Addio, cavaliere. di Fiore di Giada (/viewuser.php?uid=695733)
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Il
rintocco della campana della chiesa rompeva il silenzio della notte,
come un sasso lanciato in uno stagno, mentre le stelle palpitavano
nel velario blu del cielo, illuminando il paesaggio d'un tenue
riflesso argentato.
Dalle
piccole finestre del castello penetravano esili lame di luce, che,
posandosi sul pavimento, creava delicate ragnatele luminose.
Tristano,
seduto sul suo letto, attendeva. Presto, lo sapeva, la morte sarebbe
giunta.
Nulla
avrebbe allontanato il suo crudele destino.
Girò
la testa verso destra e scorse l’alta figura di Re Marco,
seduta su una sedia, le braccia incrociate sul petto e la testa
china.
Sono
fortunato. Suo zio, malgrado
l’offesa crudele al suo onore, si era mostrato capace di andare
oltre la sua rabbia.
Aveva
creduto alle sue parole, quando gli aveva rivelato la verità.
Aveva
veduto oltre le convenzioni e le apparenze.
Gli
aveva mostrato il suo affetto, ancora intatto, malgrado le difficoltà
e le meschinerie.
Eppure,
in quel momento, avvertiva il senso di colpa mordere il suo cuore,
come una serpe velenosa.
Si
era lasciato trascinare dal suo egoismo e non aveva veduto la pena
dell’animo del re.
Aveva
messo la sua paura della solitudine prima della sofferenza del suo
unico familiare.
Sentendo
lo sguardo del giovane, il monarca alzò la testa e fissò
i suoi occhi azzurri nelle iridi verdi del nipote.
– Che
cosa c’è, nipote? – domandò, il tono
apparentemente pacato. In realtà, il suo cuore si macerava nei
rimorsi.
Per
tanto, troppo tempo non si era avveduto della realtà.
Suo
nipote e sua moglie erano le vittime di un Fato crudele.
Se
avesse compreso la verità, avrebbe risparmiato ai loro cuori
una pena inutile.
E,
in quel momento, lui giaceva inerte, in un letto, in attesa
dell’estrema ora.
Tristano,
per alcuni istanti, esitò.
– Zio…
Forse… Forse è il caso che andiate… –
iniziò, timido.
Il
re, sentendo quelle parole, gli scoccò uno sguardo confuso.
–
Perché?
– chiese. Non comprendeva un tale mutamento nella mente di
Tristano.
Era
sempre più debole, ma non aveva perduto la lucidità.
Scorgeva
nei suoi occhi verdi la luce ferma della consapevolezza.
–
No…
Non fraintendetemi… Sono felice che voi siate qui, assieme a
me… Ma vedo il dolore nei vostri occhi, così simili a
quelli della mia defunta madre… Ho paura di essere colpevole
di questa vostra pena e
non voglio che voi soffriate a causa mia…
– confessò, il tono amaro e gli occhi lucidi di lacrime.
Con
un gesto stanco, abbandonò la testa sulla spalla destra. Il
dolore opprimeva il suo corpo, come un pesante macigno, ma la sua
anima era ben più dilaniata dai rimorsi.
Non
aveva voluto la presenza di Rohalt, di sua moglie e della sua amata
Isotta, ma aveva desiderato la presenza di suo zio.
Lui,
suo unico parente, meritava un simile tormento?
Re
Marco sospirò e si alzò dalla sedia.
Per
alcuni istanti, percorse a grandi passi la stanza, poi si avvicinò
al giovane e posò le sue mani sulle sue spalle.
–
Guardami
negli occhi, nipote. – gli domandò, il tono fermo.
Scosso
da quel tocco deciso, il giovane fissò i suoi occhi in quelli
dello zio.
– Tu
hai sbagliato, ti sei lasciato trasportare dalla tua passione…
Ma ti si può fare una colpa? La magia è una forza ben
superiore all’umana volontà. Tu e Isotta siete stati
costretti ad amarvi. – cominciò.
Vorrei
poterti ridare le forze, nipote mio. Quel
veleno consumava sempre più il corpo di Tristano, come un
fuoco crudele.
Se
avesse premuto le sue mani con più forza, le ossa di Tristano
si sarebbero ridotte in polvere.
No,
quella situazione era contraria a qualsiasi regola naturale.
Avrebbe
dovuto essere lui al suo posto.
La
forza apparteneva ai giovani, la debolezza era propria degli anziani.
–
Nonostante
tutto, hai avuto la forza di pensare a me… Molto spesso,
l’amore è un sentimento egoista. Ti fa onore questo tuo
pensiero, rivolto a me, figlio mio. –
affermò
poi
il
re.
