I'm not ready to let you forget me

di Novizia_Ood
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I’m not ready to let you forget me

(Even after all this time)

 

La stanza era spoglia.

Quattro mura di mattoni, un pannello scuro che scendeva fino al pavimento, arrivando a fare da tappeto a due sedie - l’una di fronte all’altra - e un tavolino, sul quale poggiavano due piccole pile di cartoncini bianchi. Il progetto di ‘The skin deep’ consisteva nel portare faccia a faccia coppie di persone che avrebbero dovuto porsi delle domande a vicenda, quelle coperte che erano posizionate sul tavolino al centro. Le coppie non erano solo di fidanzati o coppie sposate, ma anche di figli e genitori, nonni e nipoti, coppie al primo appuntamento o ex.

Louis e Harry avevano accettato la chiamata per rientrare tra le persone intervistate nell’ultimo gruppo. Dopo anni ormai passati separatamente, si erano risentiti proprio in vista di quell’incontro acconsentito da entrambe le parti.

“Sei sicuro, Styles? Potremmo fare un macello.” Aveva detto il più grande, mentre con una mano accarezzava il pelo del suo cane, stesi entrambi sul divano; mentre con l’altra manteneva saldo il telefono all’orecchio. Il suo tono era leggero, quasi dispettoso e divertito. Harry aveva risposto con una risata amara: “più di quanto non abbiamo già fatto? È impossibile.”

Uscire da una storia come la loro non era stato facile.

Tanti erano stati i momenti in cui la loro relazione era stata una via di fuga, la salvezza e libertà; altrettante volte era stata la gabbia, il labirinto che li faceva ritornare sempre al punto di partenza. Chiuderla era stato come chiudere per sempre con una parte di se stessi, per entrambi.

Era stato difficile, doloroso, a tratti era sembrato un distacco infinito e impossibile da portare a termine, ma adesso, dopo tre anni e mezzo con carriere da solisti alle spalle e nuove vite, tutto pareva essere più lontano di quanto in realtà non fosse.

Quindi prestarsi per un progetto simile sarebbe stato un gioco da ragazzi, no?

 

La porta tagliafuoco si aprì, lasciando entrare nello studio un Louis con pantaloni aderenti e neri e maglietta dello stesso colore, anche le vans erano rigorosamente scure. Completo spezzato solo dalla giacca di jeans che portava sopra. Harry, da che stava intrattenendo una conversazione veloce con il cameraman, si voltò a guardare nella sua direzione. Sorridere per lui era ancora inevitabile ogni volta che lo vedeva.

“Spero di non essere arrivato in ritardo, mate!” Esclamò con un sorriso divertito, tirando fuori entrambe le mani dalle tasche per abbracciare il ragazzo con il quale si erano sentiti telefonicamente. Era stata una lunga conversazione, perché Matt - così si chiamava - aveva detto che prima di ritrovarsi per l’intervista, avrebbe voluto fargli qualche domanda in privato per conoscerlo meglio; per chiedergli quali fossero i limiti che in quella giornata non avrebbe voluto superare e, soprattutto, come si sentisse davvero all’idea di incontrare il suo ex - il più importante tra i suoi ex, a quanto pareva - e Louis era stato abbastanza sincero da confessargli che quella fosse una delle cose più spaventose mai fatte nell’ultimo periodo. Matt era stato discreto, molto bravo a metterlo a suo agio e parlare con lui di certe cose era stato molto semplice, ecco perché era riuscito a ripagarlo con tanta sincerità.

Una sincerità che probabilmente non avrebbe concesso a nessun altro in quella stanza.

“Grazie mille di essere qui oggi.” Ricambiò la stretta l’altro, mentre Louis gli batteva una pacca sulla spalla di rimando. I suoi occhi azzurri, ancora concentrati sulle persone che gli si erano avvicinate, non osavano posarsi sul ragazzo alto e dai capelli ormai corti che era a qualche metro da lui, mentre aspettava educatamente il suo turno per salutarlo. Qualche stretta di mano in più, presentazioni veloci e fu il turno di ricambiare il sorriso e lo sguardo illuminato e verde dell’altro.

“Louis.” Pronunciò solo, avanzando di un passo. Una mano di Louis tornò da dov’era uscita: nella sua tasca della giacca. Mentre l’altra andò ad abbracciare al collo il più alto, che di rimando si piegò appena, com’era solito fare per legargli entrambe le braccia in vita.

“Come stai? Tutto bene?” Anche a lui batté la mano un paio di volte sulla spalla, prima di allontanarsi, lanciando un’occhiata veloce a Matt che li stava osservando, ma senza essere troppo invadente. Essere nella stessa stanza con una persona che sapeva così tanto di lui e di Harry lo faceva sentire strano al momento, ma l’idea che avesse parlato anche con il riccio lo confortava.
Quasi lo rendeva geloso di quanta roba fosse a conoscenza.

Entrambi, dopo il coming out pubblico, avevano poi rifiutato interviste riguardo la loro storia conclusa. Era stata solo loro per così tanti anni, che darla in pasto ai tabloid una volta finita, sembrava solo una cattiveria gratuita e una mancanza di rispetto nei confronti della relazione stessa. In più, non avevano mai avuto nessuna intenzione di presentarsi a qualche talk show per infangare l’altro, cosa per la quale avevano avuto l’acquolina in bocca molte emittenti statunitensi.

Quella era la prima e unica intervista che avrebbero mai rilasciato; l’unica crepa nel muro dalla quale poter sbirciare la loro storia ormai finita e Louis era contento di aver colto quell’occasione. Il posto sembrava incredibilmente intimo, con quella luce soffusa e un silenzio quasi solenne intorno a loro. Per di più, quelle due sedie poste l’una davanti all’altra davano l’idea di essere prossimi nell’entrare in una sorta di bolla protettiva.

“Tutto bene, grazie. Tu?” La pacca ricambiata da Harry arrivò al centro della sua schiena, prima di sentirlo scivolare via dalle sue braccia per tornare a guardarlo in viso.

“Meravigliosamente!” Non che Harry si aspettasse una risposta diversa, dopotutto. Annuì stringendo tra loro le labbra, poi guardò Matt accanto a sé in attesa di un comando.

La sua chiacchierata a telefono con lui era stata lenta, piena di silenzi, di frasi formulate e corrette un secondo dopo. Trovare le parole giuste, per lui, era stata una fatica ma alla fine si era convinto. Matt l’aveva messa come una chiusura di cui probabilmente, se era ancora tutto così difficile, ne aveva bisogno e davanti a quella realizzazione Harry non poté far altro che accettare. Avrebbe letto qualsiasi domanda e sarebbe stato pronto ad ascoltare finalmente Louis, oltre che ad ascoltare se stesso. La domanda ora era: sarebbe riuscito a trovare le parole per lui, se le aveva avute a stento per Matt?

“Quando volete.” Li invitò il ragazzo, indicando con entrambe le mani - una di cui occupata da una cartellina - le due sedie al centro della stanza, piantate davanti le due grandi telecamere fisse.

“Sono pronto quando sei pronto tu. Buttiamoci!” Esclamò Louis, sfregandosi le mani l’una con l’altra. Harry malinconicamente pensò che era sempre stato quello il loro modo di affrontare le situazioni: Louis era pronto a tutto, sembrava coraggioso e si sforzava davvero di esserlo, talmente tanto dal dimenticarsi ogni tanto che fosse lecito avere paura; mentre lui era sempre il più titubante all’inizio.
La spinta iniziale del maggiore era sempre stata qualcosa di cui lui aveva avuto bisogno, ma quello poi che rimaneva in carreggiata, ricordando all’altro l’obiettivo a lungo termine, era Harry.

Annuì al più grande e andò a sedersi alla sinistra del tavolino, mentre Louis prese posto a destra, sistemandosi appena il jeans e incrociando le caviglie sotto la sedia. Harry, dall’altro lato, incrociò le gambe e si appoggiò allo schienale.

“Mettetevi belli comodi, mi raccomando,” a quelle parole Louis proseguì con lo sfilarsi la giacca di dosso, sotto lo sguardo divertito di Harry che lo osservava con un sorriso dipinto sul viso. “Quando siete pronti, potete cominciare con la prima card davanti a voi. Scegliete una pila e usate sempre la stessa. Ricordatevi: siete solo voi in questa stanza.”

Ed era una cosa semplice da credere, visto che lì erano loro due, Matt, il cameraman e un’altra ragazza. Uno spazio così intimo e libero dal giudizio altrui non l’avevano mai avuto, in nessun momento della loro storia. Era triste e ingiusto averlo trovato solo adesso, alla fine.

“Comincia pure tu,” pronunciò Louis, invitando l’altro ad iniziare con un cenno della mano.

“Scelgo la pila che voglio?” Disse, muovendo la mano da quella di destra a quella di sinistra e ritorno. Il maggiore annuì scrollando poi le spalle, mostrando indifferenza per quella scelta.

“Sei completamente libero, Haz.” Harry sorrise prendendo il primo cartoncino della pila alla sua destra. Quel nomignolo la diceva lunga sulla confidenza che potevano ancora avere, nonostante i tre anni di lontananza. Certo, di tanto in tanto si erano pur sentiti - compleanni e avvenimenti vari - ma non era mai più stata la stessa cosa di prima.

Si portò il cartoncino davanti alla faccia per leggere in anticipo quella domanda, che lo fece sorridere prima ancora di porla all’altro. Essere dalla parte di chi leggeva poteva cominciare a piacergli e non a spaventarlo!

Qual è stata la prima cosa che hai notato di me?” Voltò la carta sul tavolo, mettendola al centro tra le due pile a faccia in sù, come una carta da gioco scartata. Senza che neanche passasse un secondo da quella domanda, Louis si mise a sedere dritto sulla propria sedia.

“Il tuo pene vale? Mi hai letteralmente pisciato addosso.” L’unica risata che arrivò alle orecchie di Louis fu quella incontrollata di Harry, fatta di pancia e a bocca aperta, che immediatamente corse a coprire con una mano. Gli altri dietro la telecamera avevano invece sorriso appena, come se volessero intromettersi il meno possibile in quel momento. “What a meeting!” Continuò il maggiore, con lo sguardo fisso su Harry che ancora se la rideva dietro la mano.

“Ti ho chiesto subito scusa però.” Si affrettò a dire, per paura di passare per il pazzo della situazione, senza il minimo controllo sul proprio membro mentre faceva pipì.

“Hai detto ‘oops’ e io ti ho detto ‘hi’.” Lo corresse, con uno sguardo assorto mentre la sua mente ritornava a quell’esatto momento.
Un momento in cui ancora non lo amava, non lo conosceva, non si erano fatti del male; non erano cominciati e non erano finiti.

Sembrava una vita fa.

“Tu mi hai detto ‘hi’.” Ripetè, assorto quanto lui. Non era stata una reazione che si sarebbe aspettato eppure a Louis gli si era illuminato il viso quando aveva alzato lo sguardo dalle sue scarpe mezze schizzate di urina. Per di più, aveva quella straordinaria dote di riuscire a far sentire a proprio agio chiunque, anche al primo incontro e tanto era bastato per fare amicizia.

“Il più strano incontro che io abbia mai fatto, lo ammetto.” Aggiunse Louis, ritornando in sé e spostando la testa da un lato all’altro per darsi un tono prima di allungarsi a prendere la propria domanda. Ma prima che potesse arrivare ad afferrarla, anche Harry si mosse in avanti.

“No, ma seriamente. Cos’è stato?” A quanto pareva quella risposta ironica non gli andava bene, come non gli erano andate bene tantissime altre volte. Che fosse un meccanismo di difesa di Louis era chiaro, che Harry avesse imparato a riconoscerlo e a non fargliela  passare liscia… beh, era chiaro anche quello.

