III
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Le ben educate frivolezze di un Ballo
Popolare, Tony Stark, lo è stato fin
dal primo giorno di scuola. Di inchiostro per gli articoli su di
lui, sul The Merlin’s Voice scolastico[1],
se ne è sprecato a litri, senza contare le foto in movimento rubate
dalla polaroid più veloce di Hogwarts – a chi appartenga davvero è
ancora un mistero, la firma è un allegro “Il vostro amichevole
stregone di quartiere”, che ha dato adito a tante speculazioni.
Dopo la vittoria alla Prima Prova del
Torneo, la sua popolarità ha avuto un upgrade e ha fatto di Stark un
vero e proprio eroe. Dalle finestre ad arco della Torre Grifondoro
sventolano stendardi rossi con la sua immagine e una manticora
svenuta ai suoi piedi; a pranzo c’è chi fa a gara per potersi sedere
accanto a lui sulla panca o sviene quando per puro caso gli sfiora
il mantello; non c’è fan del Fantaquidditch[2]
che non lo abbia acquistato per la propria squadra fittizia; e
perfino tra le fila della Casa di Salazar c’è chi lo guarda con
ammirazione.
Non da meno, i suoi compagni di
squadra vivono di fama riflessa.
Nemmeno Loki può sfuggire ai pigolii
innamorati delle ragazze serpeverde. In Sala Comune, su una
lavagnetta a diffindo nascosta dietro le braci del camino, i più
piccoli tengono conta di ogni volta che il Prefetto rivolge loro la
parola – di solito minacce velate. L’ultima tacca l’ha aggiunta
Darcy Lewis, forse l’unica corvonero di tutto il Castello sempre
informata sulle trame delle serpi.
Per Bucky, però, le cose si fanno un
po’ diverse.
A seguirlo per i corridoi, a fissarlo
con occhi a cuore durante le lezioni o a cercare di rubargli le
piume dalla tracolla per avere un pezzo di lui a tutti i costi, non
c’è soltanto la scolaresca di Hogwarts.
Da un po’ di tempo ha iniziato a
sospettare di essere entrato nel mirino di uno dei professori che
hanno accompagnato la delegazione di Durmstrang e del loro preside.
Se quest’ultimo lo ricorda per aver rimesso in riga il loro Campione
alla fine della Prima Prova, diversa storia è per il professore, che
i ragazzi di Durmstrang chiamano con il soprannome di Baron Zemo.
Ogni scusa sembra buona a Baron Zemo
per rivolgergli la parola e metterlo in imbarazzo davanti a tutti. E
ora che il professore ha avuto il permesso di tenere una lezione
speciale, Bucky cerca di farsi ingoiare dalla massa di studenti
raccolti in cerchio intorno all’aula.
«Mi è stato riferito che i ragazzi di
Hogwarts non conoscono l’importanza di un’arte antica quanto la
danza. E dato che non vogliamo che facciano brutta figura al Ballo
del Ceppo, vi insegnerò come si fa. Per quanto sia possibile
insegnare qualcosa a delle scope babbane» afferma il professore,
l’accento spigoloso delle Terre del Nord e gli occhi scuri che
attraversano la scolaresca, rimbalzando sulle loro teste.
Dai ragazzi di Durmstrang e da quelli
di Beauxbatons si levano ridolini di scherno.
«Per questa dimostrazione ho bisogno
di un volontario.»
«Non me, non me, non me…» Bucky prega
sottovoce, scivola dietro le spalle ampie di Thor Odinson, protetto
dal borbottio annoiato che il ragazzo ha condiviso con la vicina
Sif per tutto il tempo, e si convincere di essere al sicuro.
Sciocco illuso, ha dimenticato che il
Grifondoro ha lo spirito dei guerrieri, di chi sa vedere dietro la
schiena e a occhi chiusi potrebbe attraversare un nido di
Acromantule, ma manca di tutto il resto.
«Signor Barnes?» chiama Zemo, fingendo
di leggere il nome dall’elenco che Silente ha consegnato alle scuole
ospiti.
L’aula tace, i ragazzi si guardano
intorno; anche Steve alza la testa a cercarlo, perché fino a un
attimo fa giura di averlo avuto al proprio fianco.
È Thor a mettere fine alla ricerca:
alza la mano, richiama l’attenzione del professore e si fa di un
passo di lato.
«È qui. Non lo vedeva perché coprivo
il suo corpo gracile.»
Bucky lo guarda a braccia spalancate.
«Gracile?»
Il grifondoro ride orgoglioso e sbatte
una manata sulla schiena del ragazzo, che lo butta in avanti, oltre
i compagni, verso il centro dell’aula.
«Grazie, Thor…»
«Non c’è di che,
Beorn[3]
dei tassorosso.» Con un sorriso largo,
Thor annuisce – Bucky non si capacita di come condividere gli stessi
geni di Loki non gli abbia affilato l’intuito, e dopo diciassette
anni ancora non abbia naso per il sarcasmo.
Lascia perdere invece la strana
pronuncia del proprio cognome; dopo anni che si conoscono,
ha rinunciato ad ogni sorta di correzione (o alla preghiera di
chiamarlo Bucky, non James, non Barnes, definitivamente non Beorn,
ma solo Bucky). E quando il professore di Durmstrang lo invita a
prendere posto letteralmente tra le sue braccia, l’aula si riempie
di risate e il corpo di Bucky di brividi gelati.
Se solo avesse lasciato perdere le
gobbiglie di Stark e avesse partecipato lui alla Prima Prova! A
quest’ora almeno sarebbe già stato digerito da una Manticora, invece
di ritrovarsi a muoversi a passo di danza insieme a un professore
sconosciuto di una scuola rivale.
