Con
un gesto deciso, Genzo chiuse le valigie, che erano posate sul suo
letto.
Poi,
le prese e le appoggiò contro il muro. Finalmente, aveva terminato
di preparare le sue valigie.
Mancavano
circa quattro ore alla partenza del suo pullman e poteva concedersi
un breve riposo.
Si
distese sul letto e incrociò le mani dietro la schiena, lo sguardo
fisso sul soffitto. Presto, tutto sarebbe concluso,
Nessuno
avrebbe dovuto temere per la propria incolumità, a causa della sua
presenza.
Con
lentezza, chiuse le palpebre e l'ira divampò nel suo cuore. Perché
si accanivano con gli innocenti?
Era
colpevole, ne era cosciente, ma non era giusto colpire le persone a
lui più care.
Scosse
la testa e aprì gli occhi. Perché la sua mente era occupata da
simili pensieri?
La
sua sofferenza si inaspriva e, inesorabile, si aggiungeva al peso che
opprimeva il suo cuore.
Spero
possiate capirmi., pensò. Non
sapeva perché, ma, in quel momento, il suo pensiero si volgeva ai
suoi compagni di nazionale.
Con
loro, aveva condiviso una gran parte del suo cammino di calciatore e
gli erano assi cari, malgrado le pur forti divergenze.
No,
non posso cedere ai ricordi. Devo essere forte., si
disse, deciso. I ricordi, per quanto dolci, indebolivano la sua
decisione.
Ma
non poteva permettersi tali, dolci debolezze.
Con
un debole fruscio, la porta della stanza si aprì ed entrò Karl.
Il
giovane lanciò brevi occhiate all'ambiente, poi un mezzo sorriso
sollevò le sue labbra.
– Hai
lasciato qui parte dei tuoi libri e dei tuoi CD. – affermò. Forse,
non era tutto perduto.
Genzo
voleva ritornare nella sua terra d'adozione, ma riteneva questo suo
legittimo desiderio un'utopia e cercava di soffocarlo.
Quegli
oggetti, a lui così cari, lasciati sugli scaffali, indicavano una
volontà di non abbandonare la sua vecchia vita.
La
sua indole energica, per quanto provata dagli eventi, non era
svanita.
Genzo
si alzò dal letto e, per alcuni istanti, fissò lo sguardo sui
libri.
– Puoi
prenderli. Abbiamo gusti letterari e musicali simili. – affermò,
la voce pacata, seppur percorsa da una nota di malinconia.
– Hai
detto bene. Per questo declino la tua offerta. Non mi piacciono i
doppioni. – replicò il tedesco, apparentemente tranquillo. In
realtà, aveva compreso le intenzioni del compagno.
Nelle
intenzioni di Genzo, quello era un regalo d'addio, ma lui, nei limiti
delle sue possibilità, doveva lasciare la porta aperta alla
speranza.
No,
non avrebbe contribuito al rafforzamento di una simile idea nel suo
compagno.
L'asiatico,
per alcuni istanti, tacque, poi gli appoggiò le mani sulle spalle.
– Va
bene. Però, ho un'ultima richiesta. Puoi esaudirla? – domandò.
– Di
che si tratta? – chiese il tedesco.
– A
te piacciono i Queen, mentre a Hermann i Pink Floyd. Ho diversi
vinili di queste band. Prendeteli, sono vostri. – affermò.
A
stento, il giocatore tedesco trattenne un gemito. No, doveva
mantenere il controllo.
– Puoi
sempre darglieli di persona. E
vorrei riceverli anche io dalle tue mani.
– obiettò l'altro.
Il
giocatore orientale, per alcuni istanti, rifletté sulla frase del
compagno, poi annuì. Sì, la mente di Karl, ancora una volta, si era
mostrata lucida e penetrante, come una lama affilata.
Entrambi
meritavano un addio personale.
Un
po' di tempo dopo, l'auto di Karl arrivò alla Stazione Centrale di
Amburgo.
Decine
di persone percorrevano in entrambi i sensi il parcheggio.
Genzo,
per alcuni istanti, rimase immobile, come una sbarra di metallo, il
petto sollevato da lievi ansiti.
–
Che
ti succede? –
chiese
Karl, la fronte corrucciata.
–
Non
sareste dovuti venire. Potrebbero riconoscervi. E non so cosa
potrebbe succedere. –
dichiarò.
Nella sua mente, si dispiegavano i ricordi della dolorosa partita
contro lo Stoccarda.
Temeva
la natura imprevedibile di simili soggetti e nella sua mente si
affollavano scenari inquietanti.
–
Non
angosciarti. Non ci guarderanno. –
affermò,
il tono tranquillo.
L'orientale
lo squadrò, perplesso. L'affermazione di Karl gli pareva alquanto
strana.
Lui
aveva subito le peggiori conseguenze di quell'ondata di odio, eppure
non sembrava turbato.
–
Questi
soggetti sono violenti, è vero, ma sono anche stupidi. Loro si
aspettano che tu parta in aereo, magari con un jet privato. Non
concepiscono che una star del calcio, nonostante i soldi guadagnati,
possa essere di costumi sobri. Per questo, non hai nulla da temere. –
affermò,
calmo.
Si
massaggiò le tempie e sbatté le palpebre. Credeva nelle sue
affermazioni, ma non poteva negare la sua inquietudine, a causa della
remota possibilità di una loro presenza.
Tuttavia,
doveva mantenere la calma, per dare al suo compagno una partenza
serena.
–
Entriamo.
Andrei ed Hermann ci stanno aspettando. –
I
due giovani uscirono dall'auto e si avviarono verso la stazione.
