Diclaimer:
Haikyu! non mi appartiene e da questa storia non ci
ricavo
neanche uno zellino.
Come
il Gatto catturò la Luna
Non
appena Kei fa ritorno in palestra sente su di sé le occhiate
indagatrici dei compagni di squadra, del coach, degli altri giocatori
e dei coach delle altre squadre. La situazione è decisamente
imbarazzante, si sente le guance andare a fuoco ma cerca di mantenere
lo sguardo impassibile come sempre. Probabilmente la sua è
solo
suggestione dettata dalla sensazione che c'è qualcosa di
diverso,
che fino a poco prima del break di metà mattina era molto
più
tranquillo e decisamente meno frustrato. Controlla per sicurezza che
la pettorina gialla con il numero 11 sia indossata correttamente ma
non potrebbe essere altrimenti, visto che non se l'è tolta
(nonostante qualcuno ci abbia provato mentre lo
teneva
incollato al muro).
Si
guarda in giro con aria annoiata, come sempre. Mostrarsi annoiato,
disinteressato e superiore è sempre stato il suo
atteggiamento di
difesa: non gli piace socializzare, non gli piace essere disturbato e
odia la confusione, nonostante tutto però non ha avuto il
coraggio
di rinunciare a entrare nel club di pallavolo. A volte si chiede
perché l'abbia fatto, in fondo è solo
un club, ce n'erano
tanti tra cui scegliere e la metà di essi decisamente meno
faticosi,
rumorosi o impegnativi, ma forse, in fondo in fondo, a lui la
pallavolo piace più di quanto voglia davvero ammettere.
Bokuto-san
gli ha detto che non si diverte a giocare perché
è ancora una
schiappa, ma Tsukishima crede semplicemente che gli basti fare il
minimo indispensabile per portare a casa i risultati, anche se non
eccelle, non è di certo una schiappa. Sicuramente ha delle
ottime
capacità di analisi e riesce a prevedere le azioni degli
altri
giocatori meglio di chiunque altro. Il suo intuito con la conoscenza
di Sugawara renderebbero il Karasuno uno squadra imbattibile, ma si
ostinano a far giocare Kageyama che avrà talento, ma lo
tollera
quanto si tollera il trapano del dentista… purtroppo
però le
veloci bislacche con quel tappo di Hinata funzionano bene e quindi le
due palle al piede si sono conquistati il posto da titolari. Non che
poi possa veramente criticare quei due, in fondo il suo posto da
titolare non gliel'ha garantito nessun talento particolare, ma solo
la genetica che l'ha dotato una notevole altezza assai apprezzata
quando c'è da murare una palla particolarmente difficile.
Si
mette in posizione della metà del campo occupata dalla
Karasuno
mentre dell'altra parte si schierano i loro avversari, ancora una
volta il Nekoma. Tsukishima osserva il loro alzatore che ha uno
sguardo annoiato alla pari di lui, eppure sono entrambi lì,
a un
campus dedicato solo ad ammazzarsi di partite ogni santo giorno per
un'intera settimana. Forse entrambi si chiedono perché si
stiano
sottoponendo a una scocciatura simile, ma poi lo sguardo di
Tsukishima si sposta sul capitano della squadra e deglutisce. Fino a
due giorni prima era semplicemente uno scocciatore che continuava a
stargli addosso e punzecchiarlo. Andava avanti così da che
era
iniziato il ritiro, se non fosse che durante il terzo giorno, durante
una pausa tra una partita e l’altra, il suddetto capitano
l'aveva
afferrato per la pettorina mentre si stava rinfrescando alle
fontanelle esterne e l'aveva portato in angolo distaccato del
giardino dove gli altri non si sarebbero spinti. In fin dei conti
conosceva il territorio, ci era già stato, lui, allo
Shinzen, sapeva
dove andare per non essere visto.
"Che
diavolo stai facendo?" gli aveva chiesto infastidito cercando di
scrollarselo di dosso.
"Come
sei suscettibile Tsukki!" gli rispose il moro chiamandolo con
quel nomignolo che Tsukishima detestava - non sopportava nemmeno
quando Yamaguchi lo chiamava così, ma si conoscevano fin da
che
erano bambini e il suo amico d'infanzia si era conquistato il diritto
di rivolgersi a lui con quel ridicolo appellativo.
"Non
chiam-"
"-chiamarmi
così, lo so. Ma se non mi dici il tuo nome, non ho molte
alternative."
"Tsukishima?"
"Noioso
e impersonale. Pure Chibi-chan ti chiama così e non voglio
rivolgermi a te come fa lui…" sussurrò lui
mellifluo
avvicinandosi al suo volto, lasciandolo interdetto.
Il
suo sguardo era serio, non quello strafottente o sciocco che gli
aveva visto dipinto sul viso da che erano arrivati o che gli
riservava ogni sera agli allenamenti. Sembrava serio, attento,
concentrato, predatorio ma al tempo stesso quasi…
ossequioso. Come
riuscisse una persona ad avere uno sguardo con così da tante
sfaccettature, Tsukishima non lo capiva.
“Perché
mai dovrei dirti il mio nome? Non mi pare siamo così in
confidenza.
Ci siamo allenati inseme l’altra sera solo perché
non siete
riusciti a convincere nessuno delle altre squadre.”
“Se
dici così sembra che tu non sia divertito nemmeno un
po’…”
“E
chi te lo dice che le cose non stiano effettivamente
così?” disse
Tsukishima, nel tentativo di sviare il discorso in modo tale da
potersi concentrare su qualcosa che non fosse il viso del capitano
del Nekoma e fin troppi pochi centimetri dal suo.
