Castelli
di apparenze
Vesti da
sempre regole, disciplina e
apparenze come una seconda pelle – così hai
imparato a muoverti
nel mondo, a mimetizzarti e sopravvivere nella realtà di una
piccola
città di campagna, in un'esistenza ristretta tra le pareti
di casa e
le navate di una chiesa.
Cammina
con la schiena ben dritta, Audrey. Non un capello fuori posto. Cosa
penserà la gente di te se ti vedrà trasandata?
Sii elegante ma
modesta. Un giorno crescerai e non potrai permetterti che qualcuno
possa ritenerti una donnaccia.
Questi
sono gli insegnamenti che ti
impartisce tua madre mentre ti pettina i capelli e ti liscia ogni
piega del vestito, così da renderti presentabile per la
messa
della domenica – hai pregato ieri sera, Audrey?
Ricorda di dire
sempre una preghiera prima di andare a dormire.
Sei solo
una bambina e non ti poni
troppe domande. Ti limiti a seguire l'ordine che ti viene imposto
finché questo non diventa naturale come il tuo respiro:
aiutare a
preparare la cena, sedere senza accavallare le gambe, seguire il
galateo a tavola, assicurarti di aver ripulito ogni rimasuglio di
polvere dalla tua stanza per evitare che tua madre possa lamentarsi
del caos che regna in questa casa sempre tirata a lucido e per
guadagnarti il diritto di sederti alla scrivania e finire i compiti.
Hai
dieci anni quando inizi a porti
delle domande, a renderti conto che fare meccanicamente tutto
ciò che ti viene ordinato ti fa sentire, più che
un essere
umano, come una marionetta di cui i tuoi genitori possono tirare a
piacimento i
fili. Lo scorrere del tempo accende in te una scintilla, un grido di
protesta sempre più impetuoso al quale tuttavia fatichi a
dar voce.
Sai solo
che ormai cucini sempre più
controvoglia, che le preghiere ti annoiano sempre di più
(hai
compreso di essere una persona fin troppo razionale per poterti
interessare alle storie di fantasia) e che i libri di scuola e le
lodi delle tue maestre ti portano a immaginare un futuro in cui ci
sia spazio per qualcosa di diverso da uno stuolo di bambini da
crescere mentre tuo marito si prende cura di te.
Eppure
ti limiti a inghiottire le
proteste e continui a mimetizzarti nel tuo minuscolo universo
quotidiano perché sai che ogni passo falso, da un capriccio
troppo
acceso a una forchetta lasciata fuori posto sul tavolo, può
costarti
ramanzine infinite. Nel peggiore dei casi uno schiaffo di tua madre o
le urla di tuo padre che alla fine di una giornata stressante a
lavoro si sente in diritto di riversarvi addosso le sue frustrazioni.
Sii
una brava bambina. Sii una brava figlia. Fingi di pregare ogni notte
prima di andare a dormire. Fingi di ignorare che il mondo vede per te
un futuro già designato. I tuoi genitori fanno tutto per il
tuo
bene, perché ti amano e vogliono il meglio per te. L'ordine
serve, è
necessario a mantenere armonia nel mondo, a farti andare avanti nella
vita.
Il
giorno del tuo undicesimo
compleanno, una lettera di pergamena e un uomo dalla lunga barba
argentea e un buffo cappello a punta mandano in pezzi il tuo
minuscolo universo di regole e apparenze, dando finalmente un senso a
quei fenomeni che non sei mai riuscita a spiegarti – lancette
dell'orologio che scorrono all'indietro, oggetti che scompaiono,
caffettiere che esplodono quando ti senti invasa da ondate di una
rabbia che non puoi sfogare in alcun modo – e che
hai sempre
etichettato come incidenti o frutto della suggestione.
