Gli Ultimi Giochi

di CervodiFuoco
(/viewuser.php?uid=1079965)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


1 - COME UN FUOCO

 

Una palla di fuoco si espanse come un enorme palloncino. Detriti vennero scagliati ovunque. Il cielo grigio era lacerato da strisce di fumo. I suoi compagni correvano di qua e di là, smarriti. Ma dove andavano? Cos'avevano da fare? Tanto, ormai, era finita. Ci si poteva rilassare. Lasciarsi andare... a quel tepore, quel silenzio. I rumori assordanti non c'erano più, la pesantezza del corpo nemmeno. Il respiro sempre più flebile dava spazio alla mente di alleggerirsi e di andare su, su, sempre più su...

 

«Libba!»

Una ragazza dalla carnagione scura le tendeva la mano. I suoi grandi occhi neri la fissavano sgranati.

Ma Libba non aveva forze. A malapena riusciva a distinguere chi aveva davanti, le iridi spalancate sul nulla, sdraiata a pancia all'aria.

Quando Abigail capì che Libba non avrebbe mai afferrato la sua mano, si chinò a sollevarla di peso. Gemendo ci riuscì, facendosi passare un suo braccio dietro la testa, e riprese a muoversi.

Fu allora che come per magia il corpo di Libba si riattivò: sbatté freneticamente le palpebre e prese a lamentarsi, scuotendo la testa ricciola e cercando di divincolarsi dalla presa ferrea di Abigail.

«Dove... cosa... »

Ma Abigail non rispose. Continuava a trascinarsela dietro correndo più veloce che poteva, mentre il terreno intorno a loro si scuoteva e di tanto in tanto erompeva in una contenuta ma terrificante esplosione che innalzava una polvere di detriti e terriccio, che poi ripiombava al suolo crepitando. Un boato sordo e ininterrotto riempiva l'aria, frammisto a quello chiarissimo di fuoco che arde, un grande, grandissimo fuoco: forse Libba poteva persino avvertirne il calore. Ma si, lo sentiva fin troppo bene, era per forza un incendio lì accanto a loro... la sua mano libera salì alla pancia, dove avvertiva il calore. Ma invece toccò qualcosa di liquido, e una fitta lancinante di dolore la attraversò da capo a piedi, paralizzandole le gambe e togliendole quel poco di fiato che aveva riacquisito.

«Siamo arrivate!» strillò disperata Abigail, dovendo quasi sollevare di peso la compagna che ora aveva smesso di camminare. S'inoltrarono fra alti e fitti cespugli, in un pertugio all'apparenza inesistente. In un certo senso fu Abigail a crearlo col passaggio del proprio corpo, anche se la traccia di un varco segnato in precedenza sull'erba a terra e sui rami intorno era vagamente visibile.

Adesso erano circondate da fronde verdi, buie e soffocanti. Libba si lasciò trasportare per un bel pezzo, a tratti riuscendo ad aiutarsi con le gambe. Ma il dolore era troppo forte; per fortuna Abigail sapeva il fatto suo, e di tanto in tanto la riscuoteva quando la testa di Libba ciondolava sul collo.

Infine raggiunsero un varco squadrato aperto su un muro di rampicanti e rovi. Oltrepassarono la porta; Abigail si voltò e la richiuse con un suono metallico.

I sensi di Libba la stavano abbandonando di nuovo quando venne tirata e trascinata giù lungo un corridoio, all'apparenza interminabile: un tunnel in fondo al quale brillava una luce. Poi le palpebre le si chiusero, gravate da una pesantezza insopportabile.





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4046200