“Non
ti credo...”
“Tsk...”
“Sei
divertente quando fai così, sai…?”
“Io?
Divertente? Credo tu mi abbia confuso con Hinata o Haiba”
“Ho
detto divertente, non ridicolo” spiegò il moro,
che non si era
spostato di un millimetro.
Nonostante
avessero passato tutta la mattina a giocare e sudare come se non ci
fosse un domani, Kei percepì ancora una vaga nota di un
profumo a
lui sconosciuto. Qualcosa che ricordava l'odore del sottobosco.
Peccato che fossero così sudati da potersi strizzare i
vestiti, ma
Kei era quasi certo di aver percepito una traccia di quello che
poteva essere il profumo di quell’irritante centrale con i
capelli
più impossibili che si fossero mai visti in un campo di
pallavolo
(in realtà ci sarebbe stato anche Bokuto, ma lui giocava
come ala,
se no si sarebbe guadagnato anche lui lo stesso titolo).
Tsukishima
deglutì nervosamente, non riuscendo ad allontanare lo guardo
dal
volto dell’altro. Si sentiva terribilmente in imbarazzo e
sopraffatto e lui odiava entrambe le sensazioni perché
andavano a
scalfire e indebolire quella sua corazza impenetrabile.
“Allora,
me lo dici o no il tuo nome? Non posso chiamarti Tsukki, deduco che
neanche Quattrocchi sia un’opzione, dimmi tu...”
Tsukishima
alzò gli occhi al cielo, non riuscendo a capire
perché il capitano
del Nekoma avesse deciso di essere così insistente proprio
con lui,
ma in fondo doveva ammettere a sé stesso che la cosa non
è che gli
desse proprio così tanto fastidio come cercava invece di far
trasparire.
“Kei”
aveva mormorato alla fine abbassando gli occhi, oramai del tutto
incapace di sostenere lo sguardo penetrante dell’altro.
“Finalmente.
Io sono Tetsurou.”
Kei
alzò un sopracciglio, trattenendo una risata e
tornò a guardarlo
negli occhi.
“Tetsurou?
Kuroo Tetsurou come i galli? Ti calza a pennello...” disse
alludendo con un gesto della testa alla sua capigliatura di dubbio
gusto.[1]
“Non
è colpa mia, mi disegnano così!”
rispose il moro portandosi una
mano alla fronte reclinando la testa con fare drammatico.
Per
un attimo Kei fu davvero sul punto di scoppiare a ridere, ma per
fortuna riuscì a trattenersi mordendosi forte le labbra
nella
speranza di celare la sua espressione divertita.
“Beccato...”
sussurrò il moro perdendo quell’aria tragicomica e
appoggiando una
mano a lato della testa di Kei, ritrovandosi nuovamente con il volto
a pochi centimetri dal suo.
Kei
tornò immediatamente serio, ma non abbastanza velocemente da
impedire che le labbra di Kuroo si posassero sulle sue, rubandogli
quel sorriso e andando a imprimerlo sul proprio volto. Il contatto fu
così rapido che Kei non se ne rese quasi conto…
un battito di
ciglia, ma abbastanza per non poter negare che se ne fosse reso conto
eccome.
Cos’è
che diceva, che un battito d’ali di farfalla poteva scatenare
un
uragano dall’altra parte del mondo?
Ecco,
lui non aveva idea di cosa stesse accadendo altrove, ma quel breve
contatto aveva scatenato in una frazione di secondo una tempesta nel
suo cervello (e non solo). Capiva e al tempo stesso non riusciva a
capire. Perché mai il capitano del Nekoma avrebbe dovuto
baciarlo –
oddio, chiamarlo bacio forse era troppo, visto quanto era durato
–
o comunque posare le labbra sulle sue? D’accordo che si erano
allenati insieme per qualche sera, ma lui non era altro che un
irritante kohai che doveva essere convito con la forza a fare
qualcosa…
Anche
se forse, a giudicare da chi era il suo migliore amico, Tetsurou era
abituato a rapportarsi così con il prossimo.
“Bene,
non mi hai ancora preso a pugni” sogghignò il
moro, mascherando
con il suo solito atteggiamento l’insicurezza del momento.
“Se
vuoi provvedo subito.”
“No,
grazie” gli rispose Kuroo andando a sfiorare con
l’altra mano le
labbra di Kei, che si ritrovò a trattenere il fiato e
chiudere gli
occhi nel momento in cui sentì i polpastrelli caldi di Kuroo
toccarlo delicatamente.
Il
capitano del Nekoma sorrise e, approfittando degli occhi chiusi di
Kei, fece congiungere nuovamente le loro labbra, in quello che
divenne qualcosa di molto più simile a un bacio vero e
proprio. Non
che Tsukishima avesse qualche esperienza a riguardo – non
prima di
cinque minuti fa – quindi non poteva dire cosa fosse
veramente un
bacio serio, ma quel contatto gli parve più che sufficiente
per
classificarlo come il suo primo bacio. Un bacio da quindicenne
inesperto, ma Kuroo non sembrava volergli chiedere di più (non
in quel momento).
“Ci
conviene rientrare, la pausa sarà finita...” disse
Tetsurou
allontanandosi lentamente da lui e dirigendosi verso la palestra
principale.
Per
fortuna nessuno li aveva visti.
