Girasoli
e altre cose gentili
Ogni tanto, arriva la
malinconia.
Atsumu non
può farci nulla: non può anticipare quello
schianto nello stomaco, quella corda improvvisa che gli si stringe
attorno al collo. La tristezza si manifesta abbondante e pesante, gli
scroscia addosso come una cascata di vetro. Atsumu si paralizza,
congelato, e l’acqua affilata lo ferisce, scava dentro la sua
pelle, le sue ossa, goccia dopo goccia.
Atsumu non
è abbastanza. Esistono al mondo persone migliori,
più brave. Questa consapevolezza esiste perennemente,
dondola sottovoce nascosta da qualche parte dentro il suo cervello -
lontano, lontano. Il più delle volte rimane sopita,
acquattata, indolore, come una nebbiolina impalpabile. Atsumu sa che
c’è: la percepisce tutt’intorno, ma non
la sente, e questo gli permette di continuare ad allenarsi e di farsi
trascinare via dalla ferocia dei suoi sogni, perché crede
visceralmente in se stesso, nella luce bruciante del sole. Poi
però, all’improvviso, la consapevolezza si
risveglia, e comincia a urlare. Urla e urla e urla incessantemente, una
sirena che pulsa dentro il cuore, vespe nelle orecchie. Atsumu si
ricorda che non diventerà mai il migliore. Si ricorda che ci
sarà sempre qualcuno più bravo di lui, non
importa quanto si alleni, o quanto sangue sputi. Ed è una
tragedia, per uno che ha sempre voluto essere il superlativo assoluto,
per uno che ha sempre voluto ingoiare il mondo intero e il cielo e
diventare grande, grandissimo, il più grande di tutti.
Quella condizione, quella condanna immutabile è una
ghigliottina, un coltello piantato dentro con cui può solo
imparare a convivere. Ed è così crudele.
È così crudele e brutale che tu non possa
cambiare nonostante l’impegno, nonostante sia disposto a
sacrificare tutto.
“Atsumu-san?”
Atsumu sgrana gli
occhi. Shouyou lo fissa preoccupato.
“Stai
bene?”
“Sì,
perché?”
Shouyou scrolla le
spalle. “Sei rimasto a fissare il vuoto per un bel
po’.”
Atsumu si guarda
intorno. Sono nello spogliatoio, non c’è nessuno
oltre a loro. Si sente odore di bagnoschiuma.
“Dove sono
gli altri?” domanda, infilandosi la maglia che stringeva in
mano. Ha le braccia coperte di brividi. Sta congelando.
“Se ne sono
andati,” risponde Shouyou. Poi si siede vicino a lui.
“Fai sempre così quando va male un
allenamento?”
Atsumu gli scocca
un’occhiata risentita, ma poi se ne pente e la ingoia via.
Shouyou non gliel’ha chiesto con malizia.
“Più
o meno,” dice, un po’ imbarazzato.
“È solo che ogni tanto… ogni tanto
diventa tutto troppo.”
Shouyou continua a
fissarlo. Forse si aspetta che Atsumu continui a parlare, ma non ne ha
intenzione.
“Capisco,”
dice infine. “Ti piacciono i fiori?”
“Immagino di
sì. Perchè?”
“Hai un
fiore preferito?”
Atsumu riflette per
qualche istante.
“Il
girasole, credo. Ha dei colori stupendi.”
Un po’ come te,
pensa d’istinto. Sente le orecchie arrossire.
“E mi piace
che si giri verso la luce.”
Shouyou fa un sorriso
larghissimo.
“Anch’io
adoro i girasoli. Ora chiudi gli occhi.”
“Perché?”
“Fallo e
basta. Non ti fidi?”
Atsumu si fida.
Perciò obbedisce.
“Okay. Ora
puoi riaprirli.”
Atsumu apre gli occhi,
e trova Shouyou che gli porge un girasole enorme.
*
Perdono la partita, e
Atsumu quella stessa sera comincia a perdersi dentro la sua stanza.
