Borboleta
branca
Bahia, 1972
Non si vedevano quasi mai delle farfalle da quelle parti.
Tra i mille luoghi meravigliosi e ricchi di fiori colorati in cui
potevano
vagare, quei meravigliosi insetti non avevano certo interesse a posarsi
su
rifiuti accartocciati e pareti incrostate di graffiti sbiaditi, a
volteggiare
per strade polverose e ostili.
Erano le stesse vie di cui il piccolo Ethan non aveva nessun
timore. Quella mattina lui e Olivia erano usciti per andare a fare
alcune
compere sotto incarico della madre, ma non appena avevano varcato la
soglia di
casa il bambino aveva subito lasciato la mano della sorella maggiore
per
fuggire via. Non gli importava di disobbedire, di perdersi, di essere
da solo
per le strade malfamate di Bahia.
Eppure, quando due ali leggiadre e chiare che parevano fatte
di burro avevano attirato la sua attenzione, Ethan si era fermato e si
era
scordato di tutto il caos che aveva attorno. Seguì con
interesse quell’elegante
danza che poche volte aveva riempito i suoi occhioni neri
nell’arco di quattro
anni.
Era una farfallina bianca, così fuori luogo tra quelle facce
corrucciate e le esclamazioni rozze che riempivano l’aria.
Nessuno faceva
davvero caso a lei, che tuttavia tentava di attirare
l’attenzione posandosi sui
vestiti leggeri e rincorrendo qualche passante.
Ethan era incuriosito, aveva una strana voglia di inseguirla
e vedere dove l’avrebbe portato. Il bianco di quelle morbide
ali era talmente
luminoso che gli veniva impossibile distogliere lo sguardo e
concentrarsi su
qualcos’altro.
D’un tratto il bimbo si sentì afferrare per una
mano e
sobbalzò, ma ben presto si rese conto che si trattava di
Olivia.
“Ecco dov’eri finito! Devi smetterla di scappare e
lasciarmii indietro, mamma mi sgrida se ti perdo di vista!”
lo rimproverò la
ragazzina in tono apprensivo, per poi seguire lo sguardo del suo
fratellino. Un
sorriso meravigliato si dipinse sul suo viso arrotondato.
“Una farfalla
bianca!”
“Qui non ci sono mai” mormorò Ethan,
facendo un paio di
passi avanti per non perdere di vista l’insetto.
Ma ormai quest’ultimo era volato lontano, in fondo alla
strada, evitando graziosamente tutti gli ostacoli lungo il suo
percorso. I due
bambini affinarono la vista per capire dove fosse finita, ma era troppo
tardi.
“Sai che cosa si dice?” esordì Olivia,
il sorriso nella
voce.
Ethan si voltò a osservarla e la trovò bella, con
gli occhi
scuri che brillavano e l’abitino bianco come le ali della
farfalla che le
accarezzava la pelle.
Non rispose, ma rimase in ascolto.
Lei allora proseguì: “Se la prima farfalla che
vedi durante
l’anno è bianca, allora sarà un anno
fortunato. Questa è la prima che vediamo,
quindi saremo molto fortunati!”
“E tu ci credi?” le domandò lui, un
po’ dubbioso e un po’
fiducioso.
“Sì.”
I due si scambiarono un sorriso complice e, almeno per un
attimo, si sentirono fortunati per davvero.
Poi Ethan liberò la mano dalla stretta della sorella e corse
via per la strada, lasciandola di nuovo indietro e ridendo tra
sé.
Forse, se avesse corso abbastanza in fretta, anche lui
avrebbe spiccato il volo come quella farfallina dalle ali candide.
Los Angeles,
2002
Si vedevano sempre tantissime farfalle da quelle parti. Soprattutto
in primavera, quegli splendidi insetti che parevano avere le ali di
burro erano
attirate dalle aiuole stracolme di fiori variopinti.
Ethan non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma quello era
uno dei motivi per cui sceglieva sempre quel parco per accompagnare
Taylor.
Non appena erano giunti presso il grande prato lui aveva
lasciato la bimba libera di correre e giocare, senza però
mai perderla
d’occhio. Taylor si era subito levata le scarpe per lasciare
che i giovani fili
d’erba le accarezzassero la pelle, aveva regalato un enorme
sorriso a suo padre
ed era corsa via, attirata dai colori dai fiori che costeggiavano il
grande
spiazzo verdeggiante.
Ethan non poteva fare a meno di osservarla ammirato, come se
davanti ai suoi occhi vi fosse un’opera d’arte di
inestimabile valore: era
bellissima nella sua maglietta bianca a maniche lunghe e nei suoi
piccoli jeans
scuri, un pomposo elastico celeste a raccogliere i capelli castano
chiaro
identici a quelli della madre – Bess non lo sfoggiava mai,
abituata com’era a
tingerli di blu.
Si muoveva leggera come la brezza di inizio aprile, si
sorprendeva di ogni cosa, rideva perché semplicemente era
felice e di tanto in
tanto attirava l’attenzione di Ethan per mostrargli le sue
nuove scoperte o
porgli qualche domanda. Sotto i raggi dorati del sole pomeridiano,
Taylor sembrava
quasi brillare di luce propria.
Certe volte si domandava se veramente quella bimba così
graziosa fosse sangue del suo sangue, a volte gli pareva solo un sogno.
