Every breath you take
Titolo: Every breath you take
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 1710 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Jonathan Samuel Kent,
Damian Wayne
Rating: Giallo
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale
Avvertimenti: What if? Hurt/Comfort
Writeptember: 1. E' la tua vita || 2. Perché perdi ancora tempo
con un* come me? || 3. Non essere stupid* || 4. Stelle || Immagine. X è
avvolto in una coperta con una tazza di the
BATMAN
© 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.
Jon
riaprì gli occhi e, mugolando, ci mise un secondo di troppo a rendersi
conto del peso che aveva contro e si imbarazzò un po’ nel registrare
che quel respiro che gli solleticava i capelli apparteneva a Damian.
Sbatté le palpebre e sollevò un po’ il viso per
guardare quello ancora placidamente addormentato del suo migliore
amico, seguendo la linea del suo braccio sinistro buttato sulla sua
spalla destra che gli cingeva il collo e il modo in cui le gambe erano
ancorate al suo bacino, godendosi segretamente la sensazione di quel
corpo caldo premuto contro il proprio mentre la luce della lampada
illuminava in parte i loro profili. Non aveva esattamente programmato
che andasse a finire in quel modo, l’uno abbracciato all’altro nel suo
letto e col capo praticamente premuto contro il petto di Damian ad
ascoltare il suo battito cardiaco, eppure era esattamente quello che
era successo.
Era stato… strano. Infilatosi da poco meno di
mezz’ora sotto le coperte, Jon non aveva fatto altro che girarsi e
rigirarsi nel letto per trovare la posizione giusta e cercare di
addormentarsi, non riuscendoci; aveva serrato le palpebre e si era
sforzato di costringere il proprio corpo a prendere sonno senza
ottenere risultati, ed era stato proprio a quel punto che aveva sentito
un rumore sul tetto, drizzandosi a sedere di scatto. Aveva attinto ai
suoi poteri come gli aveva insegnato suo padre – lui stesso gli aveva
anche insegnato come “spegnere” il suo super udito per non essere
sopraffatto dai suoni del mondo – e si era concentrato per capire cosa
fosse stato, sgranando gli occhi non appena si era reso conto che il
battito cardiaco che aveva sentito… era quello di Damian. L’amico non
si era mai fatto pregare per entrare in camera, lo aveva fatto la prima
volta che lo aveva coinvolto nel suo caso alla LexCorp e lo aveva fatto
in seguito anche nei due anni successivi, dunque Jon aveva indugiato un
momento, senza sapere bene cosa fare o cosa gli fosse preso, dato che
Damian non si era mai comportato in quel modo. Non con lui, non quando
andava fino ad Hamilton, dove ultimamente si erano trasferiti di nuovo;
così, sbattendo le palpebre, era sgattaiolato fuori dalla finestra e lo
aveva raggiunto silenziosamente sul tetto.
Lo aveva trovato ad abbracciarsi le gambe
rannicchiate al petto e il mento poggiato sulle ginocchia, lo sguardo
fisso e perso nei campi che si estendevano a perdita d’occhio davanti a
lui e il mantello della sua uniforme completamente zuppo e abbandonato
al suo fianco; si erano guardati per attimi interminabili senza
proferire parola, l’uno perso negli occhi dell’altro, e quando Jon gli
aveva chiesto cosa ci facesse lì, Damian si era limitato a stringersi
nelle spalle e a sollevare il viso verso il cielo, spiazzandolo nel
replicare semplicemente “Sono così luminose, qui, non è vero?”.
Scombussolato, Jon ci aveva messo un po’ a capire
che stava parlando delle stelle. Si era avvicinato lentamente,
sedendosi al suo fianco per poggiare le mani sul tetto e alzare lo
sguardo verso la volta celeste, e aveva solo accennato che in campagna
era più facile, che splendevano a tal punto che avrebbero potuto
perdersi in esse e che, se avesse voluto e non avesse fatto freddo,
avrebbero anche potuto restare lassù tutta la notte e godersi quello
spettacolo. Damian lo aveva guardato di rimando, aveva ribattuto col
suo solito sarcasmo che era un sentimentale e si era alzato in piedi di
scatto, e Jon si era anche arrabbiato sbottandogli contro che era stato
lui a cominciare… salvo poi ritrovarsi a dover afferrare al volo
l’amico quando gli era letteralmente svenuto fra le braccia.
