Congiunzione astrale

di paige95
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L'incontro
 

 

Una rosa di carta si spezza sotto il peso della pioggia.  
Una rosa di anime resta viva nel lieve vociare dell'oceano.


 
 
Ufficio Comandante Unità - Confine Nord/Est di Kabul, 16 ottobre 2018
 
Christian non si premurò di bussare, da quando la scrivania del superiore era presidiata da una sua vecchia conoscenza ebbe l’impressione di trovarsi più vicino ai luoghi familiari che era solito frequentare prima della partenza per l’Afghanistan. Al seal bastò socchiudere la porta per scorgere Beatriz; era concentrata su una cartina che aveva consultato spesso nelle ultime settimane, alla disperata ricerca di una soluzione praticabile: la mappa guidava i soldati nel mezzo delle vie dissestate che circondavano la capitale. Credendo di trovarsi sola in quegli istanti di riflessione, la donna non ebbe timore di ostentare rassegnazione, il suo sconforto non avrebbe così potuto demoralizzare gli uomini della sua unità lontano dai loro sguardi. I capelli selvaggi avvolgevano parte delle spalle, aveva trascurato il suo aspetto sempre austero e quel portamento le regalava qualche anno in meno di vita.
Il tenente indugiò troppo a lungo sulla maniglia, la forza impiegata nelle braccia aveva provocato un rumore stridulo che nel silenzio della stanza attirò l’attenzione di lei. Beatriz provò a ricomporsi, ma senza successo; rinunciò presto, l’umore pessimo causato da una vita insoddisfacente non le offrì la grinta necessaria: la situazione familiare che aveva lasciato in America la stava mettendo a dura prova come moglie e come madre, perciò un eventuale fallimento sul campo le avrebbe inferto il colpo di grazia.
«Christian»
Si era esposta tanto davanti a lui - troppo per una persona che aveva promesso a se stessa di non cedere alle più intime debolezze -, non era contemplato rivelare la tristezza che stava attanagliando i suoi pensieri; forzò un sorriso poco convinto per accoglierlo nel migliore dei modi. Il seal non scostò lo sguardo dall’aspetto così fragile del suo comandante; avrebbe voluto tranquillizzarla, ma non possedeva una sola condizione che avrebbe potuto risultare efficace. La donna, che stava cercando di insultare la sua intelligenza simulando una serenità inesistente, somigliava alla giovane allieva che aveva conosciuto in accademia e che ambiva a solcare cieli e oceani lontani da orizzonti e coste conosciuti; la ragazza, con la quale aveva instaurato fin da subito una certa affinità, non si sarebbe mai arresa alle difficoltà e nemmeno la donna più matura avrebbe preso in considerazione di farlo.
«Devo condividere alcune scoperte con il mio comandante»
I buoni propositi di non coinvolgerla erano presto sfumati; da quando gli aveva confidato di essere madre di un ragazzino con il quale aveva un rapporto genitoriale burrascoso avrebbe desiderato preservarla da ogni rischio, da qualunque operazione che avrebbe potuto anteporre il lavoro alla sua vita. Alexander aveva confidato al tenente importanti notizie che avrebbero potuto rendere complessa la situazione in cui verteva l’ospedale di Kabul, privare la collega di quelle informazioni equivaleva a sabotare qualunque piano futuro, chiunque fosse l’ideatore. Beatriz recuperò la sua sedia e invitò Christian a seguire il suo esempio. Il seal si limitò ad accostarsi alla scrivania, posò i palmi sulla superficie liscia per avvicinarsi a lei il più possibile e rendere riservata la conversazione. Il comandante non si allontanò dallo schienale, il suo sguardo era concentrato sull’espressione tesa del collega; era stanca di ricevere pessime novità, la maggior parte delle quali non possedeva una soluzione, semplice o complessa che fosse, in guerra non pretendeva certo di ricoprire un ruolo facile, ma almeno sperava di intravedere una piccola vittoria ogni tanto.
«Vogliono trasformare il nosocomio in una base militare con infrastrutture sanitarie. Questo spiegherebbe il motivo per il quale ci hanno concesso di evacuare donne e bambini. Potrebbero aver bloccato il medico che ci ha aiutati per preservare all’interno dell’ospedale una buona percentuale di personale sanitario, quantomeno la parte più collaborativa. Secondo Campbell potrebbero aver rilasciato la madre del neonato dandole la possibilità di salvarsi»
