ghost
Il rituale mattutino della vestizione
era quasi completato. Mancava solo da assicurare la benda sull'occhio
destro del padroncino.
- Il programma delle lezioni di oggi
sarà improntato a migliorare le vostre maniere in pubblico, my Lord.
- comunicò Sebastian con tranquillità.
- Le mie maniere? -
Il ragazzino fece per voltarsi verso il
maggiordomo ma questi gli premette gentilmente le tempie per
invitarlo a guardare avanti mentre terminava l'operazione.
- Esattamente. - confermò. - Perdonate
la mia impudenza, ma non ho potuto fare a meno di notare che durante
la cerimonia d'investitura al cospetto della Regina e degli altri
membri della nobiltà, i vostri modi sono risultati un po'...
carenti. -
- Carenti in cosa? Spiegati meglio. -
gli intimò il giovane, stizzito da quella franchezza.
Sebastian non fece attendere la sua
risposta. - Ora siete ufficialmente il nuovo Conte Phantomhive.
Possedete lo status di un adulto a tutti gli effetti e ricoprite una
carica che gode di rispetto e timore in tutta l'Inghilterra. -
Ciel iniziava a capire dove il demone
volesse andare a parare e, seppur con riluttanza, riconosceva una
certa logica in quel preambolo, pur temendo che il seguito si sarebbe
rivelato poco apprezzabile alle sue orecchie. - Va' avanti. -
concesse, a suo rischio.
- Sarete chiamato a partecipare a
eventi mondani, ad intrattenere ospiti qui al maniero e a
relazionarvi con altri nobili che di certo avranno non poca
difficoltà ad accettare che, perdonate, un ragazzino come voi possa
essere considerato un loro pari. Capite ciò che intendo? Dovete
acquisire maggiore autorevolezza e disinvoltura, nonché
un'eccellente padronanza delle dinamiche... -
- Va bene, va bene. Ho capito. - tagliò
corto il conte, per nulla entusiasta di sentirsi elencare le proprie
mancanze dal maggiordomo. Mancanze delle quali, invero, era ben
cosciente.
Sebastian ultimò il nodo dietro la
nuca del giovane e si congedò con un inchino. - Allora, col vostro
permesso, vi attendo in sala da pranzo per la colazione. Quest'oggi
abbiamo filetto di salmone al vapore in salsa di menta, uova alla
Benedict, porridge di avena... -
- Voglio qualcosa di dolce. -
Il demone se l'aspettava. - Ma certo.
Ci stavo arrivando, padroncino. In ultimo, posso offrirvi pane
tostato con burro e marmellata di arance. Ora, se volete essere così
gentile da indicarmi le vostre preferenze... -
- Pane tostato con burro e marmellata.
-
- Una scelta davvero insolita. -
commentò Sebastian, ironico.
- Cosa vorresti insinuare? -
- Niente, my Lord. Un povero diavolo di
maggiordomo come il sottoscritto non oserebbe mai avanzare
insinuazioni sui gusti del proprio padrone. - fece una pausa. - Anche
se questi rasentano quelli di un cucciolo appena svezzato. -
Era troppo per il suo orgoglio. Ciel
raccolse una freccetta dal comodino e la scagliò contro il
servitore, che scansò il colpo con grazia.
- Vedete, signorino? - chiese,
raccogliendo il dardo caduto a terra. - È importante che impariate a
controllarvi e a non lasciar trasparire ciò che vi turba per
concentrarvi solo sui vostri obiettivi. -
In un gesto apparentemente casuale,
Sebastian gettò via la freccetta. Questa descrisse un'ellisse
nell'aria per poi andare a conficcarsi dritta al centro del bersaglio
appeso alla parete.