Semplicemente, non sa dove andare. Né con gli occhi,
né con le mani, vorrebbe solo scomparire, scomparire e
dimenticare. C’è così tanta vergogna
dentro ai suoi polsi, scorre a grappoli. Prima Atsumu si vedeva
incrostato di gioielli e diamanti, adesso invece vorrebbe solo
affondarsi le unghie nella faccia e strapparsela via, vorrebbe limarsi
per diventare sottile come un fantasma, invisibile e privo di ombra.
Atsumu è mortificato da se stesso. Mortificato dalla sua
voce, dal suo corpo. Si sente grosso e ingombrante e mostruoso e
così stupido.
“Atsumu-san?”
Shouyou bussa. Atsumu
rimane in silenzio.
Con un leggero
cigolio, gli occhi spalancati di Shouyou fanno capolino dalla porta
socchiusa. Atsumu gli scocca un’occhiata storta dal letto,
poi sbuffa.
“Sto
bene,” borbotta. “Fra poco vengo a
mangiare.”
Shouyou non dice
niente. Non gli crede. Si siede accanto a lui e rimangono in silenzio,
ad ascoltarsi respirare.
Atsumu chiude gli
occhi. Shouyou gli accarezza il collo. Atsumu percepisce le sue dita
scorrere lungo la giugulare, sino ad arrivare alla clavicola. Le sue
mani sono tiepide e morbide. Gentili. Hanno quel tipo di gentilezza
rara che si prende un po’ di dolore e in cambio restituisce
salvezza. Atsumu neanche la ricorda, l’ultima volta che
qualcuno l’ha accarezzato così.
Poi non sente
più nulla. Shouyou alza la mano, e Atsumu avverte un brivido
gelido.
“Fallo di
nuovo,” dice.
Shouyou gli poggia di
nuovo le dita sul collo, ed è subito sollievo. Traccia
ghirigori lungo la sua mascella, dietro l’orecchio, sulla
fronte, fra i capelli.
“Sono
morbidi,” osserva Shouyou, stupito. “Sai, credevo
che i tuoi capelli fossero più…
ispidi.”
Atsumu spalanca gli
occhi e lo fissa in cagnesco. “Ispidi,” ripete.
“I miei capelli.”
Shouyou sembra un po'
spaventato. “Sì, cioè, per le
decolorazioni. Pensavo che fossero tipo, non lo so, i
porcospini.”
I porcospini. Atsumu
lo guarda e pensa di volergli mordere le guance. Morderle forte,
bucherellarle con i canini. Vuole mangiarle. Si mangerebbe tutto
Shouyou, se potesse. Oppure se lo ficcherebbe nella curva del collo e
si addormenterebbe così, abbracciato a un raggio di sole.
“Stai
provando a consolarmi?”
“No,”
risponde immediatamente Shouyou. Atsumu lo fissa scettico. Shouyou
sospira.
“Un
po’,” ammette infine. “Ma mi piacciono
davvero i tuoi capelli. Sono soffici. E belli.”
Atsumu vorrebbe
dirgli: i tuoi sono belli. Voglio toccarli. Voglio affondarci la faccia
dentro e respirare.
“Shouyou-kun,”
gli dice invece. “Mi fai il tuo trucco di magia?”
“Non
è un trucco,” risponde Shouyou piccato.
“È magia vera. Chiudi gli occhi.”
Atsumu obbedisce.
Quando li riapre, Shouyou stringe fra le mani un bouquet di girasoli.
Atsumu esclama stupito, e si tira a sedere di scatto.
“Non ci
posso credere. Non ci posso assolutamente credere.”
Afferra sconvolto il
bouquet. I fiori sono veri, soffici, e sono tanti.
“Adesso
mangi qualcosa, per piacere?”
Atsumu annuisce,
ancora incantato. Magia vera o meno, Shouyou con quel trucco
spettacolare riuscirebbe a far innamorare chiunque.
E infatti, pensa
Atsumu, mentre si alza dal letto stringendosi i girasoli al petto.
Shouyou sorride. E
infatti.