Una
gioia feroce ti assale nel
renderti conto che la vita ti sta spalancando davanti strade infinite
e imprevedibili, che ti attende un futuro diverso da quello che la
tua famiglia vorrebbe per te, che della tua intelligenza potrai fare
ciò che vuoi. Per questo riesci a mettere da parte la tua
stoica
razionalità e ad accettare senza esitazione l'esistenza di
un mondo
popolato da maghi, streghe e quadri parlanti.
Un
mondo che i tuoi genitori non accetteranno mai.
Robert e
Gilda ti amano, questo non
lo puoi mettere in dubbio. Non ti hanno mai dato della pazza o
dell'indemoniata, non ti hanno trascinata in chiesa per costringerti
a definire contronatura il sangue magico che ti scorre nelle vene.
Forse perché persino loro non credono davvero negli angeli,
nel
diavolo e nella salvezza eterna. Forse persino loro, come tutti, si
aggrappano senza neanche rendersene conto a favole e illusioni
ancestrali per non dover affrontare la spaventosa incognita della
morte.
Eppure,
nonostante gli abbracci con
cui i tuoi genitori ti accolgono quando torni a casa per le vacanze,
ti basta guardarli a fondo negli occhi per leggere la loro delusione
mischiata alla paura per una realtà che sono incapaci di
comprendere. Non puoi fare a meno di notare i loro sorrisi rigidi e
forzati quando parli dei tuoi successi a lezione di Incantesimi
nonché il velato disgusto nei loro sguardi quando questi si
posano
sui tuoi libri di scuola – una volta hai persino sorpreso tua
madre
a farsi il segno della croce e mormorare una preghiera davanti al tuo
calderone.
Ti piace
credere che il loro amore
per te sia più forte delle loro malsane convinzioni, ma ogni
estate
il filo che vi lega si recide sempre di più e i loro
tentativi di
riportarti sulla “strada giusta” si fanno sempre
più audaci.
Sei
davvero felice della tua vita lì a Hogwarts, Audrey? Sai,
non sei
costretta a tornare in quella scuola se non vuoi. Hai mai pensato di
mettere la bacchetta da parte? Lo diciamo per il tuo bene,
perché se
un giorno cambiassi idea potresti avere delle difficoltà a
reintegrarti nella società, tra le persone normali... no,
non sto
certo dicendo che tu non sei normale, non fraintendermi... e se un
giorno volessi sposare un cosidetto Babbano? Come pensi che la
prenderebbe nel sapere che tu sei... insomma... potresti rimanere qui
a casa, finire gli studi, fare un buon matrimonio... sai, sono sicura
che lo zio Erick potrebbe aiutarti a trovare un posto come
segretaria, se lavorare è davvero così importante
per te.
Dopo una
vita passata a inghiottire
le proteste, la tua rabbia esplode come un fiume in piena e
le tue
estati iniziano a trascinarsi
tra incomprensioni e litigi sempre più accesi. Robert e
Gilda sono
convinti che il tuo mondo ti abbia assorbita sempre di più
– non
riusciamo a riconoscerti, Audrey, ormai è come se fossi
un'altra
persona – ma tu non hai intenzione di retrocedere e
tornare a
vestire apparenze che non ti appartengono. Non vuoi mai più
sacrificare anche un solo minuto di studio per andare a messa
né
ascoltare i loro patetici tentativi di convincerti a ritirarti da
Hogwarts né sentirti in colpa per essere rientrata a casa
troppo
tardi la sera. Così nascondi dietro le tue urla e i tuoi
insulti
sfrontati il dolore provocato dalla consapevolezza che tutto
ciò che
farai per loro sarà sempre sbagliato – anormale,
contronatura
– e che non potrai mai soddisfare in alcun modo le loro
aspettative.
Non
sono più una bambina, mettetevelo in testa. Fatemi vivere la
mia
vita in pace. E sappiate che non mi vedrete mai più in
quella
dannata chiesa.
Hai
diciotto anni quando vai via di
casa, investendo i primi stipendi del tuo lavoro al Ministero per
l'affitto di un minuscolo appartamento a Diagon Alley. Alle spalle ti
lasci un abisso di vuoto e freddezza – ormai tu e i tuoi
genitori a
stento vi guardate in faccia o vi rivolgete la parola, se non per
urlarvi addosso.
