CASTIGATISSIMA DISCIPLINA

di Morgana_82
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Jasper bussò educatamente alla porta della propria camera da letto, sapendo che Alice e Edward erano ancora insieme, là dentro. Alice aprì la porta quasi all’istante, lo abbracciò e lo baciò con tenerezza, come se non si vedessero da settimane. 
Quando Alice si staccò da lui, Jasper si rivolse a Edward, che era rimasto seduto sul letto «Carlisle mi ha pregato di farti sapere che vorrebbe vederti nel suo studio» disse e vide Edward annuire. Sentì un fiotto di apprensione provenire dal fratello, il che era davvero inusuale, per lui. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma Alice gli mise una mano sulla spalla e lui uscì in silenzio. Andò in fondo al corridoio, bussò alla porta di Emmet e Rosalie e  recitò le stesse parole dette poco prima a Edward.
Poco dopo, furono tutti insieme nel corridoio. Si guardarono in silenzio. Rosalie scoccò a Edward uno sguardo avvelenato e lui emise un basso ringhio ferino in risposta. Emmett alzò gli occhi al cielo. 
«Dovreste smettere di comportarvi così» commentò Jasper «a Esme si spezza il cuore e…» .
«Piantala Jaz!» commentò duramente Emmett «è inutile che fai il superiore, perché è davvero solo per caso che non fossi con noi questa mattina quando abbiamo lottato, altrimenti probabilmente staresti per scendere di sotto insieme a noi. Quindi ringrazia la fortuna e fa’ silenzio».
Jasper alzò le mani, in segno di resa «volevo solo aiutare» disse «ma capisco che siate nervosi. Non vi trattengo oltre. Andate pure a godere delle amorevoli cure di Carlisle. Certamente lui riuscirà a farvi ragionare» portò due dita alla fronte mimando ironicamente un saluto militare.
«Vai al diavolo, Jasper», commentò Rosalie, acida, e si incamminò nel corridoio, «ci mancava solo che il soldato d’inverno, qui, si mettesse a fare dell’ironia» continuò, rivolta a nessuno in particolare. 
Mentre i suoi fratelli e Rosalie scendevano di sotto, con tutta la lentezza di qui erano capaci, evidentemente senza nessun desiderio di arrivare a destinazione, Jasper cinse le spalle di Alice «Carlisle vorrebbe che tu…»
«Sì, lo so. Ho visto me e Esme andare insieme a caccia stanotte. Cercherò di distrarla un po’, ma non sarà facile.»
 
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Entrarono nello studio silenziosi come ombre. Emmet per primo, seguito da Rosalie, ultimo Edward. Si fermarono davanti a Carlisle che stava in piedi, appoggiato con la schiena alla scrivania, le braccia conserte. Li guardò in silenzio, il viso senza espressione. Edward provò a leggere la sua mente, ma si rese conto che Carlisle stava pensando in latino, latino ecclesiastico, per giunta. Odiava quando lo faceva, perché gli rendeva praticamente impossibile leggergli i pensieri. Dovrò impararlo anche io, prima o poi. Erano decenni che se lo ripeteva, ma il latino gli era proprio detestabile. Lo era sempre stato, fin da quando era umano. Preferiva di gran lunga le lingue neolatine come l’italiano, il francese, lo spagnolo… lingue romantiche in cui leggere opere di grandi autori come Hugo, Manzoni, Cervantes, le lingue della musica e dell’opera lirica come Verdi, Puccini, Bizet. 
Pensò a quanto gli sarebbe piaciuto vedere queste grandi opere con Bella, quanto avrebbe amato poter leggere per lei tutti i suoi romanzi preferiti. Un moto di irritazione lo pervase. Avrebbe potuto essere con lei, in quel momento invece di essere nello studio di Carlisle ad attendere di ricevere un castigo così immeritato. Avrebbe dovuto essere con lei, anche solo per guardarla dormire dolcemente, per proteggere i suoi sogni così insondabili. Era affascinante aver finalmente incontrato qualcuno che fosse per lui così insondabile… una vera sfida. I suoi pensieri furono interrotti dal… silenzio. 