*
Atsumu va in bagno per
fare la lavatrice. Shouyou lo segue come una piccola ombra.
“Shouyou-kun,
perché mi stai seguendo?”
Shouyou fa spallucce.
“Non ne ho idea.”
“Okay.”
“Okay.”
Atsumu si accuccia
sulle piastrelle fredde del bagno e svuota il cesto dei panni sporchi
dentro la lavatrice. Shouyou si accuccia accanto a lui. Le loro
ginocchia si sfiorano. Atsumu sente le orecchie accaldarsi. Dalla
finestra si intravedono i muri spenti dei palazzi e un triangolo di
cielo grigio scuro, gonfio di acqua. Pioverà. Atsumu odia la
pioggia. Ed è sicuro che non piaccia troppo neanche a
Shouyou.
Prende l'ammorbidente
al limone - quello che Sakusa dice sempre che puzza di chimico - e
versa dentro mezzo tappo. Shouyou annusa l'aria come un cane da tartufo.
“Mi piace il
tuo ammorbidente,” dice. “Mi piace un sacco l'odore
che hanno i tuoi vestiti.”
“È
per questo che me li rubi?”
Shouyou ghigna
sfrontato. “Te ne sei accorto?”
“È
un po' difficile non accorgersi delle maglie che mi spariscono
dall'armadio. All'inizio credevo fosse colpa di Bokuto, ma lui non mi
prenderebbe mai i vestiti di nascosto.”
Shouyou non dice nulla
e si stringe le ginocchia al petto. Delle volte sembra minuscolo, come
in quel momento, schiacciato fra il muro e il corpo di Atsumu e la
lavatrice. Ma è sempre luminoso, e caldo. Atsumu vuole
strofinargli il muso contro la curva del collo. Vuole stringerlo ed
essere stretto e perdere se stesso fra la voglia di essere curato e la
voglia di essere distrutto. Vuole che Shouyou abbia bisogno di Atsumu
come Atsumu ha bisogno di lui. Vorrebbe allacciarselo addosso,
perennemente. E lo sa che è un pensiero egoista, lo sa che
le persone non appartengono a nessuno, eppure Atsumu crede che
riuscirebbe a contenerlo. Dentro di lui c’è
abbastanza spazio per accogliere l’oceano intero. Atsumu ha
così fame che lo inghiottirebbe tutto. E Shouyou starebbe
bene, comodo, fra le sue costole. E Atsumu starebbe bene, felice, con
il sole nello stomaco.
“Lo sai,
potresti chiedermelo. Di prestarti i vestiti, intendo,” dice
Atsumu, attivando il lavaggio.
“E se poi mi
dicessi di no?”
“Non potrei
mai dirti di no. Nessuno riesce a dirti di no.”
Shouyou sorride, poi
gli poggia la guancia sulla spalla. I suoi capelli sono morbidi contro
il suo collo. Atsumu trattiene il fiato, avvampa e il mondo intorno
comincia a brillare, scoppiettante di colori. Quello stupido bagno,
striminzito anche per una persona sola, all’improvviso
diventa il posto più miracoloso sulla faccia della terra.
C’è l’oro, c’è il
colore del mare al tramonto. Shouyou riflette la luce come se fosse un
caleidoscopio. Fa paura. È meraviglioso. Fa paura.
È meraviglioso.
La lavatrice gira e
gira e gira, un po’ come il suo stomaco.
“Shouyou-kun,
fai una magia.”
Shouyou sorride e fa
comparire un girasole. Questa volta, non gli chiede di chiudere gli
occhi.
*
“‘Samu,
lo sai che Shouyou-kun è un mago?”
Osamu sorride e scuote
la testa, mentre modella gli onigiri.
“Davvero?”
domanda, rivolgendosi a Shouyou.
Shouyou ride.
“Davvero.”