Ciel arricciò le labbra in una smorfia
contrariata: aver ottenuto la nomina a Conte era stato solo il primo
passo per riuscire a realizzare il proprio disegno di vendetta, ma
ora avrebbe dovuto impegnarsi nell'incarnare quel ruolo alla
perfezione. Un proposito che purtroppo includeva la coltivazione e il
mantenimento di legami di facciata con l'élite della società
britannica. Intrattenere, conversare amabilmente di frivolezze,
fingersi a proprio agio e ostentare perfino divertimento in quelle
occasioni che l'avrebbero richiesto ma alle quali si sarebbe
volentieri sottratto. Sebastian aveva ragione: le sue abilità in
quel settore non erano sufficientemente sviluppate.
- Ti sei spiegato. - rispose il
giovane. - Ora va' ad occuparti di quei toast. Io scendo tra un
attimo. -
Il maggiordomo s'inchinò ancora una
volta e uscì dalla stanza mentre le code svolazzanti del frac
seguivano la sua figura nera oltre la porta.
Il conte esalò un lungo sospiro
rassegnato al pensiero della spiacevole giornata che lo attendeva.
Quantomeno, una buona colazione a base di dolci manicaretti, sarebbe
servita da piccola compensazione a fronte del tempo che quel giorno
avrebbe dovuto spendere affinando la maschera che avrebbe dovuto
esibire in pubblico.
- Tutto il mondo è un palcoscenico,
giusto? Suppongo di non avere altra scelta. -
Passando davanti allo specchio, indugiò
un momento per contemplare il proprio riflesso. Per quanto si
atteggiasse a uomo, i lineamenti delicati del viso, il fisico esile e
la bassa statura tradivano la sua vera età. Provò a sollevare il
mento e ad imbastire un piglio sprezzante che gli donasse un'aura di
autorità a fronte del suo aspetto fanciullesco, tuttavia il
risultato non lo soddisfece quanto sperava e lasciò presto il posto
a un broncio infantile che distrusse definitivamente ogni proposito
di virilità.
Proprio in quell'istante gli parve di
udire una risatina di scherno, come se un bambino si stesse prendendo
gioco di lui, nascosto dietro una tenda.
Ciel si voltò di scatto e si guardò
intorno ma, com'era logico aspettarsi, non vide nessuno. Indietreggiò
di un passo e scrutò con maggiore attenzione la superficie
riflettente.
La risata si levò di nuovo e stavolta
ebbe la netta impressione che provenisse proprio dallo specchio.
- Chi c'è? - domandò ad alta voce in
un tono che, almeno a sua intenzione, avrebbe dovuto intimidire. -
Vieni fuori! -
Non accadde nulla ma il suono parve
spegnersi. Ciel studiò con circospezione la cornice d'argento e
l'intelaiatura ma non trovò nulla di strano.
Nessun suono di risa tornò a far
vibrare l'aria della camera e il ragazzino si convinse di essersi
immaginato tutto, ma l'eco fastidiosa di ciò che credeva di aver
udito lo accompagnò fino a quando prese posto davanti a una ricca
pila di toast dorati e fragranti.
La giornata trascorse tra esercizi di
dizione, uso della voce e controllo della postura per acquisire
quelle abilità che gli avrebbero permesso di apparire come si
conviene ad un Lord.
Ciel accolse con sollievo i dieci
rintocchi che scandivano il termine dei suoi doveri quotidiani e
l'ora di coricarsi.
Sbadigliò senza ritegno e sollevò le
braccia per stiracchiarsi mentre Sebastian era intento ad
abbottonargli la camicia da notte.
Il demone sogghignò. - Devo dunque
constatare che i miei sforzi di oggi per rendervi più maturo sono
stati vani? -
Il ragazzo gli scoccò un'occhiata
torva. - Qui non mi vede nessuno. Posso fare ciò che voglio. -
- Io vi vedo, my Lord. - puntualizzò
il maggiordomo.
- Ma non è per compiacere te che devo
recitare questa stupida commedia. - sbottò. - Sfortunatamente si
tratta di un male necessario che devo tollerare per ottenere ciò che
mi sono prefissato. -
Un luccichio malizioso balenò negli
occhi del demone. - A tal riguardo, mi trovate perfettamente
d'accordo. -
Ciel colse l'allusione ma non si lasciò
provocare. Ormai era abituato alle sue frecciatine e a volte
preferiva semplicemente ignorarle. Non avrebbe fatto divertire il
demone, non quella sera.
