Marisol

di camillodevito
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MARISOL

 

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1)

 

Il mare si allungava all'orizzonte, smalto blu cobalto  che tagliava netto l'orizzonte azzurro del cielo. 

Si alzava ritmico e lento al respiro caldo del vento di terra.

Camminavo piano, a lunghi passi sul pontile di legno sbiancato dal sole e dal sale.

Le barche, a sinistra del piccolo molo, dalla parte del casotto che apriva l'accesso al pontile, dondolavano  piano, seguendo  il mare, cigolando sui parabordi.

Non avevo caldo, nonostante il sole e l'abito bianco, passeggiavo con le mani in tasca, il capo chino, la camicia celeste sbottonata.

Ma sudavo, questo si.

Sentivo le gocce che scorrevano lente dalle ascelle lungo il petto, sui fianchi, grosse e pesanti.

No, non avevo caldo.

Ma paura si.

Le barche erano sotto il sole dall'alba, pronte a salpare.

Ed ormai erano quasi le undici.

Sei ore di ritardo.

Non si era visto nessuno: gli equipaggi non erano arrivati.

Lì non c'erano telefoni, ed era meglio così.

Non avere notizie, però, mi stava cullando una paranoia sempre più grande.

"Aspettare e non venire è una cosa da morire" .

Già.

E non arrivava ancora nessuno.

Tra un po' l'avrei scavato, quel pontile, a furia di fare su e giù.

Pugni in tasca, testa bassa, pensavo che i marlin non avrebbero tenuto ancora.

Il ghiaccio si scioglieva sempre più velocemente ed a quest'ora i pesci avrebbero già dovuti essere trasbordati sul grosso peschereccio per Miami.

Mi preoccupavano i pacchetti di coca nascosti nella pancia dei marlin.

Erano ancora ben nascosti, stagni, come la notte prima?

Non si vedeva ancora nessuno.

Uno scrosciare di sabbia corallina annunciò l'arrivo della grossa auto nera, i vetri scuri, sul piazzale davanti il pontile.

Girai lo sguardo, si aprì prima la portiera di destra e scese Marisol, sbatté violentemente per chiuderla.

Poi, lentamente, quella di sinistra.

Scese Fernando.

Tutti e due avevano occhiali scuri.

 

 

2)

 

L’ anno prima...

"Questo è l'amico che volevo presentarti!" mi fa Marisol allargando il braccio verso l’uomo che mi si è appena seduto davanti.

Alto, tarchiato, latino, con baffoni spioventi è vestito di scuro.

Labbra carnose, viola, imbronciate.

Sotto la giacca indossa una camicia bianca sbottonata sul petto.

Peli folti e neri, su quel cuscino si adagia una croce grande un palmo, d'oro, appesa alla catena da ancora, d'oro.

Si piega  per allungarmi la mano, pelosa pure questa.

Anelli massicci, d'oro, alle dita.

D'oro.

Insomma, un nostro zingaro.

"Fernando"  si presenta genericamente il tipo che si è appena seduto al tavolino all'ombra dove io e lei l'aspettavamo.

Era quello che Marisol definiva “il contatto giusto”.

 

 

3)

 

In sud America avevo conosciuto Marisol in un locale dove si offriva ai turisti.

Ero dovuto venire via dall'Italia il più veloce possibile.

Un turista obbligato .

Mi era piaciuta subito: gli occhi scuri, grandi, maliziosi, orientali, il naso importante, aveva cominciato a fissarmi ironica.

Era un Drago di Fuoco, come me.

Drago al quadrato, accentrava gli sguardi, sorrideva a tutti e s’incazzava di brutto, all’improvviso.

Fuoco.

Piccola,  gambe lunghe e fianchi stretti, seno piccolo  il culetto che sporgeva impertinente.

Aveva quel fascino che ti fa pensare subito a quando avresti potuto cominciare a mordicchiarle il collo, le dita dei piedi, leccarla lì in mezzo alle gambe prima di cominciare ad entrare lentamente in lei fissandola negli occhi per vedere l'effetto che fa.

Insomma, Marisol ti faceva venir voglia di mangiarla.

I denti bianchi, smaglianti nel suo sorriso obliquo, ti guardava dritto e ti faceva, mi faceva, venir voglia di prenderla per mano e portarla via.

Cosa che feci.

E siccome quando trovo una donna che mi entra nelle vene abbandono ogni difesa cominciai a parlarle di me.

Del perché ero lì.

Come ero fuggito dall'Italia, e perché.

Non mi ero mai interessato di cocaina e neppure di contrabbando ma, non so come, quella notte stessa, quella in cui l'avevo incontrata, lei era riuscita a farmi convinto che quei quattro soldi che avevo portato con me sarebbe stato giusto investirli nel contrabbando di coca.

