Love me like you love the sun
Titolo: Love me like you love the
sun
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 3114 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Jonathan Samuel Kent,
Damian Wayne
Rating: Arancione
Genere: Generale, Azione,
Light Angst
Avvertimenti: Vampire AU, What
if?, Hurt/Comfort, Slash
200 summer prompts: "Come hai
potuto?" || "Non lo fare!" || "Non lo sento più"
SUPER
SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
Jon
aveva cercato di non pensarci ma, da quando lui e Damian si erano
conosciuti quasi sei mesi addietro, aveva sentito qualcosa di strano
nel giovane pettirosso.
Se non fosse sembrato inquietante, Jon avrebbe
potuto persino stilare una lista delle cose che risultavano bizzarre, a
partire dal fatto che non partecipasse mai agli eventi giornalieri
delle Wayne Enterprises nonostante fosse il giovane figlio di un ricco
miliardario eccentrico. Ogni volta che andava con sua madre a qualcuno
di quegli eventi per assistere ad una conferenza stampa o semplicemente
per “imparare il mestiere”, essendo il figlio di due grandi giornalisti
come Lois Lane e Clark Kent – inutile dire che a lui non piaceva
affatto come lavoro, e che dall’alto dei suoi quattordici anni avrebbe
preferito qualcos’altro –, Jon sperava di distrarsi un po’ col suo
amico, ma ogni non riusciva mai a vederlo in giro e finiva con
l’annoiarsi come non mai; alcune volte riusciva a scorgere qualcuno
degli altri fratelli, ma sparivano così in fretta che Jon non riusciva
a domandare loro nulla e anche le risposte di Bruce risultavano
piuttosto evasive. “Damian ha il corso di teatro”, “Damian deve
recuperare delle lezioni di violino”, “Oggi Damian non si sente bene”,
tutte scuse diverse che Bruce gli rifilava e, per quanto cercasse di
leggere la bugia nei suoi occhi, Jon non era mai in grado di guardare
oltre gli occhiali da sole che l’uomo indossava nemmeno con i suoi
poteri kryptoniani.
Suo padre gli aveva detto che Bruce Wayne era un
tipo particolare così come lo erano i suoi figli – non solo perché
erano tutti dei vigilanti – e che quindi non avrebbe dovuto prendersela
se Bruce sembrava evitarlo, ma Jon aveva cominciato a pensare che nella
famiglia Wayne ci fosse ben più di quanto il padre stesso volesse
ammettere, identità segrete o meno. Riusciva a vedere Damian solo di
notte e la maggior parte solo ed esclusivamente quando dovevano uscire
di pattuglia, giacché Damian aveva sempre ignorato i suoi inviti a casa
per roba come i “pigiama party” e cose del genere; una volta ogni tanto
riusciva a strappargli un’uscita al cinema o alla sala giochi per
divertirsi un po’, ma Damian non restava mai fino a tardi e si
volatilizzava letteralmente, dato che Jon non riusciva a focalizzarsi
su di lui nemmeno provandoci, quasi scomparisse del tutto dai radar.
Una volta aveva provato ad ascoltare il suo battito
cardiaco, lo ammetteva. Aveva imparato a riconoscerlo e lo aveva
memorizzato come un piccolo segreto da custodire, ma c’era stata una
notte, una strana notte, in cui il battito di Damian si era affievolito
e lui era andato nel panico, volando a Gotham come una scheggia
impazzita; era arrivato alla villa ad una velocità tale che per poco
non era stato fatto arrosto dalle difese perimetrali della proprietà,
accigliandosi quando il battito del cuore era tornato normale e Damian
l’aveva fulminato con lo sguardo al di là della finestra della sua
stanza. I suoi genitori gli avevano fatto una bella ramanzina e anche
Bruce non si era risparmiato dal ricordargli che se aveva degli allarmi
era per un buon motivo e che non gradiva quelle improvvisate, ma era
stato Damian a dirgli di non presentarsi mai più alla sua finestra
senza prima informarlo. Jon quel giorno si era sentito così imbarazzato
che non si era fatto vedere per un po’, ma alla fine era tornato tutto
alla normalità e ci avevano messo una pietra sopra. Almeno fino a
quella sera.
Aveva cercato di non pensarci, davvero. Eppure,
quando aveva sentito l’odore del sangue di Damian a chilometri di
distanza e quel cuore perdere un battito, era schizzato fuori dalla
finestra della sua stanza prima ancora di realizzare di averlo fatto.