«Si rilassi, non sia timido» gli dice
l’uomo, una manciata di centimetri più basso di lui, ma con mani
grandi e dita lunghe da pianista che ne impostano il passo e quasi
con prepotenza lo conducono dove vogliono.
Se non sapesse che si tratta di una
lezione, giurerebbe che si stia divertendo a fare di lui un
bambolotto da muovere a suo piacimento, e la cosa non gli piace
affatto.
Di inviti ai Balli, Bucky ne ha avuti
da tutta la vita; ci sono conti e duchi da qualche parte nell’albero
genealogico dei purosangue Barnes e se anche il titolo non è giunto
sino a lui, non esiste famiglia purosangue in tutta la Londra Magica
che non gli abbia messo gli occhi addosso e non lo consideri un buon
partito per le figlie.
È già stato il cavaliere di metà
popolazione femminile londinese, ma assumere il ruolo della dama è
un’esperienza nuova, che avrebbe preferito condividere con qualcun
altro – ad esempio un certo grifondoro biondo, alto, con gli occhi
azzurri e possibilmente non imparentato con gli Odinson.
Muove i piedi meccanicamente, senza
prestare ascolto a quello che il professore ha da dire alla classe
(Non guardate i vostri piedi, tenete le spalle dritte, scandite
nella vostra testa il ritmo, un-due-tre, un-due-tre) finché
questi non gli si rivolge direttamente.
«È portato per la danza, Signor
Barnes.»
«È un dono di natura.» Solleva gli
angoli della bocca nella brutta imitazione di un sorriso. «Abbiamo
finito?»
È l’impazienza a fregarlo.
Un passo falso all’indietro e inciampa
sui propri piedi, cadendo di schiena.
La presa del professore si
stringe, l’uomo stende una gamba di lato, cambia il baricentro e
ferma la caduta in un perfetto
casquè[4]
da mozzare il fiato, che fa scrosciare applausi dall’intera classe.
Rovesciato all’indietro, il cuore in
gola e le mani aggrappate alle spalle del professore, Bucky mantiene
i muscoli tesi. Avrebbe preferito ritrovarsi sdraiato a terra, una
botta alla schiena e via, così invece gli tocca sopportare anche lo
sguardo di Zemo che, a un respiro di distanza, gli serpeggia
addosso, quasi a volergli entrare dentro. Riesce a sentire la forza
delle sue dita che gli stringono un fianco, una presa dura che per
un attimo gli sembra si muova in una carezza lenta, quasi
inesistente, ma che Bucky percepisce dirigersi verso la cintura dei
calzoni.
Di colpo fa leva sulle reni,
sollevandosi a forza e obbligando il professore a fare lo stesso.
«Ora può lasciarmi.»
Lo sguardo stupito di Zemo è una
piccola vittoria che si segna mentalmente.
Helmut Zemo sorride, il volto disteso,
le emozioni di nuovo perfettamente sotto controllo.
Da giovane, Durmstrang è stata la sua
casa, il rigore e la disciplina delle arti oscure il suo credo, ma
di quel posto e delle terre che la ospitano non condivide
null’altro. Tra i giganti di quella scuola sembra un nano, gli manca
la minaccia dell’imponenza, l’intimidazione del fisico; ma dietro al
sorriso quieto, allo sguardo ambiguo e all’eleganza figlia di nobili
natali, c’è il volto di uno stregone calcolatore e pericoloso.
Non si aspettava che il ragazzo fosse
in grado di rialzarsi da solo da quella posizione, ma deve ammettere
che Barnes ha l’agilità di un felino e una muscolatura asciutta ed
elastica che si rifiuta di essere modellata dalle sue dita.
È una sfida, quel James Buchanan
Barnes, forse perfino più interessante del ragazzo nato magonò che
ha tanto attirato l’attenzione del loro
rektor[5].
Con calcolata lentezza, muove un passo
indietro e allontana le mani dal tassorosso.
«Certamente.» Spera di non essere
stato troppo precipitoso, l’ultima cosa che vuole è che qualcuno
scopra il vero motivo per cui, tra tutti i professori di Durmstrang,
il rektor abbia deciso di scomodare proprio lui,
trascinandolo fin nelle Highlands.
«Può tornare al suo posto. Spero non
si sia fatto male.» gli sorride, nella tinta nocciola dell’iride si
accende una sottile traccia di divertimento appena visibile, messa
in mostra perché l’altro lo noti.
E il ragazzo per un momento non fa
nulla se non fissarlo – se ne è accorto, lo sa che se ne è accorto,
ha l’occhio lungo quel Barnes, e un cervello che sembra lavorare più
velocemente della media dei suoi compagni.
Sarebbe stato un ottimo studente di
Durmstrang.
Zemo lo guarda riprendersi, tirarsi un
paio di pacche sui pantaloni, distendendone le pieghe, e sorridergli
con una sfacciataggine da dito medio alzato, che non c’è, ma si
sente.
«Sono un Campione del Torneo, ci vuole
più di un passo di danza per spezzarmi, professore.»
Davvero un ottimo studente.
⍣
Nei cieli delle Highlands si ammassano
nuvole cariche di neve. Clint lo sente nell’aria, nell’odore
pungente che si respira dagli Anelli del campo di Quidditch, dove se
ne sta semi-sdraiato, in equilibrio con la schiena e le gambe
all’interno dell’Anello più basso e la sua scopa incastrata sotto
l’ascella.
Si gode la quiete dell’altezza e la
vittoria di una partita d’allenamento, che da quando il Torneo è
iniziato, sono diventate più uniche che rare. Il loro Cercatore di
riserva è un disastro su tutta la linea e giocare con la squadra al
completo è stato un miracolo di Natale anticipato.