Beatriz contemplò la cartina rimasta aperta sulla scrivania. Compì quel gesto per prendere tempo, non fu utile né funzionale ad un loro successo contro il nemico, ma fu un momento di riflessione necessario per fare chiarezza sul nuovo stato della situazione. Christian aveva già avuto modo di assimilare la notizia, i suoi riflessi erano volti all’azione; posò una mano proprio nel punto in cui gli occhi della donna si muovevano, per attirare l’attenzione di lei.
«Beatriz, voglio trattare con loro. Portare fuori i civili deve essere la nostra priorità. Vorranno delle concessioni in cambio, conosco l’Afghanistan abbastanza da poter contrattare»
Fra tutte le possibilità che il comandante aveva passato al vaglio nell’ultima manciata di secondi, quella avanzata da Christian non era stata contemplata da lei e a ben vedere. Beatriz non si sentì in alcun modo spodestata, ma persistevano evidenti contrasti nel modus operandi dei due; riscoprì determinazione, si fece scivolare sul bordo della sedia per potersi avvicinare a lui a sua volta e accorciare le distanze tra loro; non lo fece per complicità, ma per il solo desiderio di prevaricare sulle sue ragioni.
«Ma perché non ci sediamo tutti ad un tavolo e ne parliamo con i talebani?»
«Sarebbe una saggia decisione»
Il capitano non colse il sarcasmo della collega, era molto serio e volenteroso nel portare a termine una volta per tutte la missione per la quale era stato incaricato pochi mesi prima.
«Hai per caso notizie del generale Flores? Tenerti a bada è molto difficile. Christian, forse non ti è chiaro che non tratto con i talebani»
«Un giorno potrebbe essere l’unica soluzione»
Lo scrutò combattuta, l’ultima considerazione la colse impreparata; era scettica, ma non severa, si mostrò più donna di quanto non fosse comandante. Le idee di Beatriz erano ben distanti da quelle di una carneficina, ma la diplomazia non era nelle loro mansioni; erano dotati di artiglieria per una ragione, ai loro livelli dovevano essere le armi a parlare, non le bocche e tantomeno il cuore di un seal reticente alle pratiche violente. Umanamente era d’accordo con Christian, ma l’esperienza bellica le aveva insegnato che un’iniziativa diplomatica poteva essere mossa solo dal console. Non credeva fosse folle a domandarle un permesso che di sua sponte non poteva accordare, vedeva  solo nei suoi occhi celesti un'eccessiva dose di idealismo. Scostò i capelli dietro le orecchie da entrambi i lati nel tentativo di riscoprire forza; fissò verso il basso un qualunque punto che non appartenesse all’uomo con cui stava discutendo. Fu lui a ricercare il suo sguardo, obbligandola a considerarlo senza sfiorarla; sussurrò, nessuno meglio di lui poteva comprendere le difficoltà in simili circostanze.
«Beatriz mi avete chiamato voi. Organizza l'incontro, va bene anche l'ospedale, Karim è disposto ad aiutarmi. Credimi, possiamo salvarli»
Quell’appellativo plurale la annoverò proprio fra coloro che lo avevano strappato alla sua famiglia. Per convincerlo a desistere non impiegò la carta delle persone a lui care, in quel modo si rendeva conto di intersecare ancora una volta la vita privata con il lavoro, per quanto esso fosse compromettente per definizione: consentirgli un incontro così rischioso con il nemico la spaventava. Era assurdo che Ward, una semplice recluta, le avesse ricordato quanto a distanza di anni si premurava ancora che lui non corresse alcun pericolo.
«So che non ti fidi più di me»
«Chris, non è questa la questione»
Il seal prese posto sulla sedia che fino a quel momento aveva ignorato. Ora i loro sguardi si trovavano alla stessa altezza, ma fu lui ad evitare quello di lei, un atteggiamento intimidito a cui Beatriz non riuscì a dare una spiegazione. Persino il tono di Christian mutò, divenne più profondo, come se le stesse per affidare una confidenza dolorosa.
«Ero appena diventato orfano, quando sono entrato in accademia. Se loro non fossero morti, non ti avrei conosciuta, era scritto un altro destino per me»
Ciò la stupì e la confuse; non aveva mai lasciato trapelare qualcosa a riguardo e una notizia simile a distanza di così tanto tempo non aveva senso in quella sede.  All’epoca della formazione militare non si erano presi il disturbo di conoscersi, non si erano interessati al passato del compagno, erano impegnati a vivere il presente l’uno accanto all’altra. 
«Non me ne hai mai parlato»
Le lanciò un'occhiata allusiva sul motivo. Beatriz trovò poco proficuo domandarsi la ragione per la quale un diciassettenne ritenesse più opportuno chiudere il passato nelle pieghe del petto, piuttosto di riaprire ferite ancora sanguinanti.