Tocca
a Kuroo servire e Kei, che è in fondo al campo, si prepara a
una
possibile ricezione. Non è bravo a ricevere, non gli piace,
ma ha
capito quanto sia importante, visto quanto il Nekoma riesce a
logorare l’avversario continuando a tenere la palla in gioco.
Kuroo
lancia il pallone, prendere la rincorsa e salta un attimo prima che
la mano lo colpisca con potenza, mandandolo senza problemi
dall’altro
lato del campo, proprio nella sua direzione.
Kei
prova a prenderla in bagher ma, come previsto, la forza messa da
Kuroo nel servizio era troppa che le sue braccia fanno sobbalzare via
la palla, facendola quasi finire in faccia la coach Ukai che,
forgiato dai loro allenamenti e dalle loro schifose ricezioni, la
respinge ancora prima che possa essere una minaccia.
Kei
vorrebbe dire che Kuroo è troppo forte per una squadra come
la loro
(e
in effetti lo è)
ma
deve anche ammettere che parte del suo fallimento è dovuto
al fatto
che i suoi occhi hanno un po’ troppo indugiato sulla figura
del
moro che saltava, all’immagine di quella mano che la sera,
dopo
quel primo e goffo bacio, la sera l’aveva cercato, aveva
fatto
scorrere le dita tra i suoi capelli, tirandoli leggermente quel tanto
che bastava per inclinargli la testa e dargli quello che era stato un
vero bacio.
A
Kei vengono i brividi (di
piacere)
solo
al ricordo.
“Voi
andate pure” disse Kuroo rivolgendosi a Bokuto e facendogli
l’occhiolino “Akaashi sembra parecchio
affamato.”
L’esuberante
asso del Fukurodani sorrise e richiamò a gran voce
l’attenzione di
Akaashi, spingendolo con entusiasmo (e al tempo stesso
un’inaspettata
gentilezza per un tipo come lui) fuori dalla palestra numero tre.
Kei
inclinò la testa osservando la scena, cercando di capire
esattamente
che tipo di rapporto ci fosse tra i due. Sicuramente grande stima e
rispetto da parte dell’alzatore per il proprio capitano. I
modi
di fare di Bokuto erano affabili ed esagerati come suo solito ma, al
tempo stesso, colmi di ammirazione e quello che Kei avrebbe persino
osato definire affetto.
“Sono
carini, vero?”
“Sicuramente
si compensano alla perfezione” aveva riposto Kei cercando di
non
pensare al fatto che ora lui e Kuroo fossero da soli nella palestra,
che in giro non ci fosse nessuno perché erano andati tutti a
mangiare e lavarsi dopo una giornata estenuante di allenamenti.
Parlare
di Akaashi e Bokuto era sicuramente un diversivo.
Parlare
del rapporto che poteva esserci tra Akaashi e Bokuto lo era un
po’
meno.
Kuroo
lo raggiunse e gli tolse lo spazzolone dalle mani.
“Non
scappare” gli chiese gentilmente “Metto via questi
e poi possiamo
mangiare qui fuori. Ho preso qualcosa in mensa… se ti
va.”
Kei
deglutì nervoso ma gli consegnò lo spazzolone e
andò a cambiarsi
le scarpe, senza fretta, cercando al tempo stesso di asciugarsi il
sudore di dosso. Impresa inutile, visto il caldo e che aveva giocato
a pallavolo tutto giorno. Lo consolò che anche Kuroo faceva
schifo
quanto lui in quel momento.
Il
moro tornò tenendo fra le mani un sacchetto di plastica e,
dopo
essersi cambiato a sua volta le scarpe, fece segno a Kei di seguirlo
su un versante della palestra abbastanza illuminato ma lontano dalla
collina infernale, dai dormitori o da qualunque altro luogo dove
fosse facile che le squadre presenti di attardassero.
Si
sedettero su dei gradini di cemento e Kuroo estrasse un flaconcino
con dentro delle pastiglie che sciolse dentro due bottiglie
d’acqua.
Elettroliti: immancabili e fedeli amici degli sportivi. Kei
accettò
volentieri e bevve avidamente, rendendosi conto solo in quel momento
di quanta sete effettivamente avesse. Kuroo lo osservò
mentre
sorrideva nascosto a sua volta dietro la bottiglietta d’acqua.
“Meglio?”
Kei
annuì.
Dal
sacchetto comparvero magicamente degli onigiri, alcuni cetrioli in
agrodolce, e due insalate di tofu con verdure: cibo leggero, fresco
ma ricco di proteine, carboidrati e vitamine.
“Spero
ti piaccia” aveva detto il moro porgendogli delle bacchette
usa e
getta ed entrambi iniziarono a mangiare in silenzio. Quei primi
bocconi furono rigeneranti, persino Kei, abituato a mangiare poco,
non poté non gustarsi il piacere di
mettere finalmente
qualcosa sotto i denti dopo un pomeriggio che si era protratto fino a
tardi e in cui avevano giocato senza trattenersi (e lui stesso aveva
fatto un po’ di più del suo minimo indispensabile).
“Ti
sei offeso?” gli domandò dopo un po’
Kuroo dopo aver mandato giù
un boccone di riso.
Tsukishima
si voltò a guardarlo alzando un sopracciglio. Era ovvio che
Kuroo si
riferisse al quel bacio (o pseudo tale) ma, a essere onesto con se
stesso, si era sentito molto peggio quando gli aveano fatto notare
che Hinata aveva molte più possibilità di lui di
riuscire nella
pallavolo perché dove gli mancava la tecnica,
c’era l’entusiasmo
e la voglia continua di migliorarsi ogni volta che toccava la palla.