Atsumu è
felice. È così felice che gli trema la pelle,
come se fosse fatta di farfalle colorate. È anche un
po’ ubriaco, ma questo non è importante. Shouyou
è un mago perché fa apparire i girasoli dal
nulla, girasoli veri, gialli, arancioni e splendidi. Atsumu se li
ritrova ovunque: sotto al letto, sulla scrivania, sul davanzale, nel
borsone, dentro le tasche delle giacche. Comincia a ritrovarseli
persino a colazione: ogni tanto, Atsumu prende la scatola di cereali
ancora mezzo assonnato e ci trova dentro dei girasoli enormi. E allora
esclama: ‘ma che cazzo?’, e comincia a ridere
sorpreso, e dopo un po’ sente Shouyou che comincia a ridere
dalla sua stanza, e allora Bokuto corre in cucina e osserva stupefatto
il mazzo di girasoli che Atsumu stringe in mano e urla: ‘E
QUELLI DOVE LI HAI TROVATI?’. E Atsumu risponde che non lo
sa, non lo sa per davvero, erano dentro la scatola dei cereali. Poi ne
offre uno a Bokuto con un inchino profondo e ne lascia uno davanti alla
porta di Sakusa perché sa che lo fisserà
disgustato ma poi lo raccoglierà e li metterà
tutti insieme dentro un vaso.
C’è
così tanta gentilezza, in quei momenti. Così
tanta casa. Atsumu ogni volta si sente più integro, intatto,
come se Shouyou gli stesse cucendo addosso - stesse cucendo addosso a
tutti loro - delle piccole luci, dei salvagenti brillanti.
Osamu serve loro altri
onigiri. Atsumu chiude gli occhi. Ci sono Shouyou, suo fratello, il
ristorante di suo fratello, le voci entusiaste dei clienti, il sapore
del cibo. È tutto così perfetto. Si sente
così grato.
“Voglio
vedere anche io,” dice Osamu a Shouyou. “Puoi fare
una magia anche per me?”
Shouyou scuote la
testa. “Mi dispiace molto, Osamu-san. Ma le magie posso farle
solo davanti a lui.”
Shouyou indica Atsumu.
Atsumu si spiaccica la faccia contro le mani e avvampa. Osamu ride,
ride, ride.
*
Ogni tanto, non puoi
scappare. Non importa quanto il mondo sia grande, rimane comunque una
prigione. Ogni tanto, Atsumu se lo ricorda. L'aria comincia a mancare.
Sbarra gli occhi e fissa il soffitto della sua stanza con un unico
pensiero che vortica affilato nella mente: devo uscire, devo uscire,
devo uscire - ma per andare dove? Non c'è scampo. Le sbarre
sono ovunque. Le sbarre sono i muri della tua casa, le sbarre sono
tutto quello che vedono i tuoi occhi: il tuo riflesso sconvolto allo
specchio, il cielo, la terra, la tua stessa testa.
Piove. Atsumu ascolta
il ticchettio sregolato dell’acqua che picchietta sulla
strada e contro il vetro della finestra. Si ostina a non sbattere le
palpebre, e gli occhi cominciano a bruciare. Ogni goccia si frantuma
come cristallo. Quanto è fragile la pioggia. Quanto
è fragile Atsumu, pronto a polverizzarsi al minimo soffio di
vento. Delle volte, la debolezza della carne umana lo paralizza.
È agghiacciante quanto lo scorrere del tempo riesca a
logorare un corpo. È agghiacciante quanto lo
scorrere del tempo sia veloce.
Atsumu si alza dal
letto. Si infila una felpa, le scarpe da ginnastica, il cuore che
palpita e palpita e palpita, zuppo di paura.
“Dove
vai?”
Shouyou è
seduto al tavolo. Lo fissa stringendo in mano mezza mela morsicata.
“A
correre.”
“Ma diluvia.
Ti ammalerai.”
Atsumu neanche gli
risponde ed esce. Non è per cattiveria, ma deve cominciare a
correre ora. Deve cominciare a scappare. Quel senso di prigionia lo
soffoca, si è avvolto intorno al suo collo come un
rampicante, le spine conficcate nella giugulare, in bocca un pugno di
vermi gonfi, brulicanti.