A volte
l'amore non basta per
ricucire i fili spezzati e guarire le incomprensioni. Ma, nonostante
il dolore, riprendi in mano la tua vita con la gioiosa consapevolezza
di essere libera dalle gabbie nelle quali hanno cercato di confinarti
dal momento in cui sei nata e la certezza che un giorno sarai una
madre diversa per i tuoi figli.
Non hai
mai veramente smesso di
vivere nel tuo castello di regole, disciplina e apparenze.
Molly e
Lucy sono la gioia dei tuoi
occhi ed è solo per il loro bene che le rimproveri quando
vogliono
alzarsi da tavola prima che gli altri abbiano finito di mangiare e le
inciti a essere sempre ben vestite e accuratamente pettinate prima di
uscire di casa – non vuoi certo che le tue figlie appaiano
come
delle selvagge prive di educazione che non hanno cura di loro stesse.
È
per il loro bene che cerchi di
convincerle a dare priorità allo studio come i tuoi genitori
non hanno mai fatto con te, così che
possano brillare come meritano – prima il dovere e
poi il
piacere, appena avrai finito i compiti sarai libera di fare tutto
quello che vuoi.
E,
mentre elogi Lucy per il suo
Smistamento a Corvonero, i suoi ottimi voti e la spilla da Prefetto,
fingi di non notare che Molly nasconde il Settimanale delle
Streghe dietro i libri di Trasfigurazione perché
non vuoi
accettare che forse nella tua primogenita non si nasconde quel genio
che vorresti così tanto vedere in lei.
Non
sei come i tuoi genitori.
Perché c'è un limite alla tua apparente
rigidità. Perché non hai
mai tirato uno schiaffo a Lucy per essersi seduta scomposta sul
divano né ti sogneresti mai di chiudere Molly in camera a
chiave per
essere rientrata a casa troppo tardi. Perché, nonostante le
vostre
ritorsie iniziali, tu e Percy avete accettato che Molly non ha alcun
interesse a entrare al Ministero e che il tuo scopo nella vita
è
scattare fotografie per la Gazzetta del Profeta.
Non
sarai mai come i tuoi genitori
ed è per questo che, ne sei convinta, per nessuna ragione al
mondo
tarperai le ali alle tue figlie, anche se i loro desideri non
combaciano a pieno con le tue aspettative.
Finché
non arriva l'estate in cui
Lucy ti guarda negli occhi e bastano poche parole enunciate con
decisione – Mi piacciono le ragazze. Ho una
ragazza. I ragazzi
non mi interessano per niente – per far crollare di
nuovo in
pezzi il tuo castello di regole, apparenze e convizioni consolidate
fin dall'infanzia.
Il tuo
primo istinto è quello di
ridere e minimizzare le sue parole. Non è possibile, non
Lucy,
non tua figlia, tua figlia che porta i capelli lunghi e non si
è mai
rifiutata di indossare un vestito. Non la bambina che tu hai
cresciuto. Se quello che dice fosse vero te ne saresti accorta da
molto tempo.
Smettila
con queste schiocchezze, Lucy. Hai sedici anni, non puoi sapere
quello che vuoi. Chi è che ti mette in testa queste cose? E
anche se
fosse così... cosa credi che penserebbe di te la gente se lo
venisse
a sapere?
Lucy non
cede alle tue parole
taglienti. Sfrontata come non l'hai mai vista, ti urla addosso e
torna in camera sbattendosi la porta alle spalle, lasciandoti addosso
un ribollente senso di risentimento. L'estate si trascina tra litigi
sempre più accesi e la freddezza che inquina i momenti di
quotidianità, finché tu e Lucy non arrivate a
guardarvi a stento in
faccia a tavola, ignorando i tentativi di Percy e Molly di distendere
la tensione con le loro battute e le loro chiacchiere disinvolte.