Devono ringraziare il cielo che oggi
Bucky li abbia degnati della sua presenza.
A cavalcioni sulla sua scopa, un paio
di metri più in basso di Barton, Barnes se ne sta con il mento
poggiato sulle braccia incrociate in cima al manico, attardandosi a
lasciare il campo e puntando invece lo sguardo sulla porta che
conduce agli spogliatoi rosso-oro.
Sulla bacheca, subito dopo i
tassorosso, era segnata la prenotazione del campo da parte dei
grifondoro, e poter guardare il loro Capitano che vola sudato e
concentrato su una sgargiante Mark-2000 – made in Stark –,
sarebbe la distrazione perfetta da quanto accaduto quella mattina.
Clint, però, non sembra della stessa
idea.
«Pensi che quel Barone di Durmstrang
ti chiederà di andare al Ballo del Ceppo con lui?» gli chiede,
inquadrandolo con la coda dell’occhio.
Bucky scioglie l’incrocio delle
braccia, si tiene aggrappato con una mano sola, si dà slancio con
una gamba, e appoggia la caviglia davanti a sé, sul manico. Quando
solleva il pantalone della tuta, lì agganciata si trova la bacchetta
che quando non gioca tiene invece agganciata alla cintura.
«Devo ricordarti che ho una bacchetta
e so come usarla?»
Clint scrolla le spalle, la sua l’ha
lasciata negli spogliatoi. A parte Bucky e Rogers, non conosce
nessuno che se la porti dietro quando giocano, senza timore che voli
via o si rompa per una botta da bolide.
«Era tanto per dire. Nonostante tutte
le richieste che hai avuto in questi giorni sei ancora senza
partner.»
«Magari chiederò a Nat di
accompagnarmi.»
Clint ruota il capo, inquadra il
sorrisetto malizioso di Bucky con entrambi gli occhi.
«O magari ti ucciderò durante il
sonno, facendolo sembrare un incidente.»
Bucky ride, ma se c’è qualcuno che
potrebbe riuscirci quello è sicuramente Clint. Ha sentito che
perfino l’Agente Coulson, del dipartimento segreto degli Auror, ha
messo gli occhi su di lui offrendogli un posto come tirocinante una
volta conclusi i suoi M.A.G.O.
«Ma seriamente, quando pensi di
chiederglielo?» Clint si fa scivolare di lato in caduta libera. Non
che rischi di schiantarsi, ha la scopa con sé, l’agilità di un falco
a caccia e la stessa vista acuta – gli serve mezzo secondo per
mettercisi a cavalcioni e fermarsi di fronte al compagno.
Non precisa di chi si parli, ma sanno
entrambi che Natasha non c’entra niente – e con tutte le ragazze che
ci sono al Castello, l’ultima cosa che desidera è che lo chieda
proprio alla sua!
«Avrei voluto chiederglielo oggi, ma
dopo quello che è successo preferirei nascondermi in dormitorio fino
a capodanno. All’idea di cosa potrebbe aver pensato Steve, vorrei
potermi auto-schiantare.»
«Guarda che ormai lo sa tutto il
Castello che non hai occhi che per Rogers; solo lui non l’ha ancora
capito, ma non brilla esattamente per furbizia.»
Bucky storce il naso infastidito e con
una virata stretta incrocia il manico contro la scopa del compagno,
facendolo traballare appena. «Hai iniziato a passare il tuo tempo
con Stark?»
Clint serra la presa, reclina il busto
e mantiene l’equilibrio senza sforzo – e Bucky sa benissimo che non
basta un colpetto a disarcionarlo, Barton non è una preda, ma un
Cacciatore nato. Natasha è l’unica che potrebbe eguagliarne la
bravura in quel ruolo, ma per fortuna non ha mai avuto interesse per
il Quidditch.
«No, ma per una volta devo dargli
ragione» gli risponde.
«Steve non è stupido.»
«Allora chiamiamolo miope. Meglio?»
Bucky raddrizza il busto e scuote il
capo per nulla convinto. «In confronto a te chiunque sembra cieco,
Occhio di Falco.»
«Non faccio io le regole, Barnes.» Si
gratta il mento, trattenendo un sorrisetto divertito. «O devo
iniziare a chiamarti anch’io Beorn dei tassorosso.»
«Fallo ed è la volta buona che
convinco Sam a buttarti fuori dalla squadra.»
«Lo sai che sei l’unico che vorrebbe
buttare fuori, vero?»
«Maledizione. Avrei dovuto accettare
il posto di Capitano, invece di proporre lui.»
«Eh già. Un errore da pivello,
bucko[6].»
Ma la verità è che quelle di Clint non
sono chiacchiere a vuoto. Questo potrebbe essere un giorno buono
come un altro per confessare a Steve quello che prova per lui,
perché un conto è addormentarsi nello stesso letto, come facevano da
bambini, un altro invece è tirare fuori le palle e dirgli una volta
per tutte che non è la sua amicizia che vuole, ma il suo amore.
Può farcela.
Si tratta di Steve, in fondo, il
suo prezioso Stevie; cosa potrebbe mai andare storto?
⍣
La risposta è tutto.
Tutto può andare storto e tutto è
andato storto.
Le scale davanti a Bucky continuano a
cambiare, si muovono collegando e scollegando corridoi, mentre il
ragazzo guarda in alto, un pianerottolo che non porta da nessuna
parte, al cui muro è appoggiata la schiena di Steve. Inginocchiato
di fronte a lui, con il volto esattamente all’altezza del cavallo
dei suoi pantaloni, c’è un ragazzo dal riconoscibilissimo guanto di
pelle e placche in metallo rosso: Tony Stark.