Stava per soccombere a un altro
sbadiglio quando un'ombra si mosse furtiva ai margini del suo campo
visivo.
Il suo sguardo venne dirottato verso lo
specchio, dove il ragazzino era convinto di aver intravisto quello
sfuggente qualcosa. Per la seconda volta quel giorno.
Strinse gli occhi e si concentrò al
massimo per carpire l'origine di quell'impressione d'inquietudine.
Sempre che ve ne fosse una.
- Mm? Che succede, my Lord? -
Ciel esitò un momento prima di far
scivolare via lo sguardo dallo specchio. - Nulla. Va tutto bene. -
Va tutto bene.
Corre. Corre a perdifiato
nell'oscurità più fitta. Corre senza meta, sa solo di doversi
lasciare alle spalle qualcosa. L'urgenza di mettere quanta più
distanza possibile tra sé e ciò che incombe alle sue spalle
sopperisce alla mancanza d'aria e ai polmoni brucianti. Indossa gli
abiti sontuosi che portava alla sua investitura e che di certo non
gli facilitano i movimenti, ma non importa. Deve sbrigarsi! Deve
andarsene!
Ma ecco quella risata gioviale
raggiungerlo, affiorando dalle tenebre. Una risata infantile,
canzonatoria e tremendamente familiare.
Deve correre di più. Deve chiedere
alle sue gambe uno sforzo ulteriore. Non può farsi prendere. Non può
permettere che quell'ombra lo afferri.
Ma la sua corsa si arresta
bruscamente davanti ad una superficie nera e lucida. Un muro di onice
che riflette i contorni sfocati della sua sagoma ansimante.
È finita. Pensa, disperato. Non ha
più scampo. Lo prenderà!
La risata si fa più forte, più
vicina. Riesce quasi a sentire un soffio freddo sulla nuca prima che
il suono cessi di colpo.
Tutto ciò che può udire ora sono i
suoi ansiti e il battito impazzito del suo cuore nel petto. Il
ritmico battere del terrore che lo attraversa, gelandogli il sangue
nelle vene.
Fissa la parete davanti a sé e si
accorge che la propria immagine riflessa sta sorridendo. Un sogghigno
derisorio incredibilmente nitido rispetto a tutto il resto.
- Oh, fratellino mio. Dovresti
vederti! - ridacchia la voce fanciullesca. - Ti ricordi quando
giocavamo ad acchiapparella? Ci inseguivamo per tutto il maniero e i
domestici finivano per sgridarci ogni volta. - fa una breve pausa
prima di riprendere in tono più duro. - Naturalmente, ogni tanto
dovevo lasciarti vincere. Se ti fossi sforzato troppo, avresti
rischiato di avere uno dei tuoi soliti attacchi d'asma e la mamma se
la sarebbe presa con me. D'altra parte, sei sempre stato così
piccolo e debole. -
La voce si è fatta sprezzante.
- Chi... chi sei? - balbetta,
incapace di accettare la conclusione a cui il suo istinto è già
arrivato.
- Eh? Ma come? Non riconosci più
neanche il tuo amato fratello? Avermi lasciato morire, offerto la mia
anima in sacrificio e poi aver bruciato il mio corpo ha cancellato
anche il mio ricordo, per caso? Eppure non esiti a servirti del mio
nome e a farti passare per me davanti a tutti. -
- T... tu? -
Il ghigno si allarga. - Sì, esatto,
fratellino. L'unico e il solo Ciel Phantomhive, legittimo
erede della casata. -
A quelle parole, i suoi abiti si
riducono in cenere, lasciandolo completamente nudo e preda del
freddo. Il pavimento è una lastra bruciante di ghiaccio sotto i suoi
piedi nudi.