Non era
solito esternare le sue emozioni, ma al suo cuore non poteva mentire:
quella
bambina gli aveva salvato la vita, era la ragione per cui si alzava
ogni
mattina e viveva. Per qualche strano motivo il
destino aveva voluto che
proprio lui, la persona meno adatta a fare il genitore, che
già da bambino era
stato un criminale per via del mestiere illegale di suo fratello
maggiore, che
da ragazzino era già piombato nel tunnel
dell’alcolismo, sperimentasse un amore
così puro e totalizzante.
Si sarebbe fatto ammazzare pur di garantire a Taylor
l’infanzia spensierata che a lui non era stata concessa.
“Papà, guarda! Una farfalla!”
esclamò d’un tratto la bimba,
distogliendolo dai suoi pensieri. I suoi grandi occhioni neri, colmi di
sorpresa e meraviglia, si erano calamitati su due piccole ali
splendenti che
volteggiavano a qualche metro da loro, presso un’aiuola
stracolma di fiori
rossi e gialli. Il bianco di quell’elegante creatura
rifletteva la luce del
sole, quasi accecando Ethan con quel bagliore.
“Stiamo fermi, altrimenti si spaventa e scappa”
suggerì
Ethan, posando una mano sulla spalla della figlia.
“Che bella” sussurrò Taylor dopo qualche
istante di
silenzio.
“Sai.” Lui si accovacciò al suo fianco
con movimenti lenti,
in modo da poter essere al suo livello. “In Brasile esiste la
credenza della borboleta
branca.”
Taylor gli lanciò un’occhiata confusa, attenta
però a non
perdere di vista l’animaletto intento a esplorare in lungo e
in largo tutti i
fiori nelle vicinanze.
“In portoghese significa farfalla bianca.
Si dice
che, se la prima farfalla che vedi un anno è bianca,
sarà un anno fortunato”
spiegò pacatamente, mentre il volto di Olivia si
materializzava nella sua
memoria. Ricordava che era stata proprio lei a raccontargli quella
leggenda,
l’unica persona che si fosse mai preoccupata di rendere la
sua infanzia un po’
più magica.
Taylor sorrise entusiasta. “Davvero?”
Lui si strinse nelle spalle. “Così
dicono.”
“E tu ci credi?”
Ethan guardò intensamente sua figlia negli occhi.
“Sì.”
Lei era sul punto di aggiungere qualcos’altro, ma ben presto
si accorse che la farfalla si stava allontanando e si staccò
subito da lui,
partendo all’inseguimento dell’insetto per non
perderlo di vista. “Papà, la
voglio prendere! La voglio prendere in mano!”
Lui si lasciò sfuggire un sorriso genuino mentre si
rimetteva in piedi – solo lei era in grado di farlo sorridere
così tanto.
Ethan era sempre stato abituato a non credere a niente,
nell’arco della sua vita aveva imparato che il mondo era un
brutto posto e non
c’era nulla in cui sperare, perché a illudersi ci
si faceva male.
Ma, come aveva imparato in una lontana mattinata di
trent’anni prima, a volte anche le creature più
meravigliose vengono a far
visita ai luoghi più tristi e dimenticati per portare un
po’ di speranza.
“Minha borboleta branca” si
ritrovò a sussurrare, il
cuore colmo di gratitudine verso quella vita che tanto gli aveva tolto,
ma
altrettanto gli aveva donato.
♦♦♦
Ragazzi! Non ci credo nemmeno io che sono qua ad aggiornare
questa serie dopo l’anno che ho appena vissuto T.T
♥
Non avete nemmeno la più pallida idea di quanto questo mi
renda FELICE, è anche e soprattutto una soddisfazione
personale… e poi quanto
mi sono mancati questi personaggi, quanto mi è mancato
Ethan, quante cose ho in
mente per lui che devo ancora raccontare… non l’ho
mai dimenticato, anche
quando quello di mettermi a scrivere era l’ultimo dei miei
pensieri. Chi mi
conosce e ha letto qualcosa della serie sa quanto ci sono legata e
vederlo così
felice dopo tutto ciò che gli ho fatto passare mi riempie il
cuore di una gioia
indescrivibile *-*
Ebbene sì, già avevo svelato che avrebbe avuto
una figlis,
ma quest’oggi ho deciso di far venire allo scoperto il nome
della madre ^^
siete scioccati?
Non vorrei dilungarmi troppo, quindi… dedico questa storia a
PersejCombe,
di cui ero il Babbo Natale segreto! Spero che la storia ti sia
piaciuta nonostante non conosci il resto della serie –
comunque ho cercato di
renderla il più accessibile possibile – e non sia
nulla di che, purtroppo ti è
capitata una Mamma Natale povera di ispirazione e che si sta tirando
fuori a
fatica da un blocco dello scrittore gigantesco T.T ma leggendo le
indicazioni
che avevi lasciato per la challenge ho subito pensato di trattare
qualche
legame familiare, che è anche uno dei miei temi preferiti!
Spero di aver fatto
centro :3
Infine: la leggenda brasiliana della farfalla bianca esiste
davvero, è una superstizione originaria del luogo e ho ben
pensato di
sfruttarla, visto che Ethan è appunto nato in Brasile (per
poi fuggire all’età
di cinque anni e trasferirsi a Los Angeles insieme ai fratelli
maggiori).
Appunto, l’ultima frase che Ethan pronuncia è in
portoghese
e significa “la mia farfalla bianca”.
Ringrazio immensamente chiunque sia giunto fin qui e spero
che questa storia vi abbia lasciato qualcosa ♥
Buon Natale e buone feste a tutti, vi auguro di cuore di
iniziare il 2023 con una farfalla bianca *-*
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