Mentre
i grattacieli ci crollano addosso
Piove. Shouyou gli dà le spalle mentre prepara del
tè verde, canticchiando una canzone, e Atsumu gli fissa la
schiena. Shouyou sembra minuscolo, con le spalle che scompaiono sotto
il pigiama sgualcito. Atsumu vorrebbe toccargli i capelli, la curva del
collo.
Piove. Le gocce di pioggia picchiettano sulla strada, sul tetto, sulla
finestra. Scandiscono un tempo che in quel momento ha cessato di
scorrere, di esistere, di essere. Almeno per un po’, almeno
finché rimarranno in quella cucina striminzita.
Fuori è buio. La cena è finita da un pezzo.
Atsumu e Shouyou si trovano all’interno di una parentesi.
Dentro la parentesi c’è giusto lo spazio per loro
due e per una margherita. Si sta stretti, ma ad Atsumu piace.
È come se il segreto per cristallizzare il tempo fosse
nascosto lì, in due persone che si stringono. O almeno,
così gli piace immaginare.
Atsumu fissa Shouyou che armeggia con il bollitore, poi chiude gli
occhi. Ascolta la pioggia, ascolta Shouyou che canta sottovoce.
La voce di Shouyou è bella e gentile. Anche la pioggia di
quella notte è bella e gentile. E sarebbe bello baciare
Shouyou sotto la pioggia. Ma sarebbe bello baciarlo anche
lì, in cucina, le dita intiepidite dal vapore.
“Atsumu-san,” gli domanda dunque Shouyou, smettendo
di cantare. “Cos’è che mi volevi
dire?”
E mentre Shouyou finisce di preparare il tè, Atsumu
precipita rovinosamente in un gorgo fatto di margherite e temporale.
Atsumu non ricorda quando è iniziato. In principio, si
è trattato di un susseguirsi di meraviglia e gentilezza.
Shouyou è luce, catartica delle volte e bruciante altre, e
Atsumu ha sempre subito il fascino delle cose luminose. Poi sono
arrivati i silenzi che non avevano bisogno di essere riempiti per
risultare confortevoli. Poi, quando Shouyou veniva a trovarlo nel suo
appartamento sempre più spesso e Atsumu si sentiva sempre
più euforico e grato, ha capito. E quando Atsumu ha capito,
era oramai troppo tardi per porsi qualunque tipo di domanda. Atsumu
è innamorato e non c’è nulla che si
possa dire o fare a riguardo.
Atsumu non può amare piano, o sottovoce, o dignitosamente, o
con il contagocce, o con prudenza, moderatezza, discrezione. Atsumu
può solo amare furiosamente. Terremoti e tremori febbrili,
l’amore deve pulsargli insieme al sangue dentro i polsi, il
cuore deve battere sempre più veloce, infatuato e raggiante,
un vulcano che esplode. Atsumu guarda Shouyou, palpita, freme come la
superficie dell’acqua, diventa pozzanghera, diventa oceano,
sistole e diastole di sale e di baci che non ha il coraggio di dare.
È vulnerabile, struggente, invincibile, perché
quando ami con tutto te stesso ti senti un po’
così, un animale morente che comunque ha
l’arroganza di continuare a scalpitare, vibrante di vita.
L’amore ti trasforma in qualcosa di temerario, di
tremendamente stolto, di esagerato, di miserabile. Ed è
bellissimo. È splendido. È assolutamente privo di
senso. È pericolosissimo.
Atsumu guarda Shouyou e non capisce se stia fissando un campo assolato
di girasoli o un precipizio rovinoso.
Shouyou gli porge il tè in una grande tazza.
“Ecco,” dice sorridendo.
Atsumu ringrazia e si porta la tazza alle labbra.
Fuori piove e il tè scotta. Shouyou, mentre attende
pazientemente che Atsumu gli dica quello che gli deve dire, soffia con
le guance gonfie nella tazza. Una nuvoletta di vapore gli sfuma la
faccia.
Oh, pensa
Atsumu. Voglio questo.
Voglio questo per tutta la vita.
Vuole. Vuole come quando vede qualcosa di bellissimo in un negozio. Una
bellissima camicia in vetrina, o un bellissimo giocattolo quando era
bambino, o il budino di Samu. Vuole, vuole, vuole. Ma adesso
è diverso, perché quando Atsumu guarda le camicie
in vetrina non ha mica voglia di mettersi a piangere. Non pensa mica
‘voglio questo per sempre’. Adesso vuole, desidera,
non soltanto con gli occhi, ma con la parte più insita e
adombrata della sua anima, quella che di solito resta celata talmente a
lungo da portarti a dimenticare persino che esista. Poi, non appena la
percepisci di nuovo, pensi oh.
E ti ricordi cosa significa desiderare l’eternità.
Il vapore sprigionato dalla tazza di tè continua a salire.
Sfuma i contorni di Shouyou, che si tramuta una sagoma rossa e
caliginosa.
È un
po’ come una fiaba, pensa Atsumu mentre beve il
tè a piccoli sorsi e si scotta la lingua. È un po’
come una fiaba. Sembra finto, sembra immaginario, sembra una specie di
sogno, sembra che qualcuno abbia fatto un dipinto e io ci sia finito
dentro, eppure Shouyou è qui, io sono qui, è
reale, è vero.
