Back In Black

di _Lightning_
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Spider-Man: Back In Black

 

§

 

Capitolo XI

... and washed the spider out




“Will you bite the hand that feeds?
Will you chew until it bleeds?
Can you get up off your knees?
Are you brave enough to see?

Do you wanna change it?"
[The Hand That Feeds  – Nine Inch Nails]

 

 

 

23 giugno, Manhattan, Star Tower


C era una linea molto sottile tra coraggio e follia e, man mano che Peter avanzava carponi sulla parete di vetro esterna della Stark Tower, gli diveniva sempre più chiaro quanto si stesse sbilanciando verso questultima.
Poteva ripetersi mille volte di stare seguendo un piano ben preciso, affatto improvvisato, ma la sensazione rimaneva quella di essere un funambolo sul punto di cadere nel vuoto.

Si arrampicò in un paio di balzi sulla gigantesca “K” dell’insegna
 STARK che campeggiava in cima alla Tower e volteggiò oltre la balaustra della piattaforma datterraggio per elicotteri, dandosi lo slancio con una ragnatela. Nessun sensore dallarme si attivò, proprio come previsto da Karen: nonostante vi fosse una caccia alluomo - anzi, al ragno - in corso, Tony sembrava aver provvidenzialmente dimenticato di inserire i suoi dati biometrici nella lista delle potenziali minacce.

Scansionò lattico della Tower tramite la visione termica, trovando ben presto ciò che cercava. Si focalizzò sul puntino rosso, non rilevando altre presenze. Avanzò quindi senza esitazioni verso la porta a vetri, aprendola senza impedimenti, e si addentrò nel salone senza curarsi di mascherare la sua presenza.

«Buonasera, signor Stark,» si annunciò, una volta arrivato alle spalle del padrone di casa, seduto sul divano.

Tony non sobbalzò nemmeno, probabilmente al corrente della sua presenza sin dal momento in cui aveva iniziato a scalare la Tower.

Si limitò ad alzare lo sguardo verso lenorme schermo TV di fronte a lui, fissandolo dal riflesso sulla superficie spenta e nera.

«Ehi, Parker,» disse, con voce più tesa del normale. «Iniziavo a chiedermi quando ti saresti fatto vivo.»

«Mi aspettava?» chiese Peter, senza curarsi di nascondere il sottotono pungente di quella domanda.

«In verità, no,» lo sorprese Tony, voltandosi infine a guardarlo. «Per una volta, posso dire che mi hai sorpreso in positivo. Non pensavo che ti avrei visto più, dopo lannuncio di Osborn.»

«Neanchio,» replicò freddamente Peter, abbassando per un istante lo sguardo, anche se celato dalla maschera.

Non gli diede la soddisfazione di mostrare rammarico per quella loro separazione, anche se era stata dolorosa.

Tony non accennò ad alzarsi e Peter si chiese, in sordina, se fosse per via delle ferite. Lustione che gli attraversava il volto, in effetti, sembrava spiccare in modo più deciso, nel salone illuminato solo dalla luce soffusa di una lampada da lettura e dalle nuci di New York oltre la vetrata. Che avesse usato di nuovo larmatura? Forse si era unito alla caccia all’uomo nelle vesti di Iron Man, fingendo di schierarsi dalla parte della Sable? Peter non sapeva e non voleva darsi risposta.

«L’allarme non è suonato,» osservò Peter, cercando di mostrarsi indifferente a quel fatto.

«Stanno cercando Spider-Man, non Peter Parker,» replicò prontamente lui. «Vedo che hai accettato il mio consiglio,» continuò poi, additando la Iron-Spider.


Peter scrollò le spalle, d’un tratto consapevole del peso metallico posato sulle sue spalle.

«Sarebbe stato da stupidi non farlo, con la Sable che mi spara a vista.»

Vide Tony accigliarsi a quell’affermazione, e sentì il cuore sprofondare in un piccolo buco nero. In realtà, era stato abbastanza scaltro da non farsi mai individuare, né tantomeno sparare addosso, ma poteva permettersi una piccola bugia, dopo tutte quelle che gli aveva rifilato Tony. L’uomo scosse la testa, massaggiandosi la radice del naso come a placare una fitta di emicrania.