In preda al panico, Jon gli aveva schiaffeggiato
delicatamente una guancia nel tentativo di rianimarlo e aveva
farfugliato come un idiota che non c’era bisogno di fare quegli
scherzi, che se proprio voleva far prendere un colpo ad un dodicenne
kryptoniano solo in casa c’erano modi migliori, ma era stato a quel
punto che si era reso conto che qualcosa non quadrava e aveva sentito
le dita completamente bagnate e… sporche di sangue. Jon non aveva perso
ulteriormente tempo e, issandosi Damian fra le braccia, era volato in
fretta di sotto attraverso a finestra del soggiorno e lo aveva adagiato
sul divano, correndo a recuperare il kit di pronto soccorso dal bagno
prima di scivolare accanto all’amico; gli aveva strappato i pantaloni e
la stoffa dei leggins era venuta via con uno schiocco di sangue secco
misto a un rivolo fresco che ancora scorreva, e Jon aveva dovuto far
ricorso alle sue limitate capacità mediche per occuparsi della ferita
che gli si era parata davanti.
Aiutandosi con i suoi poteri, Jon aveva controllato
la parte interna di quello squarcio con la vista a raggi X e si era
calmato un po’ solo quando aveva capito che non era profonda e non
erano stati colpiti punti vitali o vene, traendo un profondo respiro
prima di cominciare a disinfettare; gli occhi di Damian avevano tremato
per un istante al di sotto delle palpebre e Jon aveva trattenuto il
fiato nel timore che gli stesse facendo male, ma si era concentrato sul
suo battito calmo e costante e aveva continuato a ripulire la ferita,
fasciando strettamente la gamba dell’amico una volta finito.
Quando Damian aveva aperto gli occhi, fargli delle
domande sul perché fosse andato lì, o sul perché non gli avesse subito
detto che era ferito, era stato completamente inutile. Damian non aveva
voluto rispondere e Jon non aveva insistito, conoscendolo abbastanza
bene da sapere che pressarlo avrebbe solo provocato l’effetto opposto e
che si sarebbe chiuso in sé stesso, così si era solo limitato a dargli
uno dei suoi vecchi pigiami – quello verde con la stampa di un uovo,
diventato praticamente “il pigiama di Damian” ad ogni improvvisata – e
a spronarlo a cambiarsi, vedendolo zoppicare verso il bagno al piano di
sopra in silenzio, così che potesse anche lavarsi.
Al suo ritorno in camera, Jon gli aveva fatto
trovare una tazza di Earl Grey – rigorosamente sgraffignato dalla
scorta di sua madre, un regalo del signor Pennyworth – e una coperta in
cui Damian si era subito avvolto dentro, nascondendosi sotto di essa
nel sorseggiare il suo the con le gambe distese sul materasso. Era
stato altrettanto strano vedere il modo in cui Damian era rimasto calmo
per tutto il tempo, smozzicando qualche parola solo di tanto in tanto
senza sentirsi davvero coinvolto, nemmeno quando Jon aveva cercato di
spronarlo a fare una partita ai videogiochi o di guardare un film,
ottenendo una reazione solo quando aveva fatto una battuta stupida.
Contro ogni sua aspettativa, Damian aveva… riso. Una risata così amara
che Jon lo aveva guardato con tanto d’occhi, inclinando il capo verso
la spalla per chiedergli cosa gli fosse preso.
Damian aveva taciuto per attimi interminabili, poi
si era morso il labbro e stretto le mani così forte che, per un attimo,
Jon aveva pensato che avrebbe potuto rompere la tazza che stringeva.
