I see through you
Prologue:
Dinner
Appena entra nel ristorante, Enji individua Keigo all’istante.
Il ragazzo è seduto ad un tavolo in fondo alla sala, vicino
alla
vetrata panoramica che mostra una vista mozzafiato sullo skyline
cittadino. Enji non è sorpreso, ha ormai compreso la
predilezione di Hawks per tutto ciò che riguarda
l’altezza.
Keigo si sbraccia visibilmente per farsi notare, anche se Enji
l’ha già visto. L’uomo si
limita ad
attraversare la sala del ristorante, osservandola distrattamente nel
mentre: le pareti sono rivestite di velluto rosso, a terra
c’è una moquette purpurea con dei decori dorati
dall’aspetto pregiato e dal soffitto pendono scintillanti
lampadari di cristallo. Apparentemente, Hawks non si è
risparmiato nella scelta della location.
Endeavor lo raggiunge, rivolgendogli uno sguardo severo, tuttavia si
accomoda comunque al tavolo circolare che il ragazzino ha prenotato per
loro.
«Diciamo che la riservatezza non è il tuo forte,
Hawks», commenta brevemente. «Mi hai detto che
dovevi
parlarmi. C’era bisogno di un luogo così affollato
per
farlo?»
Enji nota che sono entrambi vestiti in maniera piuttosto elegante,
camicie bianche, pantaloni scuri. Dopotutto, quando quel
pomeriggio una piccola piuma rossa si è messa a
picchiettare contro la vetrata del suo ufficio in agenzia e, aprendo,
si è visto consegnare un bigliettino che gli dava
appuntamento
per quella sera in uno dei ristoranti più eleganti della
città, ha ben pensato che fosse opportuno optare per un
dress
code adeguato.
Keigo continua a tenere fissato su di lui solo un occhio, il destro,
fin da quando ha fatto ingresso nella sala di quel ristorante
così lussuoso, in cima ad uno dei grattacieli più
alti di
Tokyo. Il sinistro è perso di lato, oltre la vetrata, e
inizialmente Enji pensa che sia perché Hawks sta osservando
il
panorama.
«Beh, Endeavor-san, dovresti sapere che a volte, per parlare
di
argomenti particolarmente delicati, è meglio essere in mezzo
a
tanta gente. Sai, si finisce per essere invisibili», replica
Keigo, ed Enji non riesce a non percepire qualcosa di strano nel tono
in cui ha pronunciato quelle parole, anche se non sa ancora di
che
cosa possa trattarsi. «Comunque, se a turbarti è
l’idea di essere continuamente disturbati durante la cena
puoi
stare tranquillo, ho chiesto allo staff del ristorante di mantenere
massima riservatezza durante tutta la cena e di invitare la clientela a
fare altrettanto. Per il resto, avevamo una cena in sospeso dai tempi
di Fukuoka e ho pensato che questa potesse essere la volta buona per
rimediare.»
A sentir nominare Fukuoka, Enji resta interdetto per un momento. Gli
sembra che da allora siano passati secoli, ormai – invece,
all’incirca, si tratta solo di un anno e mezzo. Certo, nel
mentre
sono successe mille cose, ma quello è un altro discorso.
«Non mi devi niente, Hawks», si appresta a
rassicurarlo Enji.
E lo pensa davvero. Nonostante sia passato del tempo e Keigo continui a
ripetergli che non sia così, Enji non fa che sentirsi
maledettamente in colpa per quel che è capitato al ragazzo
durante la guerra.
In ogni caso, era perfino insolito vederlo a Tokyo. Quando avevano
finalmente riportato tutta la situazione sotto controllo, Keigo era
comprensibilmente ripartito per il Kyushu. Nessuno l’aveva
biasimato, dopotutto lui aveva già la sua agenzia avviata
lì ed era giusto che continuasse il suo operato sul luogo.
Di
tanto in tanto ritornava comunque a Tokyo per collaborare con altri
eroi in alcuni casi particolarmente spinosi, ed Enji continuava a
sentirlo spesso al telefono, oltre a sapere che era in contatto anche
con diversi colleghi tra cui Jeanist e Mirko. Di fatto,
però,
Fukuoka continuava ad essere casa sua.
«Oh, ma io non mi sento in alcun modo costretto!»,
gli assicura in fretta il ragazzo. «Lo faccio con
piacere,
anzi. Comunque, conviene che cominciamo a dare un’occhiata al
menù, tra poco verranno a prendere le ordinazioni e se non
ci
sbrighiamo non sapremo cosa scegliere.»