«Perché sei venuto da me, Peter?»

La voce di Tony sembrò addolcirsi appena sul suo nome, come se stesse tentando, in qualche modo, di riportare il discorso sul terreno che aveva sempre conosciuto - quello del mentore e del protetto. Peter deglutì, sentendo la bocca secca e i palmi sudati nel ripensare a tutti quei discorsi e discussioni, ormai così lontani da sembrare appartenere a un’altra epoca, ancor più lontana di quella prima dello schiocco.

Almeno, quando era sparito, non aveva avuto alcuna nozione del tempo che passava, anche se la parte più recondita della sua mente ricordava fin troppo bene la prigione ambrata in cui aveva vagato per cinque anni. In quei mesi, invece, era stato perfettamente consapevole di ogni passo che aveva compiuto, di ogni errore, di ogni azzardo, di ogni conseguenza che si era abbattuta su di lui e su chi gli stava accanto.

Prese un respiro profondo, prima di rispondere. Le parole tremarono appena, non per l’insicurezza, ma per il peso che portavano con sé:

«Sono qui per mostrare a New York di essere davvero il miglior vigilante che abbia mai avuto.»

 

§



Due ore dopo...

Il confine tra coraggio e follia si era annullato del tutto nel momento in cui Peter aveva varcato la soglia della sede centrale del Daily Bugle, sotto gli occhi esterrefatti della sicurezza e dei pochi reporter che si erano trattenuti a fare le ore piccole - follia, quella che stava per compiere era una totale follia.

Nonostante il passo fermo che si imponeva di mantenere, sentiva le gambe di gelatina e ogni paio d’occhi che gli si appuntava addosso sembrava perforarlo da parte a parte attraverso la cromatura della Iron Spider. Tony avanzava senza la minima esitazione accanto a lui, avvolto dai toni speculari rosso-oro della sua armatura, col passo di chi entra a casa propria e si aspetta che vengano rispettate le proprie regole.

Nel giro di un quarto d’ora dal loro arrivo, si ritrovarono stipati in un ufficio secondario, con la promessa che il signor Jameson avrebbe approntato al più presto la sala principale per quella conferenza stampa improvvisata. Peter storse il naso al solo sentire il suo nome e, a dispetto della maschera metallica che celava il volto di Tony, era certo che anche la sua espressione non fosse molto più amichevole.

«Perché il Daily Bugle, di tutti i giornali?»

«Strategia, ragazzo,» replicò Tony, picchiettando l’alloggio per nanoparticelle sul suo petto per permettere all’armatura di ritrarsi in un batter d’occhi. «Piazzarsi sul palcoscenico nemico vuol dire coglierne anche gli applausi, oltre ai fischi.»

Detto ciò, si lasciò cadere poco elegantemente sulla sedia imbottita più vicina, del tipo che ci si poteva aspettare di vedere nella sala d’attesa di uno studio medico. Peter si accigliò, invisibile, nel notare la smorfia che attraversò il volto del suo mentore. L’uso dell’armatura e tutti quegli sforzi lo stavano chiaramente provando, ma Peter sigillò le labbra e non commentò. Aveva preoccupazioni ben più urgenti del benessere di Tony, al momento, per quanto si sentisse meschino a pensarlo.

Una parte della sua mente rimaneva agganciata come un uncino doloroso a zia May, pregando con tutto se stesso che fosse davvero al sicuro. Non aveva motivo di dubitare di Murdock, anch’egli nel mirino della Sable e con il medesimo interesse a fare squadra contro Osborn e Kingpin, ma sapeva fin troppo bene che gli imprevisti erano sempre in agguato dietro l’angolo. Il fatto di non sapere dove fosse sua zia era solo un’ulteriore precauzione - le cose potevano benissimo andare storte, la Sable avrebbe potuto comunque decidere di arrestarlo o interrogarlo: era meglio sapere il meno possibile.