Bucky è tentato di mangialumacarlo
all’istante, se non fosse che non vuole che quel bastardo playboy e
traditore vomiti lumache nei pantaloni di Steve, o sul suo…
«…cazzo…»
Indietreggia di un passo, si volta, e
si allontana dalle scala con l’impellente voglia di sciacquarsi gli
occhi con l’acido.
⍣
Steve ha l’impressione che Bucky lo
eviti dal giorno della lezione speciale sul Ballo del Ceppo.
È fin da quando era uno scheletro di
bambino, un Asticello d’altezza e trenta chili scarsi, che sogna di
poter chiedere un ballo a Bucky Barnes – non conosce strega che non
abbia volteggiato con lui sulle note di un valzer, ma non pensava
che perfino un professore di Durmstrang sarebbe riuscito a fregarlo
sul tempo.
L’ha invidiato – anche se forse
invidiato non è la parola giusta – e quando ha visto il casqué
con cui hanno chiuso la danza, Steve non ha desiderato altro se non
di strappare l’amico dalle braccia di quell’uomo. Non gli piace il
modo in cui lo guarda, è un professore per amor di Merlino!,
dovrebbe tenere i suoi occhi rivolti da ben altra parte che non
sugli studenti.
«Sei sicuro di non essertelo solo
immaginato? Lo sai che James ti adora.» Natasha Romanoff
sfarfalla le lunghe ciglia scure e ruota gli occhi al soffitto.
Ha preso in giro Clint per essersi
accollato le pare del compagno tassorosso, e il destino beffardo la
punisce facendole subire la stessa pena con Steve – e pensare che
tutto quello che gli aveva chiesto era di farle compagnia fino alla
porta della sala comune Serpeverde.
È proprio davanti alle scale che
portano ai sotterranei che trovano Bucky e il ragazzo di Durmstrang
con cui sta discutendo.
«Parli del diavolo.» Natasha si
sofferma a studiare il ragazzo sconosciuto: poco più basso di
Barnes, ma con un fisico ben piazzato che lo rende più muscoloso, e
nel modo in cui tira fuori il petto e si atteggia a gallo del
pollaio, deve esserne perfettamente conscio anche lui.
Se non ricorda male è uno dei Campioni
del Torneo, Brock Qualcosa – un nome che sembra creato
apposta per un bulletto da young adult, di quelli che non
stanno mai simpatici a nessuno.
Steve alza la mano in saluto e si
posiziona al fianco destro di Barnes; Natasha invece sceglie il
sinistro, gli tira una pacca leggera sul braccio e sospira in
una recita delusa. «Ero convinta che quelli di Durmstrang avrebbero
fatto la corte a Loki, e invece li trovo sempre in tua compagnia.»
«Non fraintendere, dolcezza, stavo
spiegando a questo sfigato che è meglio che rinunci al Torneo. Con
quei piedini da tip-tap potrebbe giusto fare carriera come
spogliarellista in un nightclub babbano.» Brock – Brock Rumlow – si
mette in mezzo, spintona indietro Bucky e prende il suo posto al
fianco di Natasha.
Il tassorosso non oppone resistenza.
Il primo istinto è quello di tirargli un calcio là dove non batte il
sole, per punirlo della troppa confidenza che si sta prendendo, ma
se c’è una cosa che ha imparato dell’amica è che sa badare
perfettamente a se stessa.
Loki sarà anche l’immagine da
copertina del perfetto serpeverde: ambizioso, infame, bugiardo e
velenoso; lo guardi e pensi che è così che dovrebbe essere un mago
da lato oscuro, bello e maledetto. Quelli di Natasha invece non sono
lati, ma curve voluttuose, lei dei serpeverde è la nota sexy, la
femme fatale con la bellezza da Veela ma il cuore di ragno.
Lunghi capelli rossi come il sangue, occhi verdi incorniciati da un
pizzo di ciglia lunghe, una bocca piena e carnosa e un corpo che è
un peccato di lussuria.
«Ne hai di cose da dire in relazione
ai babbani, per uno che frequenta una scuola di purosangue» scherza
lei con voce di velluto.
Brock la guarda ed è già perso.
«Questo è perché noi di Durmstrang
sappiamo bene che il sapere è potere.»
Natasha si lecca le labbra e finge
ammirazione. «Sei così intelligente~»
«E vuoi sapere cos’altro sono?»
«Qualcosa mi dice che me lo mostrerai
tu.»
«Ci puoi scommettere, tesoro.» Le
circonda la vita con un braccio, la tira a sé, e quando i due
ragazzi di Hogwarts si limitano a starsene imbambolati come le
armature vuote del corridoio al terzo piano, sa di averli in pugno.
«Andiamocene altrove e molliamo qui questi idioti, che guardare le
loro facce da perdenti mi dà il voltastomaco.»
Con la punta di due dita Natasha
picchietta la linea dei pettorali di Brock, una lenta camminata che
si ferma alla base del collo e con le unghie lunghe ne solletica la
pelle esposta. È una carezza elettrizzante, in un cui mescola
pericolo e seduzione e che fa aumentare la salivazione di Rumlow e
ne appesantisce il respiro.
«Non così in fretta, tesoro»
gli fa il verso.
Dietro di lei, Bucky si volta dalla
parte opposta cercando di mantenere il cipiglio serio, nonostante il
tremore delle spalle che tradiscono la beffa, mentre Steve solleva
gli occhi al soffitto alto del corridoio e fissa l’intonaco con le
guance gonfie di risa.
«Prima devi avere l’approvazione di
Rasputin, diventa geloso con gli estranei.»
«E chi sarebbe?»