Erano in piedi, schierati come soldatini davanti a Carlisle da quasi un minuto e nessuno aveva ancora parlato. Il vampiro decano li osservava, facendo scorrere lo sguardo su di loro, a turno. Si aspettava che fossero loro a dire qualcosa? Normalmente, per un vampiro, l’attesa non è un problema. Un immortale può restare immobile anche per ore, giorni, senza far altro che esistere e riflettere. L’immortalità è lunga e l’attesa diventa come un altro organo, sotto la pelle. Ma, in quel caso, non era attesa, era suspance. Poiché tutti sapevano che di lì a poco qualcosa sarebbe dovuto succedere. La domanda era: tra quanto? Quanto avrebbe atteso Carlisle prima di fare… quello che aveva intenzione di fare? Perché non diceva nulla?
Fu Emmett a rompere per primo il silenzio, era quello che si annoiava più facilmente, tra loro «ci hai mandato a chiamare, Carl» disse con una certa tensione nella voce «probabilmente vorrai… ehm…. mettere in pratica il tuo proposito di…» non riuscì a finire la frase.
Carlisle continuava a rimuginare in latino “...quidquam, nisi suadente iusta et rationabil­i causa…” questo non era troppo difficile da capire, qualcosa a proposito di una giusta causa, ma era faticoso provare a tradurre mentre lui pensava così velocemente, riusciva a carpire solo poche parole e con il latino le singole parole non significano nulla, se slegate dal resto della frase.
«Sì Emmett. Vi ho mandato a chiamare perché, come dici tu, ho intenzione di mettere in pratica il mio “proposito”. Ossia, come impone la legge della Castigatissima Disciplina che è stata invocata, di amministrare un buon numero di frustate sulle vostre natiche da adolescenti impenitenti» Carlisle fece del suo meglio per non sorridere delle loro facce oltraggiate e imbarazzate. «Comunque, vorrei dirvi alcune cose, prima di cominciare» li guardò uno per uno negli occhi, lasciando che sostenessero il suo sguardo sereno. 
«Vi voglio bene» disse con fermezza «lo so che può suonare patetico e stucchevole» proseguì con un sorriso, in risposta alle loro facce confuse «ma non esistono altre parole per esprimere i miei sentimenti. Io vi voglio bene. A ciascuno di voi, in egual modo. Niente di quello che fate o che farete, potrà cambiare questo. Qualsiasi errore commetterete, qualsiasi azione sconsiderata, io vi vorrò sempre bene». 
«Se c’è una cosa che odio» sibilò Rosalie «è quando giochi a fare il buon padre di famiglia.»
«Non è un gioco per me, Rosalie. È ciò che sono. Provo l’amore di un padre per voi tre, che ho creato alla vita eterna e anche per Alice e Jasper, che hanno deciso di essere parte della mia vita, della nostra vita. Voi siete gli unici figli che potrò mai avere e io vi amo».
Lei abbassò gli occhi e guardò altrove, con un’espressione indecifrabile.
«Noi siamo una famiglia» continuò Carlisle «e il mio più intimo desiderio è che restiamo uniti. Non per l’eternità che abbiamo davanti, perché l’eternità è un tempo che solo Dio ha potere di comprendere. Ma, spero, per tutto il tempo in cui sarà possibile. Questo non vuol dire che vi fermerei, se decideste di seguire la vostra strada. Ma mi illudo che il vostro desiderio sia quello di restare» li guardò di nuovo con un sorriso triste «e che anche voi ricambiate il mio affetto» 
«Ma certo che lo ricambiamo, Carl», esclamò Emmett con trasporto «diglielo Rosalie!» lei non sollevò la testa «Eddie, almeno tu?» ma anche suo fratello, il quale notoriamente stravedeva per Carlisle, non disse nulla. Emmet sbuffò,  «beh, allora te lo dico io, se questi due ingrati non hanno il coraggio. Certo che ti vogliamo bene e sono sicuro che parlo a nome di tutti», guardò Rosalie e Edward, per vedere se volevano smentirlo, ma nessuno dei due disse nulla.
«Grazie Emmett», disse Carlisle con calore, «c’è un’altra cosa che vorrei dirvi: non lasciate che il rancore e l’odio penetrino in voi, perché tali sentimenti radicano facilmente nella nostra specie, molto più degli altri sentimenti, e generano fiori orribili. A differenza degli umani, il cui fuoco della vita arde e brucia tutto, rendendoli volubili e facili al cambiamento, per noi, che abbiamo perso quel fuoco e siamo freddi, è molto difficile cambiare. Ho visto molte volte l’odio insinuarsi nella mente degli immortali, così come la rabbia e il risentimento che, covati per secoli, diventano un veleno da cui è impossibile disintossicarsi. Una eternità di odio, credetemi, non può essere una bella eternità.» Carlisle rimase in silenzio, guardando i propri figli. Avevano tutti la testa bassa, e provò per loro un’infinita tenerezza e compassione e dovette reprimere l’impulso di abbracciarli. Non era ancora il momento del conforto, quello sarebbe venuto dopo. 