Il maggiore tornò al suo posto, senza staccare gli occhi da quegli altri verdi, lasciandoli poi cadere sulle sue labbra. Prese un respiro profondo prima di rispondere seriamente.

“Le tue fossette.” Una pausa dentro la quale sembrò che tutti nella stanza stessero trattenendo il respiro nell’attesa che continuasse a parlare. “L’espressione mortificata ti si tolse quasi immediatamente dalla faccia e sorridesti.” In quel momento Louis si era sentito potentissimo: davvero lo aveva fatto sorridere lui in quel modo? Eppure due secondi prima sembrava terrorizzato. Da quel giorno lì non aveva più smesso di volerlo vedere sorridere. Anche adesso, seduto davanti a lui, non aspirava ad altro. Ma quello non gliel’avrebbe spiegato. “Contento adesso?” Disse subito, tornando sui binari ironici e questa volta Harry annuì. Accontentato da quella risposta, lo lasciò poi proseguire.
Il maggiore si allungò a prendere la propria carta che lesse direttamente a voce alta. “Cosa significava per te l’intimità nella nostra relazione? Questa è già più tosta dell’altra. Sono grato sia uscita a te. Prego, rispondi pure quando sei pronto.” Ridacchiò sotto i baffi e il riccio sorrise, portandosi una mano a coprirsi la faccia. Arrossì appena, anche lui sarebbe stato grato se la prima domanda pesante fosse uscita a Louis. E invece no.

Cosa significava per lui l’intimità nella relazione con lui? Riemerso dalla mano che lo aveva coperto per qualche secondo, Harry rimase con il capo chino a fissarla. Dio, le parole dovevano venirgli per forza o sarebbe stato un disastro. Forse, se avesse deciso per una volta di aprirsi e lasciare fuori dalla porta tutte le sue insicurezze, sarebbe stato più facile. Triste a dirsi, ma ormai cosa c’era più da perdere lì? Perché si stava proteggendo e soprattutto da cosa? L’essere stati capaci di essere andati avanti - seppur dopo tre anni - era qualcosa che, nel profondo, ancora lasciava Harry con un vuoto incolmabile dentro. Quante volte si erano giurati che ci sarebbero stati l’uno per l’altro? Quante volte era sembrato che un momento durasse per sempre? E invece. Se oggi erano lì, a completare le interviste da ex, qualcosa era andato storto lungo la strada, lungo i loro piani si era perso qualche pezzo, qualche promessa non era stata mantenuta e di cuore infranto ce n’era stato più di uno.

“L’intimità nella nostra relazione era…” la prima immagine, involontaria, fu quella di loro due a letto, nudi e abbracciati. Tutte quelle volte in cui, ormai stanchi e sfatti entrambi, che si lasciavano andare l’uno nelle braccia dell’altro; i bicipiti di Louis non reggevano più e gli cadeva a peso morto sul corpo, mentre lui lo stringeva ancora tra le braccia e tra le gambe, agganciate ai fianchi. Con Louis ancora dentro. “Resta un altro po’,” gli era capitato di chiederlo più volte. Averlo così, completamente esausto su di sé e dentro di sé era un modo per prolungare quel momento intimo, privato, prezioso da cui Harry aveva sempre fatto fatica a distaccarsi. Fosse stato per lui, il resto della giornata l’avrebbero passata a letto insieme. Anche senza fare altro sesso.

“A parte il sesso, intendo,” provò a riprendere il filo dei suoi pensieri. Certo l’intimità era fatta di quello, ma c’era molto di più.
Il motivo per cui Harry lo voleva così vicino dopo aver fatto l’amore era esattamente quel barlume di intimità profonda al quale si aggrappava con tutto se stesso. “Il poter essere chiunque io volessi. Cioè, no, chiunque io fossi davvero.” Prima correzione delle proprie parole. Forse doveva pensare meglio a cosa dire, prima di dirlo. “L’intimità eri tu che mi conoscevi in ogni parte più profonda di me, anche quelle che non mi piacevano e tutt’ora non mi piacciono. Tu le conosci ancora.”

“Soprattutto quelle.” Commentò l’altro, interrompendo il contatto visivo e facendo cadere il proprio sguardo sulle proprie mani.
Il modo in cui sembrò una constatazione amara, fece incrinare la sicurezza di Harry che aveva trovato il coraggio di pronunciare quelle parole. Soprattutto quelle. Quelle che li avevano portati a quel punto.

Soprattutto quelle.” Ripetè il riccio, annuendo. Aveva ragione e non poteva aggiungere nient’altro a quella constatazione. “E-era anche,” riprese a parlare, rifiutando categoricamente di farsi intimidire da un commento simile. Aveva tante cose da dire e Louis aveva ragione da vendere, ma non si sarebbe fatto fermare. “Anche tutto quello che mi davi.” Aggiunse, con un filo di voce e solo a quel punto Louis rialzò lo sguardo su di lui. “Mi facevi sentire amato, coraggioso, vivo. Ti permettevo di arrivarmi in un modo veramente incredibile e non…” un’altra pausa. “Non credo di aver mai concesso una simile intimità a nessun altro, mai.”

Doveva essere una cosa bella? Perché nello stesso momento in cui pronunciò quella verità, gli sembrò essere la cosa più triste del mondo. Quanto si doveva essere soli per essersi resi irraggiungibili da chiunque altro? In trent’anni quasi, Harry si era fatto sfiorare e raggiungere solo da Louis. E comunque alla fine non era bastato. “Per me l’intimità era questo: io chiuso dentro un castello con tanto di recinto e fossato, ma tu dentro con me. Tutto il resto fuori.”

Lui si era sempre sentito così, anche se la maggior parte delle volte il maggiore si lamentava proprio dell’opposto. Tirò sul col naso, abbassando lo sguardo sulla carta che avrebbe dovuto prendere e solo quando Louis non aggiunse nient’altro, la alzò per leggere. “Quand’è che ti sentivi più vicino a me emotivamente?” Dio se gli tremò per un attimo la voce a quella. Come se fosse stato fatto apposta, quella domanda sembrava essere perfettamente pertinente riguardo a quella appena risposta da lui. Ma era pronto a sentire quella risposta? Se avesse risposto mai? Era terrorizzato da quel responso. Louis incrociò le braccia al petto sospirando, le sue caviglie ancora incrociate sotto la sedia. Per Harry fu come aspettare cento anni per quella risposta, che in realtà arrivò dopo solo qualche manciata di secondi.

“È difficile pensare anche solo ad un momento, ma probabilmente era quando perdevi il controllo.” Disse, spiazzando completamente il riccio che non riusciva più a staccare gli occhi dal suo viso neanche per un istante. Come se quello potesse rivelargli le vere intenzioni nascoste nelle sue parole appena pronunciate. “Eri come un bambino che si caricava di tantissimi giocattoli in braccio. Li tenevi stretti, Dio se li tenevi stretti, erano tuoi e di nessun altro.” Quante volte Louis aveva provato a spingerlo a condividere con lui anche solo un pizzico dei suoi fardelli? Delle sue insicurezze, delle sue vulnerabilità, delle sue paure? Troppe volte e quanto più lui chiedeva, più Harry se le stringeva a sé.
“Arrivava un momento in cui era troppo anche per te e tutto quello su cui avevi la presa, cadeva per terra.” Fece una pausa per ricambiare finalmente lo sguardo e quello che incrociò, quasi lo spaventò per quanto era reale davanti a sé. L’espressione del riccio era completamente nuda, spoglia, pelle viva esposta all’atmosfera e Louis poteva giurarci che avrebbe fatto male.
Stava soffrendo, anche se era completamente immobile su quella sedia, a ricambiare il suo sguardo. “Ti ho sempre aiutato a raccogliere, ti ho sempre rimesso in braccio tutto quello che era tuo e non ti ho mai rubato niente, non ho mai voluto farlo. Era in quegli esatti momenti, in cui eravamo entrambi chinati sul pavimento, che io mi sentivo più vicino a te.” Louis accennò un piccolo movimento di spalle e avrebbe fatto solo quello pur di non tradire il terremoto che sentiva muoversi dentro. “A volte speravo che qualcosa andasse storto solo per potermi rendere utile e aiutarti di nuovo. Per sentirti vivo vicino a me, per sentirti e basta.” Da come Harry pareva trattenere anche il respiro, anche lui stava rivivendo alcuni dei momenti più drammatici della loro storia. Certo a Louis aveva fatto male vederli, osservarli da fuori, ma per lui dovevano essere state ferite sfregate con del sale. La paura di perderlo, la paura di non riuscire a fingere davanti al mondo intero, i sensi di colpa per essersi innamorato di un suo compagno di band, la rabbia e la frustrazione di sapere di avere una fortuna gigantesca, ma il non poterne godere a pieno perché qualcos’altro gli stava venendo sottratto. Harry aveva avuto un sacco di crolli emotivi durante i tempi della band, perché era così che succedeva: pensava di avere tutto sotto controllo e appena veniva giù un pezzo di quella sicurezza, tutto il resto crollava come un castello di sabbia. E Louis era sempre stato lì, a raccogliere granello per granello, a rimetterlo insieme. “C’è stato un periodo in cui vivevo per quei momenti lì e non ne vado molto fiero. ” Ed era dolorosamente il periodo in cui si era sentito più distante da Harry.
Perché era sempre così, no? Più una persona si percepisce irraggiungibile, più ci si dispera per avere la sua vicinanza ed era esattamente ciò che era successo qualche mese dopo l’arrivo di Eleanor nella loro vita. Poi era arrivato anche Nick Grimshaw e tutto si era pericolosamente fatto più complicato. Affrontare la prima voragine che aveva sentito tra sé e Harry era stato spaventoso, come perdere completamente la terra sotto i piedi. “Erano gli unici momenti in cui ti sentivo vicino a me. Oltre a quando dormivi beatamente oltre l’orario della sveglia, ovviamente.” Provò a recuperare la pesantezza di quel discorso con una battuta finale e fu doloroso anche vedere come le labbra di Harry facessero fatica a tirarsi su per sorridere. Erano pesanti anche quelle.
Fecero passare qualche secondo di silenzio, prima che Louis potesse parlare ancora. “Harry?” Lo chiamò e lui si limitò a fare un colpo di tosse e schiarirsi la voce. Forse aveva sbagliato a pensare che quella intervista fosse una buona idea? “Possiamo-“

“Vai avanti con la prossima.” Matt era stato chiaro: a qualsiasi punto della cosa avrebbero potuto dire basta e concluderla lì. Voleva solo che lo sapesse anche Harry, ma prima ancora che potesse dirglielo, lui lo interruppe invitandolo ad andare avanti e, senza farselo ripetere due volte, si allungò a prendere la carta sul tavolino.

Descrivi il momento in cui hai realizzato che ti potevi fidare di me.” Sorrise a quelle parole. Quanti segreti aveva tenuto per lui? Quante prove di fiducia gli aveva dato? In tutti quegli anni era stata una collezione continua - anche a parti invertite - e Harry avrebbe solo dovuto chiudere gli occhi e puntare il dito su una di quelle, senza neanche pensarci troppo. Nonostante la facilità di quella scelta, il riccio parve prendersi più tempo del previsto e Louis non poté far a meno di pensare che parte di quella pausa fosse per la risposta sua di poco prima.
Il maggiore inspirò profondamente e lentamente, per evitare di sospirare sonoramente quello era l’unico modo.
Vedere Harry così in difficoltà lo metteva a disagio, doveva ammetterlo. Lo avrebbe chiamato di nuovo se solo il riccio non avesse alzato di nuovo il viso per guardarlo in faccia, sorridendo appena.

