Family
cake
In
ginocchio sulla sedia e coi gomiti poggiati sul piano del tavolo, il
piccolo
Ives osservava sua zia rimestare l’impasto della torta
all’interno di un
insalatiere in vetro. La donna maneggiava con energia e sapienza la
frusta da
cucina, amalgamando per bene tutti gli ingredienti, e di tanto in tanto
si
voltava verso il nipote per chiedergli di versare qualche ingrediente
nella
ciotola.
Ives
si scostò il ciuffo corvino che gli copriva
l’occhio sinistro, poi lanciò uno
sguardo alla bustina contenente la farina di cocco e infine lo
spostò sulle
gocce di cioccolato depositate in un piattino.
Quando
la zia Maura aveva annunciato che quel pomeriggio sarebbe rimasta a
casa – come
spesso capitava durante il periodo natalizio –, lui ne era
stato subito
contento; avevano deciso di preparare insieme una torta, dato che solo
loro due
sarebbero rimasti a casa, e avevano optato per i gusti preferiti di lui
e
Maggie – sua cugina.
“Ci
dobbiamo mettere il cocco perché è il mio gusto
preferito,” aveva detto mentre
saltellava per tutta la cucina, “e le gocce di
cioccolato che piacciono a
Maggie! Così sarà la torta preferita di tutti e
due!”
“Tesoro,
versa un po’ di farina di cocco. Occhio a non farne cadere
troppa, altrimenti
l’impasto non la assorbirà per bene” lo
richiamò all’attenzione la donna.
Lui
afferrò la bustina ed eseguì, poi
sollevò gli occhioni azzurri nella sua
direzione. “Zia Maura?”
“Dimmi.”
“Qual
è il tuo gusto preferito?”
Lei
parve sorpresa da quella domanda e i suoi lineamenti marcati si
contrassero in
un’espressione pensosa. “Mmh… non
saprei. L’arancia mi piace molto.”
Il
bambino sorrise raggiante e lasciò cadere
l’involucro che aveva in mano – un po’
di cocco si sparse sul tavolo. “Allora possiamo metterci
anche un po’ di
arancia!”
“E
perché mai? Non ci sta affatto bene con gli altri
ingredienti, sai?”
“Ma
io voglio fare una torta che abbia i gusti preferiti di me, Maggie e
te! Così
sarà la torta della nostra famiglia!”
spiegò lui, mettendosi in piedi sulla
sedia con entusiasmo.
Zia
Maura sgranò gli occhi e lo sostenne per un braccio.
“Scendi di qui, altrimenti
ti farai male!”
“Però
ci mettiamo anche l’arancia?” domandò
nuovamente lui, sbattendo le ciglia un
paio di volte.
Lei
gli sorrise intenerita. “E va bene, aggiungiamo un
po’ di scorza…”
“Sì!
Sarà la torta più buona del mondo!”
esultò Ives, rimettendosi in ginocchio
sulla sedia.
La
donna afferrò un’arancia dalla fruttiera e prese a
grattugiarne la scorza
dentro il recipiente, stando ben attenta a non esagerare: non era
sicura che
quel sapore si accostasse bene al cocco.
Quando
prese nuovamente a rimestare l’impasto con la frusta,
notò che il suo nipotino
la stava fissando con sguardo ammirato.
“Zia
Maura?” la richiamò infatti dopo qualche istante
con la sua voce sottile.
“Che
c’è?”
“Posso
provare anch’io a girare l’impasto?”
Lei
gli sorrise. “Ci vuole un bel po’ di forza per
riuscirci, soprattutto adesso
che abbiamo aggiunto quasi tutta la farina!”
“Ma
io sono fortissimo!” si pavoneggiò lui, tastandosi
il braccio in cerca dei suoi
bicipiti quasi inesistenti.
Zia
Maura rise. “D’accordo, ti faccio provare! Ora fai
attenzione: questo è il
giusto movimento” spiegò pazientemente, ripetendo
lentamente quel gesto che,
dopo anni e anni spesi in cucina, le veniva estremamente naturale.