Enji apre riluttante il menù che Hawks deve essersi fatto
consegnare mentre lo attendeva. La verità è che
ha
l’impressione che entrambi, lì, siano un
po’ dei
pesci fuor d’acqua. Non è certo la prima volta che
Enji si
ritrova a cenare in un contesto così artefatto, eppure gli
sembra che la sensazione di disagio che prova sia sempre la stessa.
Perfino Keigo, che è quello che ha avuto l’idea di
incontrarsi lì, pare piuttosto in imbarazzo. Osserva il
menù con aria un po’ distratta, la testa che,
spesso e
volentieri, continua a ruotare in direzione della vetrata.
Come se volesse scappare da lì. Come se non vedesse
l’ora
di dispiegare le sue grandi ali cremisi, ormai completamente
ricresciute da tempo, e volare via, lontano, fino ad essere
completamente inghiottito dal buio della notte.
È una cosa insolita, per Keigo. Enji non riesce a darsene
una spiegazione.
All’arrivo del cameriere, Hawks recupera in fretta il solito
aplomb. Gli sorride affabile, e consegna con nonchalance la sua
ordinazione – Enji non ha ben chiaro di che cosa si tratti,
il
nome è complesso e non è certo di aver capito,
tuttavia
conoscendo i gusti di Hawks e da quello che gli è parso di
sentire, probabilmente è un piatto che contiene del pollo,
da
qualche parte.
Enji si limita ad ordinare il piatto che, dal nome, gli è
parso più comprensibile, un secondo anche lui.
«Con queste ordinazioni direi che sarebbe perfetto un buon
vino
rosso, non trovi anche tu, Endeavor-san?», domanda Hawks,
lanciandogli un breve sguardo e un sorriso raggiante.
Enji si limita a rispondere con un lieve borbottio.
Keigo sembra soddisfatto, per cui torna a rivolgersi al cameriere.
«Di sicuro lei saprà consigliarci la scelta
migliore», commenta, con condiscendenza.
Concordato con il cameriere l’abbinamento di vino,
l’uomo
si allontana dal tavolo, salvo poi tornare dopo qualche istante e
versarne un poco nei loro calici. Dopo ciò si allontana
nuovamente, e stavolta restano soli un po’ più a
lungo, in
attesa dell’arrivo della cena.
C’è un silenzio strano. Endeavor non è
abituato a
sentire Hawks restare così a lungo senza dire nulla.
Quello è il primo segnale che gli fa intuire che
c’è qualcosa che non va.
«Non mi hai ancora detto come mai volevi parlarmi»,
gli fa
notare Enji. Si muove un poco sulla sedia, è come se vivesse
di
rimando la sensazione di disagio dell’altro.
Keigo continua a non guardarlo – ed è strano, ha
avuto
quei grandi occhi dorati puntati su di sé in ogni momento,
anche
quando ormai per tutti era diventato un mostro. Lo sguardo è
ancora perso oltre la vetrata, mentre tiene in una mano il calice con
il vino, che mesce lievemente.
«È tutto così
complicato…», ammette
Keigo, con un sospiro stanco. «Non saprei neppure da dove
cominciare.»
A Enji non sembra di averlo visto così rassegnato neppure
durante la guerra. È strano, e continua a preoccuparlo
sempre di
più.
Allunga piano una mano sopra il tavolo, fino a raggiungere quella del
ragazzo, che prende delicatamente nella sua. Col pollice gli disegna
piccoli cerchi sul dorso, e Hawks sembra piuttosto sorpreso dal gesto,
tanto che per un momento gli pare perfino di vederlo sobbalzare appena.
Al tempo stesso, se ne sente incredibilmente rassicurato. Gli sembra di
essere tornato ai tempi della guerra, solo che, allora, quello ad aver
maggiore bisogno di rassicurazioni era stato Enji. Forse anche a Keigo
sarebbero servite, ma aveva soffocato ogni sua necessità pur
di
stare accanto al suo eroe e cercare di alleviare in qualche modo le sue
pene. Dopotutto, Enji era stato così cieco in quel periodo
che,
probabilmente, dubita che avrebbe notato se Keigo avesse avuto bisogno
del suo aiuto.
E quella è l’ennesima cosa di cui si sente in
colpa.
«Non c’è problema», gli
assicura Enji.
«Comincia pure da quello che vuoi, vedrai che
andrà
bene.»
Keigo solleva l’occhio destro su Endeavor, che pare rendersi
conto solo in quel momento quanto gli fosse mancato quel mare dorato.
Il ragazzo si lascia sfuggire un sospiro stanco – sembra che
quelle parole siano riuscite ad avere l’effetto desiderato,
rassicurandolo, al tempo stesso però Enji si ritrova a
valutare
che non l’ha mai davvero visto così esitante.