«E non ho intenzione di farlo ora. Un lutto non mi giustifica, ma spiega molte mie scelte di quel periodo. Mi hai aiutato a superare un momento difficile e te ne sono grato. Ci sei stata. La deriva della nostra relazione è stata un errore da parte mia. Avrei preferito avere vicina un’amica fidata, piuttosto che tradire la tua fiducia illudendoti e sparendo»
A Beatriz non sfuggirono le sue parole: li aveva definiti un errore, eppure non riusciva ad esserne infastidita. Christian scelse di essere sincero, rischiando davvero di compromettere la sua fiducia; riconobbe le buone intenzioni, archiviare il loro personale passato era un modo per rinsaldare i loro rapporti sul campo, senza una fiducia incondizionata in quell’ambito difficilmente avrebbero potuto progredire.
«Perché me lo dici proprio ora?»
Le sorrise malinconicamente, non era affatto facile offrirle una spiegazione, aveva solo sentito fosse giunto il momento.
«Perché non so se ci rivedremo altrove o se questa guerra ci risparmierà. Sono poco affidabile, lo so, ma…»
«Per la verità, ti descrivono tutti come un tenente molto coscienzioso. Ed io non ho mai pensato fossi un uomo sleale, ma Christian, stiamo parlando di un tentativo davvero molto rischioso che può compromettere gli equilibri»
«Ti ho già chiesto molte volte di avere fiducia in me, se non te la senti lo capisco»
«Flores si fida di te, hai conquistato la fiducia dell’intera America nove anni fa. Sei tu lo stratega tra noi, devo affidarmi a te, non ho altra scelta»
La malinconia che aveva pervaso Christian nel corso della sua confessione lo aveva abbandonato; gli rimase un po’ di amarezza, avvertiva di averla delusa. Ebbe la triste certezza che raccontarle i demoni con tempismo avrebbe potuto giovare, ma era inutile rimuginare, per quello era ormai troppo tardi. Ricambiò il sorriso rincuorante della donna, non era convinta delle decisioni da prendere, ma si sentì in dovere di mostrargli vicinanza, quando lui le diede l’occasione di farlo.
Un movimento insolito del terreno riscosse entrambi dai ricordi. Cessato il tremore del suolo, Christian intravide caldi colori contrastanti con il cielo ceruleo divampare oltre la finestrella che si trovava alle spalle di Beatriz. L’irruenza con cui il seal si precipitò fuori dalla stanza gettò a terra la sedia su cui si era accomodato; non avvertì i passi della collega che lo stava seguendo con disappunto, era solo concentrato a raggiungere la sua destinazione. 
«Christian!»
Quando il tenente giunse sul posto che distava poche centinaia di metri dalla torre in cima alla quale era situato l'ufficio del comandante, riconobbe una scritta sulla facciata dell’edificio mezza divorata dalle fiamme; era incisa in lingua locale, ma comprese con ansia la parola che tradotta in americano significava orfanotrofio. La scoperta gli infuse terrore; una giovane donna, attratta dai suoi abiti militari, avvicinandosi a lui lo riscosse: gli indicava in lacrime le finestre al piano superiore, da cui stava uscendo fumo di colore grigio. I soccorritori non si intravedevano e il seal non esitò, non lo fermarono nemmeno le grida di Beatriz alle sue spalle che lo supplicavano di fermarsi. Sfidò le fiamme senza indugio, anche se la paura di non uscirne vivo era intensa. L’ansia e l’adrenalina accelerarono subito il respiro, inalò denso vapore appena entrato in quell’ambiente viziato; fu costretto a fermarsi un istante per tossire ed espellerlo prima che raggiungesse i bronchi. Coprì le vie aeree con il braccio e la divisa, anche se la stoffa asciutta avrebbe potuto fare poco contro le alte temperature. Cercò di individuare con qualche difficoltà le scale prima che venissero divorate dall’incendio, causato da un’esplosione la cui origine non era ancora ben nota; la buona vista che lo aveva sempre accompagnato subì limitazioni tra la cenere e le fiamme. Provò ad isolare i pensieri dalle sensazioni di calore che provava sulla pelle; socchiuse le palpebre, incurante del pericolo. Il pianto sofferente di un neonato gli indicò la via da percorrere. Erano grida lievi e familiari, le avrebbe distinte fra qualunque altro suono da quando era nata sua figlia; chi piangeva non poteva avere più di qualche giorno di vita. Corse in quella direzione, sfidando le lingue di fuoco che minacciavano di lambire ogni stanza al piano inferiore, l'istinto gli indicava di seguire quella via.
 