«Il suo famiglio» risponde Bucky, le
labbra incurvate in un’espressione che Brock fallisce a decifrare.
«Non vedo dove sia il problema.
Portami al tuo dormitorio, così prima faccio amicizia col tuo
famiglio e poi mi faccio la sua padrona.»
La risata di Natasha è una colata di
miele fuso, che Brock sarebbe disposto a bere direttamente dalla sua
bocca, ma quando si spegne, al fascino da sirena si sostituisce
quello dell’aracnide.
«Non preoccuparti, non dovrai andare
da nessuna parte, lui è già qui.» La serpeverde si sistema una
ciocca rossa dietro l’orecchio, affila lo sguardo e lo studente di
Durmstrang ha un tremito. «Saluta, Rasputin.»
Da sotto la chioma sanguigna si
muovono le zampe di un famiglio grosso quanto il palmo di due mani –
otto arti pelosi che scivolano fuori dal loro nascondiglio,
mostrando un terribile muso altrettanto ricoperto di peli irti, tra
i cheliceri spalancati scivolano fili di bava e il volto di Brock si
riflette su più occhi di quanti lo studente sia disposto a
sopportare.
Spaventato, balza lontano.
«Che cos’è quell’affare?!»
Natasha reclina il capo, strofinando
la guancia sul carapace del famiglio come fosse un docile gattino.
«Rasputin è una Vedova Nera. Avevo capito fossi quello intelligente
della tua scuola.»
«Voi di Hogwarts siete tutti fuori di
testa!» urla Rumlow, spostando lo sguardo tra lei, l’enorme ragno e
gli altri due ragazzi. «Tenetevale, sai che me ne faccio di una
ibrida puttana!»
Steve inarca un sopracciglio, ma prima
che possa fare qualcosa, è la vedova nera di Natasha a muovere le
zampe nervosamente davanti ai cheliceri, sputando un bolo di seta che
manca Brock di poco, ma lo costringe alla fuga.
«Bravo, scappa, in quello sembri
bravissimo.» Natasha accarezza la testa del ragno. «È troppo facile
con voi ragazzi, quasi non c’è gusto.»
Né lei, né Steve, però, si sono
accorti del silenzio improvviso di Bucky.
Rigido e fermo a un paio di passi di
distanza, il tassorosso cerca di non guardare la spalla di Natasha.
È allora che Steve si ricorda della
sua paura dei ragni. Con un sorriso, si sposta di fronte a lui e lo
rinchiude in un abbraccio protettivo che lo nasconde alla vista del
ragno e viceversa.
«Ti proteggo io, Buck» dice
scherzosamente, ma non ha dimenticato di essersi proclamato sua
guardia del corpo personale.
Eppure Bucky prima si scioglie e poi
si ricompone, tiene le mani contro il petto di Steve e lo allontana
delicatamente con un sorriso stropicciato.
«Scusate, ma devo andare, ho promesso
al nostro cercatore di riserva che gli avrei insegnato qualche
trucco.»
Si defila sotto lo sguardo stupito
degli altri due.
«Avevi ragione,» conclude Natasha «ti
sta definitivamente evitando.»
⍣
Peter ha gambe molli e palpitazioni
così veloci che non gli sembrerebbe strano, se ora, Fury spuntasse
dal nulla e lo multasse per eccesso di velocità e sudorazione.
Strofina le mani sudate contro i
calzoni, inspira ed espira un paio di volte.
«Ehi, MJ! Se partecipi al Ballo del
Ceppo… cioè, lo so che ci vai, perché tutti ci vanno, beh, non
tutti-tutti, ma tutti quelli che dovrebbero andarci ci vanno e, ehm,
volevo chiederti, se ti va, se non hai già accettato l’invito di
nessun altro, magari, ecco…» Strizza gli occhi e deglutisce
rumorosamente, per buttar fuori tutto d’un fiato:
«Quellochestocercandodidirtièchemipiacidaimpazzire!»
A occhi chiusi rimane immobile.
Intorno a lui, solo silenzio, rotto
dallo scandire di passi in avvicinamento.
«Signor Parker, quale che sia il
motivo che l’ha spinta a dichiararsi alla porta della mia aula,
desista. Posso già dirle da ora che non verrà con lei al Ballo del
Ceppo, né da nessuna altra parte.» Avvolto nel mantello della
levitazione, il professor Stephen Strange aggrotta le sopracciglia alla
vista del ragazzo fermo di fronte alla porta che conduce all’aula di
Antiche Rune.
Peter quasi si disintegra. «Ha
ragione…»
«Raramente non ce l’ho.»
«Insomma, perché dovrebbe venirci con
uno come me?»
Il professore si sfiora la fronte con
la punta delle dita, scongiurando il mal di testa che è sempre
dietro l’angolo quando ha a che fare con gli adolescenti – e
considerato che insegna in una scuola di ragazzi, sarebbe più facile
cambiare mestiere.
«Perché è una porta, Signor Parker.»
Non può credere di averglielo dovuto
specificare.
Di colpo Peter si rianima e
arrossisce. «Oh, intendeva quello!»
«Sì, quello.»
«Quindi crede abbia delle possibilità
con MJ? Insomma, lei è un professore di rune, quindi magari, se ne
lancia qualcuna adesso…»
«Non interpellerò le mie rune per
predire il suo futuro in amore.»
«Giusto, giusto, lo capisco. È solo
che—»
«Buon pomeriggio, Parker.» Strange calca la voce sul saluto e spera che basti a chiudere il
discorso.
«Messaggio ricevuto. Buon
pomeriggio anche a lei.»
Eppure, nessuno dei due sembra
muoversi.