«Va bene», concede Hawks, abbandonando la mano alle
carezze
gentili di Endeavor. «Qualche giorno fa è
terminata la
pena detentiva di mio padre.»
Enji resta in silenzio per qualche secondo, aspettandosi di sentire
Hawks andare avanti, tuttavia le sue labbra sembrano essersi sigillate
di colpo.
Endeavor stesso, in realtà, è piuttosto
sbigottito e a
corto di parole. Era certo che, vista la lunga lista di reati che quel
criminale si portava dietro, sarebbe rimasto a marcire in carcere fino
alla fine dei suoi giorni.
In quel momento, neppure il pensiero di poter avere tutti gli occhi dei
presenti su di sé riesce a preoccuparlo.
«Com’è possibile che sia stata permessa
una cosa del genere?», domanda, incredulo.
Nel riflesso della vetrata vede Hawks sorridere tristemente.
«L’HPSC è stato sciolto,
ricordi?», spiega, e
c’è un tono così profondamente amaro
nelle sue
parole.
Sì, Enji se lo ricorda, e fino a quel momento ha continuato
a
pensare che fosse un bene per tutti – soprattutto per Hawks,
visto cosa lo avevano costretto a fare. Di colpo, però, si
ritrova a chiedersi se sia stato veramente un bene o meno.
Tra loro cala nuovamente il silenzio. È una cosa a cui
Endeavor
non è minimamente abituato, Hawks è sempre stato
quello
bravo a riempire ogni momento con il suo fiume in piena di parole.
Questa volta capisce che, però, si trovano in una situazione
ben diversa.
Nel frattempo vengono consegnate loro le ordinazioni che hanno
effettuato. Enji sente un profumo avvolgente di carne brasata salire
dal suo piatto, mentre intuisce che il pollo in quella di Hawks deve
essere in una delle riduzioni che accompagna la pietanza, tra le quali
anche vino, aceto e agrumi, sebbene continui a non riuscire a figurarsi
alla perfezione cosa sia. Nessuno dei due, però, sembra
essere
più interessato al cibo.
Hawks continua a guardare fuori dalla vetrata, mentre ha ancora in mano
il calice con il vino, da cui non ha bevuto nemmeno un sorso. Enji nota
che ha un’espressione tristissima.
«Due sere fa l’ho trovato sotto casa mia.»
A quelle parole, Enji sente il sangue raggelare nelle vene, a discapito
del proprio quirk.
«Io… non so come abbia fatto a
trovarmi», ammette
Keigo, la voce tremolante. «Forse mi sarei dovuto trasferire,
non
lo so… ho sempre pensato che, anche se dopo lo scioglimento
dell’HPSC i file che mi riguardavano non sono più
stati
secretati, non corressi alcun pericolo, dopotutto la guerra era
finita…»
Enji lo vede proseguire a fatica in quel discorso, le frasi che
s’interrompono, il respiro che si fa sempre più
breve e
irregolare. Tiene gli occhi fissi sulla figura del ragazzo, che gli
sembra fragile come non l’ha mai visto in quegli anni, e ha
quasi
paura di vederlo svanire davanti a sé da un momento
all’altro.
«Hawks, non è colpa tua.» Enji cerca di
rassicurarlo, ancora una volta, in tono fermo. «Non potevi
saperlo…»
Dal vetro, Keigo gli rivolge l’accenno di un sorriso
tremante,
sembra essergli grato per quelle parole. «Stavo rientrando da
lavoro. È stata una giornata intensa e massacrante. A un
certo
punto ero arrivato davanti alla porta di casa, stavo per mettere le
chiavi nella serratura, te lo giuro… quando ho sentito la
sua
voce. Ha ancora lo stesso suono sgradevole di quando ero bambino. Ho
pensato di essermelo immaginato, ero stanco, magari era
un’allucinazione, e poi non era possibile, ero certo che
fosse
ancora in carcere.» Hawks fa una breve pausa, approfittandone
per
riprendere fiato. Non gli sembra di aver parlato a lungo, eppure
è come se quella sera gli svanisse di continuo
l’ossigeno
dai polmoni. «Mi è sembrato di gelare sul posto.