Era tornato dal Coronado senza vedere la strada davanti a sé; era sempre stato un automobilista prudente, ma il desiderio di trovarsi al Rady Children’s Hospital nel più breve tempo possibile lo aveva reso sprezzante del pericolo che avrebbe potuto incontrare. Era sceso trafelato dall’imbarcazione che lo aveva portato in missione per poter tornare a San Diego e abbracciare la sua famiglia. Aveva avuto modo di vedere la figlia nata da poco attraverso uno schermo, ma non poteva essere sufficiente. 
Quando entrò nella stanza, il grande sorriso di Katherine lo accolse, lo invitò a prendere un respiro e a tranquillizzarsi; l’aveva raggiunta in divisa e armato, era un mistero come avesse fatto a superare la sicurezza dell’ospedale. Vederlo fu una gioia dopo aver sofferto da sola durante il parto, ma a lui non accennò gli sforzi compiuti appena qualche ora prima.
«Non saremmo comunque scappate. Siediti»
Christian si rifiutò di prendere tra le braccia la sua bambina a causa dell’agitazione.
«Ho corso e ho le mani sudate, temo di farle male»
A lui bastava sapere che stessero bene, non averla accompagnata nel reparto maternità lo aveva fatto trepidare tutto il giorno. La piccola Alisia aveva anticipato ogni loro previsione e stroncato i loro piani, convinti di abbracciarla qualche giorno più tardi. Si limitò a porgere un bacio tra i capelli scompigliati della moglie. Scorse nei lineamenti della figlia qualche tratto familiare; non ritrovò se stesso, ma i dettagli della madre e del padre defunti erano vivi sul suo volto delicato. Katherine donò al marito una carezza sul viso, era sicura di interpretare i suoi pensieri. 
 