Mi aveva procurato in un paio di riprese degli etti che, in effetti, anche solo a passarli agli italiani che venivano lì, mi avevano moltiplicato il gruzzoletto.

Ed adesso ero arrivato al punto di fare il salto di "quantità".

Avevo abbastanza soldi, secondo Marisol, per passare di mano quantitativi più consistenti.

E "Fernando" era il tipo giusto per procurarmene.

 

 

4)

 

Ordinò un mojto, Fernando, una bevanda che mi fa girare i coglioni solo a sentirla nominare, stranamente da checca per un tipo come lui che avrei visto meglio bere d' un fiato quel rum puro  di canna che ti mozzava il fiato o una tequila.

Io poi io, che non bevo, gli tenni compagnia con un rum e coca.

Proprio un boy scout, ma di quel che potesse pensare di me Fernando non me ne fotteva un cazzo.

Ero io che pagavo.

Decidevo io, giudicavo io.

"Quanto per un chilo?" chiesi, stravaccato, dalla poltrona di vimini scuro, col tono annoiato di chi non avesse parlato d'altro in vita sua.

Fernando non rispose subito.

Abbassò lo sguardo al pavimento, poi si guardò lentamente intorno dal marciapiede del bar dove eravamo seduti.

"Tremila"

"Che, dollari?" chiesi.

"Si"

"Be' è caretto" risposi girandomi a cercare consenso ed aiuto nello sguardo di Marisol.

Sempre così nella mia vita.

Devo chiedere il parere della donna di turno, e per quanto la prendessi regolarmente in culo, anzi per una donna di cui m'ero fidato mi trovavo in questa situazione, non perdevo il vizio.

 

"No, non è cara. E' il suo prezzo. E' pura al novantasei.."

"Eh al novantasei..."

Sento tirarmi i pantaloni, poso il bicchiere, mi abbasso ed allungo la mano sotto il tavolo, la manona pelosa di Fernando mi sbatte una bustina nel palmo.

"Prova"

Ora, bisogna sappiate che io e la cocaina seguiamo due strade divergenti: sono già incocainato di mio ed in più mi fa ammosciare l'uccello.

La reputo uno stupefacente per bambini e signore più o meno di malaffare.

Quindi, parere di Marisol e, più che altro, test chimico.

Era all'ottantotto, secondo il test.

A Marisol piaceva, anche troppo.

Fatta.

E così spedii il primo carico negli USA.

Che ci si strozzassero.

La prima partita era, appunto, partita con un corriere che per vie ignote era riuscito a portarla a Miami.

Quattro chili.

Metà pagata alla spedizione, famose a fidasse, e metà alla consegna.

Incredibilmente mi tornarono tutti i soldi che mi spettavano.

Avevo quintuplicato il denaro investito.

Questo gioco andò avanti per un po'.

Be', non dovete immaginare che fosse come usare la Fedex, un viaggio alla settimana, imballo e vai, pagamento contrassegno.

Innanzitutto bisognava pagassi Fernando in anticipo.

Aspettare mi portasse la merce appena l'avesse ricevuta o lo ritenesse opportuno, questo non lo capii mai.

In genere da un paio di giorni ad un paio di settimane.

Lunghissime, perché, specie le prime volte, non mi fidavo ed in più gli davo quasi tutto il denaro che avevo.

Man mano il tempo passava, vidi che era regolare, e , pensavo, conveniva anche a lui, no?

Ero arrivato ad incassare veramente bei soldi:  sì che avevo cominciato con poche migliaia di dollari ed ora, dopo un anno, avevo la villa con piscina, che non usavo mai per via degli animali morti che trovavo a galleggiarci ogni mattina , sbiancati dal troppo cloro dell'acqua, delle foglie ed insomma tutte le porcherie che ci navigavano e che superavano la capacità di quello che si definiva "il giardiniere" di tenerla pulita.

Inoltre la villa era in riva al mare e non c'era nessun motivo persino di averla, la piscina, lì sulla spiaggia.

Ma in quel paese, devastato dagli USA più dell'Italia, faceva figo avere villa con piscina anche fosse in mezzo al mare.

Se lo facevano i "gringos" voleva dire che così bisognava fare.

Punto.

Alla fine non supportavano loro l'economia locale a botte di acquisti di coca, importazioni di puttane di quindici anni e filmini porno con animali e chi più ne ha più ne metta?

All'inizio ero rimasto allucinato dall'idrovora che era l'America del nord per quanto riguardava qualsiasi cosa purché fosse schifosa e vietata dalla legge.

Pian piano capii le regole di quella domanda: più si incrociava lo sciagurato puritanesimo USA e più la cosa interessava al boss lassù al nord.