Ives
la osservò attentamente, sforzandosi di memorizzare ogni
singolo dettaglio.
“È
un movimento circolare, brusco e veloce” spiegò la
donna, prima di spingere
appena l’insalatiere in direzione del nipote e porgergli la
frusta. “Prova.”
Lui
la afferrò senza esitazioni, sul viso arrotondato aveva
l’espressione di chi è
sicuro di riuscire in ciò che fa.
Maura
sorvolò sul fatto che, brandendo l’utensile da
cucina, Ives avesse sparso
alcune gocce di impasto sul tavolo e sulla propria maglietta, e
scrutò con
interesse il bimbo alle prese con la loro torta di famiglia.
Dopo
aver rimestato il composto un paio di volte, Ives sembrava
già affaticato e
sfoggiava una deliziosa smorfia sorpresa; probabilmente non si
aspettava che fosse
così difficile. A Maura veniva da ridere a vederlo
così, tutto impiastricciato
e con un insalatiere più grande di lui davanti a
sé.
“Se
non ce la fai, posso continuare io” gli propose.
“Sì
che ce la faccio!” ribatté lui, testardo come era
sempre stato. Ormai era
diventata una sfida personale.
Ci
provò ancora per qualche minuto, seppure i suoi movimenti
fossero piuttosto
lenti ed esitanti; una volta rischiò di farsi sfuggire la
frusta da cucina di
mano, successivamente fu sul punto di scaraventare la ciotola con tutto
il suo
contenuto a terra. In generale riuscì a imbrattare ogni
superficie della
cucina, sotto i suggerimenti e i rimproveri bonari della zia che
però non
sortivano nessun effetto.
“Finito!”
esclamò, osservando fiero il composto color crema che tutto
sommato aveva un
aspetto omogeneo.
“Veramente
dobbiamo finire di versare questa farina, ne è rimasta un
po’ nel bicchiere”
gli fece notare Maura, accennando all’oggetto posato sul
tavolo.
Il
bambino sollevò i suoi occhioni azzurri al cielo.
“Bisogna metterla tutta per
forza?”
“Certo,
questo è ciò che ci dice la ricetta. La farina
serve a indurire l’impasto…”
“Ma
è già duro!”
“Te
l’ho detto, se non ne hai più voglia posso
riprendere io.”
Lui
mise su un broncio pensoso, spostò lo sguardo dalla zia
all’impasto. Poi, con
un sorrisetto furbo, in un movimento fulmineo immerse
l’indice della mano
destra nell’insalatiere e se lo portò alle labbra
mentre saltava giù dalla
sedia come un ladruncolo colto sul fatto.
Maura
non ci avrebbe fatto poi tanto caso se non fosse stato per il fatto
che, nella
foga di scappare via, il bimbo aveva urtato il bicchiere poggiato nei
pressi
della ciotola e tutta la farina contenuta in esso si era rovesciata,
finendo
sul tavolo, sulla sedia e sul pavimento.
Non
poteva essere un caso, il contenitore non era così vicino a
lui. L’aveva fatto
apposta, per divertimento, perché qualche volta gli piaceva
creare scompiglio e
attirare l’attenzione.
“Ives!”
tuonò lei mentre suo nipote, incurante, scompariva oltre la
porta della cucina
e l’aria si riempiva della sua risata. Sospirò e
si passò una mano sulla
fronte: quel diavoletto sapeva essere carino e dolce, ma bastava un
momento di
distrazione e lui era in grado di combinarne di tutti i colori.
“Hai
riempito tutto di farina!”
“Tanto
non serviva per la torta, era già abbastanza dura”
fu la risposta beffarda di
Ives che risuonò tra le pareti della stanza accanto.
“Non
pensare di passarla liscia” lo minacciò la donna,
ma prima di elaborare una
qualsiasi punizione per lui c’era una torta da infornare.