Imbarazzato, Peter si stropiccia la
manica del maglione e risolleva lo sguardo sul professore.
«Uhm, aveva bisogno di me?»
Ma quando lo vede indicare spazientito
la porta dell’aula davanti a cui si è piazzato, si rende conto di
stargli bloccando il passaggio e scatta di lato con un balzello.
«Mi scusi, non mi ero accorto di—»
Il resto viene mozzato da una porta
chiusa in faccia.
⍣
L’arrivo imminente del Ballo del Ceppo
ha portato ad Hogwarts una ventata romantica che fa ingarbugliare lo
stomaco di Loki.
«MJ! Ti stavo cercando. Ho incontrato
il professor Strange e mi ha convinto a lasciar perdere la porta
della sua aula e a venire a parlare direttamente con te.»
«Parlami di cosa? Alle volte sei
proprio strano, Peter.»
«Ed è una buona cosa?»
«Dipende. Vuoi venire al Ballo del
Ceppo con me?»
«Eh?»
«È un no? Se non vuoi non fa niente.»
«Stai... Stai scherzando?! Certo che
voglio! È da giorni che cerco di trovare il coraggio di
chiedertelo!»
«In questo caso sì, vengo.»
«Ahaaa! Grazie! Grazie! Grazie!»
«Pre— Waaa! Pe-Peter… ora puoi
mettermi giù!»
Seduto tra le radici del Platano
Picchiatore, assiste a ogni tipo di ridicola dichiarazione, allocchi
su gambe convinti che un bacio di vero amore sia la soluzione a
tutti i mali e che la loro storia finirà con un e vissero per
sempre felici e contenti.
Esiste cosa più ridicola?
«Loki!»
La voce tonante di Thor lo raggiunge
ancor prima che il grifondoro si palesi in giardino.
Loki inarca un sopracciglio, curioso
sfrega la punta dei denti sulla mandorla dell’unghia del pollice.
Si chiede se…
Solleva il braccio, fa cenno al
fratello perché lo noti all’ombra del grosso albero, e quando Thor
lo vede non esita nemmeno per un secondo a corrergli in contro
gridando soddisfatto: «Eccoti, finalmente!»
Se solo fosse un po’ più portato per
erbologia o un po’ più informato sui luoghi pericolosi di Hogwarts,
non sarebbe così veloce a dimenticare la vera natura di Loki e a
fidarsi di un suo gesto gentile. Invece non riesce a compiere
nemmeno un paio di metri, che uno dei pesanti rami nodosi
dell’albero si abbatte con violenza contro di lui, scagliandolo
lontano.
«Ops.» Loki riabbassa la mano con cui
l’ha attirato. «Quello deve aver fatto male» commenta sottovoce per
non indispettire il Platano.
Deve ricredersi, esiste eccome
qualcosa di più ridicolo!
Sorride, si rialza in piedi portando
sottobraccio il libro di Pozioni che gli ha fatto compagnia fino a
quel momento, e lascia Thor al suo destino.
Non va molto lontano.
Pochi minuti dopo, Thor è di nuovo
alle sue calcagna, con il mantello stropicciato, la divisa sporca di
terra, ma la solita maledetta testardaggine da asino che non capisce
mai quando è l’ora di darsi per vinto. È forse l’unica cosa in cui
si somigliano, un difetto che il biondo direbbe essere di famiglia;
ma Loki conosce la verità e “famiglia” per lui è una parola ormai
vuota.
Prima che possa sfuggirgli, il polso
gli viene intrappolato da una presa ferrea, che lo obbliga a
voltarsi, ritrovandosi faccia a faccia con lui.
«Si può sapere perché è fin
dall’inizio del Torneo che mi eviti?» gli domanda il grifondoro.
Loki sorride ma non lo guarda,
l’occhiata svia di lato, lontano dal volto serio del fratello.
«Perché non abbiamo niente da dirci e
perché non ho voglia di sentirti frignare per non essere stato
scelto dal Calice. Per quanto divertente, dopo un po’ diventa
patetico» dice, colpendo l’orgoglio con una stoccata di lingua e
veleno.
Thor però non vacilla, conosce Loki da
una vita ed è immune a quella sua lingua biforcuta. Sa come
afferrare la biscia per la testa ed impedire che lo morda.
«Sicuro non sia invece perché temi che
ti accusi di aver barato come tuo solito?»
«Giusto, invece del mio nome ci
sarebbe dovuto essere il tuo, non è così? Perché il figlio di Odino
è così degno.»
«Guarda che anche tu—»
«Grazie per la chiacchierata» taglia
corto il serpeverde, liberandosi con uno strattone. «Ci vediamo in
giro, ma se sono fortunato no.»
«Aspetta, non ti ho cercato per
litigare.» Per quanto Loki lo desideri, Thor non demorde. «Non
guardarmi con quegli occhi, Fratello, sono sincero. Ero venuto a
complimentarmi visto che non me ne hai mai dato occasione.»
«Molto bene. Allora complimentati.»
Forse sarebbe stato meglio continuare
a non dargliene modo: Thor spalanca le braccia e cala su di lui,
sollevandolo di peso in un abbraccio che lo stritola e gli toglie il
respiro.
«Cosa. Stai. Facendo.» Il tono
interrogativo perso nel sibilo.
«Ti sto esprimendo la mia gioia.»
«Mi stai spaccando le ossa, inetto!»
Il grifondoro ride di gusto e stringe
più forte, e perfino quando Loki lo colpisce con una ginocchiata
infantile che a poco serve contro i suoi muscoli, lo abbraccia e non
lo lascia.
Non ha la minima idea.
«Questo è per ringraziarti dello
scherzetto con il Platano, adesso siamo pari.»