Per esempio, i film porno con quindicenni, che peraltro qui avevano da insegnare persino alle più sfrenate discotecare italiane della stessa età, e ho detto tutto, ebbene, se in questi film porno le suddette fumavano una cicca mentre lo prendevano in culo o venivano schizzate in faccia, questo raddoppiava addirittura il prezzo del film.

E nessuno pareva percepire il ridicolo di belle guaglione, seni acerbi e corpi sottili, che aspettavano che qualcuno gli spruzzasse la faccia mentre fumavano una sigaretta con sbuffi nervosi,   scattando la testa di lato, le dita distese a mano aperta, fissando la camera come immaginavano avrebbe fatto Lady Gagà.

Mi spiegarono infine che siccome in molti stati degli USA le sigarette erano ormai vietate ai minorenni, questo era un valore di trasgressione aggiunta che faceva impazzire i bravi papà che si godevano le scene.

Certo che è proprio vero che gli USA sono il paradiso del libero mercato...

 

 

5)

 

Era passato poco più di un anno da che avevo conosciuto Fernando: arrivò il momento del colpo veramente grosso.

Con questo carico sarei entrato davvero nel giro pesante, grosso proprio.

Non dico le tonnellate a carico, ma il quintale sì,

e non parliamo di un quintale di patate.

Diciamo che avrei dovuto incassarci, in dollari, dunque...

Be' non riuscivo neppure ad immaginarla, la cifra.

So però che stavolta avevo consegnato al tipo un sacco di soldi.

Ed avrebbe dovuto portarmi un quintale di coca.

La merce arrivò.

Erano tutti pacchi da un chilo; cento.

Portati da un furgone di lavanderia sino al casotto del molo dove erano attraccati due pescherecci che aveva fornito, insieme con l'equipaggio, proprio Fernando.

Imbottire i venti marlin fu uno scherzo, per quanto la cosa fosse  complicata, rispetto al trovare i venti marlin da farcire.

Perchè i marlin?

Li avevo scelti io: sapevo che a Miami erano ricercati e che le spedizioni di quei pesci erano attese con voracità dal mercato locale.

In pratica poca o niente dogana e trasbordo veloce.

Non erano tutti della stessa dimensione, naturalmente, e fu un lavoro bestiale, durato tutta la notte, farcirli al meglio possibile dopo averli tirati fuori dalla cella frigorifera del casotto sul molo.

Aprirli, inciderli, eviscerarli, infilare più sacchetti possibile per ogni pesce a seconda delle dimensioni senza deformarli.

 

Feci tutto da solo.

Be' con l'aiuto, più che altro morale, di Marisol.

Solo io sapevo quali erano i marlin imbottiti.

In teoria solo io e Marisol e Fernando sapevamo che "erano" imbottiti.

L'equipaggio sarebbe dovuto arrivare l'indomani, partire per l'appuntamento con il grosso peschereccio USA che li avrebbe imbarcati in acque internazionali e portati in America.

Nel caricare i pesci sui pescherecci Marisol in effetti mi aveva aiutato, io ansioso che non si scheggiasse le unghie delle lunghe dita.

Per l'alba avevamo finito, lei era tornata a casa a riposare; indossai l'abito che mi ero sfilato prima di cominciare il lavoro, la cravatta in tasca ed il colletto slacciato, passeggiando sul molo mi misi ad aspettare l'equipaggio che sarebbe dovuto arrivare nel giro di un'ora al massimo.

"Grazie tesoro, vai a dormire, senza di te non so come avrei fatto” le avevo detto “Ora va a riposare ed incrocia le dita e...tocca pure qua, va" le dissi portandole la mano in mezzo alle mie gambe per scaramanzia.

Marisol...

 

 

6)

 

Ed adesso eccola, Marisol, con Fernando.

“Come mai qui? Perché voi e non i marinai? Problemi?” li assalii ansioso.

“Be’ si qualche problema c’è, in effetti...” fece Marisol

“Cioè?”

“Senti, è meglio che ci leviamo di qua, entriamo là dentro” rispose Fernando indicando con la testa il casotto.

Mi guardai intorno, non c’era anima viva.

Solo il sole abbagliante di metà giornata, il vento che ora era diventato caldo ed avvampava come un phon, la sabbia arroventata di quello spiazzo abbacinante…

“Perché, dimmi, ditemi dai...”

“No no entriamo, è comunque meglio”

Cominciai ad irrigidirmi.

“Meglio per chi?” pensai.

Guardai Marisol: aveva girata la testa verso destra, i grossi occhiali di Chanel sembravano fissare la baia.

Fernando invece, anche lui imperscrutabile dietro gli occhiali, mi guardava deciso.

Marisol cominciò a bilanciarsi nervosamente da un piede all’altro.

Faceva così quando l’avevo conosciuta.

E si mordeva a sangue il pollice.