Continuando
a borbottare tra sé e sé, aggiunse il lievito e
distribuì l’impasto all’interno
di una teglia imburrata; il forno era già caldo, pronto ad
accogliere il dolce.
Maura
si guardò attorno sconfortata: la cucina era un disastro,
quella torta le sarebbe
costata più fatica del previsto. Per un attimo si diede
dell’idiota ad aver
proposto quell’idea: lavorava dalla mattina alla sera per
tutto l’arco dell’anno,
aveva una casa da tenere in ordine, una figlia e un nipote da crescere
totalmente da sola, e nonostante l’enorme stanchezza che
provava non avrebbe
avuto modo di riposarsi nemmeno nell’unica serata libera che
era riuscita a
ottenere.
Recuperò
scopa e paletta e con un sospiro si mise a spazzare la farina che
imbiancava il
pavimento. Trascorsero diversi minuti prima che si accorgesse dei due
occhioni
celesti che la osservavano nella penombra, a un passo dalla soglia
della
cucina.
“Zia
Maura?” sussurrò Ives quando la zia finalmente
volse lo sguardo verso di lui.
“Sì?”
rispose lei, glaciale.
“Se
vuoi posso pulire io…”
Il
cuore di Maura perse un battito e sulle sue labbra si dipinse un
sorriso
spontaneo. Senza aggiungere altro, gli fece cenno di avvicinarsi e,
quando il
bimbo giunse accanto a lei con passo incerto – probabilmente
aveva paura della
ramanzina –, lei si chinò per prenderlo in braccio
e stringerlo a sé. Non le
importava che fosse impiastricciato di cibo dalla testa ai piedi. Lui
ricambiò
con foga, aggrappandosi a lei con tutta la forza che aveva.
Ives
era un bambino speciale, l’aveva sempre pensato: non stava
mai fermo, ne
pensava mille nel giro di un secondo e qualche volta dava
l’impressione di
essere dispettoso e perfino arrogante, ma alla fine aveva un cuore
d’oro e si
rendeva conto lui stesso dei suoi errori.
“Puoi
pulire, ma solo se ti comporti bene e non ne combini un’altra
delle tue.”
“Va
bene.”
Si
scambiarono un sorriso complice, mentre attorno a loro cominciava a
spargersi
il delizioso profumo della loro torta di famiglia – calda e
soffice come il
cuore di quel bimbo dal ciuffo corvino e gli enormi occhi celesti.
♦♦♦
Mi
presento a questo nuovo anno con qualcosa che nuovo non lo è
per niente ^^ avevo
cominciato questa shottina più di due anni fa, poi per
carenza di ispirazione l’ho
abbandonata e quasi dimenticata, ma recentemente riaprendo la cartella
della
serie me la sono ritrovata di fronte e mi sono detta: perché
non tentare?
Ho
bisogno di qualche momentino fluff del genere, in cui poter parlare del
mio adorato
Ives, un po’ nanetto pestifero e un po’ zuccherino
dolcissimo :3
Non
ho effettivamente mai approfondito tanto il rapporto con zia Maura
(anche perché
lei molto spesso è al lavoro e non ha tanto tempo da
dedicare a suo nipote), ma
volevo evidenziare quanto lei lo abbia a cuore e gli voglia regalare
un’infanzia
felice come può!
Per
chi non segue la serie, spiego brevemente questo punto: Ives, avendo
perso la
madre da piccolissimo e non sapendo chi sia suo padre, è
stato preso in carico
e cresciuto da zia Maura (sorella di sua madre) e vive con lei, Maggie
(la
cugina qualche anno più grande di lui) e il compagno di
Maura (da cui però lei
si separa quando Ives è ancora molto piccolo).
Grazie
di cuore per essere giunti alla fine, spero che questo piccolo
momentino vi
abbia strappato un sorriso!
Alla
prossimaaaa ♥
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