L’arrivo a Gotham era stato pazzesco, i capelli scarmigliati gli si
erano incollati alla fronte e il mantello si era letteralmente
impigliato ovunque durante quel folle volo, ma ciò che aveva sconvolto
maggiormente Jon era stata la vista di Damian completamente ricoperto
di sangue; ad occhi sgranati, Jon lo aveva visto reclinare la testa
all’indietro e aveva notato quanto sporco fosse il suo viso, e alla
vista del cadavere ai suoi piedi una sola domanda si era affacciata
nella mente di Jon.
“Come hai potuto?!” gridavano i suoi occhi, ma si
rifiutava di credere che Damian, il suo migliore amico, il ragazzo che
in quei mesi aveva imparato a conoscere e che gli aveva mostrato quanto
fosse sensibile ed empatico… avesse ucciso un uomo. Conosceva il
passato di Damian, tutto ciò che aveva dovuto passare nella Lega degli
Assassini e non voleva credere che fosse tornato su quella strada, ma
l’uomo riverso a faccia in giù nello sporco di quel vicolo semibuio e
Damian immobile, con qualcosa stretto in una mano da cui colava ancora
del sangue e l’arma stretta nell’altro palmo… non lasciava molto spazio
a fraintendimenti, anche se Jon stava davvero tentando in tutti i modi
di non saltare a conclusioni affrettate nonostante la domanda che
sembrava pronta a fuggire dalle sue labbra schiuse.
«D… lo hai…»
«No». La voce di Damian era ferma, gorgogliante come
un ruscello, e lo interruppe prima ancora che potesse formulare qualche
parola. «È stato Croc. Io… sono arrivato tardi. Ho… ho cercato di
contenermi», sussurrò, e Jon lo vide stringere maggiormente la mano a
pugno, notando il sangue ricominciare a scorrere fra le dita.
«D… cosa intendi dire?»
Gli attimi di silenzio che susseguirono furono
carichi di elettricità, di qualcosa che Jon non aveva mai avvertito
prima di allora, e per un momento, un lungo e terrificante momento, gli
parve che il cuore di Damian avesse smesso di battere e Jon deglutì.
Non lo sentiva più. Era normale che non lo sentisse più? Gli era
capitato di sentirlo debole, ma mai di sentire il più completo silenzio
provenire dal petto di Damian. Infine l’amico sospirò, aprendo la mano
solo per lasciar cadere quello che aveva tutta l’aria di essere un
sacchetto di plastica, uno di quelli che venivano usati in ospedale per
le trasfusioni.
«Non volevo mi vedessi così». Damian non si voltò,
Jon lo vide semplicemente prendere una vecchia coperta stracciata
accanto ai cassonetti per abbassarsi e coprire il corpo di quell’uomo,
un poveraccio che nessuno avrebbe probabilmente reclamato, dato il modo
in cui era vestito. «Avrei preferito che le cose andassero
diversamente».
«D… mi stai spaventando», ammise Jon, e la risata
che proruppe dalle labbra di Damian parve risuonare stridente come
unghie su di un vetro rotto. Era come se fosse stato circondato da una
cappa di gelo che si era estesa fra loro, ma fu quando finalmente si
voltò che Jon trattenne il fiato.
Il sangue sulle guance e sulla bocca di Damian passò
in secondo piano, poiché gli occhi spalancati di Jon si soffermarono
sulle lunghe zanne che spuntavano dal labbro superiore; gli occhi di
Damian erano rossi, completamente lontani da quel bel verde che aveva
imparato a conoscere, e il modo in cui il naso fremeva, quasi fosse
ancora in totale frenesia a causa dell’odore del sangue che impregnava
ormai quel vicolo, lo faceva somigliare ad un grosso cane che fiutava
la sua preda. Il petto si alzava e si abbassava a ritmi irregolari e
Damian non aveva perso di vista Jon nemmeno per un istante, per quanto
quest’ultimo avesse deglutito e avesse allargato le palpebre,
incredulo. Non era certo di cosa stesse guardando o se la sua mente gli
stesse facendo degli strani scherzi, ma i comportamenti di Damian, le
sue sparizioni, il modo in cui spesso cercava di evitarlo e le risposte
evasive di Bruce… tutto aveva un senso, adesso. Tutti i pezzi
sembravano essere andati al loro posto, tutti quei segreti che non
includevano solo la vita da vigilante ma l’esistenza stessa di Damian.