“No…
non per quello” aveva risposto il biondo, abbassando lo
sguardo
nella speranza che l’altro capisse senza che lui dovesse
spiegarsi.
Non aveva voglia di approfondire l’argomento di quanto
fossero
irritanti i numeri dieci per la sua famiglia.
“Quindi...”
iniziò a dire l’altro, posando il contenitore del
cibo accanto a
sé e appoggiandosi con i palmi sul
gradino dietro lui,
alzando la testa per osservare il cielo, dove la luna brillava in un
coltre nera priva di stelle “...ti darebbe fastidio se lo
rifacessi, Tsukki?” fu la sua domanda, rivolta alla luna, ma
in
fondo, era un po’ come se stesse parlando con lui.
Kei
un po’ se l’era aspettato che glielo chiedesse
– o quanto meno
che l’altro tirasse fuori l’argomento –
però non riuscì a
impedirsi di ritrovarsi completamente senza parole e prossimo al
soffocamento per l’imbarazzo.
“Era
il tuo primo bacio, vero?” domandò ancora Kuroo.
Tsukishima
masticò attentamente quanto aveva ancora in bocca,
deglutì
assicurandosi che nulla gli andasse di traverso – cosa non
così
scontata in quel momento – e bevve un altro po’
d’acqua. Stava
prendendo tempo, ma stava cercando di calcolare bene cosa rispondere
al capitano del Nekoma. Le strade erano due: negare o comunque
fingere che non gli importasse nulla, oppure affidarsi al suo essere
caustico e tagliente.
Non
ebbe dubbi quale delle due opzioni scegliere.
“Tsk,
se quello lo chiami bacio...”
Kuroo
si voltò verso di lui con un sorriso sornione, come se fosse
riuscito nel suo intento.
“Lo
devo prendere per un sì o per un ‘voglio
un primo bacio degno di quel nome e non quella schifezza di
prima’…?
Chiedo così, giusto per regolarmi.”
Kei
gli riservò una delle sue migliori occhiate schifate
– ce n’erano
per tutti e per tutti i gusti – ma la cosa sembrò
solo scatenare
una risata sincera nell’altro. Con il sorriso ancora sulle
labbra,
Kuroo si girò verso di lui, avvicinandosi, e portandogli una
mano
sul collo, risalendo pian piano dietro la nuca, incastrandosi tra le
ciocche bionde e fini. Kei si accorse che stava trattenendo il fiato
quando vide il volto di Kuroo avvicinarsi al suo e, come in un
riflesso dettato dalla paura, serrò gli occhi, quasi in una
smorfia.
“Tranquillo,
non ti mordo… a meno che tu non voglia che lo
faccia” gli
sussurrò il moro all’orecchio, facendolo
letteralmente
rabbrividire. Il fiato caldo contro la pelle sensibile e ancora
sudata lo fecero fremere e cercò di rilassarsi. Non voleva
dargliela
vinta, ma in fondo sapeva benissimo che Kuroo aveva già
vinto. In fin dei conti quel bacio
Kei lo stava
aspettando e lo desiderava. Non fece nemmeno in tempo a vergognarsi
di aver formulato un simile pensiero, che le labbra di Kuroo furono
sulle sue. Non sembrò nulla di diverso rispetto a quanto
avvenuto
poche ore prima, ma poi la mano del capitano del Nekoma gli strinse
leggermente le ciocche, tirandogli i capelli quel minimo
affinché
Kei inclinasse la testa e questo sentisse la lingua
dell’altro che
delicatamente gli chiedeva il permesso di entrare. Colto alla
sprovvista da quelle sensazioni inaspettate, Kei socchiuse le labbra
e Kuroo gli diede un piccolo morso delicato al labbro inferiore prima
andare a cercare la lingua del biondo, carezzandola dolcemente, come
se volesse convincere lei – molto più del
proprietario – che
andava tutto bene e che non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Uno
strano suono sembrò provenire dalla gola di Tsukishima
– un
gemito? Un lamento? Un insulto? Questo
in effetti era alquanto probabile –
ma, qualunque
cosa fosse, il moro lo prese come un invito ad approfondire
ulteriormente il bacio, lasciando da parte la delicatezza e il timore
reverenziale con cui si era approcciato all’altro, facendosi
trasportare dall’unico desiderio e pensiero che aveva in quel
momento: assaggiare Kei, sentire il suo calore e il suo sapore,
stringerlo e tatuarsi addosso quelle sensazioni per non lasciarle
più
andare via.
Si
stupì quando, seppur timidamente, la mano di Tsukki
andò a posarsi
sulla sua nuca, facendo una leggera pressione, non sufficiente da
avvicinarlo a sé, ma quel tanto che bastava per invitare
Kuroo a
dargli un bacio degno di tale nome.
Non
che il capitano del Nekoma avesse chissà quanta esperienza
alle
spalle, ma quel paio di anni gli aveano permesso di scoprire cosa
fosse un bacio, un vero bacio – non uno sfiorarsi di labbra
– ma
un incontro scontro di lingue e saliva, denti, morsi e gemiti che
risalivano dalla gola e andavano a scaldargli il cuore e far
ribollire il sangue.
Kei
non era una persona arrendevole, seguendo l’esatto opposto
del
judo, si sarebbe spezzato pur di non piegarsi [2],
ma cedere sotto al tocco di Kuroo fu inevitabile e la voglia di
ricambiare ed essere partecipe troppa. Seppur con tutto
l’imbarazzo
dovuto all’inesperienza, provò a imitare i
movimento del moro (in
fondo era che era iniziato il ritiro che non faceva altro)
sentendolo farsi più vicino, come se non ne avesse
abbastanza.