Una porta sigillata interruppe la sua strada, ma non poteva fermarlo, il pianto proveniva proprio da quelle pareti. Ardeva qualunque cosa in quell’edificio, le ceneri iniziavano a privarlo del tutto del fiato, sentire la vita nei polmoni del bambino però lo rincuorava: il piccolo si stava sforzando di urlare, affinché qualcuno giungesse in suo soccorso. In quello scenario di devastazione, c’era ancora speranza. Con la manica della divisa fece pressione sulla maniglia incandescente e con forti spinte contro lo stipite provò a sfondarla; per quanto la spalla gli dolesse fece innumerevoli tentativi, senza però sortire i risultati desiderati. Usare l’arma sarebbe stato impensabile, le fiamme avrebbero provocato un’esplosione che non avrebbe dato loro scampo. 
Recuperò il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni con l’intenzione di trovare una tessera che potesse far scattare la serratura e si imbatté nella foto della sua famiglia; si ritagliò un mezzo istante di sentimentalismo sfidando le fiamme, fu il fumo nei bronchi a costringerlo a non perdersi a lungo nei pensieri. Scelse una tessera rigida qualsiasi e la infilò tra lo stipite e la porta; si premurò di riporre il portafoglio ed estrasse la Sig Sauer dalla fondina solo quando trovò un modo alternativo in cui sarebbe potuta tornargli utile: la scaricò da tutti i proiettili, li ripose in tasca e impiegò il calcio come leva per scardinare la serratura. Si sforzò, in un luogo privo di ossigeno una fatica simile minacciò di abbatterlo; quando riuscì, ripose la pistola nella sua cintura e si gettò alla ricerca del neonato, anche se a malapena si reggeva sulle gambe. Nell’intento di cercare un modo per entrare non si era accorto che il pianto del piccolo era cessato. Vide una culla e al suo interno un ingarbugliato cumulo di coperte; si portò il bambino al petto, lo sollevò prestando attenzione alla testa, come gli aveva sempre raccomandato Katherine con Alisia, si accertò subito che respirasse tastando i piccoli polsi e passando un dito sotto il suo naso; lo coprì completamente con le lenzuola per evitare che inalasse altro fumo.
Per Christian non fu difficile trovare un varco nella nebbia, la voglia di portare in salvo quella creatura gli infuse intraprendenza. All’uscita, nell’unico momento in cui avrebbe potuto cedere sfinito sulla ginocchia, un abbraccio trepidante gli impedì di collassare; non ricambiò solo perché il piccolo sopravvissuto si frapponeva ai due. La stretta conservava in sé la forza del perdono e della riconoscenza. Beatriz fu costretta ad allontanarsi da lui, quando alcuni medici si avvicinarono a loro per soccorre il piccolo superstite.
«Ho solo qualche scottatura»
«Sei troppo impulsivo, tu non tratti con i talebani. Ci penso io»
Il tenente sorrise di cuore fra i colpi di tosse; la collega aveva accolto la sua idea, ma non gli era dato ancora conoscere le condizioni. Criticava la temerarietà di Gwendoline, ma lui era il primo a gettarsi tra le fiamme all'occorrenza.