Di
tanto in tanto, qualcuno posava sguardi sui due, poi ritornava alle
proprie attività.
Bene.
Per ora, sta andando tutto bene., si
disse il Kaiser. Certo, si era accorto delle occhiate perplesse dei
presenti, ma erano state passeggere.
Nessuno
si era accorto di loro.
Giunsero
nella piazzola di sosta degli pullman e si guardarono intorno, in
cerca di Andrei ed Hermann.
Poco
dopo, Karl li scorse a diversi metri di distanza, impegnati in una
animata conversazione.
Di
tanto in tanto, l'ex rugbista rumeno, ad un'affermazione del tedesco,
accennava ad un sorriso.
–
Ma
guarda. Parlano come vecchi amici. –
esclamò
il centravanti, compiaciuto.
Genzo
gli lanciò un'occhiata stupita.
– Andrei
è gentile, ma non ama mostrare le sue emozioni, se non con persone
di sua fiducia. Quel pestaggio ha accentuato questo lato del suo
carattere. E' strano vederlo sorridere con una persona che conosce da
poco. – spiegò.
– Non
è stupido. Ha capito la natura di Hermann. –
affermò
Genzo, deciso.
Il
Kaiser, a quelle parole, annuì, poi, assieme all'amico, si avviò
verso gli altri due.
Pochi
minuti dopo, li raggiunsero.
– Manca
ancora molto, Andrei? – chiese
l'attaccante tedesco in rumeno.
L'ex
rugbista abbassò lo sguardo sull'orologio e controllò l'ora.
– Circa
quarantacinque minuti. Perché? – domandò,
perplesso.
Genzo,
comprendendo la ragione della domanda di Karl, si tolse lo zaino, che
aveva sulle spalle, lo aprì e ne trasse dei dischi in vinile, chiusi
in custodie di cartone nere.
Su
alcuni di essi, era presente il logo dei Pink Floyd, su altri erano
rappresentati i membri dei Queen.
Con
espressione seria, consegnò i vinili dei Pink Floyd a Hermann e
diede i dischi dei Queen a Karl.
Il
mediano, sorpreso, si rigirò tra le mani i CD, poi fissò sul
compagno un'espressione interrogativa.
Questi
accennò ad un sorriso e guardò prima uno, poi l'altro. Certo, aveva
rispettato i loro gusti, ma il suo dono d'addio gli sembrava quasi
un'offesa.
I
suoi due compagni gli erano stati vicini, nonostante la sua ritrosia
ed erano disposti a sostenerlo, se avesse cambiato idea.
Tale
generosità meritava un premio migliore di alcune scatole di vinili,
per quanto rare.
–
Non
sorprendetevi. Io vi devo molto. Spero che i miei regali vi
piacciano. –
si
limitò a dire. Anche le parole, per quanto sentite, gli apparivano
deboli o troppo roboanti e non esprimevano il suo sentimento di
riconoscenza.
Karl,
a quelle parole, reclinò la testa verso destra, mentre Hermann
indurì la mascella e strinse il pugno. Quello era un addio, ma lui
non accettava un tale distacco.
Il
suo compagno non aveva nessuna colpa, ma quei bastardi avevano deciso
di distruggerlo colpendo loro.
–
Non
stai partendo per la guerra. Tornerai. Tutto questo finirà. E
custodirò questi vinili come un tesoro.
–
affermò Hermann, deciso, come se stesse pronunciando un'arringa in
un tribunale.
Genzo
scosse la testa. Voleva credere alla speranza dei suoi compagni, ma
la sua mente gli rammentava la crudele realtà.
Ormai,
il calcio non faceva più parte della sua vita.
Poco
dopo, il pullman da loro aspettato giunse nella stazione.
–
Dobbiamo
andare, Genzo. –
dichiarò
Andrei, serio.
Con
un cenno del capo, l'asiatico annuì e strinse la mano prima a Karl,
poi a Hermann.
–
Grazie
ancora di tutto. –
mormorò,
il tono forzatamente deciso. Era giunto il momento dell'addio e il
suo cuore era dilaniato.
Ma
non poteva mostrare la sua pena o avrebbe aumentato il distacco.
Sistemò
i suoi bagagli nella stiva, che era stata aperta, poi salì sul
pullman, seguito da Andrei.
L'ex
rugbista provò a sollevare la valigia, ma una fitta di dolore
deformò il suo viso e piegò il ginocchio.
– Aspetta,
ti aiuto io. Siediti.– si offrì Genzo.
Andrei
sedette e, senza alcuna fatica, il giovane prese la valigia
dell'altro e la sistemò sulla cappelliera.
Poi,
occupò il posto accanto a quello del compagno e appoggiò la fronte
contro il vetro del finestrone.
I
suoi occhi si posarono sulle figure dei tedeschi, che erano rimasti
ad attenderlo, e luccicarono di commozione. Erano ancora lì e
attendevano la sua partenza.
Sollevò
la mano in un breve cenno di saluto, poi girò la testa verso Andrei.
Non poteva prolungare con loro un contatto doloroso, per quanto
labile.
Avrebbe
inasprito la pena per la sua partenza.
Poco
dopo, con un breve scoppiettio, il pullman si mise in moto e si
allontanò.
P.S.:
sono tornata, dopo un periodo un po' infernale.
Spero
che ora si sia concluso.
Sono
riuscita a scrivere il capitolo della partenza di Genzo. Spero vi
piaccia, anche se a me pare confusionario. Se avete obiezioni
logistiche, fatemele sapere.
Che
dite, vi piacciono i gusti musicali dei nostri? O avreste preferito
altro? (no, non sono gruppi che seguo)
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