“Probabilmente dopo la finale di X-Factor.” Un ricordo tranquillo, emotivamente sicuro, era tutto ciò di cui al momento, entrambi, avevano bisogno. Louis sorrise annuendo appena, anche se non riusciva ancora a capire perfettamente a quale evento preciso si stesse riferendo. “Pensavo che Zayn avesse detto quelle parole sul palco solo per, sai, far felici le fan. Pensavo che anche tu avessi detto di andare a vivere insieme solo per non farmi rattristare troppo, una volta finito il programma.” Il riccio abbassò di nuovo il viso, ma Louis non staccò gli occhi da lui neanche per un attimo.

“Io ero serio,” s’inserì in un sussurro, solo dopo che Harry lasciò passare qualche altro secondo di silenzio tra loro.
Quella sera, accoccolati sul divano, tra Niall, Zayn e Liam, Louis gli aveva fatto quella proposta sfiorandogli il viso con un dito, mentre il film che stavano guardando creava ombre celesti tra i ricci del ragazzo che stringeva sotto il braccio. Harry aveva alzato lo sguardo e aveva sorriso, uno dei suoi giganti con tanto di fossette al lato e aveva semplicemente annuito.

“Lo eri, ma l’ho capito solo quando siamo tornati in camerino a fine serata.” Rispose Harry, rialzando lo sguardo. “Mi hai detto che eri felice fosse tutto finito perché-” s’interruppe per un attimo, abbassando di nuovo la testa. Perché quel ricordo così bello e puro adesso sembrava fare male tanto quanto tutto il resto? Rivivere l’inizio della loro relazione era come avvicinarsi ad osservare qualcosa di fragile, di delicato.

“Perché non vedevo l’ora di andare a vivere con te.” Louis gli servì le proprie parole su un piatto d’argento, perché non aveva assolutamente nessuna intenzione di vederlo faticare su quel ricordo. Doveva essere qualcosa di allegro e bello, perché Harry stesse facendo così difficoltà nel metterlo fuori per lui sarebbe rimasto un mistero.

“E non lo hai detto solo perché ero triste che avessimo perso; né su quel divano me l’avevi detto scherzando. Tu eri serio davvero.” Louis strinse le labbra tra loro per non sorridere a quelle parole di Harry che sembravano essere state tirate fuori dalla sua bocca con la forza. “Temevo che mi avresti detto solo quello che volevo sentirmi dire e invece, non era così.”

“Non l’ho mai fatto.” Aggiunse il maggiore, scuotendo di poco la testa.

“Io non potevo saperlo.” Dopo quella frase, Harry fece una piccola pausa. “Dopo quel momento lì l’ho capito, ho capito che tutto quello che mi dicevi era realtà e che mi sarei potuto fidare di te in tutto e per tutto. Non ti sei mai risparmiato su nulla.” Louis era sempre stato sincero, nel bene o nel male, qualsiasi cosa gli fosse mai uscita dalla bocca era solo il suo parere più spietato e vero. Tantissime volte Harry aveva apprezzato quella sua capacità; tante altre - verso la fine - aveva cominciato ad odiarla con tutto se stesso.
Troppe verità tirate fuori senza delicatezza, troppe verità sbattute in faccia a lui che non stava facendo altro che provare a voltarsi dall’altro lato, per non vedere. Era dura combattere contro Louis e la realtà che incombeva su entrambi. Harry aveva sprecato così tante energie per quello. Era stato sciocco, ma non ne aveva potuto fare a meno. L’idea di perdere il loro rapporto era troppo spaventosa da poter accettare. “Questo era il primo.” Commentò in chiusura Harry, prima di allungarsi a prendere il cartoncino successivo.
Tirò velocemente su con il naso prima di leggere a Louis la domanda seguente: “Come ti faceva sentire il fatto che io ti amassi?” Dio, Harry si era preparato mentalmente per quell’intervista alle domande a cui avrebbe dovuto rispondere lui e non a quelle che gli avrebbe dovuto fornire Louis. In quel momento avrebbe solo voluto sotterrarsi e non ascoltare più il ragazzo che gli stava davanti. Prima di tutto, Louis si era mai davvero sentito amato da lui? Forse almeno all’inizio… sperava almeno che facesse riferimento ai primi anni, ai primi mesi, alle prime settimane. Lì sì che il sentimento era ancora puro, intoccato e libero. Un fiore bianco non raccolto. Bellissimo.

Louis sbuffò dal naso per trattenere una piccola risata. “Mi sentivo un vero supereroe.” Confessò con una tinta leggera di rosso che gli imporporava il viso e le orecchie. “Quando tu mi amavi io sentivo di poter fare qualsiasi cosa. Qualsiasi, te lo giuro.” Spiegò scuotendo appena la testa, mentre Harry lo guardava con occhi tondi e tondi. Davvero si era sentito così? “Tu mi amavi e io potevo proteggerti da chiunque; tu mi amavi e io potevo sopportare tutto, qualsiasi palla curva che ci lanciavano. Mi bastava vederti felice e io avevo il coraggio di fare anche le cose più spaventose, perché volevo renderle meno spaventose a te.” Il sorriso di Louis a quelle sue stesse parole si incrinò leggermente. “Il tuo amore è diventato poi anche dolore assoluto. Da forza è diventato la mia più grande debolezza.”
L’idea che Harry lo amasse e che lui lo amasse di rimando, quante volte lo aveva fatto tornare indietro anche quando niente più aveva senso? Avevano dovuto imparare a loro spese che alle volte il sentimento non bastava, neanche quello più forte. Serviva impegno, rispetto, lealtà e promesse mantenute. Fiducia. Tutte cose che nel tempo erano andate deteriorandosi inevitabilmente eppure Louis ci aveva messo tempo a capire che no, l’amore tra di loro non sarebbe bastato a tenere tutto insieme e che forse, allontanarsi, era la soluzione migliore per entrambi. Poteva dire che lo fosse stata adesso, dopo tre anni e mezzo di distanza interposta tra loro forzatamente.
“Non ha cominciato a valere di meno, solo… era diverso. Ha smesso di fare bene e ha cominciato a farci male.” Aveva usato il plurale per concludere perché lo sentiva anche a due metri di distanza quanto il cervello di Harry stesse lavorando per trovare colpe che non esistevano, non più almeno e nel caso ce ne fossero ancora, non erano sicuramente esclusivamente sue. Dall’altra sedia, il riccio aveva sospirato di sollievo. Quella domanda sarebbe potuta degenerare malissimo e, invece, Louis aveva scelto di appellarsi a quei momenti di amore vero che avevano vissuto all’inizio della loro storia. Il suo cenno del capo che seguì fu un ringraziamento e un invito a proseguire allo stesso tempo.
Fu il turno di Louis di allungarsi sul tavolino e girare la carta.

Cosa credi che non abbia funzionato nella nostra relazione?” Domanda secca, chiara, esattamente come la risposta che Harry tirò fuori quasi senza neanche dargli il tempo di concluderla.

“La comunicazione.” Alla risposta del riccio, Louis annuì energicamente, sollevando le sopracciglia per enfatizzare il fatto che condividesse quel pensiero. Era forse stupito di quanto fosse stato preciso in quella risposta? Andare dritto al punto non era mai stata una sua capacità innata e forse, sentirlo così lucido, lo aveva spiazzato positivamente.

“Ti ascolto,” commentò laconico Louis, tornando a sedersi dritto con la schiena contro la sedia in attesa di approfondimenti riguardo quella risposta.

Approfondimenti che Harry non tardò a fornire.

“Siamo sempre stati pessimi in questo.” Il maggiore alzò le sopracciglia a quelle parole.  Quell’apertura comunicativa in quel momento sembrava paradossale. “Okay, forse io più di te. Ma questi problemi non sono mai solo di una persona nella coppia.” Ci tenne ad aggiungere in fine. Louis a quelle parole annuì senza aggiungere nient’altro. “Io non ho mai parlato, ho sempre tenuto tante di quelle cose per me che ho finito per farti credere che dovessi leggermi nella mente per potermi stare vicino.” A quelle parole di Harry, Louis rimase impassibile a guardarlo. Non avrebbe mai immaginato che il riccio potesse capire quel suo meccanismo inconscio e spiegarlo con così tanta facilità.
Quante volte, dietro quella fortezza che era Harry, lui si era dovuto spremere le meningi per immaginare cosa pensasse? Le sue aspettative erano però sempre state impossibili da decifrare. “Mi hai detto tante volte che se non parlavo, tu non potevi sapere certe cose e avevi ovviamente ragione. Ma io non l’ho mai fatto, perché non sono bravo a parlare di me, non così. Con le canzoni molto meglio, note e tutto il resto. Ma così…” con un gesto della mano percorse la distanza tra loro due, avanti e indietro, per indicarli entrambi. Quel faccia a faccia era qualcosa che lui non aveva mai osato fare. Era troppo diretto, lui troppo esposto e non solo all’altro - a Louis - ma anche e soprattutto esposto a se stesso. “Avrei dovuto aprirmi di più, per farmi capire e per permetterti di aiutarmi e di starmi vicino come volevi. Ti ho sempre fatto faticare tantissimo, da solo.” Anche quelle parole vere e sincere di Harry colpirono Louis nel profondo. Era strano come ora il riccio sembrava comprendere e spiegare quel dolore che lui aveva provato per anni nello stare insieme a lui. L’esserci, ma senza sentirsi vicino abbastanza; l’amarlo, ma senza riuscire a dimostrarglielo in modo che fosse efficace, che gli arrivasse davvero; il supportarlo, ma mai come voleva Harry.
C’era sempre un pezzo mancante tra loro, che li faceva viaggiare su due binari diversi, seppur paralleli e dietro quel pezzo mancante del puzzle Louis ci aveva perso in salute tantissime volte, tantissime notti.
“E tu non mi hai mai parlato delle tue difficoltà in questo senso. Perché?” Da quella domanda ora rivolta a lui, Louis rimase spiazzato.
L’idea era quella di starsene lì fermo immobile il più possibile ad ascoltare - perché un minimo movimento avrebbe rischiato di compromettere la sua integrità emotiva già delicata in quel momento. Con gli occhi fissi in quelli di Harry e sempre senza muovere un muscolo, Louis parlò. “Perché ammettere di non riuscire a capirti era come fallire in qualcosa. Ero io che non ti conoscevo abbastanza, che non riuscivo a capirti abbastanza; io che ero troppo lontano da te.” Strinse i pugni delle mani appoggiate sotto le braccia, date le braccia conserte che aveva sul ventre. Come a nascondere inconsciamente la parte più vulnerabile di sé. “Sentirti lontano era la cosa più spaventosa che potesse mai capitarmi.” Fece un’altra piccola pausa, questa volta trovando il coraggio di muovere gli occhi e spostare lo sguardo.
Solo quando lo fece si accorse però di quanto stessero trattenendo le lacrime, perché nel momento in cui volse lo sguardo altrove, i contorni si fecero sfumati e l’urgenza di battere le palpebre fu più forte. Una lacrima gli scivolò giù dall’angolo dell’occhio sinistro. Si schiarì la voce, mentalmente imprecando per come si stava riducendo davanti lo sguardo di Harry, così attento e triste ora.
Louis poteva dirlo da com’era seduto sulla sedia che avrebbe voluto consolarlo, allungare una mano per toccarlo e offrirgli un minimo di conforto. “Ah, shit.” Imprecò passandosi il doso della mano su entrambi gli zigomi adesso bagnati. Spiegare in due parole quel vuoto che puntualmente capitava che sentisse a livello dello stomaco sarebbe stato impossibile. Ogni volta che Harry era emotivamente lontano, ogni volta che litigavano e Harry fisicamente si allontanava, ogni volta che non si capivano, ogni volta che l’altro era in compagnia di qualcun altro e, per forza di cose, davanti alle telecamere doveva far finta di niente; ogni volta che Louis finiva per dire qualcosa fuori posto e il più piccolo, per difesa, faceva finta che non esistesse… tutte quelle volte era stato uno scendere nel posto più profondo della Terra e rimanerci, da solo, abbandonato e al buio. Senza Harry era sempre stato così, spaventoso. “Ma la domanda non era la tua?” Lo rimproverò Louis, passandosi le mani sulle cosce per asciugarle.