 
 
Periferia Ovest di Kabul, 21 ottobre 2018
 
Samuel fissava Karim intento a scrutare i suoi volumi di medicina impolverati; non riusciva a comprendere nulla, erano tutti in afghano, ciò che però riconosceva era la passione con cui il dottor Sharifi si impegnava a consultare le pagine ingiallite. Il giornalista aveva la metà dei suoi anni, eppure si rivide in lui ai tempi di Yale; erano accomunati dallo stesso impegno e dallo stesso interesse per il proprio mestiere. Il reporter iniziava a convincersi che non fosse partito solo per compiacere suo padre, quel viaggio era stato cercato dalla sua volontà, ammetterlo ad una furiosa Margaret era più difficile. Si era rifugiato nel monolocale in cui viveva Karim in cerca di una compagnia amica, poco importava fosse silenziosa; si era accucciato a braccia conserte sul tavolo di legno e rifletteva sulle più svariate questioni, convinto innanzitutto di dover chiarire con la fidanzata. 
Gli ultimi giorni per Samuel si erano rivelati ricchi di cambiamenti. Contro il volere del reporter, il suo alloggio era cambiato; ora occupava una stanza singola in un albergo riservato a giornalisti occidentali, ma nonostante le premure dell'ambasciata trascorreva parecchio tempo al villaggio insieme ai suoi amici. All'inizio incontrare i colleghi della CNN non lo aveva entusiasmato; si era sbagliato di poco, alcuni corrispondenti della rete statunitense erano più socievoli di altri, nulla di strano paragonato al naturale scorrere dei rapporti umani. La maggior parte di loro era stata gentile e comprensiva, gli aveva suggerito di riposare dopo l'agguato, ma non lo conoscevano abbastanza per credere che avrebbe proseguito il suo soggiorno in un letto. 
Dopo due mesi in Afghanistan si era accorto di conoscere ben poco della gente di quel popolo, ma soprattutto non si era fermato ad indagare il loro passato, l'anima di un giovane reporter era molto meno riflessiva e più pragmatica; lo scorrere inesorabile dei giorni però era un elemento che li accomunava a prescindere dalla loro nazionalità. Sciolse la sua posizione raccolta e intensificò lo sguardo sul medico.
«Karim? Mi togli una curiosità? Perché sei rimasto a Kabul dopo gli studi? Non hai avvertito il desiderio di tornare dalla tua famiglia?»
Una pagina rimase sospesa tra le dita del natìo; era stranito per la domanda così personale giunta all'improvviso, quella fu la prima reazione, in un secondo momento subentrò la malinconia, a cui si rifiutò di cedere. Riprese a leggere per distrarsi dai ricordi, nascondendo un nodo in gola che gli impedì di verbalizzare i pensieri. Samuel era giovane ma non ingenuo, comprese subito il silenzio del medico, era carico di sentimento.
«Perdonami, non avevo idea fosse un argomento delicato»
«Nemmeno tu mi hai mai risposto riguardo a tuo padre. Ho sentito parlare del Los Angeles Times, diversi tuoi colleghi hanno lavorato qui per un periodo più o meno lungo. Sembra un giornale prestigioso. Non riesco ancora a comprendere per quale ragione il direttore abbia inviato proprio suo figlio»
«Non è affatto un buon padre»
«Sì, questo l'avevo capito»
Non era intenzione di Karim ferire il ragazzo, si pentì di aver impiegato il medesimo poco tatto e da parte sua con malizia per impartirgli un insegnamento non richiesto. Lo sguardo vacuo del giornalista al pensiero del genitore infuse al dottore sensi di colpa; Samuel non doveva rendere conto ad uno straniero delle ragioni che lo avevano spinto in Afghanistan, il dottore ne era consapevole. Un atteggiamento paterno e meno risentito suggerì un sorriso incoraggiante sul volto del medico, affinché l'americano non si abbattesse. Distrasse il giovane rispondendo alla domanda, ma senza alzare lo sguardo dai suoi volumi che raccoglievano le più svariate formule di cura. 