Quando lo mette giù e se ne va, Loki
ha un motivo nuovo per odiarlo – Thor lo ha obbligato a indossare il
suo profumo sulla pelle e il suo calore intorno al cuore.
E non ha la minima idea dell’effetto
che gli fa.
⍣
Le mattine in Sala Grande sono
caotiche, piene di chiacchiere, tintinnii di posate e battiti d’ali.
Il giorno del Ballo del Ceppo non è da meno – con l’inizio delle
vacanze natalizie il Castello si è svuotato degli studenti del primo
e secondo anno, ma per tutti gli altri è un giorno speciale e il
soffitto incantato è pieno di gufi che lanciano pacchi pieni di
accessori dell’ultimo momento. Insieme a loro, un traffico aereo di
aeroplanini di pergamena incantata continua a volare (e a
precipitare) sulla testa di Bucky, qualcuno si affloscia tra le sue
mani una volta che la magia si estingue, altri invece finiscono
inesorabilmente nel suo bicchiere di succo di zucca o nella sua
colazione, ma in tutti è scritta la stessa cosa: “Ti prego, sii
il mio cavaliere stasera” con tanto di cuoricini finali o
l’impronta a rossetto di un bacio stampato su carta.
A meno di una manciata di ore
dall’inizio dei festeggiamenti, non ha ancora deciso chi portare a
quel maledetto Ballo. E in quanto Campione del Torneo è costretto a
partecipare e aprire le danze con gli altri otto.
Abbattuto, sospira accarezzando il
piccolo Alpine accoccolato sulle sue gambe.
«Era ora!» Dalla tavolata rosso-oro,
la voce di Stark si fa raggiante quando dalle finestre entrano due
grosse civette che trasportano un pacco su cui il suo cognome
risplende in eleganti lettere dorate.
«Finalmente i miei domestici si sono
dati una svegliata!» commenta afferrandolo.
Virginia Potts, che ha scambiato il
posto con Steve, per poter sedere alla tavolata dei Grifondoro, lo guarda
perplessa.
«Intendi dire elfi domestici.»
«No, intendo dire
domestici-domestici.» Risposta che solleva sguardi confusi anche
dalle tavolate vicino. «Ancora non vi è ancora arrivato il memo in
cui si diceva che la Torre Stark si trova a Babbanoland?»
Tra i suoi genitori, è sua madre
infatti la strega che gli ha trasmesso la magia, e suo padre il
babbano che ha saputo trarne vantaggio.
Senza perdere altro tempo, si alza e
si dirige dai tassorosso. Punta spedito Steve, che ha
preso posto accanto a Bucky, e sbatte il pacco davanti al compagno
di Casa, obbligandolo a liberare in fretta il passaggio.
«Cap, mi sei debitore e dopo questo mi
aspetto uno di quei biglietti raffinati di ringraziamento scritti a
mano o a punto croce, così come vuole il galateo!»
«Pure…» bisbiglia Bucky e questa volta
che Merlino lo assista, perché non è disposto a sopportare ancora la
vista di quei due insieme. Con un colpetto sul sedere del gattino
ordina: «Alpine attacca.»
«Cos’hai detto?» chiede allarmato
Steve.
La risposta è un cucciolo agguerrito
che si getta in avanti e balza ad artiglietti spianati e fauci
spalancate sul volto di Stark, contro cui scatena tutta la sua
minuscola ira pelosa. E Tony avrà pur sconfitto da solo una Creatura
Magica di livello XXXXX, ma questa è tutt’altra bestia!
«Ma che cazz… Barnes! Richiama il
Kraken! Richiama il Kraken!» urla il ragazzo.
A notare come Bucky non sembri avere
alcuna intenzione di fare qualcosa, è Steve a mettersi in mezzo:
allunga una mano e acciuffa il felino per la collottola,
allontanandolo dal compagno di Casa.
Lo sguardo che rifila a Bucky sa di
rimprovero; quello di Tony si gonfia d’irritazione: «Si può sapere
che diavolo ti è preso?! Odinson ha affatturato i tassorosso e ha
fatto di te il suo assassino personale?»
«Io non ho fatto niente» si lamenta
Thor.
«L’altro Thor!» ribatte Tony.
Dai tavoli serpeverde Loki finge di
non sentire, anche se gode del caos appena nato.
Bucky invece risponde senza enfasi.
«Scusa, mi è scivolato il gatto.»
«Sì, certo. E ora vuoi vedere come il
mio pugno scivola sulla tua faccia, Barnes?»
«Nello stesso modo in cui la tua bocca
è scivolata sul pacco di Steve?»
Quello è il momento in cui tutti i
nodi vengono al pettine. Un momento di stasi in cui Steve si guarda
stupidamente intorno, alla ricerca di pacchi e regali che invece di
quello di Stark dovrebbero avere il suo nome, ma che ovviamente non
trova.
Tony impallidisce, apre e chiude la
bocca, in preda a un reflusso gastrico.
Pepper lo guarda incredula, con una
mano sulle labbra.
E quando anche Steve realizza
cosa voglia dire la frase dell’amico, arrossisce di botto, scuote il
capo e getta le mani in avanti a negare ogni cosa.
«Stai parlando di quando eravamo sulle
scale? Ci hai visti? Hai frainteso! Non stavo… non mi stava… non
stavamo…»
Al suo imbarazzo gli viene in soccorso
Tony: «Ho la faccia di uno che succhia uccelli sulle scale, Barnes?»
«Dimmelo tu, Stark. Che diavolo ci
facevi lì in basso? Avevi perso uno degli orecchini che non
indossi?»