“Non mi hai mai detto che ti sentissi così.” Il riccio sembrava impossibilitato a lasciar cadere quel discorso, come se gli avesse aperto un nuovo punto di vista che al tempo sarebbe stato fondamentale da avere. Magari se lo avesse saputo, sarebbe stato in grado di  affrontare le cose in modo diverso? Di mettersi in gioco più profondamente. Se c’era una sola cosa che ad Harry era chiara in tutta quella storia era che né lui né Louis avessero mai avuto la reale intenzione di ferire l’altro. La fine della loro storia era stata trascinata talmente tanto da diventare inevitabile, annunciata da muri che ormai erano diventati più alti di loro e più spessi e impenetrabili di qualsiasi altra cosa.
Vedere ora Louis con quello sguardo triste e spento era ancora una sofferenza come Harry purtroppo ben ricordava.

“Perché ammetterlo voleva dire che non mi stessi impegnando abbastanza per capirti, che evidentemente io non ti conoscevo bene come mi piaceva pensare. Era spaventoso.” Louis scosse la testa, correndo con le mani a coprirsi velocemente il viso ma solo per poi lasciarle ricadere sui braccioli. Non aveva certo intenzione di mettersi a piangere a dirotto. Erano passati anni da quelle sensazioni e anche se le sentiva ferirlo ancora come il primo giorno, si sentiva più protetto, più inarrivabile. Stava male per le sue emozioni, per la malinconia, non era più Harry stesso a fargli male. “Non ero pronto a riconoscerlo neanche a me stesso per quanto la cosa mi spaventava. Figurati se avrei mai avuto il coraggio di ammetterlo a te.” Erano passati comunque tre anni e mezzo dalla fine di quella relazione; tre anni e mezzo di riflessioni, di rimuginii poco utili a volte; tre anni e mezzo di nuove consapevolezze. Non era stato per niente facile e parlarne con lui, dopo tutto quel tempo e con quella nuova sicurezza sembrava così surreale. Eppure a qualche livello sembrava essere terapeutico, come se tutto il veleno tenuto dentro a far marcire tessuti e organi interi, adesso stava trovando il modo di venir fuori senza ferire nessuno dei due. Di rimpianti erano evidentemente pieni entrambi, ma quello era lecito ormai. “Ma adesso vai avanti, please.” Era finito il momento di soffermarsi su quella dolorosa domanda che non sarebbe dovuta neanche toccare a lui, così con un cenno del capo invitò Harry a pescare dalla sua pila di cartoncini. Dopo qualche secondo di silenzio, il riccio eseguì l’ordine senza fiatare, allungandosi sul tavolino prima di tornare seduto composto.

Come hai descritto la nostra rottura agli altri?” Almeno quella domanda non sembrava essere pesante come un macigno come le precedenti, anzi, Louis parve anche sorridere per un istante, divertito da quello che aveva appena ascoltato o da quello che avrebbe raccontato di lì a qualche istante.

“All’inizio è stato tutto per colpa tua.” Sbuffò con una piccola risata, scuotendo la testa e subito anche una leggera risata di Harry lo seguì a ruota. “Poi ho smesso, ma per i miei amici ormai eri lo stronzo a cui non era mai importato niente di me e che mi ha solo usato fin dall’inizio.” Oli era stato tremendo nei suoi confronti. Era piombato su di lui con la paternale partendo dal famosissimo “io te l’avevo detto!” che nessuno amava proprio sentire, soprattutto in un momento tanto delicato. Per un periodo Harry era stato l’inizio e la fine di tutti i mali del mondo e proprio in quel frangente, i suoi amici sembravano essersi accaniti di più nei confronti del riccio, che neanche conoscevano poi così bene.

“Io ti avevo usato? E per cosa?” Confuso, Harry lo guardò con le sopracciglia corrugate ma Louis si limitò a scuotere la testa, come se quello non fosse il punto della discussione e quindi assolutamente inutile da spulciare come stavano facendo con tutto il resto.

“Ho semplicemente rimesso tutto nell’ottica e spiegato che non fosse completamente colpa nostra in prima persona, ma più dell’ambiente tossico e la situazione in generale che ormai era diventata insostenibile. Alla fine ci stavamo distruggendo pezzo pezzo e ad un tratto ha semplicemente smesso di valerne la pena.” Quelle parole non avrebbero dovuto ferire Harry così come avevano appena fatto; una stilettata dritta al centro del petto, tra le costole e dritte al centro del cuore. Una morsa al centro dello stomaco non tardò ad arrivare. Arricciò le labbra per trattenersi da qualsiasi cosa avrebbe voluto rispondere a quelle parole, ma Louis non tardò ad intercettare quel rapido movimento.
Era sempre stato un bravo osservatore e, per quanto la cosa non sembrasse, era sempre stato in grado di cogliere anche il minimo cambiamento di espressione sul viso di Harry. La sua doveva essere ipervigilanza ormai, non più empatia, guidato dalla paura che qualcosa dell’altro potesse sfuggirgli e rimanere quindi indietro.

“Che c’è?! Tu che hai detto invece?” Domandò Louis subito, cogliendo il disappunto nella sua espressione. Si mosse a disagio sulla propria sedia, aggiustandosi i jeans scuri per farli scendere un po’ di più sulla coscia in un movimento più nervoso che altro.
Harry sospirò profondamente prima di rispondere in modo sincero a quella domanda. Mentire, a quel punto, non avrebbe giovato davvero a nessuno dei due, ma per la prima volta sentì il peso delle altre - seppur poche - persone che li stavano guardando.

“Io ho detto tante cose, ma mai che avesse smesso di valerne la pena.” Con espressione delusa, strinse le labbra l’una con l’altra prima di riprendere velocemente a parlare dopo una minuscola pausa. Non voleva dare a Louis il tempo di rispondere o di commentare le sue parole. “Ma va bene, andiamo avanti.”

“Haz…” addirittura quel soprannome faceva male adesso. Harry si sentiva come bruciato, con la pelle esposta che doleva ad ogni parola pronunciata e ad ogni parola taciuta.

“Vai avanti, per favore. Hai finito di rispondere?” Disse velocemente il riccio, cercando di spostare l’attenzione da sé all’altro, che ora lo stava guardando più triste di prima. Sembrava essere sofferente anche lui, come se la sua stessa sofferenza potesse ancora influenzare la sua, nonostante tutti quegli anni passati separati.

“Ringrazio solo di aver dovuto spiegare la nostra rottura ad amici e familiari e non al mondo intero. Da quello non so come mi sarei ripreso, nel caso.” Concluse, senza neanche alzare lo sguardo sull’altro. Louis ci aveva pensato infinite volte. Tante volte il suo cervello aveva creato scenari immaginari dove sia lui che Harry si presentavano in vari talk show per parlare appunto della loro rottura.
Come ne avrebbero parlato? Si sarebbero incolpati a vicenda? Sarebbero riusciti a tirare fuori le cose peggiori davanti al mondo intero? Alla fine tutti quei pensieri erano stati riconosciuti semplicemente come intrusivi e lasciati a marcire in un angolo. La verità era che il proprio lutto nei confronti di quell’amore che credeva invincibile lo aveva pianto tra le mura di casa propria e da nessun’altra parte.

Senza aggiungere nient’altro, Louis si protese per prendere la domanda successiva dal tavolo. “Di chi credi sia la colpa per la fine della nostra relazione?” Parole dirette che prevedevano una risposta altrettanto schietta, rapida ma poco indolore.

“Mia.” Non tardò ad aprir bocca e per quanto fosse stata veloce quella risposta, non sembrava affatto inventata, anzi. Pareva essere una verità che moriva dalla voglia di essere pronunciata eppure, non appena fu fuori, Louis non provò sollievo bensì l’opposto.
Avrebbe voluto intervenire, ricordargli ciò che aveva detto stesso lui poco prima - e cioè che la colpa non è mai solo di una persona nella coppia - ma lo sguardo di Harry lo spinse a tacere e a vedere dove sarebbe arrivato quell’altro monologo. “Penso sia normale darla a se stessi quando, in realtà, è qualcosa in cui si credeva. Sono stato io a non fare il massimo per quella relazione. Avrei dovuto parlare di più, mi sarei dovuto lasciare le paure alle spalle perché eri terra protetta e invece è come se non mi fossi fidato neanche di te.” Fece una piccola pausa per passarsi una mano tra i capelli. “Per me è normale assumermi tutta la colpa, è più facile.” Paradossalmente, scaricare tutta la colpa su Louis non aveva mai sortito un effetto positivo, anzi l’esatto contrario. Dare la colpa a lui aveva sempre lasciato incomplete delle parti di Harry, come se ci fossero stati discorsi lasciati in sospeso, situazioni ancora da chiarire, ma nel momento in cui era stato pronto ad assumersi le proprie responsabilità tutto si era incastrato al posto giusto. E nulla era rimasto da dire o da fare.
L’unica era stata radere al suolo tutto e aspettare che su quelle rovine ci rinascesse qualcosa, ma per quello era servita parecchia pazienza soprattutto verso se stesso. Accettare di non essere perfetto era stato difficile, lo era stato ancora di più accettare di aver sbagliato su più fronti con la persona più importante della sua vita. Una lettera scarlatta che difficilmente si sarebbe tolta dal suo petto ormai.

Con un sospiro per colpa di un grosso peso sul cuore, Harry proseguì velocemente a leggere la domanda successiva, ma se possibile il cuore gli cadde ancora più in basso. “Se ci fosse una cosa che cambieresti del modo in cui si è conclusa la nostra relazione, quale sarebbe e perché?” Questa domanda aveva un carico non indifferente e per la prima volta nell’intervista, Harry ringraziò di non dover essere lui a rispondere. Lasciò andare il cartoncino sul tavolo e poi alzò lo sguardo sul ragazzo che aveva davanti, per la prima volta studiandolo con un’attenzione maniacale. Seguì con precisione il movimento delle sue dita tatuate che corsero a strofinare il mento, mentre i suoi occhi azzurro cielo fissavano qualcosa di indefinito sul soffitto. Stava riflettendo attentamente su quella risposta, chissà se per paura di dire qualcosa di sbagliato o se perché ci tenesse a trovare le parole giuste per spiegarsi. Lo vide prendere un respiro profondo prima di abbassare lo sguardo su di lui, senza lasciare che si soffermasse da nessun’altra parte. Non appena i suoi azzurri incrociarono quelli verdi di Harry, Louis capì che non sarebbe stata una cosa semplice da spiegare. Lo squarcio dentro di lui si stava aprendo, diventando più evidente, quasi quanto lo era stato quello di Harry. Ma il gioco era quello, no? Permettersi di essere vulnerabili in un ambiente protetto. Adesso il riccio non avrebbe avuto nessun motivo per attaccarlo dal nulla e lui non aveva più niente da perdere a quel punto.

“Quella notte a New York, nella tua cucina.” E a quel punto fu come se lo sguardo di Louis potesse trapassarlo da parte a parte. Entrambi sapevano perfettamente di cosa stesse parlando il maggiore e improvvisamente il dolore si fece più insistente.