Vi fu un altro lungo silenzio, poi Edward parlò «mi rendo conto che tutto questo è colpa mia, non volevo scatenare una crisi nella nostra famiglia, anche se sapevo che il mio interesse per Bella avrebbe suscitato dei dissensi. Comunque, non intendo rinunciare a lei, quindi» fece uno spavaldo passo avanti «sono pronto ad assumermi la responsabilità di tutto, Carlisle. Me ne andrò… lascerò il la congrega e…» 
«Patetico idiota» sbottò Rosalie con voce tagliente. 
Edward la guardò esasperato «perché devi essere sempre così st… antipatica? Se non te ne sei accorta, stavo cercando di mettere a posto le cose in modo che voi possiate vivere in pace».
«Bugiardo, oltre che idiota» la voce di Rosalie era carica di disgusto.
«Come ti permetti?» sbottò Edward, la cui irritazione stava di nuovo crescent
«Ecco che ricominciano» mormorò sconsolato Emmett. 
Rosalie lo ignorò e continuò a incalzare Edward, «a me non la dai a bere, ok? Stai  solo facendo la parte della vittima, perché sai benissimo che appena ti metti a recitare queste stronzate da eroe tragico, tutti ti perdoneranno. Furati… immagina Esme se anche tu solo minacciassi di andartene… uscirebbe di testa e, ovviamente, incolperebbe me di tutto. Come se fossi stata io a rompere ogni regola che i vampiri abbiano mai avuto. Ma a te non frega un cazzo di tutto questo. Pensi solo a quella tua puttana umana».
Edward ringhiò ferocemente a quelle parole «sai cosa, magari è colpa tua. Sei tu che hai montato tutto questo caso su chi io dovrei o non dovrei frequentare. Sei tu che porti sempre problemi in questa famiglia e tutti devono sempre essere pronti a rimediare ai tuoi casini. Proprio tu, che non hai mai voluto essere una di noi. Verrebbe da pensare se non sia meglio che te ne vada tu, anziché io. Tanto lo sappiamo tutti che Carlisle ti ha creato per sbaglio, e tu hai sempre detto che sarebbe stato meglio se fossi morta quel giorno. Beh, hai ragione: staremmo tutti meglio adesso.»
«Basta così, Edward!» la voce di Carlisle suonò come una sferza, «queste parole non sono degne di te, sono veramente allibito. Nessuno qui va da nessuna parte. E nessuno si prende la colpa di niente. Invece, ciascuno di voi si assume la responsabilità per le proprie azioni e parole».
Si staccò con veemenza dalla scrivania e la aggirò, aprì  una scatola di legno chiaro, che era appoggiata sul ripiano di cuoio verde, e che fino a quel momento era passata inosservata. Ne estrasse la frusta di Ulrich e la stese tra le mani, saggiandola. 
«Edward, vieni davanti alla scrivania» lo invitò Carlisle con fermezza e iniziò ad arrotolare la manica del dolcevita, lasciando libero l’avambraccio color avorio fino al gomito. 
Edward sentì una stretta dalle parti dello stomaco, una sensazione strana e sgradevole  «ti prego, Carlisle, non possiamo parlarne?» implorò.
«Oh, adesso vuoi parlare? Adesso che le tue terga sono sulla linea di tiro? Bizzarro…perché meno di un’ora fa tu stesso hai invocato il diritto di usare questa frusta contro tua sorella. Avevo davvero sperato che ascoltaste ragione e che potessimo risolvere tutto parlando come persone civili, ma pare abbiate dimenticato come si fa. Avete provato a forzarmi la mano e avete pensato che la vendetta vi avrebbe dato soddisfazione. Beh, vedremo se sarà così. Vedremo se veder soffrire gli altri sarà così soddisfacente. Ora, obbedisci Edward. Alla scrivania»
Edward si rese conto che implorare Carlisle in quel momento sarebbe stato inutile. Aveva desciso di tenere il punto e se c’era qualcuno in grado di mantenere fede ai propri propositi… beh, quello era lui. Quindi non trovò altra soluzione che obbedire, i suoi piedi pesanti a ogni passo.