L’agonizzante
cavaliere fece per parlare, ma le sue labbra si torsero in una
smorfia amareggiata e i suoi occhi tremarono di lacrime.
Commosso,
Re Marco strinse le braccia attorno al corpo del nipote e le sue
dita, leggere, sfiorarono ora i suoi capelli, ora la sua schiena.
Il
corpo di Tristano tremò, scosso da quelle manifestazioni, poi
si abbandonò ad un pianto disperato, vibrante di dolore,
amarezza e rimorso.
–
Sì,
piangi. Liberati dal rimorso e dalla pena, nipote mio. –
mormorò il monarca, pacato, gli occhi velati di lacrime. Anche
lui avvertiva lo strazio di quella realtà crudele, ma doveva
mostrare un cuore forte e roccioso.
Suo
nipote era il più fragile e non doveva essere lasciato solo in
quell’estremo viaggio verso l’ignoto.
Doveva
morire libero da rimorsi esagerati e dolorose paure.
A
fatica, Tristano sollevò le braccia e le avvolse attorno alla
schiena solida del monarca. Quell’abbraccio sincero e
affettuoso era più di quanto lui si potesse aspettare.
Suo
zio, nonostante la comprensibile rabbia, aveva saputo andare oltre e
aveva scorto l’innocenza delle sue parole.
Solo
un cuore generoso e onorevole era capace di avvertire la sincerità
e di credere alla sua difesa, pur non avendo alcuna prova concreta.
Nessuna
ombra oscurava più la limpidezza del loro legame.
Tra
le sue braccia, finalmente, poteva sentirsi libero.
Con
le sue lacrime, si scioglievano le angosce e i rimorsi.
Diverso
tempo dopo, il pianto di Tristano si placò, come una tempesta
marina prossima alla fine.
Con
delicatezza, re Marco allontanò un poco il nipote e lo
appoggiò sul letto.
Tristano
sollevò le labbra in un sofferente sorriso, poi alzò la
mano destra.
Il
monarca capì il gesto del nipote e gliela strinse.
–
Zio…
Credete che rivedrò i miei genitori, quando morirò? –
chiese ad un tratto il giovane.
Un
lampo, per alcuni istanti, balenò negli occhi del monarca. La
domanda di Tristano vibrava d’innocenza.
Con
l’ardore del suo animo puro, credeva nell’esistenza del
Paradiso e dell’Inferno.
In
quegli ultimi, dolorosi istanti emergeva la nostalgia di suo padre e
di sua madre, morti a seguito di una guerra.
Ma
lui, Marco, non riteneva più giuste simili idiozie.
Perché
un Dio benvolente, onnipotente e onnisciente aveva colpito suo nipote
e sua moglie con un simile tormento?
Con
quale coraggio i religiosi chiedevano sottomissione ai suoi ordini
insensati?
Tuttavia,
non poteva rilevare le sue riflessioni a Tristano.
Doveva
rassicurarlo e liberarlo dagli ultimi lacci della preoccupazione.
–
Io
non sono un prete. Ma sono sicuro di una cosa: Dio ti perdonerà
ogni cosa, figlio mio. Se tu hai peccato, non fu colpa tua, come ti
ho detto. E il peccato è solo nell’intenzione malevola e
nell’azione libera. – rispose il sovrano.
La
gioia spirò nell’animo del giovane, come il vento
primaverile riscalda la terra. Aveva veduto un lampo d’amarezza
nello sguardo di suo zio, eppure lui, come un padre affettuoso, aveva
cercato di rassicurarlo.
Questa
premura gli riempiva l’animo di commozione.
–
Grazie
di tutto… Finalmente… Finalmente, posso andarmene in
pace. – sussurrò.
Poco
dopo, il suo corpo si rilassò sul letto e il giovane cavaliere
cessò di vivere.
Re
Marco, per alcuni istanti, fissò il viso di suo nipote.
Sembrava placidamente addormentato.
Sospirò.
Aveva creduto che, al termine della vita di Tristano, il suo cuore
sarebbe stato dilaniato dal dolore.
Tristano
era il figlio della sua amata sorella defunta.
Ma
non era così.
Provava
sollievo per quella morte così dolce.
Finalmente,
suo nipote aveva cessato di soffrire.
Con
un gesto gentile, incrociò le mani del giovane sul suo petto,
ormai immoto, poi gli posò un bacio sulla fronte.
–
Addio,
Tristano… Addio cavaliere… Che il tuo viaggio verso
l’Aldilà sia felice, nipote mio. – mormorò,
mentre le lacrime piovevano sul corpo ormai privo di vita.
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