 

“Tu adesso mi ascolti, senza interrompermi con le tue solite cazzate. Io sono stufo, basta.” Louis era entrato in casa senza neanche salutarlo, la sua espressione già contorta da una smorfia rabbiosa. Fu  in quel preciso istante il riccio capì che quella non fosse una visita d’amore.

Non c’era niente più da riconciliare a quel punto. Il suo cuore, se possibile, si spezzò di nuovo.

“Sono stufo di rincorrerti continuamente. Tu pensi che io sia felice di tutto questo? Di noi che litighiamo e tu che mi chiudi in faccia tutte le porte? Pensi sempre di tornare e di trovare la stessa persona ad aspettarti, mh?” La distanza fisica Louis la stava abbattendo passo dopo passo, mentre dalla sua parte Harry provava ad indietreggiare, leggermente spaventato. Aveva già visto lui così arrabbiato, ma che tutta quella rabbia fosse focalizzata e scaricata su di lui accadeva raramente. Eppure, in quel momento, sembrava esserci qualcosa di inevitabile; una fine annunciata.

“Louis—” provò a parlare, ma senza risultati, perché l’altro riprese il suo monologo.

“Niente Louis! Io sono stanco. Sono stanco Harry, mi hai capito? Non sono più la stessa persona che ti ha incontrato a diciotto anni, sono altro. E io odio questo che sono adesso. Tu sei sempre pronto a fuggire e io mi sono stancato di inseguirti costantemente.-” Sembrava che la tempesta fosse passata per un attimo, ma così com’era defluita dal corpo di Louis - che ora sembrava arrendevolmente stanco - quello di Harry si era caricato elettricamente.
Non solo stava male e non solo una parte di lui aveva dato per scontato che tornasse tutto normale, come accadeva di solito, ma Louis si era anche preso la briga di raggiungerlo a New York per urlargli addosso tutto il suo disprezzo. Su quello non poteva passarci sopra o la rabbia che ora sentiva lui lo avrebbe logorato dall’interno per sempre.

“E tu invece pensi di essere sempre l’unico che soffre, non è vero? Povero Louis Tomlinson, costretto a stunt con Calder e altre donne per apparire ora l’animale da discoteca.”

“Che cosa c’entra adesso—“

“Che cosa c’entra?! C’entra che pensi sempre di essere la vittima qua in mezzo e io sono sempre il tuo capro espiatorio. Pensi che tutto il male che provi cominci e finisca con me?!” Dio, aveva bisogno di rimettere in prospettiva tutto se quello davvero era il suo pensiero e Harry non sarebbe rimasto lì fermo a non rispondere per un altro minuto. Louis doveva smetterla, anche lui era stufo.

“Oh sarebbe meraviglioso, non è vero? Pensare che io dia tutta la colpa a te quando non c’entri niente. Allora mi basterebbe uscire da quella porta e sarei salvo. Mi basterebbe odiarti e non vederti mai più. La mia vita sarebbe PERFETTA, Styles. Meravigliosa addirittura!” Urlò il maggiore, allargando le braccia in modo teatrale e facendo anche un piccolo inchino per enfatizzare il tutto, con quel sorriso falso e forzato di cui ora si era fatto portatore. Harry scosse la testa, voltandosi verso la cucina per sparecchiare la tavola. Adesso non avrebbe mai finito di mangiare.

“Tu dai sempre tutta la colpa a me. ‘Harry, perché non parli’ ‘Harry, perché non mi chiami’ ‘Harry, perché non fa questo?’ ‘ Harry, perché non fai quello?’ Ti sei mai fermato un attimo allo specchio a guardarti?” Commentò offrendogli un’espressione disgustata.

“Tu sei una merda, Harry Styles.” Le parole che vennero fuori da Louis non fecero neanche più così male, perché quei litigi sembravano essere all’ordine del giorno da qualche mese a quella parte. Erano due dischi rotti che continuavano a girare per inerzia. “Tu lo sai quanto ho cercato di aiutarti e quanto credo che—“

“Sì, tutti cercate di aiutarmi dicendomi solo cosa fare. Sei solo un’altra di quelle maledette persone che vogliono cose da me che non riesco a dare!” Strillò, lanciando per terra il piatto che aveva ancora tra le mani. Non appena raggiunse il pavimento, i pezzi di porcellana schizzarono ovunque e il rumore forte zittì entrambi. Quello spazio muto, lasciò la possibilità ad Harry di far venire a galla il suo malessere; quello radicato, quello oscuro dal quale non si scappa non importa quante volte si provi a girarsi dall’altro lato. Quello che prima o poi fa affogare in se stessi. “Sembra che io voglia farti male di proposito.”

“Perché lo fai.” Rispose subito, senza farsi addolcire dalle lacrime che vedeva sul viso del più piccolo. Aveva smesso di proteggerlo, di trovargli delle scappatoie ad ogni problema loro, aveva smesso di credere che nel profondo loro fossero l’uno la salvezza dell’altro.

Perché l’amore distrugge e fa poc’altro.

Harry rimase a fissarlo dopo quelle parole. Gli angoli della bocca brutalmente rivolti verso il basso mentre osservava il ragazzo diventato uomo che, per un tempo che sembrava infinito, aveva amato.

“Bella concezione che hai di me, complimenti.” Rispose disgustato con un cenno della testa.

“Vero? Mi hai aiutato tu, credimi.” Louis non sembrava voler mollare quell’attacco folle alla sua persona e Harry non aveva voglia più di spiegarsi, di cercare di farsi capire, di provare a fare ordine in quella mente che, vista dall’interno, sembrava gigantesca e indomabile. Un mare in tempesta nel quale perdersi per sempre su di un vascello senza bussola.

“Tu non sai niente di me.” Tutto il mondo interno che non riusciva a spiegare o che taceva per paura di non essere compreso, accettato e amato adesso doveva proteggerlo e per farlo avrebbe solo potuto far male - questa volta volontariamente - all’uomo che gli stava rinfacciando qualsiasi cosa.

A quelle parole Louis rimase a guardarlo, sconfitto e con la rabbia che tornava ad accarezzare i suoi lineamenti, un tempo ammorbiditi dall’amore e dai sorrisi adesso induriti da quelle emozioni divoratrici e distruttive, pronte ad esplodere investendo entrambi.

“Io non so niente di te?” Domandò socchiudendo gli occhi e assottigliando lo sguardo. Harry lo sapeva che era esattamente quello che non avrebbe dovuto dire, ma qualsiasi cosa pur di farlo smettere di parlare; farlo smettere di dire ad alta voce tutto quello di cui s’incolpava già.

“No, tu non sai niente. Hai quest’idea di me nella testa e non riesci a vedere il resto. Ma sai che ti dico? Fai quello che cazzo ti pare, io non ti devo dimostrare niente. Vuoi pensare che io sia una merda che ti ha rovinato? Uno che non sa prendere una decisione e che si vende per la fama? Pensa quello che vuoi, sai quanto mi importa se questo è risultato.” Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, facendo poi un passo verso Louis, che non la smetteva di fissarlo negli occhi pronto ad esplodere. “E se io faccio tanto schifo, cosa pensi che voglia dire per te che ti sei innamorato di uno così?”

A quel punto non ci fu nient’altro da dire, perché il maggiore di avventò su di lui, spingendolo coltro il lavello della cucina, calpestando i cocci di quel piatto rotto ai loro piedi.

“Io non so niente di te?!” Lo spinse ancora. “Io non so niente di te.” Dopo tutte le notti passate a parlare, dopo gli anni passati accanto a lui, nelle stanze più buie della sua mente, dopo i sacrifici, le lacrime e la rabbia ingoiata. Dopo essersi perso completamente nell’amarlo, Harry era stato capace di rivolgergli quelle parole; quelle che si rivolgono ad un estraneo, ad una persona irrilevante. “Come ti permetti di dire che io non ti conosco? Sono io, tra tutti quelli che conosci, a non conoscerti? Come cazzo ti permetti!” Un’altra spinta. Era furioso e distrutto al tempo stesso.

Harry aveva smesso di rispondere, limitandosi ad afferrarlo per i polsi e fermarlo dal colpirlo ancora. Era facile vederlo in quello stato? No, ma era comunque più semplice quello che soffrire come un cane per tutte quelle sue parole, per il senso di colpa che lo divorava giorno dopo giorno.
Cedere alle parole di Louis sarebbe equivalso a cedere ai suoi demoni più profondi e spaventosi. Non era possibile. “Dopo tutto quello che ho fatto?! Quello che ho sacrificato per questa storia, tu—“

“Smettila di fare la vittima, cazzo Louis! Non hai sacrificato solo tu, non hai perso solo tu!” Gli urlò in faccia, stanco di quelle parole che gli ronzavano nella testa: “hai rovinato tutto tu, da solo, con le tue mani l’unica cosa che valesse la pena di vivere; l’unica cosa vera che ti faceva sperare di essere degno davvero di amore nella vita.” Perché, evidentemente, non lo era.

“Ho perso solo io perché a te non è mai fregato un cazzo di me!” Questa volta fu il momento di Louis di urlare ciò che non avrebbe mai dovuto neanche sussurrare. A giudicare dalla sua espressione non era neanche pentito, anzi, pareva pronto a ripeterlo nel caso Harry se lo fosse perso la prima volta.
Il ricco lasciò andare i suoi polsi per afferrarlo dalla maglia e trascinarselo dietro fino alla porta d’ingresso nel completo silenzio di entrambi.

“Vai fuori da casa mia, vattene.” Sibilò, spingendolo.

“Certo, cazzo, mettimi alla porta adesso. Butta questa cazzo di immondizia che non ti serve più. Hai finito? Mi hai usato abbastanza?” Louis sembrava non voler chiudere la bocca e questo non faceva altro che infuriare Harry ancora di più, il quale aprì la porta velocemente prima di spingerlo fuori.

“Vattene e non farti vedere mai più. Mi hai capito? Non ti azzardare, cazzo.” La porta sbatté forte di nuovo chiusa, senza dare a Louis la possibilità di rispondergli più in faccia.

“Vai all’inferno!” Urlò comunque dal corridoio, battendo sulla porta con un pugno.

“Vattene Louis o giuro che chiamo la polizia.”

“Figlio di puttana. Sei solo un ingrato figlio di puttana!”

Un calcio alla porta e poi niente più.

 

Quello che Harry si permise di ricordare furono solo flash di momenti sconnessi: lui che sbatteva un piatto per terra, che si spaccava lanciando schegge in tutta la cucina; Louis nervoso che non faceva altro che stringere i pugni, forse frustrato dalle parole che non riusciva a tirare fuori; le proprie urla mischiate a quelle del più grande. Il modo in cui lo aveva cacciato di casa alla fine, quasi prendendolo per la maglietta. Harry chiuse gli occhi a quell’immagine, abbassando poi appena la testa. Non era stata una serata di cui era andato fiero, più che altro era diventato uno di quegli eventi che impari ad accettare e con il quale impari a convivere scomodamente. “Credo che avremmo potuto essere più maturi di così. Abbiamo sprecato un’opportunità per chiudere quella storia in modo civile e invece è stato un disastro.” Continuò con voce flebile. Probabilmente i ricordi stavano divorando anche lui in quel preciso istante. “Tornassi indietro eviterei di presentarmi da te senza avvisare, senza chiederti se fossi pronto a chiuderla. Avrei dovuto coinvolgerti e non buttarti addosso il mio bisogno di chiuderla il prima possibile, mi dispiace.” All’epoca Louis era andato lì con l’intento di rovesciare su Harry tutte le colpe, avevano urlato di tutto l’uno all’altro e non era stato un incontro conclusivo, come aveva sperato che fosse quando era piombato lì.
Davvero aveva sperato di chiuderla con quell’atteggiamento? Ovviamente Harry aveva reagito di conseguenza, allontanandolo ancora di più emotivamente, rendendosi irraggiungibile, non disponibile al dialogo e tutto quello solo perché gli era parso chiaro che Louis avesse già deciso tutto per entrambi. Compreso come e quando quella storia dovesse finire. Che utilità c’era a parlare con un muro, obiettivamente? Quando Louis fu finalmente fuori da quella casa, Harry si era sentito sollevato per un istante, crollando disperato però subito dopo dietro la porta.