Atsumu comincia a
correre forte, come se qualcosa lo inseguisse. Schiva le persone sui
marciapiedi ed evita le strade con i semafori, corre finché
l'aria non comincia a bruciargli i polmoni, corre sempre più
forte perché vuole stancarsi, ha bisogno che la fatica
surclassi tutta la paura che continua a sgorgare a fiotti, senza
controllo.
“Atsumu-san!”
Atsumu si ferma e
Shouyou lo afferra per un polso.
“Che
è successo?”
Shouyou ha il viso
arrossato per la corsa. La pioggia gli scorre copiosa lungo le guance.
Atsumu vuole leccarla via. Dev'essere dolce. Ha fame. Vuole mettersi a
piangere.
“Niente,”
risponde Atsumu. Ma non prova a liberarsi dalla sua presa. Rimane
immobile, la pioggia sulla fronte, lungo la gola, la paura mutata in
sconforto, un tipo di sconforto denso e abissale, in cui sarebbe
così facile lasciarsi annegare. Atsumu si sente miserabile.
Un foglio di carta sciolto. Vuole scomparire.
La stretta intorno al
suo polso diventa gentile: Shouyou gli accarezza le vene con il
pollice, poi trova le sue dita e le stringe. Si fissano per qualche
istante, zuppi di acqua sul marciapiede, immobili come statue.
“Posso farti
stare meglio,” gli dice Shouyou a un certo punto.
“Posso fare una magia.”
Atsumu sorride.
Inghiotte quella gentilezza come se fosse miele. È tiepida,
viva, magnanima, Atsumu si sente come una falena che svolazza intorno a
una lanterna.
“Lo sai che
adoro i tuoi girasoli. Ma non credo che adesso possano servire a
qualcosa.”
Shouyou scuote la
testa. “Posso fare una magia diversa.”
Poi Shouyou gli
afferra il viso a coppa. Lo tiene fermo mentre si solleva sulle punte e
lo bacia. È dolce, all'inizio, e la disperazine si zittisce
perché la sorpresa è troppa, si riversa dentro
Atsumu come una valanga luminosa. Le labbra di Shouyou sono morbide.
Sanno di sole, di sabbia bagnata. Poi Shouyou lo bacia più
forte, la gentilezza lascia spazio al desiderio, al bisogno impellente
di mangiare, di essere mangiati.
“Andiamo a
casa,” gli mormora Shouyou in bocca. “Per favore,
andiamo a casa.”
Atsumu si sfila la
felpa, gliela butta in testa, e tornano indietro.
*
Shouyou lo bacia.
Shouyou lo bacia tante volte. Atsumu lo vede nudo e ogni volta si
chiede come faccia la sua schiena a riflettere tutti quei colori. Come
faccia il suo corpo a essere opalescente anche al buio. È
come se fosse avvolto in uno strato di estate.
Atsumu impara a
conoscerlo con i denti. Gli morde le spalle, le braccia, i fianchi, la
curva del collo, le labbra, le cosce. Morde e traccia una mappa mentale
a furia di microscopici fori, di graffi, di carezze. Costruisce Shouyou
tastando e leccando un osso dopo l’altro. Non si lascia
sfuggire un dettaglio, un centimetro di corpo, lo ingoia fino
all’ultima goccia, e in cambio si lascia usare, divorare.
Shouyou può fare di lui quello che vuole, finché
gli continuerà a respirare addosso.
Shouyou è
sempre lì, soprattutto quando Atsumu ha più paura
del buio e del peso della vita. Gli tocca il collo o gli stringe la
mano o gli bacia la fronte, lo alleggerisce con la sua tenerezza.
È difficile sostenere qualcuno senza farlo sentire debole,
però Shouyou ci riesce, ci riesce sempre.
Una notte, Shouyou gli
poggia l’orecchio sul cuore.
“Posso
addormentarmi così?”
Atsumu gli dice di
sì, poi gli chiede perché.
“Perché
la magia è soprattutto qui.”
“Qui
dove?”
Shouyou picchietta il
dito in mezzo alle sue costole. “Qui. Ovunque.”