Con
un pizzico di divertimento si ritrovò a pensare che non era
così
male sentire un’altra persona così desiderosa di
avvicinarsi a lui
fino a quel punto, ma si rese conto che anche lui stava perdendo la
sua algida compostezza, troppo bisognoso a sua volta di tutto quello
che Kuroo poteva dargli: il suo calore e le sue mani che lo toccavano
con desiderio e curiosità, come se volesse fondere la loro
pelle
fino a farli diventare una cosa sola.
Il
bacio rallentò il ritmo fino a che non si separarono
poggiando la
fronte l’uno su quella dell’altro.
“Kei...”
mormorò Kuroo ora che conosceva il suo nome. Diciamo che in
quel
momento si sentiva un po’ più autorizzato a usarlo.
Una
mano del moro era ancora sul collo di Tsukishima, mentre
l’altra
gli stringeva il fianco, non tanto da fargli male, ma quel che
bastava per impedirgli di andarsene a gambe levate in caso di
ripensamenti improvvisi.
“...mh?”
“Questo
bacio andava meglio?”
Kei
aprì gli occhi e osservò quelli
dell’altro: non c’era molta
luce, ma poteva chiaramente distinguerle pupille dilatate, cariche di
un desiderio che ancora non si era placato.
Come
sempre tra le due risposte possibili, Kei scelse di non
negare,
ma non poteva nemmeno perdere la sua antipatica compostessa che lo
caratterizzava, così optò per un
provocatorio:
“…tutto
qui quello che hai da insegnarmi, Kuroo-san?”
Altri
due punti consecutivi per il Nekoma finché, finalmente,
Kageyama fa
un alzata decente e Asahi riesce a sfondare il muro della squadra
avversaria e fare punto. Fanno altre tre rotazioni, un paio di
servizi sbagliati da entrambe le squadre, ed ecco il momento che
Tsukishima teme: lui e Kuroo sotto rete, l’uno di fronte
all’altro.
Guardarsi negli occhi è inevitabile e Kei deve fare appello
a tutte
le sue forze per non osservarlo con troppa insistenza. Deve
concentrasi sulla palla perché, se non la mura lui, nessun
altro lo
farà. Di certo non bene come sta imparando a fare.
Osserva
il pallone, guarda gli avversari… crede di aver capito. Un
tempo differenziato singolo.
Esatto,
ha letto correttamente l’azione, ma il suo muro è
ancora troppo
debole. Però è riuscito a toccare la
palla, l’ha smorzata.
Ora sta gli altri cercare di rimandarla efficacemente nel campo
avversario, lui può solo aspettare il momento in cui murare
di
nuovo, e intanto il suo sguardo indugia su Kuroo: è agile e
flessuoso e Tsukishima ha l’impressione che ogni suo
movimento sia
fin troppo calcolato. Si gira verso di lui, mordendosi leggermente il
labbro… sta cercando di distrarlo, Kei l’ha capito
benissimo, ma
ha imparato dal suo senpai e nel mentre che Sugawara si prepara a
servire –gli è sfuggito come e chi abbia fatto
ancora punto per
loro – si solleva la maglia per asciugarsi il sudore.
Se
Kuroo vuole giocare sporco, lui non può essere da meno. Ha
imparato da migliore, no?
Yaku
riceve, Kozume alza, Yamamoto schiaccia, Daichi riceve, Kageyama alza
e Hinata manca la palla. Punto per il Nekoma.
Kuroo
si sposta di lato ma il suo sguardo è ancora fisso su Kei e
forse
per questo sbaglia a murare.
A
Tsukishima non è sfuggito il fatto che il moro non riesca a
smettere
di guardarlo e nei suoi occhi legge gli stessi ricordi brucianti
quando quelle dita – quei
polpastrelli –
gli
hanno sfiorato la pelle, curiose e al tempo stesso timide, lasciando
scie indelebili fatte di eccitazione e promesse silenziose.
Era
la terza sera di fila che si accordavano per vedersi dopo gli
allenamenti. Avevano cenato in mensa normalmente come gli altri, per
non destare sospetti e perché, in fondo, Kuroo aveva voglia
di una
cena abbondante. Kei ne avrebbe fatto anche a meno, ma in effetti si
ritrovò a gustare le – seppur piccole –
porzioni di cibo che
aveva sul vassoio con un pizzico di entusiasmo in più. La
giornata
era stata faticosa e non aiutava il fatto che avesse trascorso parte
del tempo delle pause - in cui avrebbe dovuto recuperare le energie
–
con il capitano del Nekoma incollato alle sue labbra. Non che
esattamente se ne lamentasse, per quanto ancora incerto, scontroso e
in apparenza apatico, era pur sempre un adolescente e il suo cervello
era in grado di spegnersi a una velocità sorprendente nel
momento in
cui Kuroo lo trascinava da qualche parte e gli si avvinghiava
addosso. Non capiva come mai sembrava tenerci così tanto
– uno
spilungone spocchioso con la lingua al vetriolo non era esattamente
quello che si sarebbe definito un
buon partito – ma il moro
sembrava davvero
apprezzare la sua compagnia fine a se stessa. Circa. Labbra,
lingua e mani erano incluse nel pacchetto.