Era finita davvero, ed era finita in quel modo pietoso.

La persona che amava di più al mondo gli aveva urlato di andare all’inferno e aveva pregato perché non si incontrassero mai più.
Come sarebbe dovuto stare?

Il viso di Harry era ancora abbassato mentre ascoltava il resto delle parole di Louis.

“E anche tutto quello che ci… che ti ho detto. Ritirerei tutto quanto e proverei a riformulare il resto. È stata la cosa peggiore, chiudere in quel modo. Non era mia intenzione.” E dopo quella volta non si erano più rivisti, tagliando tutti i ponti, chiudendo ogni comunicazione fino a qualche mese prima. Con la band che si era presa una pausa era stato molto più semplice evitarsi, far finta che l’altro non esistesse, ma comunque dopo qualche anno avevano ripreso a non evitarsi completamente. Niente era tornato come prima - nulla sarebbe mai tornato come prima - ma neanche la regola del “sei morto per me” valeva più. Avevano accettato silenziosamente di coabitare nello stesso spazio e nello stesso tempo e di incrociarsi poche volte, di interagire il meno possibile e tanto bastava. Quell’intervista rappresentava il momento in cui avevano parlato di più negli ultimi tre anni e mezzo. Poteva sembrare un traguardo da un lato, l’essere pronti ad affrontare certi discorsi denotava una certa maturazione a qualche livello; dall’altro si stavano rispolverando ricordi vecchi, dolorosi, emozioni quiescenti che una volta risvegliate sarebbero state complicate da rimettere a dormire. Eppure entrambi sembravano non voler abbandonare quell’intervista per nulla al mondo. Harry annuì alle parole del maggiore, prima di lanciare uno sguardo a Matt e al resto della crew, ancora immobile e ancora in silenzio. Chissà se quando avevano scelto loro come coppia, si erano anche immaginati un risvolto di questo genere. Erano i primi a sentire quelle cose e sarebbero stati anche gli ultimi da cui sarebbero andati a parlarne. Chiaro,  dopo sarebbero uscite tutte quelle loro domande su TikTok e li avrebbe ascoltati il mondo intero una volta messi online, ma a quel punto sarebbe stato facile evitare chiunque altro volesse commentarli. Meno facile sarebbe stato tornare alla vita di tutti i giorni e chissà se il rapporto tra loro avrebbe subito un nuovo cambiamento. Improvvisamente Harry si preoccupò che Louis potesse sparire di nuovo dalla sua vita, solo per quello che aveva sentito lì quel pomeriggio. Avrebbero forse dovuto parlarne, una volta finita l’intervista?
Sarebbe stato impossibile non farlo.

La risposta del maggiore doveva essersi conclusa lì comunque, perché immediatamente seguì un’altra domanda.

Cosa ricordi dell’ultima volta che abbiamo parlato faccia a faccia?” Pronunciò arricciando in fine le labbra. Anche quella risposta avrebbe gravitato intorno a quella notte a New York e a giudicare dall’espressione dolorosa di Louis, non ne era per niente contento.
Neanche Harry lo era ad essere sincero e, la cosa peggiore, era che non avesse ricordi nitidi e chiari di quella nottata. Ma quello Louis non poteva saperlo.

“Io…” quella ferita che aveva cominciato ad aprirsi già dalla domanda precedente, adesso stava bruciando, rischiando di riprendere a sanguinare da un momento all’altro. “L’ultima volta che ci siamo visti è stata quella stessa notte.” Vide Louis annuire senza però fare il minimo sforzo per incrociare il suo sguardo. La vergogna di tutto quello che si erano urlati a vicenda doveva essere troppa e il riccio lo capiva perfettamente. “Non ricordo benissimo tutto, perché… beh, non è stata una bella nottata.” Aveva bevuto fino a crollare addormentato, nella speranza che quella sbronza potesse portare via dolore e ricordi di quella serata. “Ho solo flash di momenti sconnessi, sinceramente.” Ammise con tono flebile. La vergogna la sentiva anche lui, ma per diversi motivi. Lo sguardo di Louis che si posò finalmente su di lui, Harry lo percepì come pieno di tristezza e probabilmente lo era davvero, perché non aveva mai saputo cosa fosse stato di lui dopo che aveva abbandonato quell’appartamento. Louis era ritornato a casa sua, aveva messo a soqquadro la camera da letto e poi aveva chiamato degli amici a fargli compagnia, perché da solo non riusciva a stare. Harry doveva aver scelto un altro metodo.
“Ricordo poco, ma l’unica cosa che ho ancora vivida sono le emozioni che ho provato. Ero distrutto.”  Una piccola pausa, gli occhi abbassati sulle proprie mani che non riuscivano a stare ferme, tremando appena mentre si muovevano, tutto sotto lo sguardo attento di Louis che se ne stava invece immobile sulla propria sedia, preoccupato che qualsiasi suo movimento potesse portarlo ad abbracciare il ragazzo che aveva davanti. La difficoltà nell’esprimersi, il timore di farlo fino in fondo ormai il maggiore conosceva bene che forma avesse su Harry e il disagio era palpabile. Quante volte gli era bastato cogliere un bagliore di quel malessere per mettersi subito a sua disposizione? Qualsiasi cosa pur di rendersi utile e continuare a stargli accanto. Peccato che adesso, dopo tre anni e mezzo, un movimento del genere sarebbe stato impossibile, così Louis si limitò a passare i palmi delle mani su entrambi i braccioli per scaricare un po’ di tensione, preparandosi a qualsiasi cosa fosse seguita a quel discorso. Quando improvvisamente Harry riprese a parlare, il maggiore non si aspettò il dolore che lo colpì in pieno al centro dello stomaco.

“Ricordo di aver pensato per un istante, un solo minuscolo istante, che fossi tornato per me. E invece eri tornato per farmela pagare, per buttarmi tutto addosso prima di sparire.” La sua voce tremava mentre stava cercando disperatamente di tenerla a freno, ma con scarsi risultati. Il groppo che aveva in gola nel ricordare quel piccolo momento di vulnerabilità, di speranza, gli impediva di aggiungere qualsiasi altra cosa. Louis dall’altra parte del tavolo aveva stretto le labbra, mentre gli occhi cominciarono a bagnarsi di lacrime che non trovarono mai la strada per scendere sul suo viso. Harry aveva davvero sperato che fosse arrivato a New York per sistemare tutto, nonostante quello che era successo? Nonostante i mesi passati a litigare? Nonostante le promesse mancate, un rapporto naufragato.

Per lui ne sarebbe valsa ancora la pena, probabilmente. L’idea che avrebbe potuto riprenderselo quella sera, dilaniava Louis, ma dall’altro lato sapeva che sarebbe stata solo un’altra salita in paradiso che avrebbe fatto prendere loro la rincorsa per una discesa ancora più disastrosa di quella che avevano affrontato. Perché così era: una vita sulle montagne russe prima o poi ti farà schiantare ed era esattamente ciò che era accaduto a loro due. Quelli seduti su quelle sedie ormai erano probabilmente i due fantasmi di cui Harry aveva cantato nel suo primo album. Non si sarebbero forse riconosciuti mai più se non guardandosi esclusivamente attraverso le crepe della loro esistenza.

“Qual è-“ contro ogni pronostico, Harry riuscì a muoversi per afferrare l’altra carta ma Louis non sembrava così svelto quella volta nel passare da una domanda all’altra. Con ancora entrambe le mani sui braccioli, fece forza per alzarsi.

“Scusatemi un attimo,” pronunciò in un sussurro interrompendo la domanda e avviandosi verso la porta d’uscita chiedendo un secondo da solo a Matt, il quale glielo concesse senza fare altre domande. Quando la porta si richiuse alle sue spalle, Harry sospirò sonoramente portandosi entrambe le mani sul viso.

“Tutto bene? Se non ve la sentite di continuare…” lasciò la frase in sospeso perché era ovvio che la scelta fosse loro e fosse completamente libera, ma Harry riemerse scuotendo la testa e sistemandosi meglio sulla sedia.

“Io sto bene, vorrei solo sapere come sta lui. Se non se la sente di continuare, va bene così.” Avrebbe voluto creare quella solita bolla sopra lui e Louis, quella che li isolava sempre da tutto il resto del mondo e raggiungerlo fuori per consolarlo. Il problema era che forse non avrebbe più sortito lo stesso effetto; avrebbe rischiato di vedersi allontanato in malo modo e di rischiare non se la sentiva.
Preferì restare su quella sedia in attesa, divorato dall’interno dalla voglia di alzarsi per fare qualcosa, per raggiungerlo.

Dal canto suo, il maggiore era appena venuto a sapere di un pezzo di realtà che gli era completamente sfuggito. Chiusasi la porta di casa di Harry, lui aveva girato i tacchi ripromettendosi di non tornare mai più lì, di non voler mai più vedere la faccia del ragazzo e di non voler mai più sentire neanche la sua voce. Tagliare tutti i ponti era la cosa migliore da fare e la sua rabbia lo aveva aiutato a mantenere quelle promesse. Una volta scemata quella era rimasto solo il dolore, che con il tempo era diventato indifferenza. O almeno così aveva creduto fino a quel momento. Probabilmente aveva solo anestetizzato per un bene superiore, aveva imparato a conviverci e a non farsi toccare più così tanto da esso, ma al momento era impossibile far finta di niente quando il dolore che aveva procurato ad Harry era così tangibile, reale. Respirare profondamente lo aveva aiutato a riprendersi e passarsi le mani in viso aveva trascinato via ogni traccia di lacrime.

Era tempo di rientrare seppur gli occhi rossi fossero ancora ben visibili.

“Tutto bene?” Domandò piano Matt, mentre Harry lo guardava attentamente ma senza farsi beccare. Voleva che si sentisse libero di soffrire lontano dal suo sguardo invadente.

“Sì, possiamo andare avanti.” Rispose sbrigativo, allungando la mano verso il tavolo. “Prego, vai pure.” Aggiunse invitando Harry a continuare pescando l’altra domanda. Il riccio, senza indugiare oltre, lo accontentò. Avrebbe voluto piuttosto bloccare tutto, chiedere alla crew di uscire, inginocchiarsi davanti a Louis, prendergli le mani e chiedergli come stesse, cosa pensasse, se lui potesse fare qualcosa per lui, per farlo stare meglio; e invece, in silenzio, riprese la carta di poco prima cominciando a leggere di nuovo.

Qual è l’esperienza che vorresti non avessimo mai condiviso?” Per tanto tempo la missione di Louis era stata quella di proteggere Harry. Che venisse da una famiglia numerosa era risaputo, meno lo era che avesse - per quel motivo - assunto con naturalezza il ruolo di protettore dei suoi fratelli, la stessa cosa che aveva fatto poi con il riccio fin dalla prima volta che lo aveva incrociato, ai provini di xFactor. Lo aveva visto così giovane, spaesato e spaventato che per lui era stata una chiamata quella di prenderlo in simpatia e sotto la sua ala protettrice, dalla quale Harry non era mai più uscito. Almeno fino a qualche anno prima. Per questo quella domanda fu più semplice di quanto si aspettasse. Tante cose avrebbe evitato al più piccolo per non farlo soffrire, ma solo una con il senno di poi avrebbe voluto evitare ad entrambi.