Dall’altra parte, sentiva la pressione schiacciante di ciò che si stava apprestando a fare, con un sapore acido di bile che, a tratti, gli invadeva la bocca, facendogli montare la nausea. Ma quella era l’unica carta che poteva giocare, l’unica arma che gli rimaneva contro Kingpin, l’unico modo per rompere la ragnatela in cui l’aveva intrappolato. Nulla di tutto ciò rendeva più facile quel passo nel vuoto: stava controllando a stento l’impulso di camminare avanti e indietro nel piccolo ufficio, limitandosi a molleggiare sulle ginocchia e sui talloni con la sensazione di oscillare a chilometri d’altezza.

«Signor Stark,» chiamò infine, facendogli alzare di scatto lo sguardo, che si fissò interrogativamente su di lui.

A occhi ingenui, con il suo solito completo su misura, l’orologio di marca e il pizzetto ben curato, poteva sembrare il solito Tony Stark, geniale, impertinente e dalla battuta pronta. Bastava intaccare la superficie, però, per capire che indossava la maschera di Iron Man, anche se l’armatura era ben riposta nel suo alloggio. Oltre al reattore arc ancorato sul petto, indossava gli occhiali EDITH e il bracciale in grado di sprigionare il guanto-repulsore. Tony era pronto alla guerra, e non si curava di nasconderlo agli occhi di chi l’aveva già visto combattere.

«Dimmi,» lo incoraggiò con un cenno del mento, notando il suo prolungato silenzio.

Peter prese un lungo, grosso respiro prima di continuare, decidendo di abbattere ogni barriera. Appianando i livelli del discorso, portando entrambi sullo stesso gradino del podio, dimenticando per un istante di no nessere più il Tony Stark e il Peter Parker di cinque anni prima.

«Lei... lei perché ha rivelato di essere Iron Man?»

L’occhiata che Tony gli rivolse fu strana e indecifrabile, persino per i suoi standard. Capì di averlo spiazzato, come di rado accadeva. Storse il naso, inspirando seccamente e scostando altrove lo sguardo.

«Per i riflettori, no? Per la buona pubblicità, per ricostruirmi un’immagine... strategia, ragazzo, proprio come la nostra adesso.»

Peter scosse la testa e, dopo una rapida occhiata attorno a sé, ritirò la maschera dal volto, fissandolo direttamente negli occhi.

«No. Era famoso anche prima, e non...» allargò le braccia, irritato. «Tony, la mia è una domanda seria, non te la farei se non ... non te la farei nemmeno in questo modo, se volessi la solita bugia che rifili a tutti, no?»

Tony tirò le labbra, riempiendosi di ombre gli occhi.

«Che risposta vuoi sentire, Peter?»

«La verità,» rispose lui, senza nemmeno pensare. «Solo la verità.»

Tony incrociò le braccia, sospirando dal naso.

«La verità è che io sono un caso particolare. Lo sono da sempre... chiedi a chi mi conosce da più di un quarto di secolo,» concluse, stropicciandosi la fronte, come se l’emicrania si stesse intensificando.

Peter spostò il peso da un piede all’altro, domando l’impazienza. Chiedere a Tony Stark di parlare a viso aperto era un po’ come chiedere a un gatto di scendere dal tavolo: laborioso e dagli esiti imprevedibili.

«Quando ho fatto quella conferenza stampa, nel 2008... non ho agito d’istinto,» disse poi il suo mentore, con gli occhi che fissavano un punto in fondo alla stanza senza vederlo. «O meglio, sì. In quel momento , e ho mandato all’aria tutti i piani del buon vecchio Barbanera anche per principio, ma... non è stata una decisione presa sul momento, o un’epifania mistica. È stato anche quello, sì, ma...»

La sua voce si spense e portò un palmo a sfregarsi il pizzetto, come rendendosi conto di divagare. Peter compresse le labbra, stringendo i pugni e non scolalndo gli occhi dai suoi che rifiutavano di incontrarli. Fuori dalla porta, poteva sentire un brusio concitato e lo scalpiccio di passi affrettati che spronavano il suo cuore a battere più forte, a scatti.

«Ci avevo pensato a lungo, già nei miei tre mesi di vacanza forzata in una grotta, anche se non pensavo che sarei mai andato in giro nelle vesti di un Robocop volante.»