Non
è normale, non è normale,
non è normale – ti ripeti queste parole
ogni giorno, ostinata
a non retrocedere dalle tue posizioni. A stento realizzi di aver
accettato molto più facilmente l'esistenza di un mondo di
maghi,
streghe e quadri parlanti piuttosto che la possibilità che
tua
figlia possa essere attratta dal suo stesso sesso. Quella che Lucy
chiama omosessualità è
un elemento stonato che stride
con la tua visione del mondo, con i tuoi saldi valori su ciò
che è
giusto e ciò che è sbagliato, perché
non hai mai creduto in Dio ma
credi nelle logiche della natura, nelle simbiosi senza le quali la
vita non potrebbe crearsi secondo quell'ordine che ti ami
così
tanto. Dopotutto, anche la magia ha bisogno di seguire un ordine, di
essere sottoposta a regole necessarie affinché il vostro
mondo non
crolli nel caos.
Stiamo
parlando di nostra figlia, Audrey, non di un'estranea! Ti
interessa davvero cosa direbbe la gente di lei? Prova a parlarle, ti
prego. Cerca di fare uno sforzo per capirla, per entrare nel suo
mondo. Ricordi quello che hai passato tu con i tuoi genitori? Tu
più
di chiunque altro dovresti capire che cosa significa non essere
accettati dalla propria famiglia per... beh, per ciò che si
è e che
non può essere cambiato.
Le
parole di Percy sono lame
taglienti che ti mettono per la prima volta di fronte a ciò
che ti
rifiuti di accettare; la consapevolezza di non essere poi
così
diversa dai tuoi genitori, di aver inconsapevolmente appreso da loro
a considerare le tue convinzioni, per quanto spesso opposte alle loro,
come
verità indiscutibili.
Smettila
di credere di avere sempre ragione. Devi capire che anche tu puoi
sbagliare nei confronti di Molly e Lucy. Così come ho
sbagliato io
quando mi sono allontanato dalla mia famiglia.
Ti trovi
a passare una notte insonne
con gli occhi appannati di lacrime al ricordo dei sorrisi rigidi e
forzati di Robert e Gilda, del velato disgusto nei loro sguardi,
delle mani di tua madre che correvano a farsi il segno della croce.
Possono non avertelo mai detto ad alta voce ma sai che in fondo, per
loro, tu sei sempre stata contronatura.
Eppure...
eppure quello che dice
Lucy non può essere vero. Tua figlia, nonostante la sua
intelligenza, ha pur sempre sedici anni e potrebbe essersi fatta
influenzare da qualcuno. Dopotutto, se non fosse così,
questo
significa che la vita che la aspetta sarà molto
più dura di quella
che avevi immaginato per lei, perché ti rifiuti di credere a
Molly
quando asserisce convinta “a scuola questo non è
mai stato un problema
per nessuno.”
Lo
scorrere del tempo a volte non
basta per ricucire i fili spezzati ed erodere visioni dure come
l'acciaio, consolidate fin dall'infanzia, ma a volte può
portare a compiere il primo passo; la sera in cui entri nella
stanza di Lucy ancora non hai davvero ben compreso il suo mondo,
ancora non sei sicura che lei sia ciò che afferma di essere e
non sai
cosa questo potrebbe implicare nel futuro – ma sai di amare
tua
figlia più di qualunque altra cosa nell'universo.
Nel
momento in cui Lucy alza su di
te uno sguardo imbronciato – un libro di Astronomia tra le
mani, i
capelli rossi legati in una coda alta e gli occhi chiari
così simili
ai tuoi – sai che il suo bene vale molto
di più di
qualsiasi tuo valore, idea, convinzione.
“Ti va di
parlarmi di questa
ragazza? Come hai detto che si chiama, Jenna?”
A quelle parole
le labbra di Lucy si piegano in un sorriso esitante e il filo
spezzato che tu e i tuoi genitori avete reciso da tempo comincia,
piano piano, a ricucirsi.
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