Al contrario, il riflesso nello
specchio è ancora vestito di tutto punto e ormai forme e colori sono
perfettamente distinguibili. Sull'occhio destro non c'è alcuna benda
e l'iride è di un celeste cristallino.
Urla e crolla in ginocchio tremante,
prendendosi la testa fra le mani. - No! No! Vattene! Tu sei morto! Io
sono il Conte Phantomhive, adesso! Me lo sono guadagnato! -
Il riflesso di Ciel scoppia in una
risata terribile e velenosa. - Guadagnato? Alleandoti con un demone
per usurpare il mio nome e il mio posto? È questo che intendi? Bella
dimostrazione di valore e amore fraterno! -
- Basta! Smettila! - geme, premendo
più forte i palmi contro le orecchie.
Ma il fantasma di Ciel prosegue,
implacabile, crudele. - Sappiamo entrambi che quel giorno si trattò
di uno scherzo del destino. Sappiamo entrambi che su quell'altare,
con un pugnale conficcato nell'addome avresti dovuto finirci tu! Non
sarebbe stata una gran perdita, vero? In fondo, sei sempre stato solo
un peso per tutti. Non hai le capacità per mandare avanti la casata
e tanto meno per ottenere la tua vendetta. Guarda in faccia la
realtà: questo è un gioco che non puoi vincere. -
- No, no! Basta! Sta' zitto! -
Gli occhi del gemello sono due lame
affilate che lo trafiggono senza pietà. - Fa' un favore a te stesso
e alla memoria dei Phantomhive, fratellino: smettila di infangare il
mio nome e quello della nostra famiglia più di quanto tu abbia già
fatto e non ambire a ciò che è al di là della tua portata. Torna a
nasconderti sotto le coperte del letto dei nostri genitori, come
facevi sempre. È quello il tuo posto. -
- NOOOOO!!! -
Il ragazzino si svegliò di
soprassalto, gli occhi sbarrati sul soffitto della stanza buia.
Sentiva il lino della camicia da notte appiccicato alla schiena e al
petto, la pelle madida di sudore freddo.
- Padroncino! -
Sebastian spalancò la porta della
camera e in un attimo balzò accanto al letto. Il suo giovane padrone
aveva un aspetto tremendo. - Cosa succede? Vi sentite male? -
Stava per rispondergli, ma venne
assalito da un accesso di nausea che lo costrinse a portarsi una mano
alla bocca per reprimere il conato.
Era un sogno. Solo un sogno. Non può
farmi del male. Va tutto bene.
Prese qualche respiro lento e profondo
finché il senso di malessere si attenuò un poco.
Quando si sentì abbastanza sicuro che
il suo stomaco sarebbe stato in grado di trattenere il suo contenuto,
si arrischiò ad abbassare la mano e a volgere lo sguardo atterrito
verso il maggiordomo, ma si scoprì incapace di evocare alcuna
parola, la gola chiusa da un nodo.
Il demone interpretò la sua
espressione stravolta e capì. - Di nuovo gli incubi? -
Il conte abbassò lo sguardo,
stringendo i lembi delle lenzuola tra le dita. Percepiva i segni
delle lacrime misti a sudore bagnargli il volto. La mascella serrata
in una morsa dolorosa, i denti che battevano furiosamente.
Le parole dell'incubo seguitavano a
rimbombargli nelle orecchie, tanto più impietose poiché si
avvicinavano alla verità che egli tentava di ignorare ogni giorno.
...Si trattò di uno scherzo del
destino... Su quell'altare, con un pugnale conficcato nell'addome
avresti dovuto finirci tu! Non sarebbe stata una gran perdita, vero?
Gemette e si premette le mani ai lati
del viso, come nel sogno. Ma la voce non smetteva di pungolarlo.
In fondo, sei sempre stato solo un
peso per tutti. Non hai le capacità per mandare avanti la casata e
tanto meno per ottenere la tua vendetta. Guarda in faccia la realtà:
questo è un gioco che non puoi vincere.
- Basta! Basta!
Vattene! -
- My Lord? -
Sebastian gli si avvicinò, incerto.