«A Herat ho lasciato una sorella, un fratello e due genitori. Sono il primogenito. Ero giovane quando ho iniziato a studiare medicina all’università di Kabul. Ho impiegato i miei risparmi negli studi. Mia madre avrebbe voluto mi sposassi con una giovane scelta da mio padre. Mio fratello contava che mi occupassi della famiglia e accasassi nostra sorella»
Karim accarezzò con malinconia le pagine che teneva tra le mani. Ciò che più amava nella vita era inconciliabile e lo sarebbe sempre stato. Era caduto spesso in errore verso la sua famiglia, l'aveva ammesso svariate volte a se stesso, eppure la volontà di essere ciò che era non lo aveva mai portato alla redenzione. Incrociò lo sguardo serio e attento di Samuel. Il dottore affievolì il tono di voce, rendendo la conversazione più intima.
«Penso di essere stato la più grande delusione dei miei cari. Non so come stiano, mi mancano, anche se non penso di essere ancora ben accetto. Io e mio fratello non ci siamo salutati nel migliore dei modi. Ogni volta che sento aerei volare verso Herat, trattengo il fiato»
«Le tue scelte sono state legittime»
«Non in Afghanistan. Anche gli uomini qui hanno doveri. Provo rimorsi soprattutto verso mia sorella, lei è più grande di nostro fratello, ma di certo non può occuparsi della famiglia. Volevo risparmiarle un matrimonio infelice e non penso di esserci riuscito. Volevo evitare un matrimonio infelice anche alla mia promessa. Me ne sono andato, non sono tornato e non ho impedito proprio nulla, altri hanno scelto per loro»
«Eri innamorato di lei?»
Il reporter aveva notato la malinconia con cui Karim aveva citato il suo passato e in particolare quella donna che ad esso apparteneva; non si era sbilanciato sulla sua identità, era rimasto vago.
«Lo hai scoperto con lei?»
Il dottore comprese subito a cosa si stesse riferendo; sbuffò in modo educato richiudendo il libro con pacatezza, ma anche con una chiara nota di fastidio nel discutere di un argomento così personale; quasi si pentì di essersi confidato con il giovane riguardo alle sue capacità di concepire.
«Senti, Samuel, anche la curiosità di un giornalista ha un limite»
«Era la domanda di un amico»
La spontaneità e la dolcezza con cui si definì suo amico lo stupì, ma non lo scompose.
«Visto che ti interessa tanto, in Afghanistan le regole sono un po’ diverse e di certo non inizio una relazione con una donna che so di non poter sposare. Chiaro?»
Il ragazzo non si rassegnava ad ostentare i suoi pensieri da occidentale.
«Non penso che la tua famiglia ti rifiuterebbe solo per questo»
Karim lo fissò comunicandogli quanto fosse ingenuo a pensarlo e poco pratico di un contesto tanto complesso come il suo. Riaprì il volume, riprendendo una ricerca che sembrava stargli a cuore. Dedicò la sua ultima riflessione a sé più che all’americano.
«Non conosci mio fratello. Era solo un ragazzino quando me ne sono andato, ma non dimenticherò mai il suo disprezzo. Spero solo che i miei genitori siano ancora vivi, ero molto legato a mia madre»
Un’illuminazione sul libro che stava consultando impedì alla nostalgia di prendere il sopravvento. Puntò il dito sulla pagina che stava sfogliando per non perdere il segno delle righe che erano passate sotto i suoi occhi, la sua lunga indagine aveva portato risultati.
«Maryam mi ha chiesto un rimedio per le sue nausee. Non teme di stare male, la spaventa l’opinione comune»
La dedizione con cui il dottor Sharifi si occupava della giovane sventurata non sorprese Samuel, aveva dimostrato in più occasioni di essere un uomo d’onore. Karim gli aveva più volte fatto notare quanto la sua opinione da occidentale fosse fortemente influenzata da una cultura talvolta superficiale, eppure non riusciva comunque a condannare le scelte che l'amico aveva preso nel corso della sua vita, anche se queste superavano qualsiasi logica della Legge.
 