“La vita nella band insieme.” Non avrebbe mai voluto rinunciare ad incontrare Harry, questo era chiaro, ma magari farlo in un altro modo, in un altro mondo, in un altro tempo. “Per quanto io possa essere per sempre grato a quell’esperienza, sarei stato pronto a vendere quella realtà con qualsiasi altra.” Confessò scuotendo appena le spalle, movimento che lo fece apparire ancora più piccolo di quanto già non fosse, rannicchiato su quella sedia. Mai Harry aveva sentito un bisogno di abbracciarlo, così forte. “Avrei voluto incontrarti più tardi magari. In un momento in cui io non ero nessuno e tu lavoravi ancora al forno della tua città.” Un timido sorriso - dopo le lacrime di poco prima - si fece spazio sulle sue labbra sottili e per quel piccolo spiraglio di luce, Harry si sentì sollevato. “La parte peggiore è stata quando è arrivata Eleanor.” Continuò rabbuiandosi di nuovo. “Potessi eliminare quella parte… era un peso che ero pronto a sopportare per te, ma vedere come ti faceva stare male, faceva stare male anche me. Non vedevo via d’uscita.” Scosse la testa. Quelli erano stati i primi tempi più difficili per un Louis e un Harry che neanche avrebbero potuto immaginare cosa li aspettasse nel futuro. “Da lì abbiamo cominciato a stare male, male davvero.”

“Da lì ho cominciato a tirare fuori il peggio di me.” Il maggiore alzò gli occhi sul più piccolo, incontrandoli immediatamente a quelle parole. Ora farsi vedere completamente a nudo dall’altro non sembrava un’idea poi così malvagia. Tanto, cos’altro c’era da perdere?

“La gelosia?” Chiese conferma Louis, l’altro annuì. Sì, se la ricordava benissimo anche lui e aveva ragione. “Sì, è sempre stata una delle parti peggiori. Richiamava il mio senso di colpa e tutte le frustrazioni riguardo quella situazione.” Continuò il maggiore.
Louis doveva proteggerlo, non farlo soffrire ed ecco perché quella che era una situazione apparentemente per lui sotto controllo - prendere sulle proprie spalle il peso di una copertura era sufficiente per risparmiare ad Harry una fine simile - era in realtà un’arma a doppio taglio: stare con Eleanor avrebbe salvato il minore da uscite e stunt, ma lo avrebbe esposto al tempo stesso alla gelosia accecante;
al vedere la persona che amava tra le braccia di qualcun’altra che mai lo avrebbe amato o meritato quanto lui. Con le labbra strette l’una all’altra, Louis sospirò sconfitto. Aveva provato a combattere contro quelle situazioni per anni che gli erano sembrati infiniti, fino a che non si erano distrutti a vicenda trascinandosi per miglia e miglia quella storia nella quale credevano entrambi, ma che in quel momento aveva avuto troppi impedimenti - loro stessi compresi - per funzionare bene, per crescere in modo positivo. Adesso, a guardarla dopo anni, faceva ancora male ma faceva anche tanta tenerezza. “Non ne saremmo usciti vivi in ogni caso.” Per ogni soluzione, usciva sempre fuori un altro problema; se da un lato guadagnavano terreno, dall’altro lo perdevano. C’era sempre stato qualcosa che non andava, un impedimento perpetuo che li aveva spinti, sfiniti e incattiviti, verso una fine che era diventata inevitabile.

A Harry non restava che annuire ed essere d’accordo. Dio, quanto aveva sofferto pur di tenere a galla quella nave destinata ad affondare. Aveva fatto tutto l’impossibile, ma non era bastato comunque.

Dopo aver preso un altro respiro profondo, Louis si sporse per procedere con la domanda successiva. Il cumulo di carte non era più così alto, anzi, sembravano vicini alla fine di quel confronto e a riguardo non aveva proprio idea di come sentirsi. Sarebbe riuscito ad andare avanti con la propria vita dopo quell’incontro? Il suo cuore sarebbe riuscito a rimettere insieme tutti i pezzi per metabolizzare quelle nuove verità? La sua testa aveva talmente tante altre domande che inevitabilmente si erano associate a quelle già preparate da Matt, che probabilmente non sarebbe riuscito a chiudere occhio quella sera.

Cos’hai imparato dalla nostra relazione che pensi ti possa aiutare nelle prossime?” Oh Dio, l’ultima cosa che Louis voleva adesso, dopo aver rivangato tutta la loro storia (compresa di tutto il loro sofferto amore) era dover immaginare Harry con qualcun altro al suo fianco. L’idea di aver reso il più piccolo una persona migliore, più matura, pronta ad una relazione sana ed equilibrata con qualcun altro, al momento lo mandava in mille pezzi. Esattamente come la prima volta in cui aveva pensato ad una cosa del genere. La paura folle che Harry potesse avere una relazione migliore con qualsiasi altra persona che non fosse lui, lo distruggeva ancora.
Louis avrebbe voluto chiedergli di tacere quella risposta, ma con un respiro profondo si preparò ad ascoltarla, ancorando entrambe le mani  sulle proprie cosce. Chiuse per un attimo gli occhi al fastidioso pensiero che ora Harry potesse cominciare a parlare di una storia avuta con qualcun altro in quegli anni.

“È dura pensare ad una qualsiasi altra relazione quando non ho ancora superato questa.” Quelle parole furono come balsamo per le ferite di Louis che, dal basso del suo egoismo, non avrebbe tollerato nessuna risposta diversa da quella. “Gli errori sarebbero inevitabilmente gli stessi, temo. Anche se anni di terapia hanno fatto il loro corso, eh!” Continuò alzando le mani con una piccola risata e lì rimase a fissarlo. Si era davvero fatto aiutare? Louis non era stato mai così fiero di lui come in quel momento. “È una domanda complicata, ma se dovessi portare con me un insegnamento, probabilmente sarebbe quello di parlare con chi mi sta accanto, perché quella persona dovrebbe tenerci a me e starmi vicino dovrebbe essere semplice, non complicato.” Louis annuì. Quella risposta poteva andargli bene, anche se magari non era completa. Non aveva accennato a nessun altra persona che poteva essere stata con lui in quegli anni, nessuno che stesse con lui in quel momento. Era una buona notizia. Era una buona notizia, giusto?

Invece di continuare a parlare, Harry si protese di nuovo sul tavolino voltando la penultima domanda.

Prenderesti mai in considerazione l’idea di tornare insieme? Perché o perché no?” Harry era ancora indeciso da quale parte preferisse stare: se da quella di colui che fa le domande o se da quella di colui che deve rispondere. Per la seconda volta quel pomeriggio, ebbe paura di quello che sarebbe potuto uscire da lì. Non ebbe il tempo di osservare l’espressione del suo compagno a quelle parole, ma non appena rialzò lo sguardo su di lui, lo trovò assorto mentre fissava un punto indefinito ai suoi piedi. Cosa sarebbe stato peggio in quel caso? Sapere che Louis non volesse più sentirne parlare di lui, che una volta era bastata ed avanzata, oppure che sarebbe stato pronto a riprovarci? Harry avrebbe provato paura in entrambi i casi. Con la sua psicoterapeuta aveva fatto un lavoro enorme, che era partito da Louis, ma non era certo finito con lui. Era stato solo il coperchio di un enorme vaso di Pandora che andava ancora compreso e accettato fino in fondo. La strada era ancora lunga, lo sapeva, ed era per quell’esatto motivo che qualsiasi risposta fosse venuta fuori dalle labbra di Louis, sarebbe stato un problema. Del tutto impreparato, Harry si preparò a ricevere la verità da parte di colui che non gliel’aveva mai risparmiata.

“Credo che mentire, arrivati a questo punto, sia del tutto inutile.” Iniziò con voce bassa, mentre si osservava le mani che si tormentavano a vicenda. Era una domanda difficile per quanto fosse facile. Il suo cuore aveva risposto subito, senza la minima esitazione: sì.
Com’era stato pronto a ricominciare altre mille volte, nonostante il risultato non fosse mai stato dei migliori, anzi. Tutto della sua esperienza gli urlava che sarebbe stato l’ennesimo sbaglio, che tutto sarebbe andato male. Eppure erano passati anni, giusto? “Lo farei, sì. Potrei riprenderlo in considerazione.” La verità era quella, nuda e cruda, ma tutto il resto non poteva certo cancellarlo con uno schiocco di dita. Se solo fosse stato possibile lo avrebbe già fatto anni prima. “Mentirei se dicessi che non ci siamo amati in quel periodo. Un periodo totalmente sbagliato, c’è da dirlo.” Alzò le sopracciglia, sottolineando quella parte del suo discorso. “Ma se ti avessi incontrato ora, e giuro che avrei voluto incontrarti ora, dopo i One Direction, dopo la fama e dopo tutto il resto - se ti avessi incontrato ora mi sarei innamorato comunque di te.” Gli occhi salirono timidi lungo tutta la figura del più piccolo - che di fattezze piccole ormai ne aveva poche visti i suoi quasi ventotto anni - fino ad incrociare lo sguardo con il suo. Fece una piccola pausa per perdersi in quel verde così familiare, così caldo e accogliente. “Magari ora sarebbe stato il momento giusto.” Harry lo stava guardando immobile, perché un solo movimento e avrebbe temuto di rompere quella fantasia che gli si era creata davanti gli occhi. Stava sentendo bene? Neanche si concesse di respirare dopo quella frase. “Certo tutto il resto non sarebbe cancellato e sarebbe da ingenui pensare che non ci siano conseguenze di alcun tipo, ma magari siamo più maturi adesso? Probabilmente sarebbe difficile in ogni caso, ma forse quello che abbiamo passato potrebbe aiutarci invece di abbatterci.” Fece spallucce alla fine, come se non avesse appena ammesso davanti alla persona che aveva amato per anni che ci avrebbe riprovato se solo… se solo cosa, di preciso? Harry prese un respiro profondo, aprendo la bocca, pronto per dire qualcosa, ma Louis non gli diede neanche il tempo di finire di registrare quanto detto, proseguendo con il leggere l’ultima domanda.

Se Harry avesse risposto alle sue parole in qualsiasi modo, Louis ne era sicuro, sarebbe crollato lì sul posto.
La sua confessione doveva restare lì, sospesa nell’aria di quella stanza vuota; in quello spazio e quel tempo fuori da ogni spazio e tempo.

Peccato che dall’altro lato del tavolo ci fosse un Harry rimasto incantato a fissarlo, che ora per la prima volta dopo tre anni di lontananza, sentiva di nuovo quell’impellente urgenza di afferrare il viso di Louis tra le mani e baciarlo. Dio, quanto gli era mancato.

Per mesi aveva subito la solitudine e le ondate del dolore di quella storia finita e invece adesso quello che stava tornando era solo l’affetto, la profonda stima e il bisogno di vicinanza, di stargli vicino, di sfiorarlo anche se solo per qualche istante.
Se lo avesse toccato in quell’istante, probabilmente sarebbe potuto sopravvivere altri tre anni senza. Ma prima che potesse muoversi dal posto o anche solo spiccicare mezza parola, Louis parlò di nuovo leggendo l’ultima domanda.

Se questa fosse la nostra ultima conversazione, cosa vorresti che io non dimenticassi mai?” La voce gli tremò alle ultime due parole. Dopo quello che aveva detto lui pochi secondi prima, quella era una domanda che gli scavava le viscere e gliele portava in superficie: esposte e vulnerabili. Passare dal considerare la possibilità di tornare insieme, al vivere la loro ultima conversazione era un pugno dritto al centro del plesso solare.

Da lasciare doloranti e senza fiato.