Provò ad allungare una mano verso il giovane ma egli precedette il
suo movimento e con uno scatto gli afferrò le braccia, stringendole
con tanta forza da affondare le unghie nel tessuto nero della giacca.
Vi si aggrappò come se stesse cercando di trascinarsi fuori da una
palude e attirò a sé il demone con uno strattone.
Sollevò lo sguardo spiritato e per la
prima volta lo diresse senza indugi in quello dell'altro, supplice di
una conferma a ciò che sapeva essere impossibile ma lo terrorizzava
ugualmente.
- Lui... lui è morto, non è vero,
Sebastian? - espirò con un filo di voce strozzata.
- Signorino... Voi... -
- QUESTO E' UN ORDINE, MALEDIZIONE!
RISPONDIMI IMMEDIATAMENTE! E' MORTO? -
Il demone rimase interdetto per un
secondo dinanzi a quell'accesso d'ira mista a disperazione, poi esalò
un sospiro. - Sì, my Lord. È morto. -
Il ragazzo annuì senza concedere
alcuno scampo alle iridi di brace del maggiordomo. Non aveva ancora
finito. - E non tornerà mai più, giusto? -
- La morte è una condizione
irreversibile, padroncino. - rispose Sebastian con voce neutra. -
Nessun essere può trascendere questa legge. -
- E io sono il Conte Phantomhive. Io
sono l'erede della casata. - Stavolta non si trattava di una domanda,
quanto piuttosto di una logica conseguenza espressa ad alta voce.
- È così, padroncino. -
Solo in quel momento le sue mani si
rilassarono e lasciarono la presa sulle braccia di Sebastian,
liberando la stoffa sgualcita dalla sua stretta. Travolto da
un'ondata di stanchezza, il conte lasciò cadere la testa in avanti,
abbandonandosi contro il petto del maggiordomo. Era come se tutte le
energie fossero defluite dal suo corpo, lasciando un guscio vuoto e
inerte, ma finalmente più quieto.
Sebastian non si mosse né proferì
parola, concedendo al suo padrone il tempo per riprendersi. Aveva
imparato che quel genere di situazioni richiedevano da parte sua un
atteggiamento paziente ma distaccato. Si trattava solo di rimanere al
fianco del suo padrone; offrirgli la sua silenziosa presenza e
attendere che la tempesta passasse. Compassione? Quella mai. In
fondo, rimaneva pur sempre un demone, inoltre il suo contraente era
di temperamento orgoglioso oltre ogni dire.
- Sì, - sussurrò il ragazzino con
convinzione. – Io sono il Conte Phantomhive. Io. Non lui.
Lui è morto. Lui non c'è più. -
La risata argentina soffiò di nuovo
dallo specchio come a prendersi gioco delle sue affermazioni, ma
quando egli volse la coda dell'occhio non intravide null'altro che il
proprio riflesso. Da quell'angolazione, scorse l'immagine di un
bambino pallido e impaurito rannicchiato tra le coperte sfatte in un
letto troppo grande, gli occhi arrossati e gonfi, avvinto all'ombra
imponente del demone che torreggiava su di lui. Una visione che lo
colpì come uno schiaffo in pieno volto.
Torna a nasconderti sotto le coperte
del letto dei nostri genitori, come facevi sempre. È quello il tuo
posto.
Sentì una fiammata di collera
ribollire dentro di sé. Lanciò un urlo rabbioso misto a un ringhio
e allontanò bruscamente il maggiordomo, dopodiché afferrò la
pistola che teneva sotto il cuscino e premette il grilletto, sparando
un unico proiettile che andò a colpire proprio il centro dello
specchio. L'immagine del fanciullo spaventato venne dapprima distorta
da una ragnatela di crepe, poi una pioggia di schegge e frantumi
irregolari si riversò sul pavimento della camera con un clangore
assordante.
Quando il frastuono si dipanò, rimase
solo un silenzio denso come molta, appena intaccato dal respiro
affannoso del ragazzo.