«Giù i pantaloni», disse Carlisle quando Edward raggiunse la scrivania.
 «Che cosa??» chiese Edward inorridito. Ebbe l'impulso di per mandare Carlisle a quel paese, e forse avrebbe quasi riso se non si fosse sentito così umiliato. Come si era potuti arrivare a questo? Era tutto pazzesco. Certo, poteva sempre rifiutarsi di sottomettersi a questa assurdità, ma poi? Avrebbe sfidato Carlisle? Follia. Non poteva. Non lui… Dopotutto, era davvero un cocco di papà, anche se odiava ammetterlo. E Carlisle aveva sempre avuto ragione, secondo la sua esperienza, quindi... se Carlisle voleva frustarlo o qualsiasi altra cosa, probabilmente aveva le sue buone ragioni e non voleva discutere con lui. Non voleva deluderlo. Non di nuovo. In fondo, sapeva di essersi comportato da idiota con Rosalie. Non avrebbe dovuto cedere alle sue provocazioni. Ma lei era sempre capace di fargli perdere il controllo «Loro devono proprio stare guardare?» fu l’unica cosa che ebbe il coraggio di chiedere.
«Sì» rispose Carlisle, impassibile.
Senza aggiungere altro, Edward si slacciò i jeans, che caddero frusciando alle caviglie. 
«Anche i boxer, poi poggia le mani sulla scrivania. Ti prego di ricordare che è antica, quindi cerca di non distruggermela». 
Emmett emise un fischio divertito, quando il fratello denudò le natiche bianche, ma Carlisle gli fece un cenno di ammonimento che gli fece morire il sorriso sulle labbra. 
«È la cosa più umiliante che abbia mai dovuto subire in cent’anni di vita» disse Edward.  
«La vita è una lunga lezione d'umiltà», disse Carlisle, compassato. 
«L’ha detto Sant’Agostino?»
«J. M. Barrie, l’autore di Peter Pan. Mi sembra appropriato dato che, nonostante la vostra veneranda età, continuate a comportarvi da bambini litigiosi». 
Edward non disse altro. Appoggiò i palmi sulla scrivania guardando dritto davanti a sé, ma percepiva ogni movimento alle sue spalle, ed era dolorosamente cosciente dei pensieri di Emmet e Rosalie, che lo osservavano in quella posizione così esposta, così vulnerabile. Lo detestava. Avrebbe voluto gridare e ringhiare, rivestirsi e sparire oltre la porta. Ma non poteva. Carlisle lo aveva ordinato, con quella sua voce calma e ferma, così ragionevole. Si aspettava di essere obbedito. E lui desiderava ardentemente la sua approvazione. Non poteva deluderlo. Non di nuovo. Sapeva di aver agito male, con Rosalie. Sapeva che non avrebbe dovuto cedere alle sue provocazioni. Ma non aveva mai saputo contenere la rabbia, non poteva farci niente.
Percepì Carlisle posizionarsi alla sua sinistra, e sentì la sua mano fredda e dura posizionarsi sulla parte bassa della schiena, in un gesto che gli parve rassicurante. Nell’altra, Carlisle impugnava saldamente il manico della frusta. 
«Rosalie» disse Carlisle, lei trasalì sentendo il proprio nome, staccò gli occhi dalla frusta e lo guardò con aria preoccupata, «dovrai contare i colpi» le disse «ad alta voce. Se perdi il conto, si ricomincia da capo». 
Lei sgranò gli occhi «perché io?» protestò. 
«Sei stata tu a invocare la legge della disciplina. Dunque è una tua responsabilità. Ricordami, quale pena avevo comminato per Edward?»
«Carlisle, ti prego…» supplicò Rosalie. Lui la guardò impassibile.
L’espressione di Rosalie si appiattì, il suo viso non mostrava più alcuna emozione «cento frustate per il litigio con Emmett di stamattina. Cento per aver rischiato di essere scoperto, quando ha salvato la vita della sua umana, e altre dieci frustate per avermi chiamato Stronza. Duecentodieci, in totale», mormorò in un sussurro piatto, appena udibile. Carlisle annuì e si rivolse di nuovo al suo primogenito, che fece del suo meglio per non sembrare preoccupato. Carlisle alzò il braccio. La frusta sibilò e il primo colpo impattò  con uno schiocco sulla parte alta natiche di Edward. 
«Uno», contò Rosalie debolmente.
