C'è più di un modo per piegare qualcuno, il divertimento è scoprire quello giusto

di Keeper of Memories
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9 novembre 1989
 

Le strade di Berlino brulicavano di vita quella sera, più delle notti precedenti, infiammate dalle proteste.
«Siamo arrivati finalmente» osservò Gilbert, ma non ottenne risposta dal suo accompagnatore.
Ivan invece strinse un po’ più forte la sua mano, affondando il volto nella sciarpa. Normalmente Gilbert avrebbe protestato per quel gesto; sarebbe morto piuttosto che tenere per mano Ivan in pubblico! Ma non quella sera. Quella sera, ne aveva bisogno anche lui.
«Ti ricordi cosa mi hai detto il primo giorno che ho passato nella tua casa?»
«No.»
Era una bugia. Ivan lo sapeva benissimo e a Gilbert bastò un’occhiata per capirlo.
«Ti rinfresco la memoria» sbuffò, creando una nuvoletta di vapore nella gelida aria berlinese «“C’è più di un modo per piegare qualcuno, il divertimento è scoprire quello giusto” sono state le tue esatte parole.»
«Ah, ora ricordo.»
Ivan si mise entrambe le mani in tasca, senza mai lasciare quella di Gilbert. Dal canto suo, Gilbert si sentiva troppo stanco per protestare. Posò la testa sulla spalla di Ivan e guardò lontano.
Una folla notevole aveva iniziato ad accalcarsi attorno al posto di blocco. Entrambi potevano vedere i soldati affannarsi tra l’insistenza delle persone e gli ordini confusi e concitati che venivano impartiti da una radio gracchiante.
«Non è stata l’unica volta che me l’hai detto, però.»
«Certo. Dovevo metterti in riga, come gli altri.»
Ivan ridacchiò. Una risata debole, soffocata dalla pesante sciarpa, ma vera, profondamente diversa dai sorrisi finti che il russo offriva al mondo. Gilbert se ne accorse immediatamente.
«Ah! Non ci sei mai riuscito, semplicemente perché sono il più forte.»
«Affatto. Sei semplicemente il più stupido»
«Verdammt! Non devi per forza essere così cattivo, sai?» sbuffò Gilbert, alzando gli occhi al cielo.
 

Il posto di blocco era libero, abbandonato da chiunque lo presidiasse. Le persone iniziarono a passare liberamente, accalcandosi in quegli stretti passaggi. Qualcuno, più di qualcuno in realtà, aveva però deciso che quelle brecce anguste non erano abbastanza; gente armata di martelli, asce e altri oggetti pesanti di vario genere si scagliò contro il muro, cercando di demolirlo tra le urla generali.
«Quindi ti ricordi anche cosa mi hai detto quella volta? La prima volta che ti dissi che non mi sarei mai piegato a te, ti ricordi quale fu la tua risposta?»
Gilbert posò la sua mano libera sulla guancia di Ivan, in una carezza che serviva puramente a catturare il suo sguardo.
«Ricordi Ivan?»
Ivan non rispose nemmeno quella volta, il volto tramutato in una maschera di ghiaccio. Stava soffrendo, Gilbert lo sapeva benissimo. Dopo tutti quegli anni passati insieme, aveva imparato a leggere ogni piccola variazione nel suo comportamento.
«Mi hai detto che non ero niente, che l’unico motivo per cui esistevo ancora era la tua clemenza e i territori che mi avevi così generosamente assegnato, che se non fosse stato per te…»
Gilbert si avvicinò ancora, senza mai distogliere lo sguardo. Posò la fronte su quella di Ivan e socchiuse gli occhi.
«…sarei morto. Quindi ora dimmi, Ivan, come ci si sente a vedere le proprie minacce diventare realtà? Come ci si sente a sapere che non solo non hanno sortito effetto, ma sono diventate perfino parte del tuo peggiore incubo?»
Il muro iniziò a crollare e ad ogni pezzo che finiva a terra, Gilbert si sentiva sempre più debole. La folla gioiva attorno a loro, felice per quella che sarebbe stata di nuovo una Germania unita. Il cuore di qualcuno, però, era finito a pezzi.
«Volevo riabbracciare mio fratello, ma non credo accadrà. Potresti dirgli che gli voglio bene e che sono fiero di lui? Per favore, non chiedo altro. Se per te ho mai contato qualcosa, ti prego-»
Gilbert non finì mai quella frase. Le labbra di Ivan raggiunsero le sue, togliendogli il fiato e le parole.
«Auf Wiedersehen, mein Liebling1» sussurrò, in un raro istante in cui Ivan gli permise di riprendere fiato. Quel bacio sembrò durare un’eternità, ma anche l’eternità a volte è troppo poco.
La mano di Ivan si chiuse sul nulla, il calore familiare del volto di Gilbert sostituito dalla gelida carezza dell’inverno. Si toccò le guance, in un vano tentativo di non far svanire quel poco calore rimasto, ma le trovò umide.
Aveva freddo. In realtà, non ricordava nemmeno quand’era stata l’ultima volta che aveva sentito così tanto freddo, né quando il suo petto aveva deciso di fare così male.
Come accadeva sempre in queste situazioni, Ivan sorrise e con il sorriso sulle labbra abbandonò per sempre Berlino.
 

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  1. Addio, mio caro




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