Shouyou-kun, vorrebbe
dirgli. Io non lo so
cosa sta succedendo. O meglio, lo so, lo so benissimo, non mi fa paura
sapere di essere innamorato, soltanto che tra il saperlo e il viverlo
c’è tipo un universo di differenza. Non so
spiegarlo bene, ma è come se dall’altra parte ci
sia l’apocalisse. Io e te siamo qui, al sicuro, con la
pioggia, dentro la cucina, ma dall’altra parte io sto
morendo, dall’altra parte mi stanno massacrando,
dall’altra parte sta crollando tutto e la cosa strana
è che è bellissimo lo stesso. Vivere è
meraviglioso, soprattutto quando il mondo si sbriciola e tu ti
sbricioli con esso.
Atsumu spalanca la bocca, le parole si aggrovigliano fra loro e poi si
nascondono in profondità come una tartaruga quando reclina
la testa nel guscio. La manifestazione articolata tramite sillabe di
quello che prova finisce ingoiata insieme a un altro sorso di
tè.
“Shouyou-kun,” lo chiama poi invece.
“Qual è la cosa che ti piace di
più?”
Shouyou allontana la tazza di tè dal viso,
l’espressione attenta.
“Giocare a pallavolo.”
Atsumu sorride. “E dopo?”
Shouyou riflette per qualche secondo, poi lo guarda e gli dice:
“il mare.”
“Perché il mare?”
“Perché è bellissimo,”
risponde Shouyou. “Perché fa paura.
Perché ti può uccidere e quindi ti fa sentire
vivo. Perchè è instabile e imprevedibile.
Perché è sempre, sempre affamato. Lo
fisserei per ore.”
Perciò, l’amore è un po’ come
il mare. Shouyou stesso è un po’ come il mare per
cui stravede, e quindi è come l’amore.
Insondabile, cangiante, catalizzante, soffice come la sabbia, insidioso
come l’alta marea che giunge all’improvviso. Il
mare può regalarti storie e conchiglie, o può
farti affogare. Shouyou anche.
Ma non importa. Atsumu ha sempre subito il fascino dello squilibrio,
dell’imprevisto, del pandemonio, degli scenari apocalittici e
di quelli smielati. Atsumu fisserebbe Shouyou - l’amore, la
fatalità dell’amore - per ore, proprio come
Shouyou fisserebbe il mare. E quindi che arrivi pure la tempesta. Che
arrivi pure la fine del mondo, che saltino tutti in aria. Lui si
crogiolerà comunque sotto lo scroscio di acqua, a
prescindere se sia fatto di veleno o di margherite. Perché
amare è meraviglioso, soprattutto quando è
così intenso, soprattutto quando si ama dentro una parentesi
in cui si sta stretti stretti che eppure racchiude il segreto
dell’infinito.
“Atsumu-san,” lo chiama Shouyou, da sopra la tazza.
“Cos’è che volevi dirmi?”
Che ti amo. Ma tipo,
tantissimo. Voglio sposarti. Voglio andare a vedere tutto il mondo con
te, viaggiare pure nello spazio, sulle stelle che ti piacciono tanto,
giocare a pallavolo con gli alieni. Voglio pure che ci chiudiamo dentro
una stanza e che ci restiamo dentro finché non muoriamo di
vecchiaia, a mangiare sushi e a vederci Netflix e a giocare ad Animal
Crossing. Voglio che ci sia un’apocalisse zombie e voglio che
io e te combattiamo insieme. Voglio che mi abbracci quando non riesco
neanche a guardarmi allo specchio. Poi voglio farti vedere quanto sono
bravo. Voglio portarti al luna park e voglio che tu vinca un orso
gigante per poi regalarmelo davanti a tutti. Voglio che mi prepari la
colazione e io chiederò a Samu di prepararci il pranzo.
Voglio portarti all’acquario. Voglio baciarti. Voglio che mi
insegni il portoghese. Voglio che balliamo intorno al tavolo della
cucina mentre fuori il mondo crolla.
Atsumu non dice nulla di tutto questo. Gli dice solo: “domani
andiamo al mare. Se ti va. Così ti dirò quello
che ti devo dire.”
Shouyou scopre i denti in un sorriso.
Lui sa. Shouyou sa perfettamente quello che gli deve dire, Atsumu
glielo legge negli occhi luccicanti.
“Va bene,” acconsente infine. “Allora me
lo dirai domani. È un appuntamento, giusto?”
“Giusto,” risponde Atsumu.
Il sorriso di Shouyou diventa più largo. Poggia la tazza,
oramai vuota, poi allunga il braccio e gli accarezza la guancia.
Atsumu chiude gli occhi. Sente il canto della pioggia, i polpastrelli
morbidi di Shouyou premuti sulla sua pelle, l’odore di
tè verde rimasto appiccicato alle sue mani.
La notte, cristallizzata, durerà ancora.
La fine del mondo è dolcissima.
Note
CIAOOO non volevo dire niente con questa storia ma è stato
un momento carino per staccare un attimo con il pensiero! Grazie per
aver letto davvero !!! <3333
See ya!
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