Avevano
deciso di vedersi sul retro dei dormitori, dove si affacciavano le
stanze dei professori e delle manager: i primi non erano un problema,
oramai era noto a tutti che passassero le serate in un locale a
ingollare sakè, mentre le seconde erano solite riunirsi in
una
stanza in fondo all’edificio, da cui non sarebbe stato facile
vedere lo spiazzo che separava la struttura dal muro che circondava
la scuola. Era la prima volta che Kuroo gli proponeva di appartarsi
in modo così esplicito – di solito l’aveva
sempre portato
in luoghi isolati ma aperti e luminosi – ma da che avevano
iniziato
a incontrarsi non aveva mai percepito quel qualcosa
così
carico di aspettativa nella sua voce. A Kei vennero i brividi e fece
del suo meglio per apparire scocciato dalla prospettiva, ma al tempo
stesso non poteva negare a se stesso che stava contando i minuti che
lo separavano da quell’incontro.
Con
noncuranza, dopo aver riposto il vassoio della sua cena – era
comunque riuscito ad avanzare qualcosa, cosa che Suga non aveva
mancato di rimproverargli con il suo solito fare inquietantemente
materno – ed era andato nei dormitori a sciacquarsi e
mettersi una
maglietta che non sapesse di carogna. Non che a Kuroo importasse
più
di tanto, visto che fino a qualche ora prima il fatto che fossero
sudati dalla testa ai piedi non gli aveva impedito di infilargli la
lingua in gola, ma si sentiva anche un po’ in imbarazzo e a
disagio
con addosso l’odore e la stanchezza di un’intera
giornata di
allenamenti.
Prese
un libro a caso dal suo borsone – quello di fisica che si era
portato per non rimanere indietro con i compiti se ne avesse avuto
modo di farli – e uscì dall’edificio.
Poco
dopo gli arrivò un messaggio di Yamaguchi che gli chiedeva
che fine
avesse fatto. Avrebbe preferito non rispondere, ma alla fine si rese
conto che se non avesse risposto, l’amico avrebbe continuato
a
cercarlo con insistenza e Tsukishima non voleva essere disturbato.
‘Sto
andando a cercare un posto tranquillo per farei compiti di
fisica’
gli scrisse, certo che davanti alla
prospettiva di
studiare, Tadashi non avrebbe avuto voglia di andare a cercarlo.
Raggiunto
lo spiazzo indicatogli da Kuroo, vide che l’altro non era
ancora
arrivato, così si appoggiò al muro e accese la
torcia del telefono
per leggere il libro che fortunatamente si era portato dietro.
Passarono
diversi minuti, e il capitano del Nekoma era parecchio in ritardo.
Kei si diede dello stupido. Cosa si aspettava davvero da lui? Si
erano divertiti un pochino, ok. Non che quella sera avrebbe fatto
differenza, il loro rapporto non era di certo una cosa destinata a
chissà cosa. Nemmeno lui sapeva cosa voleva…
certo, divertirsi un
po’ non gli era dispiaciuto, per la prima volta in vita sua
si era
sentito desiderato nonostante tutti i suoi innumerevoli difetti, ma
la cosa era iniziata a finiva lì.
Sbuffò
scocciato, spense la torcia del telefono e chiuse il libro, girandosi
verso la direzione da cui era arrivato, ritrovandosi faccia a faccia
con Kuroo che gli sorrise leggermente prima di potargli una mano alla
nuca e dargli un bacio… decisamente
mozzafiato. Sembrava volesse
divorarlo,
risucchiandogli l’anima. Portò l’altro
braccio sulla schiena di
Kei, facendolo avvicinare ulteriormente, azzerando la distanza tra di
loro.
Tsukishima
fu colto alla sprovvista e fece cadere il libro per terra, portando
la mano tra i capelli di Kuroo, tirandoli quel che bastava
affinché
l’altro gemesse nel bacio, un po’ eccitato e un
po’ infastidito
anche se in fondo aveva compreso che quella era la sua punizione per
essere arrivato in ritardo.
“Scusa…
mi hanno bloccato a ogni angolo.”
“E’
dura essere il capitano...” lo prese in giro il biondo
sentendo
però tutta la rabbia che aveva accumulato negli ultimi
minuti
scemare completamente dopo le scuse e quel bacio.
Le
mani di Kuroo erano ancora su di lui, fronte contro fronte, occhi
chiusi e fiato corto.
Kei
ne approfittò per mettere il cellulare nella tasca laterale
dei
pantaloncini e portare la mano ora libera da ogni impiccio sul fianco
del moro, stringendo quel tanto che bastava per fargli percepire la
sua presenza e quel desiderio serpeggiante che si era impossessato di
lui.
“Già...”
aveva risposto Kuroo con un sussurro.
“Ti
vogliono tutti...”
“Peccato
che io voglia solo una persona...”
Kei
deglutì, imbarazzato e al tempo stesso eccitato da quelle
parole
perché, non voleva peccare di arroganza, ma era abbastanza
sicuro
che Kuroo stesse parlando di lui.
“Si…?”
“Oh,
sì…” rispose il moro spingendolo contro
il muro dietro di lui,
facendo aderire la schiena al cemento piacevolmente freddo,
abbassando il volto per portare
la bocca nell’incavo
tra il collo e la spalla. Kei rabbrividì quanto
sentì la lingua e i
denti del moro lambire e mordere quel lembo di pelle particolarmente
sensibile, facendogli reclinare la testa di lato per il piacere,
invitandolo a continuare. Si stupì di se stesso, ma la
sensazione
era inebriante.
“E
tu?” gli chiese Kuroo, senza allontanare le labbra dalla sua
pelle,
risalendo verso l’orecchio, mandandogli una nuova scarica di
brividi che gli percorsero tutto il corpo “Tu mi vuoi
Tsukki?”