Atsumu pensa: porca puttana. Lo amo.
Poi si sente un idiota per averlo fatto. Poi però lo pensa
ancora, e ancora, e ancora, e capisce che è vero. Lo ama
immensamente, pericolosamente, egoisticamente, completamente, e in
altri miliardi di modi enormi e commoventi e viscerali. Nella sua testa
si baciano sempre, anche quando sono lontani.
“Shouyou,”
gli dice quindi un’altra notte. Shouyou respira pesantemente,
la guancia premuta contro il suo petto. “Ti amo.”
Shouyou continua a
dormire.
*
Shouyou conosce i suoi
biscotti preferiti. Ogni tanto glieli porta in camera e poi li
sgranocchiano insieme sporcando di briciole le lenzuola, mentre vedono
un film o una registrazione di un match di pallavolo. Shouyou sa che
Atsumu, ogni tanto, ha bisogno di essere tenuto stretto,
perché c’è troppa incertezza, troppa
solitudine che lo annichilisce da una vita. Sa anche che Atsumu, ogni
tanto, ha bisogno di sentirsi dire che è meraviglioso e
insostituibile, perché ci sono dei giorni in cui si odia al
punto che vorrebbe solo svanire nel nulla, in silenzio. Shouyou,
ovviamente, glielo dice sempre: che è meraviglioso e
incantevole e amabile. E lo guarda con gli occhioni spalancati e
incuriositi e pieni di gioia, e tutto nel linguaggio del suo corpo
sembra dire grazie. Ad Atsumu, alla vita, al sole che sorge, alla
possibilità di poter dire ‘oggi’ e
‘domani’. E quell’entusiasmo è
inestimabile e commovente.
Anche Atsumu conosce i
biscotti preferiti di Shouyou. E sa che, ogni tanto, è
Shouyou quello che si ritrova imprigionato sotto un peso amorfo e
dirompente.
Così Atsumu
fa del suo meglio per soffiare via la tristezza. Anche se non
è un mago, prova a trasmettergli gentilezza, a trasformarsi
in una bussola. Gli prende la mano e prova a diventare primavera.
“Shouyou-kun,”
gli dice una volta, mentre gli versa il caffé nella tazza.
“Vuoi venire a casa mia?”
Atsumu lo porta a
Hyougo. Poi prendono un treno, e poi un bus. Quando scendono dal bus,
Atsumu stringe la mano di Shouyou e gli dice di chiudere gli occhi.
Shouyou obbedisce. Camminano così per un po’,
Shouyou ridacchia e inciampa mentre Atsumu si domanda come faccia una
persona a fidarsi completamente di un’altra. È una
sensazione rarissima, preziosa.
Quando finalmente
arrivano, Atsumu sorride.
“Ora puoi
aprire gli occhi.”
Shouyou apre gli occhi
e trova dei girasoli. Trova un campo intero di girasoli che lo
abbraccia. Sono ovunque, alti, brillanti, con la corolla rivolta verso
il cielo.
Shouyou ne accarezza
uno. Poi inspira e spalanca le mani sotto il sole abbondante, sotto
l’estate.
“Atsumu-san,”
gli dice. “Ti amo anche io.”
Note
d'autore
GRAZIE MILLE PER AVER
LETTO. Avevo davvero bisogno di gentilezza perché ogni tanto
la solitudine diventa davvero troppo pesante e sono sempre
più convinta che l'unica cosa che possa aiutarmi
è qualcuno che mi stringa la mano, ma siccome non
c'è nessuno ho deciso che avrei dato tutto alla atsuhina -
MALEDETTI STRONZI, HANNO TUTTO DALLA VITA, il fluff l'amore la fortuna
la fama spero che caghi loro addosso un piccione, davvero.
Nel testo sono
presenti riferimenti vari alla poesia: “Believing
Hands” di Taslima Nasrin. Scusate gli errori di battitura ma
la mia testa è completamente fusa. GRAZIE PER AVER LETTO!!!!
LOVE YOU ALL!!!!
See ya! ♥
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