Fece un’altra pausa e, finalmente, alzò gli occhi in quelli di Peter, con la rara intensità che assumevano quando non si sforzava di nascondersi dietro le sue facciate di circostanza.

«La mia conclusione, all’epoca, è stata che l’identità da nascondere era la mia. Quella di Tony Stark, non quella di Iron Man. Ed è stato incredibilmente facile farlo; è bastato pronunciare quattro parole in mondovisione.»

Peter deglutì, sentendole riecheggiare nelle orecchie esattamente come da bambino, quando aveva visto per la prima volta il suo supereroe in tv: io sono Iron Man.

«È stato facile perché non eri davvero tornato,» mormorò quasi senza pensare, e Tony distolse di scatto gli occhi, con una scintilla di panico sul volto.

Di chi si sorprendeva a vedersi compreso e realizzava al contempo che non avrebbe voluto davvero. Fu uno squarcio, di quelli che snudano l’anima a tradimento scoprendo le emozioni vive e pulsanti sotto corazze e armature. Peter si aspettava di vederci paura e sensi di colpa, ma ci lesse dentro un rimpianto lontano che confondeva i propri contorni con un rimorso vicino - di chi sopravvive, sempre, anche quando chi gli sta intorno non ci riesce.

«Siamo tornati entrambi, Pete,» mormorò Tony, con un sorriso privo di allegria. «Ma non torni mai davvero, dopo che sopravvivi a una bomba nel petto o a uno schiocco cosmico. Una parte di te rimane sempre lì.»

Peter annuì, capendo fin troppo bene ciò che voleva dire Tony.

«Però c’è sempre un modo per riprendersela,» ribatté, sperando con tutto sé stesso che quello fosse il modo giusto, come lo era stato per Tony così tanti anni prima. «E se ci sei riuscito tu, allora...»

«Non è questione di riprendersela,» lo interruppe Tony, scuotendo la testa, «ma di accettare che rimanga laggiù e che possiamo vivere anche senza. Nel mio caso, anche meglio di prima.»

Peter ondeggiò sul posto, sentendosi come se gli fosse crollato addosso un palazzo, di nuovo, con la stessa sensazione di peso schiacciante sulle spalle e pulviscolo sottile nei polmoni. Con la stessa sensazione di essere friabile come una statua di sabbia pronta a sgretolarsi. Aveva pensato molto a quegli anni di vuoto, da quando era tornato e, ogni volta, aveva avuto la netta sensazione di aver lasciato indietro su Titano la parte più importante di sé: Spider-Man.

Forse, se avesse accettato quel fatto, ciò che stava per fare avrebbe davvero avuto un senso, nell’intricata ragnatela in cui si stava dibattendo da mesi. Forse, invece, avrebbe distrutto definitivamente anche ciò che era sopravvissuto allo schiocco. Non lo sapeva; non l’avrebbe saputo finché non avesse compiuto quel passo.

«Adesso faresti la stessa scelta?» riuscì a chiedere, sapendo che la sua voce doveva suonare tutt’altro che salda.

«Non lo so,» ammise Tony, con inaspettata rapidità. «A pensarci bene, in questi anni Pepper e Happy hanno rischiato la vita, Rhodey ha perso l’uso delle gambe, io e Cap ci siamo quasi ammazzati a vicenda, Thanos ha annullato l’universo per cinque anni... non dico che sia tutto riconducibile al rivelare la mia identità, nemmeno io sono così megalomane,» sorrise infine, con un’inclinazione amara e fugace delle labbra, «ma essere al contempo se stessi e qualcun altro porta degli svantaggi per chi ti circonda. Lo sai già, o non mi faresti queste domande.»

Peter annuì, mantenendo il contatto visivo per qualche altro secondo, prima di lasciare che la maschera di Spider-Man tornasse a celargli il volto.

Certo, che lo sapeva. Lo sapeva fin troppo bene.

 

§



Sala conferenze stampa del Daily Bugle, 2 del mattino


«Signor Stark...»

«È solo panico da palcoscenico, ragazzo. Respira.»