Quella
domanda, posta in modo così diretto da un Kuroo palesemente
eccitato
che lo stava tenendo premuto contro il muro, facendogli chiaramente
capire quanto lo volesse, sembrò mandare in tilt il cervello
di Kei.
O semplicemente il suo sangue defluì tutto verso il basso.
Troppo
imbarazzato per rispondere a parole, spinse il viso
dell’altro
verso il suo, facendo presa con le dita ancora incastrate tra i
capelli, coinvolgendolo in una bacio diverso da quelli che era di
solito lui ad iniziare, ma non gli interessava. Era eccitato e aveva
voglia di sentire la pelle di Kuroo sulla propria, voleva sentirlo
gemere e tremare per il piacere.
Il
capitano del Nekoma parve prendere per buona quella come risposta
perché, con la mano che teneva ancora dietro la schiena di
Kei, si
insinuò sotto la sua maglietta, carezzando con delicatezza
la pelle
sensibile dell’inguine, tracciando linee immaginarie che si
avvicinavano sempre di più all’elastico dei boxer,
curiosa ma al
tempo stesso rispettosa. Kei fece lo stesso, imitando i movimenti
dell’altro come era diventato fin troppo bravo a fare. La
pelle di
Kuroo era calda, aveva un buon profumo e sotto i polpastrelli poteva
sentire i brividi di piacere che lui gli stava procurando. Gli venne
da sorridere prima di prendere quel pizzico di coraggio necessario
per scostare leggermente l’elastico dei pantaloncini che
l’altro
indossava e toccare timidamente con un dito l’erezione di
Kuroo
attraverso i boxer.
Sentiva
la sua pelle andare a fuoco per l’imbarazzo, ma quel piccolo
gesto
sembrò una rassicurazione per il moro che, senza farsi
troppi
problemi, abbassò pantaloni e intimo suoi e di Kei, facendo
scontrare le loro erezioni mentre entrambi gemevano in un bacio
affamato.
“Ti
va di…?”
“Cosa?”
rispose Kei un po’ troppo velocemente, palesemente allarmato.
Kuroo
rise e gli diede un leggero bacio a fior di labbra.
“Niente
di strano, tranquillo… ci sarà tempo per quello.
Se lo vorrai.
Perché io lo voglio, ma non adesso. Mi basta la tua mano...
se a te
va bene la mia.”
Kei
si sentì improvvisamente sollevato ma al tempo stesso ancora
più
eccitato all’idea che Kuroo volesse anche altro e il fatto
che
concordasse che quello non fosse il momento e il luogo adatto, lo
convinsero che forse non era solo un passatempo per il capitano del
Nekoma.
Non
dici e non prometti queste cose a una persona che vive a trecento
chilometri da te…
In
quel momento però non aveva importanza. La mano di Tetsurou
lo
avvolse e iniziò a stuzzicarlo con movimenti lenti e ben
studiati e
Kei fece lo stesso. Era strano, ma non era diverso da quello che ogni
tanto si concedeva nella doccia o di prima mattina, quando il suo
sonno era stato popolato da sogni che non ricordava ma che lo avevano
lasciato in quello stato. C’era da dire che in due era molto
meglio, soprattutto se era un’altra la mano che ti dava
piacere.
Come
i due ragazzini che erano, vennero in fretta l’uno sulla
pelle
dell’altro, ansimando per il piacere improvviso ed entrambi
troppo
imbarazzati per guardarsi.
Si
pulirono con le magliette che indossavano – che dovevano
già
essere messe di nuovo a lavare – e Kei sogghignò.
“Credo
ti convenga indossarla al contrario Kuroo-san, o potrebbero farti
troppe domande...”
Era
buio, ma la chiazza bianca sul nero era comunque visibile.
Kuroo
rise a sua volta e togliendosi la maglietta con attenzione
cercò di
ripulire la stoffa sul muro - ridendo per
l’assurdità di quel
gesto - per poi indossarla nuovamente con le cuciture a rovescio.
“Così
sono sicuro nessuno mi chiederà nulla…”
“Sono
sicuro hanno visto di peggio.”
“Dubito.
Non mi era mai capitato di appartarmi con qualcuno che mi piace
al ritiro estivo” rispose il moro sedendosi per
terra
appoggiandosi la schiena al muro, accanto alle gambe di Tsukishima.
Kei
lasciò andare il peso sulle ginocchia e si sedette a sua
volta
accanto a Kuroo, che si voltò a guardarlo sorridendo.
“Sicuramente
i tuoi compagni ti faranno il terzo grado.”
“Perché?”
chiese il biondo.
Kuroo
ridacchiò.
“Labbra
gonfie, capelli incasinati… penseranno sia andato a
imboscarti con
una delle manager.”
“Uhm...”
rispose Kei soppesando bene le parole “Carine, ma li
preferisco
insistenti, irritanti e con i capelli da imbecille.”
Il
capitano del Nekoma scoppiò a ridere, lusingato da quelle
parole.
“Anche
a me piacciono nerd, inappetenti e sociopatici…
direi
che siamo fatti l’uno per l’altro, no?”
Kei
si sentì arrossire a quella battuta che lasciava intendere
ben
altro.
“Non
stavo scherzando prima” disse improvvisamente serio Kuroo,
cercando
con le dita la mano di Tsukki, la stessa mano che fino a poco prima
era sulla pelle e gli aveva regalato un piacere che non avrebbe
saputo descrivere a parole.