Per quanto strano potesse sembrare, però, quello che
aveva davanti era pur sempre il suo migliore amico e Jon ne aveva viste
di cose strane nel corso della sua vita. Lui stesso non poteva
considerarsi umano, aveva incontrato altri alieni, esseri magici,
persone di altri mondi e animali parlanti… non sarebbe stato questo a
preoccuparlo; provò quindi ad avvicinarsi, a fare solo qualche piccolo
passo verso Damian, ma quest’ultimo parve soffiargli contro come un
grosso felino, rintanandosi nelle tenebre del vicolo.
«Non venirmi vicino!» gli urlò contro, e Jon si
fermò solo perché non aveva mai sentito quel tono provenire da lui.
Damian era sempre stato un po’ altezzoso e saccente, arrabbiato e
annoiato, ma stavolta sembrava terrorizzato e la sua voce era più alta
di un’ottava.
Jon sollevò le mani in segno di resa, gettando uno
sguardo al cadavere prima di tornare a fissare le ombre. Damian si era
mimetizzato alla perfezione, e persino con i suoi poteri era difficile
riuscire a distinguerlo senza strizzare un po’ gli occhi. «D… va tutto
bene», provò, ma Damian scosse la testa, Jon sentì il fruscio dei suoi
capelli mentre lo faceva.
«Non fingere che sia così». Stavolta la voce di
Damian era bassa, e se non avesse avuto il super udito probabilmente
Jon non lo avrebbe nemmeno sentito. «Sono lo stesso mostro che ha
vissuto per secoli alla Lega, quello che finiva i suoi avversari
assaporandone il sangue e nutrendosi dell’acqua di Lazzaro».
«L’hai morso?»
In un primo momento Damian parve non capire la
domanda, poiché Jon lo vide fare leggermente capolino dall’oscurità con
sguardo smarrito, le cornee e le iridi così rosse da brillare sotto la
luce del lampione a pochi metri. Di tanto in tanto in essi riusciva a
scorgere un bagliore di verde, quel verde così intenso da sembrare
illuminato dal sole, ma erano ancora ben lontani a tornare del loro
colore naturale.
«…no». Damian deglutì, umettandosi le labbra. «Una
parte di me mi diceva di dargli il colpo di grazia e di dissanguarlo,
l’altra mi urlava in continuazione “non lo fare!”... e io non sapevo
più chi o cosa ascoltare».
«E cosa hai fatto?»
Jon poneva una domanda dietro l’altra,
approfittandone anche per avvicinarsi poco a poco di qualche passo. Ma,
se Damian se n’era accorto, a quanto sembrava non gli importava
nemmeno. Si era spostato ancora un po’ dall’ombra per rendersi
parzialmente visibile, la schiena poggiata contro il muro sudicio di
quel vicolo e lo sguardo fisso sul corpo dell’uomo che lui stesso aveva
nascosto alla vista. Sembrava davvero sconvolto, e Jon si chiese quale
fosse realmente il motivo di quella sua espressione. Aveva chiuso la
bocca per celare le zanne alla vista ma, adesso che sapeva che c’erano,
la cosa era così strana che Jon non sapeva esattamente come
comportarsi.
«Aveva diverse ferite da taglio, molte delle quali
mortali. Avrei voluto portarlo in ospedale, ma… non sarei arrivato in
tempo. Perdeva troppo sangue». Al pensiero si leccò inconsciamente le
labbra, stringendo forte una mano a pugno per allontanare chissà quale
sensazione dalle sue membra. «Ho cercato di controllarmi e gli sono
rimasto accanto finché non è morto. Non… non aveva nessuno. Si chiamava
Frank».
Fisso com’era a guardare l’uomo sotto quella sudicia
coperta, Damian sussultò quando si rese conto che due esili braccia lo
avevano stretto intorno al busto; Jon si era avvicinato e lo aveva
abbracciato con tanta forza che non riuscì a divincolarsi, per quanto
avesse provato a muoversi e a spingerlo via. Era sporco di sangue, i
suoi occhi erano rossi e la voglia di nutrirsi non era del tutto
sparita nonostante la sacca di sangue che aveva prosciugato, e non
voleva che Jon, l’unica persona oltre la sua famiglia che in quei mesi
l’aveva trattato come una persona normale, potesse rischiare di
rimanere coinvolto a causa dei suoi istinti. Jon lo stringeva così
forte che Damian inspirò a fondo il suo odore, e sentì le zanne fremere
quando sfiorò la vena del collo, poggiandogi immediatamente le mani sul
petto.