«Mi viene da vomitare.»

«Un po’ più in là, prego, non sulle mie scarpe.»

Tony lo scansò appena da sè con una mano sulla spalla, a metà tra un gesto giocoso e di rassicurazione. Per quei singoli momenti, Peter poté fingere che non fosse successo nulla, che non vi fosse una voragine di sfiducia tra loro, che non si trovassero su lati opposti della barricata, pronti a stringere un accordo solo perché costretti dalle circostanze. Sapeva quanto quella fosse un’illusione, ma il suo stomaco sottosopra gli impediva di ragionare lucidamente, così non si scansò dalla presa di Tony, rimanendo al suo fianco nel tentativo di regolarizzare il respiro.

Appena oltre il separé di fronte a loro vedeva il piccolo palco illuminato a giorno dai riflettori e leggio dietro il quale lui e Tony stavano per prendere posto al segnale di Jameson - Peter non riusciva ancora a credere di essere nella stessa stanza con l’uomo che l’aveva diffamato per anni. Né poteva ignorare il piccolo distaccamento della Sable schierato in fondo alla sala, una ferrea linea di tute integrali bianche oltre le sedie riservate ai pochi giornalisti, i pochi che avevano ottenuto un pass per quella conferenza stampa straordinaria.

Tony aveva operato una cernita severissima al riguardo e, se non era riuscito a impedire che la Sable fosse presente "per ragioni di pubblica sicurezza", aveva almeno interdetto l’accesso a personalità dalle simpatie troppo vicine a Osborn e Fisk. Peter fu scosso da un tremito, col senso di ragno che inviò un segnale di puro panico quando posò lo sguardo sulla telecamera puntata sul leggio - la stessa che, tra pochi minuti, sarebbe stata puntata sul suo volto scoperto e probabilmente verdognolo per l’angoscia.

Follia, era pura follia.

«Puoi sempre ripensarci, Pete,» gli sussurrò Tony, voltando le spalle agli operatori e cameraman per evitare qualsiasi orecchio e occhio indiscreto. «Non sarebbe la prima conferenza stampa che mi mandi all’aria... certo, stavolta per essere coerente dovrei annunciare il mio divorzio, ma non credo che Pepper sarebbe d’accordo e-»

«Voglio farlo,» sbottò Peter, ringraziando che Yony non potesse - ancora - guardarlo in volto. «Non avrei voluto che accadesse, e non così. Ma ormai le ho dato la mia parola, e stavolta può contare su di me.»

Tony gli rivolse un sorrisetto teso.

«Quanta formalità, io mi ero preparato una battuta molto più sdolcinata.»

Peter, suo malgrado, sentì gli angoli delle labbra tirarsi verso l’alto.

«Del tipo?»

«Troppo tardi, occasione bruciata,» sbuffò Tony, facendo cenno verso il palcoscenico. «Vai, Spidey. Sono quattro parole: buttale fuori senza pensare.»

Peter annuì con forza, accettando quel supporto che, dietro tutto il risentimento e la sfiducia, gli era mancato. Un ultimo dubbio fece capolino nella sua mente e non ritenne opportuno trattenerlo, non quando si sentiva già sul punto di liquefarsi per l’ansia:

«Signor Stark, è sicuro che questa sia...»

«No,» lo anticipò Tony, leggendogli nel pensiero con facilità disarmante. «Ma è la cosa giusta da fare adesso,» concluse, scrutandolo da dietro il bordo degli occhiali e piazzandogli le mani sulle spalle. «Comunque vada, non sarai solo, dovessi mettermi contro tutta New York, i Vendicatori e gli Stati Uniti... tanto mi odiano già tutti abbastanza, non farà molta differenza.»

Peter annuì di nuovo, registrando appena il modo leggero con cui Tony tentava di parlare - annuire era l’unica reazione che riusciva ad avere senza rischiare di crollare a terra inerte. Avvertiva il flebile tremito nella mano sinistra di Tony, la cui presa era meno salda, segno che anche la sua era una spensieratezza forzata.