Non
ricordo le parole esatte che mi ha detto, ma il succo è che
si
vergogna di me ed è deluso del fatto che io sia diventato un
eroe, sebbene non ne sia sorpreso, dopotutto per lui il mio valore
è sempre stato pari a zero fin da quando ero piccolo. Poco
dopo
l’ho sentito afferrarmi per un polso e non… sono
riuscito
ad oppormi in alcun modo. Mi ha scaraventato a terra,
sull’asfalto del marciapiede, e ha… cominciato a
colpirmi,
come quando ero piccolo. Calci, pugni… a-avrei dovuto
cercare di
fermarlo, evocare Ali Possenti e difendermi, lo so, ma avevo battuto la
testa ed ero terrorizzato, mai mi sarei aspettato di rivederlo,
figurarsi che mi sarebbe piombato addosso
così…»
Lo sguardo di Enji si fa sempre più cupo. Sente un nodo
familiare salirgli alla gola, ma cerca di ignorarlo.
Hawks si prende un’altra pausa. Tira respiri tremanti, ed
è grato del fatto che Endeavor non stia cercando in alcun
modo
di mettergli fretta. «Alla fine se ne è andato e
mi ha
lasciato sotto la luce fioca di un lampione. Io ero ancora disteso a
terra, non so da dove ho trovato la forza di alzarmi e arrivare fino
alla porta di casa, ma alla fine ci sono riuscito», conclude
il
ragazzo. «S-scusami, non volevo parlare così
tanto…»
Enji scuote la testa, risoluto. «Non… non dirlo
neanche
per scherzo, Hawks», cerca di rassicurarlo, almeno per
quell’ultima parte del suo discorso. Probabilmente Hawks
è
l’unico vero amico che abbia mai avuto in vita sua, e gli
sembra
paradossale che si senta in dovere di scusarsi con lui per aver parlato
troppo, soprattutto di un argomento del genere. Avrebbe voluto essere
allertato prima dal ragazzo di quello che era accaduto ma non glielo fa
pesare, forse non se la sentiva neppure di parlarne.
Enji avvicina lentamente una mano al volto del ragazzo. Gli prende il
mento tra due dita, portandolo a voltarsi completamente nella sua
direzione per la prima volta da quando è cominciata quella
cena.
Quello che trova davanti a sé lo fa trasecolare, mentre
sente rabbia e orrore ribollirgli in corpo.
Keigo prova a rivolgergli un sorriso incerto, ma sa che gli occhi di
Endeavor sono puntati sul vistoso livido violaceo che gli circonda
l’occhio sinistro e parte dello zigomo.
La prima emozione che Enji sente di star provando in quel momento
è repulsione. Detesta l’idea che qualcuno possa
aver fatto
del male a Hawks in una maniera simile, ma c’è
anche
qualcos’altro a turbarlo.
Il suo passato che gli bussa su una spalla, probabilmente.
Le dita di Enji risalgono lungo la guancia del ragazzo, fino a sfiorare
la pelle all’altezza dell’ematoma. Keigo lo guarda,
finalmente con entrambi i suoi occhi dorati, e sembra terrorizzato,
come se stesse per scoppiare a piangere da un momento
all’altro.
A memoria di Enji, non è mai stato così sul punto
di spezzarsi.
Endeavor lascia ricadere la mano sul tavolo, come colto da una
stanchezza improvvisa e fuligginosa. Si sente in colpa per quello che
è successo a Hawks, anche se sa di non averne materialmente
alcuna responsabilità.
La verità, però, è che non riesce a
non pensare
alle proprie colpe, in quel momento. Alla persona orrenda che
è
stato, a come abbia reso impossibile la vita alla sua famiglia
È davvero così dissimile dal padre di Hawks, per
quanto abbia cercato di fare ammenda per le proprie azioni?
Keigo, come sempre, sembra leggere alla perfezione ciò che
sta
passando in quel momento nella mente dell’altro. Questa
volta,
infatti, è lui ad allungare la mano sopra il tavolo e a
prendere
quella dell’altro nella propria, disegnandovi piccoli cerchi
sul
dorso. Come durante la guerra, quel desiderio incondizionato di
rassicurarlo, di comunicargli in qualche mondo che lui sarà
sempre dalla sua parte, torna a presentarsi anche quella sera.
Sapeva di correre questo rischio, decidendo di raccontare la
verità ad Endeavor, ossia che lui potesse immedesimarsi fin
troppo in tutta quella storia. Ciononostante, non si sente in colpa per
averlo fatto: vuole essere onesto con lui, inoltre si sarebbe sentito
decisamente peggio continuando a nascondergli quanto
è
accaduto.
Enji alza appena lo sguardo sul ragazzo, che accenna di nuovo quel
sorriso titubante, sebbene i muscoli del volto debbano dolergli
parecchio anche solo per quel piccolo gesto.
«Non te ne ho parlato perché tornassi di nuovo a
tormentarti con i tuoi sensi di colpa, Endeavor-san», cerca
di
fargli notare Hawks.