«Perché perdi ancora tempo con uno come me?» aveva poi sussurrato in
tono basso e impercettibile ad orecchio umano, ma Jon lo aveva sentito
bene e si era accovacciato davanti a lui per guardarlo in viso al di
sotto della coperta sotto cui si era rannicchiato.
«Non essere stupido, D». Jon aveva aggrottato la
fronte, assumendo un cipiglio incredulo nel fissare l’altro negli
occhi. «Sei mio amico, ti voglio bene e il Damian che conosco io non
parlerebbe mai così».
Si erano guardati negli occhi per attimi
interminabili, Damian aveva persino deglutito più e più volte e aveva
abbassato il capo come se non fosse più riuscito a sostenere lo sguardo
di Jon, e alla fine gli aveva sussurrato cos’era successo, la
discussione che aveva avuto con suo padre e la fuga, gli assassini di
sua madre che aveva incontrato e la lotta che aveva ingaggiato con
loro, e poi il suo viaggio verso Hamilton, ferito nel corpo e
nell’anima e desideroso solo di… pace. Pace che aveva trovato sul tetto
della fattoria, sopra la sua stanza, ad osservare semplicemente il
silenzio della campagna sotto la luce brillante delle stelle.
«Non sono mai abbastanza. Né per mio padre, né per
mia madre». Aveva mormorato ancora Damian, respirando pesantemente con
lo sguardo fisso nel proprio the prima di allungarsi e abbandonare la
tazza sul comodino. «Mi vogliono entrambi in un certo modo, ma nessuno
dei due mi ha mai chiesto cosa volessi io o che strada volessi
percorrere. Voglio essere libero di fare le mie scelte». Aveva
sollevato lo sguardo, gli occhi vagamente lucidi. «È così sbagliato?»
Jon aveva ricambiato quello sguardo, ed era stato di
slancio che aveva gettato le braccia intorno alle spalle di Damian e lo
aveva stretto a sé, sentendolo irrigidirsi. «È la tua vita, D… e
nessuno ha il diritto di dirti come viverla. Nemmeno i tuoi genitori».
Una manciata di parole, le mani di Damian artigliate
dietro la
maglietta del pigiama e il volto affondato nell’incavo del petto, ed
erano rimasti lì, in silenzio, finché non si erano addormentati senza
nemmeno rendersene conto. E adesso che si era svegliato e ripercorso
nella sua testa quello che aveva inizialmente creduto fosse un sogno,
Jon strinse maggiormente Damian a sé, cercando di non svegliarlo.
Per quanto il loro primo incontro fosse stato
tutt’altro dei migliori, in quei due anni Jon aveva perfettamente
capito che tipo di ragazzo fosse Damian, logorato da due pesanti
eredità e confuso sulla strada da intraprendere, indottrinato e
modellato fino ad essere perfetto da una Lega di Assassini che in
realtà lo aveva solo spezzato; Jon aveva passato abbastanza tempo con
lui per comprendere quanto tutto ciò pensasse nella sua anima e, se
quella notte era giunto fin laggiù, sfidando le intemperie e una ferita
che aveva rischiato di infettarsi, solo e unicamente per poter stare in
compagnia di qualcuno che avrebbe potuto capirlo… allora Jon non se la
sentiva di giudicarlo.
Con un sospiro, si accoccolò meglio contro il petto
di Damian e cercò di dargli tutto il calore che il suo corpo aveva
bisogno, finendo col riaddormentarsi così, al suono del battito del suo
cuore e a quello di ogni suo respiro.
_Note inconcludenti dell'autrice
Scritta per il trentesimo giorno del #writeptember sul
gruppo facebook Hurt/comfort
Italia
Bromance.
Ispirata dall'immagine che potete trovare a questo
link, ho chiesto
pure il permesso all'autrice ed è rimasta molto estasiata dalla cosa,
quindi adoro tantissimo.
I giovinotti hanno sui 12 e 14 anni, volevo concentrarmi molto di più
sulla loro amicizia e sul modo in cui bene o male sono legati l'uno
all'altro.
Titolo dalla canzone dei Police, ma non ha un granché a che fare con
essa. Chiudiamo sta sfida col botto
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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