Il desiderio più grande
Isaac
era appoggiato al davanzale della finestra, il
naso appiccicato al vetro gelido. Fuori, un manto bianco aveva
ricoperto la
foresta siberiana, i tetti spioventi delle case del villaggio e gli
enormi
ghiacciai che vegliavano sulla regione come antichi giganti
addormentati. Era
tutto candido e freddo, e sopra la terra i riflessi iridescenti
dell’aurora
boreale increspavano il cielo notturno. Era la notte della Vigilia di
Natale e
lì in Siberia faceva molto più freddo del solito.
«Dovresti
andare a letto.»
Isaac
si staccò dal vetro e si voltò verso Camus.
«Non
ho molto sonno.»
«È
quasi mezzanotte e tra non molto qui farà freddo.»
Camus lo guardò con un lieve sorriso accennato sulle labbra.
«E se non vai a
dormire, Babbo Natale non potrà portarti il
regalo.»
Il
ragazzino sbuffò e si allontanò dalla finestra.
«Non ci credo mica più.» Si
lasciò cadere sulla poltrona e raccolse le gambe al
petto. «Non ci credevo più di tanto neanche da
bambino.»
Il
maestro non commentò e gli poggiò una coperta
sulle
spalle. «Vuoi una cioccolata calda?»
«No,
grazie.»
«Del
latte? Forse ne è rimasto un po’.»
«Puoi
restare un po’ qui con me?»
Camus
sollevò le sopracciglia, ma si sedette sul
divano. Per molto tempo ci fu solo silenzio.
«Non
ti piace proprio il Natale, vero?» gli chiese
l’uomo.
Isaac
si strinse nelle spalle e spostò gli occhi sul
fuoco che crepitava basso nel camino. Accanto, c’era un
piccolo abete addobbato
con alcune palline di plastica e un angioletto sulla punta. Su un ramo
in alto
era appeso un foglietto di carta ripiegato e spillato: era il desiderio
di
Hyoga. Il suo non l’aveva mai scritto.
«Diciamo
che il Natale sveglia fantasmi che vorrei
continuassero a dormire» rispose, con un filo di voce.
«Come
i tuoi genitori.»
«Già…»
Tornò a guardarlo. «Però forse per
Hyoga è
peggio.»
«E
perché lo pensi?»
«Bè,
sua madre era una brava persona, immagino che lo
festeggiassero insieme.»
«Mi
dispiace.»
«Non
è colpa tua, maestro.»
«No,
ma vorrei comunque vedervi stare bene.» Si alzò
in piedi e gli si avvicinò. «Vai a letto, per
favore.»
Isaac
abbassò gli occhi sulle sue braccia avvolte
intorno alle ginocchia. Non ne aveva molta voglia, voleva restare in
soggiorno
con lui, anche in silenzio andava bene. Era disposto a tutto pur di
trascorrere
qualche momento con Camus, da soli.
«Lo
dici perché così metti i nostri regali sotto
l’albero?»
Camus
fece un timido sorriso. «Anche. E perché sembri
esausto e devi riposare.»
«Io
sto bene, posso stare in piedi un altro po’.
Magari leggo qualcosa.»
«Per
favore, non farmelo ordinare.»
«Però…»
Isaac si morse il labbro e ingoiò la protesta.
Voleva restare con lui, ma non al prezzo di avere una discussione.
«D’accordo,
come vuoi.»
Si
alzò in piedi, ripiegò la coperta e la
appoggiò
sulla poltrona. Si incamminò verso la camera da letto che
condivideva con
Hyoga, ma si fermò sull’ingresso del piccolo
soggiorno. Rimase immobile per una
manciata di secondi, nel tentativo di raccogliere il coraggio
necessario per
fargli la domanda che da tempo gli dilaniava il petto.
«Hai
bisogno di qualcosa?» gli chiese Camus.
“Sì,
di una risposta”, gli avrebbe voluto rispondere,
ma rimase in silenzio. Non poteva chiederglielo e rischiare di rovinare
tutto.
Anzi, avrebbe distrutto qualsiasi rapporto abbiano mai avuto, ne era
certo.
Quella era una domanda pericolosa e la risposta, alla fine, la
conosceva già.
Non
lo amava, non nel modo in cui lo amava lui.
Eppure,
non riusciva a continuare a ignorare quella
fitta nel petto.
Si
voltò.
«Cosa
sono io per te? Sii sincero.»
Camus
sollevò le sopracciglia e lo guardò per un
silenzio troppo lungo e assordante, poi le labbra si incurvarono in un
piccolo
sorriso.
«Sei
il mio allievo e mio figlio. E qualsiasi cosa
accada continuerai a esserlo, Isaac.»
Allievo,
figlio, ma non quello che avrebbe voluto
essere lui. E lo sapeva, in cuor suo lo aveva sempre saputo che Camus
non
l’avrebbe mai visto in modo diverso. Forse perché
lo aveva cresciuto, forse
perché era più grande di lui di sei anni, forse
perché ai suoi occhi sarebbe
sempre stato il bambino spaventato che aveva salvato da una famiglia
violenta.
Ma
mai, mai, sarebbe stato il suo amato. Quel corpo
gli era precluso e sempre lo sarebbe stato.
Ingoiò
la fitta che gli stava dilaniando il petto e
accennò un sorriso, il più luminoso e falso che
potesse indossare in quel momento.
«Grazie»
mormorò. Gli diede le spalle una seconda
volta e fece per oltrepassare la soglia.
«Aspetta.»
Isaac
si fermò e tornò a guardarlo. Camus lo raggiunse
in pochi passi e lo abbracciò. Le sue mani gli strinsero la
nuca e l’incavo
della schiena, ciocche rosse come il fuoco gli invasero il campo
visivo. Il suo
calore lo invase e gli bruciò l’anima.
«Va
tutto bene, non sei sbagliato» sussurrò.
«Essere
tristi e sofferenti per quello che ti hanno fatto i tuoi genitori va
bene. Almeno
per stasera puoi permetterti di essere debole, non ti
rimproverò.»
Isaac
si morse il labbro, appoggiò la fronte sulla sua
spalla e ricambiò l’abbraccio. Per un breve e
sciocco attimo aveva creduto che
il maestro avesse capito il gomitolo di emozioni che aveva nel petto,
che
avesse visto attraverso i suoi gesti e le sue parole ciò che
non aveva il
coraggio di dirgli.
Ma
si era illuso. Camus non aveva capito e, in fondo,
era meglio così. Se non poteva amarlo come desiderava il suo
cuore, allora lo
avrebbe fatto come figlio devoto. Era disposto a tutto pur di
continuare a
vivere al suo fianco, anche a fare a pezzi la sua anima.
Camus
sciolse l’abbraccio, gli arruffò i capelli e
tornò verso il camino per spegnere il fuoco. Isaac lo
osservò per una manciata
di secondi e poi uscì dal soggiorno e si diresse nella
stanza che condivideva
con Hyoga.
Entrò
in silenzio e senza accendere la luce. Si infilò
sotto le coperte e aprì il cassetto del comodino. Prese il
foglietto che aveva
riposto al suo interno e lo aprì. Alla luce fievole della
luna riflessa sulla
neve, l’inchiostro nero della biro brillava di riflessi
argentei. L’accarezzò
con il pollice, quelle cinque lettere tracciate con grafia sottile e
sbilenca.
Quel nome depositario di un amore che gli bruciava nel petto, ma che
non aveva
il coraggio di pronunciare ad alta voce.
Il
nome dell’uomo di cui si era innamorato.
Il
suo desiderio più grande.
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