«Lasciami e andiamocene, Superboy», disse subito per
spintonarlo lontano da sé senza problemi, ma Jon sbatté le palpebre -
era sempre stato così forte? - e gettò uno sguardo verso l'uomo riverso
per terra.
«E cosa ne facciamo di lui?»
«Ho allertato la GCPD. Saranno qui a momenti per
occuparsene». Damian indugiò per un istante, passandosi una mano fra i
capelli. «Non lo avrei lasciato qui», soggiunse in un soffio,
afferrando il rampino che aveva alla cintura proprio nello stesso
istante in cui Jon sentì le sirene della polizia in lontananza; si
voltò per un secondo e si rese conto che Damian era già sparito,
sollevando lo sguardo per vederlo saltare oltre il bordo di un tetto.
Jon spiccò il volo non appena una delle auto di
pattuglia parcheggiò proprio oltre il vicolo, cercando di stare al
passo di Damian che correva veloce di tetto in tetto; adesso che lo
guardava con occhi diversi, consapevole di che cosa fosse, i suoi
movimenti sembravano più veloci, più calcolati e scattanti, come se
Damian si fosse sempre contenuto fino a quel momento per non far
saltare la propria copertura. Come aveva fatto a non rendermi mai conto
di niente? Come aveva fatto a non notare il suo odore, il guizzo dei
suoi muscoli, i cambiamenti del suo corpo?
Adesso che non doveva nascondersi, Damian correva
nella notte con scatti felini e sembrava letteralmente volare, e Jon
quasi faticava a stargli dietro come aveva sempre fatto. «D, aspetta!»
esclamò, e il suo grido si perse nella notte circostante, rimbombando
fra i palazzi che stavano superando; Damian sembrava intenzionato a non
fermarsi, e Jon stava cominciando a chiedersi se non fosse per quanto
aveva appena scoperto o se semplicmente aveva paura di affrontare
l'argomento con lui. Entrambe le ipotesi sembravano in realtà
terrificanti, e Jon cercò di volare il più velocemente possibile per
raggiungerlo, andando quasi a sbattere contro di lui quando
improvvisamente si fermò.
«Dovresti andartene», affermò Damian. Sembrava
mortalmente serio, e non si voltò nemmeno quando Jon gli poggiò una
mano su una spalla.
«Non ho intenzione di farlo», replicò, stringendo un
po' la presa. «Sei un vampiro, e con questo? Io sono un mezzo alieno».
«Ho ucciso delle persone, J». Quella forse era la
cosa che gli faceva più male. Era vissuto con l'idea che tutto gli
fosse dovuto, che appartenendo al millenario clan degli Al Ghul la sua
sete di sangue fosse giustificata e che un giorno sarebbe diventato un
potente vampiro che avrebbe conquistato il mondo, ma suo padre,
nonostante l'orrore che aveva vissuto e la sua ciecità, gli aveva
mostrato che avrebbe potuto controllarsi senza cedere ai propri
istinti, per quanto difficile fosse. «Alla Lega era la prassi. Il
sangue non andava mai sprecato. Avrei dovuto bere il sangue di
quell'uomo come ogni vampiro che si rispetti, ma--»
«--ma non l’hai fatto», sentenziò Jon per lui. «Non
sei il mostro che credi di essere, D».
Damian tacque per un lungo istante, con le mani
chiuse a pugno; poi scosse il capo, rilassando finalmente le
spalle irrigidite fino a quel momento. «Vedi il buono anche dove non
dovrebbe esserci, J», sussurrò con quello che parve essere un vago tono
di rimprovero, ma Jon sorrise.
«Conosco il mio migliore amico. Anche se avresti
dovuto fidarti di me».
«C'erano... regole da seguire, cose di cui dover
tener conto».
«Me l'avresti detto?»
Raschiandosi il labbro inferiore, Damian parve
rifletterci per un momento, finché alla fine non si voltò verso di lui
per fissarlo dritto in viso con quegli occhi che erano tornati di quel
verde splendente che Jon conosceva bene. «A tempo debito», volle essere
sincero, e Jon annuì.