«E so che anche tu hai avuto motivo per odiarmi,» aggiunse Tony in fretta, a voce ancor più bassa. «Ma questa, nonostante tutto, è una tua decisione, e sono fiero di te per aver deciso di prenderla al mio fianco.»

Peter, stavolta, scosse a scatti la testa, e le parole successive gli scivolarono di bocca senza il proprio consenso:

«Non l’ho deciso io, in realtà,» esalò, in un soffio d’aria leggero.

Doveva dirglielo.

Tony corrugò la fronte.

«Come, prego?»

«Le sembra che abbia scelta?»

Peter digrignò i denti, sentendosi per un istante solo un ragazzino sul ciglio del baratro. Doveva dirgli che non era solo coraggio e volontà di mostrarsi al mondo; doveva dirgli che quella era una scelta forzata, per proteggere chi amava, non solo per se stesso e la propria immagine.

«Se non lo faccio, non potrò più essere Spider-Man...»

Si interruppe subito. No, non era quella, la verità. Non per Spider-Man, né per Peter Parker – nessuna decisione che prendeva era mai per se stesso.

«Se non lo faccio... io non posso non farlo, capisce?»

Tony serrò la mano sulla sua spalla, ogni tremito svanito, la luce nei suoi occhi che si fece più cupa, più penetrante.

«Cosa, Parker?» Gli tremolava la guancia ferita in modo impercettibile. «Cosa non mi hai detto?»

Peter lo guardò dritto negli occhi, nonostante Tony non potesse vederlo.

«Kingpin sa chi sono. Sa che sono Peter Parker.»

Il cuore di Tony smise fisicamente di battere per un intero secondo. Peter lo udì, distintamente, un colpo a vuoto nel suo petto che si propagò per tutti gli arti.

«Questa è l’unica via d’uscita che ho per proteggere zia May e incastrare lui e Osborn. Non posso continuare a scappare e nascondermi, non posso smettere di essere Spider-Man e non posso mettere in pericolo May continuando a esserlo. Lo affronterò a volto scoperto e sarò solo io a subirne le conseguenze. È per questo, che sono venuto da lei.»

Vide Tony boccheggiare, la presa sulle sue spalle che era ormai diventata una morsa ferrea quanto quella della sua armatura. Non ebbe tempo di reagire, né di replicare, né di spiccicare parola, perché uno dei tecnici li chiamò a gran voce:

«Andiamo in onda tra trenta secondi, prendete posto, per favore!»

Tony ci mise ben più di qualche secondo a riprendersi e Peter non sapeva cosa con chiarezza gli stesse leggendo negli occhi: preoccupazione, forse; sorpresa, senz’ombra di dubbio; delusione, probabilmente.

Ma vide anche qualcos’altro, un’ombra, una variazione di colore nell’iride nocciola, come se tutti i meccanismi nella testa di Tony si fossero mossi all’unisono come un unico corpo perfettamente oliato e avessero iniziato a muoversi frenetici in cerca di una soluzione. Peter, in quel momento, ebbe paura di cosa avrebbe potuto fare.

Tony si riscosse repentinamente. Evitò i suoi occhi, lo lasciò andare e picchiettò un dito sull’alloggio per nanoparticelle. In pochi istanti, Peter ebbe al suo fianco Iron Man, con l’armatura rosso-oro che si accordava in perfetta armonia con la sua Iron-Spider: un simbolo, anche quello, per comunicare al mondo che non era da solo.

«Forza, Parker,» enunciò con voce ferma e resa robotica dal casco. «Si va in scena.»

Senza nemmeno dargli tempo di replicare, si avviò fuori dall’ombra del dietro le quinte, prendendo posto dietro il podio. Peter lo seguì come in sogno, mentre il countdown raggiungeva i meno dieci secondi, lampeggiando fuori tempo rispetto al suo cuore impazzito.

Guardò davanti a sé, nella scatola nera della telecamera. Si chiese se zia May lo stesse guardando.

“Mi chiamo Peter Parker, e sono Spider-Man da quando avevo quattordici anni.”

Ripeté a mente quelle parole, così semplici, eppure in grado di annodargli la lingua.

