Forse
è stata colpa di Irving; magari di Excella.
Oppure
mia. E
mi dispiace.
Mi
dispiace di non aver mantenuto la promessa.
Di
non aver potuto portare a termine quello che mi ero prefissato.
Di
non averti salvato.
Mi
dispiace, Alex.
Ma
rifarei tutto dall'inizio.
E
lo sai.
Alla
prossima vita, meine liebe.
A.W.
****
Il
volto di Stuart è sereno persino nella morte.
Alex
lo fissa con il naso rivolto all'insù, le grida degli infetti
che corrono per la Torre lontane, ovattate.
Per
un attimo è quasi tentata di salire sulla scrivania e portarlo
giù, recidendo la corda con la quale ha deciso di porre fine
alla sua vita.
Le
telecamere di sorveglianza inquadrano poi Claire, la figlia di Burton
- la loro disperata
fuga su per le scale del loft.
E
china il capo, Alex, sconfitta.
E
stringe tra le dita la sua
lettera
- tutto ciò che resta.
"L'hai
comprata."
"Cosa?"
"La
panna."
"Così
eviti di rompermi le palle alle sei del mattino."
"Overseer."
urla Claire, e frantuma l'acquario che nasconde la leva per il
laboratorio - rabbiosa, in guerra.
Alex
la osserva con uno sguardo disinteressato, vuoto - privo di colore.
Non
è il mio nome, vorrebbe
risponderle, così
è come mi chiamava Spencer, non lui.
"Meine
liebe."
Alex
apre un occhio, lo fissa - sorride, ancora mezza addormentata.
"È
tedesco."
"Lo
so."
"Mi
piace: ripetilo."
Si
umetta le labbra screpolate, scaglie di pelle e rosso che cadono a
terra, sul colletto della sua camicia.
"Mi
sono... divertita."
"Lo
immaginavo."
"Potremmo
rifarlo."
Albert
la squadra in tralice, affonda il cucchiaino nel gelato e ne sottrae
una generosa porzione.
"Non
intendevo la cena." (1)
Sfiora
con i polpastrelli la punta della scarpa di Stuart, abbozza un
sorriso triste - sincero.
"Se
vuoi restare, fai pure."
Alex
si morde un labbro, china il capo.
"Altrimenti
chiudi la porta con entrambe le serrature. Le chiavi sono nello
studio."
Le
dita affondano nelle braccia, lungo gli zigomi gocce d'acqua che
assomigliano a lacrime.
"Alexandra."
Silenzio.
"Alexandra."
la richiama, e lei risponde.
"A
dopo." (2)
Ripiega
la lettera in quattro parti esatte, allinea nuovamente il simbolo del
serpente - la testa che si arrotola sulla ceralacca, le fauci
spalancate, pronte ad attaccare.
"A
dopo, Albert. Aspettami: sto venendo a prenderti."
Sotto
il blazer bianco - sul
cuore -
la confessione di Wesker brucia
come la peggiore delle punizioni.
"Deep
in earth my love is lying
and
I must weep alone."
-
Edgar
Allan Poe
-
Note
dell'autrice: (1) The heart is a Devil, (2) Bedroom
hymns.
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