“Cosa
intenti?”
“Che
voglio davvero… fare altro. Voglio fare tutto con te. Voglio
uscire
a cena con te, andare a Tokyo Disneyland, al cinema. Voglio
passeggiare con te in un parco, baciarti sotto la pioggia e poi
portarti a casa mia e farti tutto quello che ho desiderato in questi
giorni ma a cui mi imponevo di non pensare...”
“Anche
Miyagi non è male.”
“Posso
venire a Miyagi, posso venire dove vuoi… Mi piaci Tsukki,
nel caso
non si fosse capito...”
“Ne
ho avuto il sospetto, ma… perché?”
“Te
l’ho detto, mi piacciono nerd e sociopatici. Poi
però scopri che
sono sì nerd, ma che se vai oltre l’apparenza
davanti a te c’è
una persona interessantissima di cui vuoi sapere tutto e che il tempo
passato con lei non è mai abbastanza...”
Kei
si sentì avvampare a quelle parole così
lusinghiere.
“Anche
tu non si affatto male, Kuroo-san..”gli rispose stringendogli
la
mano, come se in quel gesto ci fossero tutte le parole che non
riusciva a dirgli. Non era ancora pronto. Dovevano uscire a cena,
andare a Tokyo Disneyland, al cinema… e poi
chissà.
Kuroo
gli posò un lieve bacio sulle labbra e rimasero
così, per mezzora o
forse più, il tempo di riprendersi e non sembrare
così sconvolti
una volta tornati nei rispettivi dormitori.
Si
separarono con un ultimo rapido bacio e Kei dovette fare del suo
meglio per levarsi dalla faccia quello stupido sorriso che non aveva
voglia di andarsene. Quando rientrò nessuno fece domande.
Solo
Yamaguchi gli chiese dove fosse finito il suo libro e Kei
imprecò,
uscendo di corsa per andare a recuperarlo. Era stata una serata di
studio decisamente interessante.
La
partita è finita.
Il
Karasuno, ovviamente, ha perso. Ancora una volta. Oramai nessuno si
aspetta di vincere. Sono tutti rassegnati a correre su quella
maledetta collina finché non saranno finiti quei giorni
infernali.
Anche se, in fondo, così infernali come temeva non sono
stati.
Stanno
ascoltando tutti il coach, le solite frasi, le solite parole di
incoraggiamento e i soliti rimproveri gli errori che non hanno
imparato a correggere, ma anche tante parole di stima per
l’impegno
che ci stanno mettendo. Questa volta Ukai parla anche di lui.
Quando
il coach finisce il suo commento post partita, arrivano Kiyoko e
Yachi cariche di borracce, sali minerali e snack. Una barretta
energetica la accetta anche Tsukishima, anche se non la
finirà.
Prima beve fino quasi a svuotare la borraccia e poi, silenziosamente,
scarta l’involucro e da un morso. Fa abbastanza schifo,
è pastosa
e gli si appiccica ai denti, ma sono i carboidrati di cui ha bisogno
per restare in piedi e non svenire dalla stanchezza. Sta dormendo
poco – e la colpa è solo di una persona
– e si stanno
allenando troppo. Si volta a guardare i membri della sua squadra:
alcuni stanno chiacchierando tra di loro commentando le azioni e
altri lo osservano in silenzio.
Sbuffa,
perché si sente al centro di attenzione mai richiesta.
“Cosa
avevate da guardarmi prima quando sono entrato in palestra?”
Tsukishima
vede i compagni di squadra osservarlo quasi con timore, come se
nessuno volesse aprire bocca.
Si
volta verso Yamaguchi, consapevole che gli basta un’occhiata
delle
sue – non una di quelle omicide, ne basta una annoiata e
scocciata
– per farsi dire tutto.
“Eravamo
preoccupati...”
Kei
inarca un sopracciglio. Traduzione: elabora. Non
c’è
neanche bisogno che lo dica.
“Beh,
eri strano..” prosegue l’amico.
Kei
sbuffa. Odia i giri di parole.
“Tsukki!!
Stavi sorridendo tantissimoooo!! Avevamo paura ti fosse venuta una
paresi!!” risponde Hinata saltando come un grillo come suo
solito.
Kei
si morde le labbra e si volta verso la squadra del Nekoma radunata
intorno al coach. Tutti stanno bevendo assetati e il suo sguardo si
sofferma a osservare il capitano, con i suoi capelli neri incasinati,
lo sguardo penetrante e quel sorrisetto malefico sempre stampato su
quella faccia da schiaffi che si volta a guardarlo, facendogli
l’occhiolino.
E
a Kei viene di nuovo voglia di sorridere.
Note
dell’autrice:
[1]
ho letto da qualche parte la combo Kuroo Tetsurou identificano il
gallo giapponese con le piume nere (bellissimo tra l’altro,
una mia
amica ne ha un paio nel suo pollaio) e dovevo inserirlo.
[2]
Wikipedia
Avevo
scritto mesi fa circa 700 parole di questa storia, poi – non
riusciendo ancora a manovrare questi due come volevo – l'ho
lasciata lì.
La
settimana tra agosto e settembre sono stata folgorata
dall'ispirazione e ho scritto sei storie su Haikyu!,
ma questa è indubbiamente quella che mi piace più
di tutte.
Non
doveva uscire così lunga, ma alla fine i personaggi hanno
fatto e si
sono mossi esattamente come
volevo.
Questa
è l'inizio di una serie. Tra un po' arriverà il
seguito dal
titolo E venne la Luna che morse il Gatto.
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