Il bip acuto della diretta lo fece quasi sobbalzare. Fissò l’occhio rosso della telecamera, che adesso ricambiava il suo sguardo.

Adesso.

Doveva farlo adesso, senza ulteriori esitazioni. Niente preamboli, niente presentazioni. Doveva togliersi la maschera e parlare, dire la verità nuda e cruda.

Prese un respiro silenzioso.

«Signore e signori, non credo che io o Spider-Man abbiamo bisogno di presentazioni,» cominciò Tony, rompendo inaspettatamente il silenzio, «soprattutto in luce dei recenti avvenimenti.»

Peter lottò contro il nodo gordiano che gli aveva ostruito la gola, senza riuscire a cavarne un singolo suono. Toccava a lui, doveva parlare, rivelarsi, fare quel passo nel vuoto e verso la follia da cui era scappato finora. Sarebbe stato più semplice affrontare di nuovo Thanos.

«Siamo qui oggi, anzi, stanotte, perché abbiamo un annuncio da fare.»

Peter si accigliò, scoccando un’occhiata invisibile a Tony. "Abbiamo"? Forse era una semplice formula di circostanza, un modo per fargli capire che non era solo, neanche adesso.

«Buonasera,» gracchiò, odiando la propria voce che gli grattava contro le corde vocali. «Come ha detto Iron Man, sono- siamo qui proprio... per un annuncio,» ripeté, guadagnando tempo, o forse perdendolo - di certo perdendo sempre più coraggio.

Si preparò a ritrarre la maschera, pronunciando le parole più difficili della sua vita:

«Mi chiamo Peter Parker,» disse piano, «e sono Spider-Man da quando avevo quattordici anni

Le pronunciò... o, almeno, credette di averle pronunciate, visto che sentì le corde vocali vibrare e gli altoparlanti riverberare - ma quelle parole rimasero intrappolate tra bocca e maschera, rese mute contro la sua volontà, e non fu la sua voce a risuonare, ma quella di Tony:

«Dopo gli accesi dibattiti sull’Atto di Registrazione dei Superumani, i miei colleghi e io siamo giunti a una conclusione. Ovvero, che Spider-Man è da considerarsi membro effettivo e ufficiale dei Vendicatori, a prescindere dalla sua posizione rispetto all’Atto, da cui richiediamo formalmente l’esenzione. Ogni suo intervento e operazione ricadrà sotto la diretta responsabilità mia e dei Vendicatori, con le rispettive conseguenze per chi vi interferirà o tenterà di ostacolarlo.»

Che cosa?

Un gong riecheggiò nei suoi timpani e il terreno sembrò ondeggiare sotto i piedi di Peter, più simile a una massa liquida, un oceano scosso da un improvviso maremoto, lo stesso che aveva appena scosso le fondamenta del suo piano - lo stesso che stava per investire lui e May con forza distruttiva.

Fissò l’occhio della telecamera e quasi poté vedere quelli piccoli, neri e lucenti di Fisk che lo fissavano di rimando, sogghignando, pronto a scagliare all’attacco il suo esercito dopo quella dichiarazione di guerra.

«Questo è tutto, grazie per l’attenzione,» concluse Tony, alzando una mano a mo’ di saluto e segnale, prima che la sala esplodesse in un’ovazione sconcertata - ma Tony si stava già ritirando, trascinando Peter stava via dal palco, dietro le quinte.

Lui lo seguì senza nemmeno più sentire il proprio corpo, come se un secondo schiocco lo avesse privato di ogni volontà, oltre che della voce. Barcollò, incespicando nei propri piedi, sentendo il mondo che gli implodeva attorno come cinque anni prima.

Adesso gli veniva davvero da vomitare.

 

§

 


Note dell’Autrice:
Non provo nemmeno a giustificare i tempi di aggiornamento di questa storia.
Sappiate solo che questo capitolo è parzialmente pronto da quando ho iniziato a scriverla e, sì, vi ho lasciato con un altro cliffhanger. Non odiatemi, o almeno, non troppo.
Grazie a tutti coloro che continuano a leggere la storia, anche dopo tutto questo tempo ♥
Alla prossima, spero presto,
-Light-

 





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