Edward sgranò gli occhi e dopo un attimo schizzò in piedi, incredulo. «Ehi, ma fa male!»
Carlisle sollevò un sopracciglio «che cosa ti aspettavi da uno strumento che si chiama “castigatissima disciplina”? E questa che ho io è una versione più piccola e gentile di quella originale, sappi che ho visto vampiri millenari invocare la morte, pur di interrompere il supplizio... Adesso torna giù, se lasci ancora la posizione, beh… non farlo».
Deglutendo a vuoto, Edward tornò a posizionare le mani della scrivania, poteva sentire sotto i palmi il più piccolo dettaglio della superficie, ogni venatura cuoio di cui era rivestita. Curioso come la sua pelle potesse essere così sensibile a qualsiasi sollecitazione dell’ambiente eppure così resistente. Almeno, aveva sempre ritenuto che la sua pelle fosse molto resistente. Salvo che, in quel momento, avrebbe voluto non avercela affatto la pelle. Se il primo colpo era stato una spiacevole e bruciante sorpresa, sospettava che i restanti duecentonove, sarebbero stati una vera ordalia.
Il secondo colpo atterrò perfettamente parallelo al primo, appena un millimetro sotto, con una precisione chirurgica. La sensazione di bruciore si intensificò, ma era ancora sopportabile.
«Due» contò Rosalie.
Carlisle cominciò a far cadere la frusta a ritmo rapido e cadenzato, come una lancetta dei secondi, imprimendo una certa forza, in modo che il veleno contenuto nella frusta penetrasse a fondo.
«Tre. Quattro. Cinque…» la voce di Rosalie era atona.
Edward cercò di mantenere un certo contegno. Sobbalzava leggermente, a tratti, per una sferzata particolarmente violenta, ma teneva la posizione e non si lamentava. Mascelle strette e le labbra serrate. Costringendosi ad ascoltare la voce di Rosalie che continuava contare, come se stesse passando i prodotti alla cassa del supermercato.
La cinquantesima frustata cade a metà delle cosce e Edward strinse un pugno e chiuse gli occhi. Tutta la parte bassa del suo corpo, dai fianchi alle gambe stava bruciando dannatamente, ed erano appena a un quarto della corsa. 
Carlisle si fermò un momento, per osservare suo figlio e controllare le sue condizioni. Poi, alzò nuovamente il braccio e riprese il proprio compito con metodica precisione. 
La cinquantunesima frustata si sovrappose precisamente alla prima e, a quel punto, Edward poté sentire il colpo dieci volte più forte. Emise un leggerò sbuffo. 
La cinquantaduesima cadde precisamente dove era caduta la seconda e così via. Alla settantacinquesima frustata, gli sfuggì un gemito e si morse le labbra. 
«Nessuno penserà male di te, se darai voce al dolore. Puoi lasciarti andare, figliolo»
Edward scosse la testa. Non voleva che Emmett e Rosalie lo vedessero lamentarsi come un bambino. Strinse le labbra ancora di più.
Quando Rosalie contò il centesimo colpo, però, che si abbatté a metà delle cosce, precisamente sopra al cinquantesimo, non poté fare a meno di emettere un grugnito. Gli bruciava tutto, provò l’impulso irrefrenabile di passarsi una mano sulla pelle ingiuriata delle natiche e delle cosce, per essere sicuro che fosse ancora intatta. Nella sua vita di vampiro, non aveva mai sperimentato niente di simile. Il dolore fisico non faceva più parte della sua vita da molto tempo.
Carlisle gli posò una mano sulla testa «Siamo a metà strada, figliolo». Come poteva essere così calmo e gentile, senza nemmeno un accenno di rabbia, mentre gli infliggeva un castigo così duro? Annuì ma non disse nulla, non si fidava della propria voce, in quel momento. Con la coda dell’occhio vide Carlisle addentare il manico della frusta e capì che la seconda metà sarebbe stata la più difficile. 
Il colpo, di nuovo, si sovrappose precisamente al primo e al cinquantunesimo. 
«Centouno» mormorò Rosalie.
Stavolta la sferzata gli strappò un lamento. Gli sembrò che la pelle fosse stata scorticata via. Non riuscì a fermare la mano destra, che corse a coprire il punto in cui era stato colpito, inarcò la schiena e puntellò il gomito sinistro sulla scrivania, le sue ginocchia si piegarono leggermente. 
«Torna in posizione» ordinò Carlisle. 