Enji sospira brevemente. «Lo so», commenta, la
mente che
prova a concentrarsi di nuovo solo su Keigo. «Comunque, non
mi
pare opportuno che continui a vivere lì. Se ha davvero
scoperto
dove abiti, potrebbe tornare in qualsiasi momento.»
Hawks annuisce brevemente. C’ha pensato anche lui, solo che
non
è ancora riuscito a elaborare una strategia a riguardo.
«Per stasera potresti venire a dormire da me», gli
propone Enji, convinto.
«C-che?», domanda Hawks, sorpreso.
«Ma sì.» Endeavor si ritrova a giocare
involontariamente con le dita dell’altro. «Figurati
se ti
faccio tornare a Fukuoka in queste condizioni. E soggiornare in un
hotel non è un’opzione, mi sentirei molto
più
tranquillo a saperti sotto il mio stesso tetto.»
Hawks si sente ancora in imbarazzo per via di quella proposta, tuttavia
si rende conto che, effettivamente, non ha altre alternative, oltre al
fatto che questa è decisamente la migliore che potesse
capitargli. Certo, avrebbe bisogno di recuperare diverse cose a casa
sua, in particolar modo il suo pc, ma di questo pensa di poterne
parlare tranquillamente con Enji l’indomani.
A sorpresa, però, Endeavor pare aver già intuito
i suoi
pensieri, così lo anticipa in fretta. «Se hai
bisogno di
qualcosa, domani non ho impegni, posso accompagnarti a casa
tua»,
gli comunica. «Preferisco venire lì con te,
sinceramente.»
Keigo lo fissa, sbigottito ma pieno di riconoscenza.
«P-Perché fai tutto questo per me?»,
domanda, in un
sussurro.
Enji gli sorride di rimando. «Perché è
giusto che
sia così», commenta. «E poi lo faccio
con
piacere.»
Nel sentirlo riprendere le stesse parole che lui aveva usato quella
sera, Keigo avverte un leggero tuffo al cuore, le guance che prendono
appena colore.
Le pietanze, ormai, hanno perso irrimediabilmente calore, ma nessuno
dei due sembra esserne dispiaciuto.
«Endeavor-san.»
«Mh?» Enji lancia uno sguardo perplesso al ragazzo.
Keigo gli sorride sincero, e in quel momento i suoi occhi sembrano
essere colmi di stelle. «Grazie», mormora, commosso.
notes
non ricordo se in passato avessi detto che volevo scrivere sul canon.
però è vero, volevo farlo –
so here I am, I guess.
tra l'altro mi sa che è la prima volta in vita mia che
pubblico una long che non sia un'au, uh.
parto subito col dire che è da un mese, ovvero da quando ho
finito la stesura, che rifletto e mi chiedo se sia opportuno pubblicare
questa storia o no. quando ho cominciato a scriverla non avevo
minimamente contemplato questa possibilità, pensavo sarebbe
stato l'ennesivo lavoro destinato a occupare spazio sul pc. il problema
è che, come tutte le storie che mi prefisso di scrivere /per
me/, il risultato mi ha soddisfatta più del solito. premetto
che
so perfettamente di star postando una long che è tutto
fuorché perfetta, ma siamo ficwriters, scriviamo anzitutto
per
passione, per cui forse è anche sbagliato pretendere ogni
volta
la perfezione da noi stessə. ciò non vuol dire che la storia
sia
stata scritta senza cura, anzi, so io quante ricerche ho fatto durante
la stesura.
ho iniziato a scrivere per sfogarmi di qualcosa che era realmente
successo nella mia vita, e a un certo punto mi sono ritrovata a
chiedermi se questa storia non avrebbe potuto aiutare anche chi
l'avesse letta, dopo me. così, forse, se oggi sono qui
è
per questo.
va detto che, se vogliamo essere precisi, questa storia ha
un'ambientazione post!canon. e sì, è una what if,
e di
what if ce ne sono più d'uno per giunta. uno riguarda
l'HPSC,
citato in questo capitolo: c'è scritto che è
stato
sciolto, ma dopo un mese da quando avevo cominciato a scrivere
è
uscito il capitolo in cui si scopre che non è
così. posto
che a me avrebbe fatto più comodo che fosse stato ancora
presente anche qui
invece
in canon sarebbe ora che lo sciogliessero rip alla fine
non ho modificato perché – onesta – mi
scocciava.
l'altro
what if diciamo che riguarda le condizioni di base di questa storia,
perché se siete in pari con il manga sapete che
probabilmente
uno di questi due non arriverà vivo alla fine, ma per non
fare
spoiler non specifico chi.
questo progetto è molto importante, per me. comunque vada,
sono felice di postarlo qui.
see ya