«Mi basta».
Rimasero a guardarsi per attimi che parvero
interminabili, l'uno specchiato negli occhi dell'altro e il cuore di
Damian che aveva ricominciato a battere possente nel petto; Jon sentiva
ancora l'odore del ferro che lo avvolgeva come una nuvola, il fluire
del sangue in tutto il suo corpo e poteva benissimo scorgere le zanne
che, luminose, sporgevano un po' dalle sue labbra, sembrando
stranamente invitanti. Non sepper perché, ma Jon si ritrovò a deglutire
e a domandarsi che sensazione avrebbe provato nel sentire quei denti,
quel corpo premere contro il suo, e probabilmente anche Damian ebbe lo
stesso pensiero, poiché fece un passo indietro quando il suo cuore
parve perdere un battito.
«Devo tornare alla caverna prima che faccia giorno»,
sentenziò subito, infrangendo la strana bolla che si era creata tra
loro; difatti Jon ci mise un po' a recepire ciò che aveva detto,
sbattendo le palpebre prima di tossicchiare.
«Vuoi... che ti accompagni?»
Damian soppesò quell'offerta, poi scosse il capo.
«La prossima volta», affermò, indietreggiando verso il bordo
dell'edificio sotto lo sguardo di Jon che, automanticamente, fece
qualche passo avanti come se fosse pronto a riacchiapparlo.
«Possiamo vederci domani?» chiese subito, e stavolta
Damian allargò il sorriso da un orecchio all'altro, mostrando i canini
senza vergogna alcuna.
«Solo perché adesso conosci il mio segreto, non
penserai che il tuo allenamento sia finito, vero?» Damian sorrise
maggiormente, in bilico sul bordo. «Lascia aperta la finestra della tua
stanza e il tuo consenso per farmi entrare, ragazzo di campagna»,
affermò, spalancando le braccia per gettarsi all'indietro nel vuoto
sotto lo sguardo sconcertato di Jon; quest'ultimo si lanciò
immediatamente verso il bordo dell'edificio per volare in basso, ma una
folata di vento lo costrinse a coprirsi gli occhi con entrambe le
braccia e ad indietreggiare di nuovo, sollevando lo sguardo verso il
cielo quando uno strano stridore gli giunse alle orecchie.
Incredulo, Jon spalancò la bocca nel vedere un
pipistrello schizzare verso l'alto e fermarsi giusto per un istante,
certo che lo stesse fissando con la stessa intensità con cui lo stava
fissando lui. «D...?» soffiò quell'unica lettera come se non ci
credesse, ma Damian - perché, sì, era palesemente il suo amico -
sbatté due volte le ali e si dileguò, lasciandosi alle spalle uno
scombussolato Superboy completamente immobile sul tetto.
Damian gli gettò solo un'ultima occhiata e sorrise
internamente, volando più veloce in direzione della villa, con la sua
figura minuta che si stagliava nel cielo notturno. Sapere di essere
stato accettato, di non aver allontanato il proprio amico a causa di
ciò che era e di non aver infranto nessun patto poiché Jon l'aveva
scoperto da solo, gli riempiva il cuore di gioia. Non aveva mai provato
nulla di simile nel centoquattordici anni che aveva vissuto, ed era
bizzarro che fosse riuscito a farlo proprio con un ragazzo che era
completamente l'opposto di lui.
La sua vita era sempre stata colma di tenebre, ma
Jon, con la sua gioia e vivacità, era riuscito a mostrargli il sole.
_Note inconcludenti dell'autrice
Scritta per l'iniziativa #200summerprompts
indetta dal gruppo Non solo
Sherlock - gruppo eventi multifandom
Dunque.
Come credo si sia capito, questa è una Vampire!AU in cui tutta la
Bat-Family è un clan di vampiri, non cambia altro. Tutti i personaggi
sono pressocché gli stessi, ma la famigliola di pipistrelli è
letteralmente composta da gente che si trasforma in pipistrelli e beve
sangue. Basically è solo una scusa per scrivere scemenze, e la DC
stessa ha tramutato alcuni personaggi in vampiri con la saga DC vs
Vampires (la qui presente storia non ha nulla a che vedere con la run
l'avevo già in testa prima ancora che uscisse)
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
Messaggio
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Farai felici milioni di
scrittori.
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