«Ah-ah, sei un comico nato.» Stende il
braccio, sbattendo più volte la mano sul pacco rimasto tra vassoi di
cibo, bicchieri e piatti stracolmi. «Stavo prendendo le misure di
Rogers! Quel Rocco Siffredi dei poveri non ha fatto altro che
lamentarsi per settimane di non avere l’abito adatto per il Ballo e
si vergognava ad andarci vestito come uno straccione CON TE!»
A quella rivelazione, l’intera Sala
Grande si volta a fissare Steve.
Un paio di ragazze tassorosso piangono
e fuggono via in corridoio.
All’improvviso tutto sembra più
chiaro, più logico, e se Bucky ripercorre con la mente quel
momento, riesce a ricordare di aver notato di sfuggita un metro da
sarta tra le mani di Stark.
Che stupido è stato.
«N-non lo sapevo…»
«Già, è per questo che non dovresti
lanciare gatti volanti in faccia alla gente! E, senza tralasciare il
particolare che la mia bocca appartiene solo a Pepper, – non può
vederla, ma dietro le dita Virginia nasconde un sorriso dolciastro – lo hai visto il suo “pacco”?» Mima
le virgolette con le dita. «Un affare del genere potrebbe
soffocarmi, come minimo l’hanno messo come Seconda Prova al Torneo,
e ti ricordo che io ho già dato!»
All’apice dell’imbarazzo, Steve sposta
una mano tra le gambe e si chiude nell’abbraccio del mantello.
«Avete finito di parlare di cose di
cui non sapete niente?» sibila piccato, rosso come i colori dello
stemma di grifondoro.
Tony nemmeno lo guarda. «Seah, come se
fosse roba nuova per il tuo amichetto del cuore.»
«Perché non dovrebbe?»
Lentamente, Tony si volta a fissarlo –
ha il volto pieno di piccoli taglietti, se quello di Barnes fosse
stato un gatto adulto gli avrebbe fatto davvero male, ma nonostante
l’istinto del serial killer in miniatura il danno è stato contenuto.
«Cioè, tu e gatto pazzo non…»
Lo sguardo confuso di Rogers gli
blocca la domanda in bocca.
«Per la miseria, Rogers! Per forza il
suo cervello perverso gli suggerisce male, con te uno fa tempo a
farsi venire le ragnatele!»
Dopo questa scoperta non ha la forza
di prendersela con il tassorosso, che al momento compatisce e non
invidia. Senza contare che in fondo ha raccolto ciò che ha seminato:
ha sempre dipinto il famiglio dell’amico come un Mangiamorte in
incognito aizzandolo contro Steve per puro divertimento, e oggi ne
ha pagato le conseguenze.
«Mi siete debitori a vita. Tutti e
due.»
Almeno tutto è bene quel che finisce
bene.
O quasi.
«Si può sapere chi è Rocco Siffredi?»
«Oh, Peter…»
⍣
«Ti fa ancora male?»
Pepper è bellissima nel suo abito blu
navy; tinteggiato di cristalli diamantini, è come se indossasse
l’intero firmamento questa sera. Con un sorriso morbido pizzica la
guancia liscia di Tony, completamente guarita dopo un giro in
infermeria.
Sotto un cielo magico da cui cadono
fiocchi di neve incantata, che a ogni contatto esplodono in polvere
d’argento, la conduce con sé in un lento, insieme agli altri otto
Campioni che come lui stanno aprendo le danze.
«Se ti dico di sì, mi dai un bacio
sulla bua?»
Stark scherza, ma la tassorosso gli
sorride e reclina il capo, baciandolo sulla guancia e poi sulle
labbra, con una morbidezza dolce che coglie di sorpresa perfino
Tony.
«È il tuo premio per essere stato così
romantico oggi.»
Non è sicuro di capire a cosa si
riferisca, ma chi è furbo, davanti ai baci di Pepper, non si fa
domande, chiude gli occhi e in quella bocca dipinta di rosso ci si
perde all’infinito.
Fili d’argento, nastri di seta e
campanelle di cristallo riempiono le pareti della Sala Grande,
mentre il pavimento si piastrella di lastre di vetro incantate, a
ricreare l’immagine di uno specchio d’acqua. A ogni passo si
allargano cerchi concentrici e di quando in quando intorno alle
gambe dei ragazzi si levano spruzzate di bolle azzurrine o piccoli
pesciolini d’acqua che circondano le coppie e scoppiano in una
colata di petali bianchi e blu.
Bucky non crede di essere mai stato
così felice come in questo momento, ballando tra le braccia di Steve
di fronte a tutto il Castello.
L’abito che Stark ha fatto cucire su
misura per lui è semplicemente perfetto, e anche se il grifondoro
si muove rigidamente, con la paura di rovinarlo, quando le sue mani
gli stringono la vita e si incrociano a quelle di Barnes, è come se
tutto fosse tornato al posto a cui appartiene.
«Mi dispiace che Tony ti abbia
obbligato ad accettare il mio invito davanti a tutti in Sala Grande»
gli bisbiglia Steve, all’orecchio.
Sapeva che le scuse non sarebbero
bastate con il grifondoro, ma Bucky sorride e pensa che dopotutto
Stark potrà anche essere un pessimo compagno, ma a modo suo sa
sempre come dimostrarsi un buon amico.
«È proprio vero, lo sai? Sei una
talpa, Stevie.»
Prima che il ragazzo apra la bocca,
Bucky gliela tappa e con un bacio conquista le sue labbra.
Di Steve conosce l’ostinazione, il
coraggio, il cuore grande e generoso. Conosce la sua luce e le sue
ombre, i suoi difetti e i suoi pregi, la sua magia e il suo
sangue.
Di Steve, ora, conosce anche il
sapore.
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