Ciel gettò la pistola in fondo al
letto e crollò all'indietro contro i cuscini, ansimando.
Sebastian aveva assistito alla scena
senza scomporsi.
- Vi sentite meglio? -
Il ragazzo fece un cenno d'assenso.
Sapeva di essersi comportato in un modo che, optando per un
eufemismo, si sarebbe potuto definire quantomai bizzarro. Non si
aspettava che Sebastian potesse comprenderlo, né lo desiderava.
Tuttavia avrebbe preferito evitare quella sceneggiata davanti al
demone. Ogni prova di debolezza gli procurava la sgradevole
sensazione di cedere una parte del potere che deteneva su di lui,
sebbene il loro contratto vincolasse il demone all'obbedienza
assoluta.
Dal canto suo, il maggiordomo si limitò
a trarre un sospiro, contemplando i frammenti di specchio e il telaio
d'argento ormai vuoto. - Be', quel che è fatto, è fatto. Immagino
che sia il caso di ripulire questo disastro. Possedete oggetti di
grande pregio, my Lord. Posso umilmente suggerirvi di prestare più
attenzione in futuro? -
Ciel lo guardò storto. - Me ne
ricorderò. -
- Allora, immagino servirà una scopa.
-
Sebastian si avviò in direzione della
porta prima di voltarsi un'ultima volta con un accenno di sorrisetto
sardonico. - Sarebbe troppo audace da parte mia chiedervi il favore
di non sparare a nient'altro durante la mia assenza? -
Ma il conte non reagì alla sua solita
maniera dispotica. In realtà, non parve affatto averlo udito. Stava
fissando con sguardo vitreo i cocci sparpagliati a terra in un
mandala senza schema.
Li scrutava guardingo come se temesse
che una qualche entità ivi intrappolata potesse librarsi nell'etere
e attaccarlo.
Il demone tacque e studiò intensamente
il suo padrone. Qualunque cosa potesse averlo indotto a quel gesto in
apparenza così insensato, doveva averlo sconvolto più di quanto
potesse comprendere.
Dopotutto, il padroncino e quel Lui
che ne ossessionava la mente e
le notti condividevano le stesse sembianze. Qualunque specchio doveva
rappresentare una sorta di strumento maledetto per il giovane. Un
monito onnipresente della sua colpa e della menzogna sulle quali
aveva costruito la sua nuova vita.
Forse,
col senno di poi, quella non era l'occasione più adatta per
stuzzicarlo.
- Vi
occorre qualcosa, signorino? Desiderate una tazza di latte caldo? -
Il
ragazzo fece cenno di no con la testa e il maggiordomo se ne andò.
Pochi minuti più tardi tutti i
frammenti erano stati rimossi e là dove troneggiava il riquadro
prezioso dello specchio, ora vi era un anonimo scorcio di parete
vuota.
Soltanto a quel punto, il conte si
permise di liberare un sospiro e riaccomodarsi tra le coltri.
Lo spettro di suo fratello non
l'avrebbe più tormentato... almeno per un po'.
Sebastian gli rimboccò le coperte. -
La luna è ancora alta, my Lord. Avete tempo in abbondanza per
riposare come si deve prima che venga a svegliarvi domattina. Vi
auguro una buonanotte. -
Fece per andarsene ma si sentì
trattenere da una leggera pressione. Il padroncino aveva afferrato
una delle code del frac.
- Resta. - ordinò a mezza voce. Aveva
gli occhi chiusi e la coperta tirata fino alla base del naso per
evitare di incontrare il suo sguardo e farsi guardare a sua volta.
Sebastian annuì. - Yes, my Lord. -
Allora, il giovane sciolse la presa e
la piccola ruga di tensione tra le sopracciglia si distese.
Il demone spense con un soffio le tre
fiammelle del candelabro e si appostò in un angolo della camera,
pronto alla veglia.
Tenere accanto un demone per
scacciare i fantasmi. Gli esseri umani sono creature davvero singolari.
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