 
San Diego -  Stati Uniti d’America, 30 ottobre 2018
 
Sophie accostò il cappello da pilota-comandante all’angolo della lapide; una lapide che aveva scelto lei stessa di costruire in America, per avere la percezione di averlo ancora accanto, ma una tomba vuota non avrebbe mai potuto colmare la voragine lasciata dal compagno. La stoffa di quel cappello, dopo anni sui fondali, era sgualcita, portava i segni del passato; le ricordava quanto quell’incidente avesse stravolto la sua vita più di quanto fosse riuscita ad ammettere a terzi, persino agli affetti più prossimi. Il tempo non aveva cancellato l’incredulità; vedere la sua foto sul marmo era la cosa più illogica che avesse mai vissuto. Per anni era stato un tumulo commemorativo privo di qualunque corpo, fino a quel momento era stata una circostanza che offriva meno realtà alla sua tragica perdita. Ora lui era lì e il senso di tradimento che aveva provato così intenso nel primo periodo di relazione con Fabian tornò a bussare al suo cuore; il suo attuale compagno non sarebbe stato in grado di comprenderla, la loro ultima discussione le offrì quell’amara certezza, ma lei in fondo non seppe biasimarlo.
Dopo la scomparsa di Brian nulla era stato semplice, ma una giovane aviatrice offuscata dal dolore non si sentiva pronta a chiudere con il futuro; era dovuta scendere a compromessi con la sua determinazione, con la tenacia di non abbandonarsi alla disperazione, vanificando così tutto ciò che erano stati lungo il breve viaggio che avevano attraversato insieme.
Non era stato facile tornare ad approcciarsi ad un uomo che non fosse il marito defunto e amato, ad abbandonarsi alle braccia di un altro uomo. Si era procurata molto male, anche se Fabian le aveva donato solo amore; non lo aveva mai ammesso ad anima viva ed ora che i suoi vissuti riemergevano dal passato le emozioni erano diventate un fiume che travolgeva lei e chiunque le fosse accanto. Forse non si era davvero innamorata del suo navy seal, ma solo dell’idea di sentirsi ancora amata e ciò era straziante. 
Sulla lapide di una vita trascorsa, Sophie portava fiori, ricordi e illusioni. Non importava più mentire, tradire la fiducia di Fabian, oltre alla memoria di Brian. La verità era che aveva deluso se stessa. Aveva sciolto i pensieri in lacrime senza più nascondere le fragilità; sfiorò il vetro lucido della foto del giovane pilota: le sorrideva orgoglioso, ma non certo della donna che in vita aveva amato.
«Mi dispiace»
Non gli aveva mai chiesto perdono fino a quel momento, ma gli occhi immortalati in quello scatto le trasmettevano la pace di cui aveva così disperatamente bisogno; non era certa che lui da lassù fosse al corrente delle scelte intraprese dalla moglie, per lei fu molto più comodo credere che la sua anima si fosse dissolta nel nulla, si accontentò che lui in vita sapesse quanto lo avesse amato.
Nel giorno in cui il corpo di Brian era tornato sulla terraferma, il tenente Hernandez aveva deciso di essere accanto alla madre dei suoi figli. Si teneva a debita distanza, rimaneva alle spalle di Sophie accostato ad un tronco incaricato di ombreggiare le lapidi; per la prima volta si palesava su quella tomba, non era mai stato al corrente della sua esistenza. Osservare Sophie in quel luogo estraneo gli diede ulteriori conferme di aver condiviso anni della sua vita con una donna a lui sconosciuta, faticava a riconoscerla nelle azioni che compiva nei riguardi di un altro uomo in quel camposanto; si sentì persino un terzo incomodo, non più un sostegno nelle situazioni più impervie.
Il maggiore dell’aeronautica percepì i passi dell’uomo provenire dalle sue spalle. Accostò un ginocchio al terreno umido accanto a lei e depose un fiore scomposto alla base della lapide.
«Non hai commesso alcun crimine, ti sei solo fidata di un compagno di vita e di lavoro»
Erano così vicini che fu sufficiente sussurrare per non disturbare la quiete del luogo. Fu quello il momento in cui incrociò lo sguardo sorpreso della moglie; potevano avvertire i respiri tormentati di entrambi e i loro pensieri si intrecciavano inesorabili sulle medesime questioni.
«Lui non era un criminale. Ti prego, Fabian, mi sono confidata affinché tu mi aiutassi a scoprire che non lo è. Credevo e credo ancora in lui, ma non ho prove per dimostrarlo. Non ho potuto aiutarlo in vita, consentimi di farlo ora»
Si sentì in colpa per non essere riuscito a comprenderla come aveva promesso di fare fin dall’inizio, glielo doveva anche solo per il vincolo indissolubile che lo legava a lei. Pensò al modo più consono di poter indagare sui giorni precedenti all’incidente con le poche informazioni che gli aveva fornito la moglie sul conto del pilota; avrebbe voluto accontentarla, sfruttare per una giusta causa il potere che aveva fra i ranghi della Marina Militare.
«Hai ragione. Un uomo amato da te non può essere un criminale»
Sophie gli rivolse un sorriso sincero, non era sicura che il marito le credesse, era più propensa a ritenere che fosse un tentativo di rimandare il discorso per non rischiare una nuova discussione.
«Allora vale lo stesso per te»
Il sorriso di Fabian fu più malinconico; era disilluso, più volte la compagna aveva ammesso i suoi reali sentimenti nell'ultimo periodo e non aveva avuto alcun motivo di mentire, compromettendo il loro rapporto.
«Non credo, Sophie. Il tuo cuore è sempre rimasto in questo cimitero»
Il tenente si alzò, la sua anima era leggera, non provava rancore o gelosia, la tenacia con cui da sempre faceva i conti in veste di militare lo rendevano consapevole dell’inutilità di simili sentimenti, non avrebbero portato ad alcun risultato, tantomeno per lui o per la loro famiglia; il seal sapeva di amare sua moglie e ciò gli bastava. Sophie preferì non rispondere, avrebbe solo espresso per l’ennesima volta il suo dispiacere e lo trovò inutile, convinta che lui lo sapesse già, non aveva bisogno di ripeterlo. Non osò seguire i passi del comandante, mentre si allontanava da lei e da quella scomoda lapide; preferì concentrarsi sulla foto del compagno perduto, a lui si rivolse direttamente.
«Lo hai messo tu sulla mia strada, vero?»
Sfiorò un’ultima volta quel volto giovanile che ormai esisteva solo in pochi scatti che le erano rimasti e nei ricordi, dall'anima del defunto cercava vane rassicurazioni. In ultimo gesto ricompose il fiore di Fabian nel vaso stracolmo d’acqua accanto agli altri petali: era una calla dalle sfumature candide, simbolo di stima.
«Addio, amore»

 
Buongiorno, cari lettori e care lettrici!
Il ritardo è colossale, vi chiedo scusa, hanno deciso che darmi pace sarebbe stato troppo lussuoso.
I temi che desidero affrontare in questa storia sono tanti, quindi li sto affrontando progressivamente lasciando lo spazio per approfondirli.
Ringrazio di cuore tutti coloro che continuano a seguirmi, siete una luce. ♡
A presto!
Un abbraccio 
Vale
 




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