Senza comprendere bene immediatamente cosa stesse succedendo, Louis seguì la figura di Harry che si era appena rimessa in piedi dopo l’immobilità statuaria di poco prima. Aveva preso la sedia e l’aveva posta tra quella di Louis e il tavolo che aveva trascinato indietro per fare spazio. Ora davanti al maggiore c’era seduto Harry, con i gomiti appoggiati sulle  proprie ginocchia e il suo tronco spostato verso avanti, proteso verso di lui. Le sue mani, ormai incontrollabili, corsero ad afferrare strette quelle di Louis, il quale venne attraversato da un brivido lungo tutta la schiena. Da quanto tempo non erano più così vicini? La sua mente azzardò che non fossero mai stati davvero così vicini. Dopo quelle parole, dopo quelle verità la vulnerabilità apparteneva ad entrambi i loro cuori, usati e maltrattati, gli unici ai quali avrebbero dovuto solo rispetto. Louis ricambiò la stretta.

“Se fosse l’ultima volta che ti vedo…” si fermò subito, prendendosi il tempo e tutta la concentrazione che gli serviva per osservare da vicino quel volto così familiare. Le rughe vicino le palpebre stanche, quelle labbra sottili, la barba corta e sistemata a ricoprirgli in modo uniforme la mandibola dai lineamenti taglienti, quegli zigomi che si alzavano durante un sorriso, adesso erano rilassati.
E infine i suoi occhi. Il verde nel blu, il blu nel verde, di nuovo a perdersi come lo sguardo che osserva un bosco che sfuma nel cielo azzurro; un orizzonte di mare che tocca terra. Quante volte si era sentito a casa solo a guardarlo? Sospirò nel vederlo e sentirlo di nuovo così vicino. Solo adesso gli crollava addosso tutta la mancanza di quegli anni. Per un attimo si domandò come avesse fatto per tutto quel tempo ad andare avanti senza di lui. Eppure doveva ammetterlo, molti pezzi era come se fossero tornati al loro posto, come se non fosse più un ragazzino pieno di crepe da riempire con qualsiasi cosa si trovasse a tiro. Adesso era solo un ragazzo messo davanti a se stesso e alla persona che aveva sempre amato, cresciuto e maturato sotto certi aspetti.

Gli strinse nuovamente le mani prima di riprendere a parlare, come per trovare un briciolo di coraggio per pronunciare quelle parole. “Vorrei che sapessi che ti ho amato tantissimo, Louis. Con tutto me stesso, più di quanto io non abbia mai amato nessuno in vita mia.” Quella era la base, il minimo da sapere. “Che nonostante tutto il dolore e nonostante le esperienze che non avresti voluto vivere con me - gli occhi verdi cominciarono a farsi più liquidi, lucidi. Louis a quella visione strinse le labbra, ma senza spostare lo sguardo.
Non avrebbe mai potuto guardare altrove con Harry così vicino. Neanche dopo tre anni. Neanche dopo dieci, cento anni. Harry era lì e Louis lo avrebbe guardato. - io rifarei tutto da capo, altre mille volte.” Un’altra piccola pausa per deglutire, mentre la voce stava cominciando a venirgli meno per il nodo che sentiva in gola. Davanti a quella difficoltà, il maggiore gli strinse di nuovo le mani, di rimando. ‘Ce la puoi fare’, gli dissero i suoi occhi celesti. “Sei stato prezioso, il tuo supporto in qualsiasi cosa è stato oro per me, così come il tuo amore in cui io non ho mai smesso di credere. Mi hai reso una persona migliore, per me stesso e per questo non potrò mai ringraziarti abbastanza.” Era vero, tante volte si erano solo fatti male a vicenda e l’ultima volta che si erano visti era stata una delle volte peggiori, a peggiorare la situazione era che fossero state quelle le ultime parole sentite da entrambi. No, non poteva e non doveva finire in quel modo. Ma forse, in quel momento si poteva riparare a quell’errore fatto. “Lou, io…” abbassò lo sguardo per deglutire di nuovo, questa volta a vuoto per colpa della bocca secca. “Io ci tengo sempre a te. In un modo veramente incredibile e io non posso farci niente, lo farò per sempre. Sarai per sempre la prima persona che ho mai amato e questo non cambierà mai.” Rialzò gli occhi in quelli di Louis e questa volta erano i suoi azzurri ad essere lucidi. “Vorrei solo che ricordassi questo, che io non potrei dimenticarti mai.”

Essere completamente rimosso, dimenticato era stata una delle paure di Harry post rottura, una delle quali aveva esorcizzato scrivendoci canzoni. In quegli anni aveva scritto di tutto e tutto partiva da Louis e finiva con lui, tranne alcune canzoni che invece per volere commerciale non c’entravano niente con Louis e neanche con lui stesso. Il resto era stato tutto un disperato tentativo di andare avanti e di superare il vuoto che sentiva.

E forse ci era riuscito a non farsi più ferire da quella mancanza, ma a smettere di amarlo… quello sarebbe stato impossibile e una volta arresosi a quella realtà era stato molto più facile accettare di dover andare avanti. Forse sarebbe arrivato un giorno in cui, guardando Louis, avrebbe visto una persona che amava, che non conosceva più, ma non era quello il giorno evidentemente, perché il maggiore era davanti a lui, bello come sempre e la stessa meravigliosa anima di sempre: schiva e allo stesso tempo vulnerabile. Di una bellezza rara.

“E che mi dispiace.” Le sue parole saltarono, come cancellate per un secondo da un’interferenza data dal suo singhiozzo. “Per tutto quello che è successo, mi dispiace.” Come se Louis potesse ancora credere che tutto il male che gli aveva fatto fosse stato apposta per ferire, per poco amore, se non peggio per odio.

Louis annuì, inspirando e trovandosi in difficoltà anche lui. Un singhiozzo scosse anche le sue spalle, portandolo a ritrarsi dalla stretta dell’altro per camuffare quel sussulto; come se fosse stato un movimento volontario e non come se avesse perso totalmente il controllo sul proprio corpo e sulle proprie reazioni. Le mani scivolarono fuori da quelle del riccio.

“Anche a me dispiace. Ma g-grazie per averlo detto. Mi serviva sentirlo.” Quante volte, accecato dalla rabbia al solo pensarlo, aveva immaginato che tornasse da lui strisciando e chiedendo perdono? Harry non lo aveva mai fatto, aveva tenuto fede alle sue promesse e non si era fatto più sentire né vedere. Sentirle adesso quelle parole non faceva più lo stesso effetto. Era davvero tutto finito allora? Eppure non sentiva come se lo fosse.

Si voltò verso Matt e con un cenno della testa fece interrompere le riprese.

“Louis…” lo chiamò Harry, ma si era già alzato. Le braccia aperte del regista del progetto lo avevano già avvolto in un abbraccio veloce, un contatto che il riccio invidiò molto.

Sospirò nel vederlo riprendersi in fretta, come se le sue parole non avessero sortito nessun effetto. Con un sospiro, il riccio lasciò cadere la testa in avanti prima di coprirsi il viso con le mani. Quella era stata una pessima idea, perché l’altro era andato avanti come niente mentre a lui era rimasto il tanto familiare vuoto che adesso aveva nutrito per un attimo con il contatto delle mani di Louis. Quell’affamato vuoto che tante volte aveva minacciato di inghiottirlo per intero. Adesso cosa avrebbe dovuto fare?

Quando la porta tagliafuoco fu chiusa di nuovo, lasciando solo Harry in compagnia della crew, Matt si avvicinò a lui, prendendo il posto di Louis sulla sedia davanti al cantante rimasto.

“Tutto bene?” Domandò, con la cartellina ancora tra le mani.

“Non lo so.” Rispose sincero. Per lui era stato un bel momento di condivisione, sarebbe stato anche capace di uscire da lì dentro felice, magari non lo avrebbe salutato con un abbraccio, ma almeno una stretta di mano e gli sarebbe bastato. Ma così…

“Mi dispiace. Ricordo anche a te che monteremo il tutto e prima di renderlo pubblico ve lo invieremo, solo dopo aver ricevuto il consenso di entrambi procederemo con il pubblicarlo va bene?” La sua voce era calda e calma, ma Harry non riusciva neanche a ricambiare il suo sguardo. Neanche cinque minuti prima davanti a lui c’era Louis e non quel regista. Il riccio annuì. “Non ti crucciare, sono sicuro che andrà tutto bene.” Aggiunse, con tono un po’ più vitale, poggiandogli una mano sul ginocchio per stringere appena e a quel contatto finalmente Harry alzò gli occhi su di lui. Strinse le labbra e annuì nuovamente.

“Grazie, in ogni caso.” Si alzarono entrambi per salutarsi con un abbraccio.

Comunque sarebbe finita, intanto era andata. Aveva rivisto Louis, gli aveva detto tutto quello che mai avrebbe creduto possibile e aveva sentito verità che pensava non fosse mai stato in grado di ascoltare. E invece era successo tutto per davvero.

Peccato per quell’uscita di scena.

Quando una volta uscito da lì riprese in mano il telefono, notò i messaggi di Gemma spuntare sullo schermo dallo sfondo scuro.

 

“Sei già entrato?”

 

“Dimmi come stai dopo, mi raccomando.”

 

“Anche se è tardi, chiamami pure se vuoi.”

 

Sua sorella non era stata propriamente contro questa idea, ma di sicuro non era stata convinta fin dall’inizio. Come sua madre, si era solo rassegnata all’idea che Harry volesse fare una cosa del genere e il minimo da parte loro era stato quello di mettersi totalmente a disposizione nel caso le cose fossero degenerate. C’erano sempre state, anche quando lui aveva provato a tenerle all’oscuro di tutto il dolore e la sofferenza; anche quando lui provava a chiudere chiunque altro fuori. Harry ringraziava per il loro supporto ogni giorno. Accanto al messaggio di sua sorella però, c’era quello di un altro numero. Il numero era sconosciuto per quel telefono nel quale non era più stato salvato, ma poco aveva di nuovo per Harry che ormai lo conosceva a memoria e non lo avrebbe dimenticato mai più.

 

“Scusami,

ma ho disperatamente bisogno di tempo.

Non volevo scappare, ma non sarei riuscito a restare lì un secondo di più.

È tutto a posto, ma ho bisogno di pensare.

Grazie per tutto.”

 

Sembrava un messaggio così finito che per un istante Harry temette fosse un addio. Ma no, gli aveva appena spiegato la fuga con quante più parole credesse sufficienti e forse la cosa era positiva, perché sarebbe potuto sparire e basta, invece aveva pensato di scrivergli per rassicurarlo che andasse tutto bene, che non fosse arrabbiato, che la loro comunicazione non fosse irrecuperabile. Aveva solo bisogno di tempo.

E Harry attese.

Attese quella notte a New York e tutte le altre a seguire.

La voglia di scrivergli un messaggio che cresceva di giorno in giorno, di silenzio dopo silenzio. Quella chat veniva aperta almeno due volte al dì, una appena sveglio e l’altra durante la pausa pranzo. Ma niente.

Per più di due settimane il vuoto più assoluto.











Angolo della scrittrice

Da quanto tempo era che non pubblicavo qualcosa Larry related?
Mi dispiace per l'attesa, mi dispiace per il tempo sprecato, ma qualcosa si è sciolto ed è anche giusto che sia così. 
Nessuna pressione, ma qui c'è un mio nuovo latoretto di cui un po' vado fiera perché è il primo dopo un sacco di tempo - troppo tempo! - ferma. 

Nella speranza che possa piacere e possa essere accolto come solo le ff Larry sanno essere accolte,
vi attendo nell'attesa del prossimo (e probabilmente ultimo) capitolo.

A presto






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