Ma nel corso di quell’anno aveva smesso.

Si mise il pollice sinistro in bocca, sempre fissando il nulla alla sua destra, dietro gli occhiali.

Cercavo di incrociarne lo sguardo ma niente, non mi guardava.

“Dai stiamo perdendo tempo, entriamo” si avviò Fernando.

Lo seguii incerto, girandomi verso la donna.

Camminava  dietro di noi.

Nel casotto l’aria era soffocante, sapeva di legno e pesce marcio.

La cella frigorifera ronzava.

Marisol chiuse la porta con un cigolio, mi girai verso Fernando, vidi la grossa automatica.

Non mi intendo di armi, ma l’aria letale di quel grosso coso nero era inequivocabile.

“Vai dentro la cella frigorifera”

“Ma ma..”

“Dai che sennò qui sporchiamo tutto”

Mi sono sempre detto, chissà perché penso ‘ste cose poi, che non mi avrebbero mai ammazzato facendomi inginocchiare porgendo la testa.

Vaffanculo, se crepo io cerco di portarti con me .

E almeno devi faticare...

“Col cazzo che entro nella cella frigorifera, fai quello che devi fare e togliti gli occhiali, schifoso, o non hai il coraggio di guardare un uomo negli occhi?”

Mi girai verso Marisol: dalle grandi lenti nere cominciavano, lente, a gocciolare grosse lacrime, continuava a tenere la testa voltata da un lato.

Neanche lei aveva il coraggio di guardarmi negli occhi.

“ E tu grandissima zoccola, puttanaccia schifosa tutto questo per incularmi i soldi e la roba vero? E guardami stronza” afferrandole il mento e girandoglielo bruscamente vero di me.

Gli occhiali caddero ma Marisol aveva abbassato gli occhi, non voleva affrontare il mio sguardo.

Piangeva silenziosa con quelle grosse lacrime lente...

“E guardami, guardami, lo sai che i soldi li avremmo spesi insieme. Ma non ti bastavano eh? Volevi tutto. E con questo zingaro di merda poi”

La botta non mi fece male, mi sentii solo sbattere contro Marisol che urlò, urlò, cominciò ad ululare e singhiozzare, cadde a terra con me.

“ E tu aiutami alzati, trasciniamolo nella cella prima che allaghi tutto...”

Sentii un altro pugno tra le scapole, vidi i tacchi di Marisol che si muovevano e gli assi del pavimento scorrermi sotto gli occhi.

 

 

7)

 

Che freddo!

Non avevo mai provato tanto freddo in vita mia.

Mi sentivo rigido, intirizzito.

“Dai passami l’adrenalina, pressione?”

Una nebbia verdastra cominciava a diradarsi davanti i miei occhi.

 Un tunnel si allungava davanti a me.

In fondo in fondo cominciava ad aprirsi una finestra circolare.

Lontano, in fondo.

" 'Sto figlio di puttana s’è bevuto quattro litri di sangue, sette plasmaferesi”

“Se non era il figlio di suo padre sarebbe finito dritto all’obitorio...”

“Smettetela, zitti, clampa qua”

La finestra cominciava ad allargarsi, mi si avvicinava, mi chinai in avanti per guardare meglio.

Non avevo più freddo.

Non sentivo, non pensavo al mio corpo.

Ero tutto nello sguardo che concentravo su quello spiraglio.

Cominciavo a distinguere.

Vedevo dall’alto persone, camici che si indaffaravano intorno a quello che pareva un letto operatorio.

Le osservavo, queste persone, sempre più vicine sino a scorgerne i berretti verdi, le mani che si muovevano intorno alla mia testa.

Caddi giù, precipitai in quel cunicolo verde pallido e sentii un tonfo, mi sentii rimbalzare...sul lettino.

“ Ah, ben tornato! Adesso non puoi parlare, sei intubato da tre mesi.Ma ci avevi fatto prendere un bello spavento: stavolta eravamo convinti che te ne fossi andato definitivamente ed invece eccoti qua sveglio dopo tanto tempo! Mi senti, eh? Mi senti? ”

Aprii gli occhi, intorno a me, curve su di me, teste facevano corona.

“Be’ speriamo sia l’ultima volta  che ci fai questi scherzi, dovevo smontare quando ti si è fermato il battito ed anche l’elettroencefalogramma era piatto. Ero sicuro che non ne uscissi più stavolta e ti prego, la prossima volta che decidi di suicidarti deciditi anche a morire...E non farci consumare tutto quel sangue. Ne avremmo ripresi tre con tutto quello che abbiamo usato per te”

Immagino pensasse che, se pure avevo aperto gli occhi, non lo sentissi, non lo capissi.

Invece cominciavo appena a ricordare...

 

 

 

 

 

                      

 





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