Lentamente, Edward rimise le mani sulla scrivania, ma non riuscì più a rimanere in silenzio. Ogni frustata gli stappava un lamento, probabilmente se avesse potuto piangere, lo avrebbe fatto. Al colpo centoventicinque, che sferzò il centro esatto delle natiche, scattò in piedi e  si voltò a fronteggiare Carlisle. 
«Basta, ti prego», disse in tono molto vicino alla supplica. Vide gli occhi di Carlisle esitare appena un momento, ma poi la determinazione ebbe il sopravvento. 
«In posizione, Edward. Questa è l’ultima volta che te lo dico».
Per una frazione di secondo, nel petto di Edward montò un ringhio di rabbia e frustrazione, quasi come se avesse intenzione di rispondere “no”. Ma fu un attimo fugace. Lo sguardo addolorato e determinato di suo padre, non ammetteva alcuna sfida. Così torno a posizionare i pali sulla scrivania. "Credevo che sarebbe stato brutto. Ma non così brutto". 
«Centodue» contò Rosalie.
 La sferzata lo fece strillare e senza pensarci si tirò in piedi, per coprirsi il sedere con le mani.
Percepì appena il movimento di Carlisle che gli avvolgeva il braccio intorno alla vita e lo trascinava giù, il gomito piantato tra le sue scapole. 
In un attimo si trovò con il petto schiacciato sulla scrivania e il ventre appoggiato sulla coscia di Carlisle che si era seduto sul bordo della scrivania. 
Le frustate tornarono a piovere più rapidamente, anche se con meno potenza, ora Edward non poteva alzarsi, ma questo non gli  impedì di inizare a scalciare. Tanto che dopo una decina di colpi Carlisle dovette immobilizzargli le gambe con una delle sue e piegargli un braccio dietro la schiena. Emmett distolse lo sguardo, e incrociò le braccia sul petto. 
Edward avrebbe desiderato davvero di poter piangere. Non sapeva come altro poter sfogare tutto quello che stava succedendo dentro di lui. «Basta Carlisle, perdonami ti prego!» a quel punto non gli importava più niente di Emmett e Rosalie. Desiderava solo che quella dannata frusta smettesse di azzannargli la carne. 
Emmett distolse lo sguardo e incrociò le braccia al petto «Ti prego Carlisle, abbi pietà» mormorò.
«Basta, basta, BASTA!» 
I colpi si fermarono all’improvviso. Non era stato Edward a implorare, stavolta, ma Rosalie.
«Mi dispiace, Carlisle» disse lei, disperata «è tutta colpa mia, solo colpa mia. Ma basta, ti prego, ti supplico, lascialo stare. Se devi punire qualcuno, punisci me».
Pur se offuscato dalle fiamme che gli attanagliavano tutta la parte bassa del corpo, Edward poté percepire un lieve cambiamento nella tensione muscolare di Carlisle, il cui corpo era praticamente attaccato al suo. 
Il vampiro più anziano la guardò per qualche momento, la frusta ferma a metà del movimento.
«Qual è il conteggio?» le chiese con una freddezza da cui trapelavano mille emozioni diverse.
«Ti prego…» supplicò lei. Emmet le si fece vicino e le mise le mani sulle spalle.
«Ti avevo dato un compito, Rosalie. Se hai perso il conto, dovrò ricominciare da capo».
«Centoquarantasette», rispose lei rapidamente «ma adesso lascialo stare, per favore. Posso prendere io il resto della sua punizione. Raddoppiata, se vuoi, triplicata. Ma non fargli più male. Ti prego». 
Edward rimase stupefatto dal rendersi conto che Rosalie era sincera, poteva leggere nei suoi pensieri che era davvero addolorata. Era disposta a prendere su di sé una parte del dolore destinato a lui, pur di risparmiargli altra sofferenza. Possibile che Rosalie provasse per lui tali sentimenti? 
Carlisle lasciò andare la presa su Edward, che comunque rimase prono sulla scrivania, scosso a tratti da qualche tremito. Il vampiro anziano appoggiò sul proprio fianco la mano che teneva la frusta «tu che cosa ne dici Edward? Accetteresti che Rosalie prendesse il resto delle frustate destinate a te?» gli chiese, guardando la nuca di suo figlio.
«No, non lo accetterei» rispose Edward, con un leggero tremito nella voce, senza alzare la testa «… non ho bisogno del suo aiuto».
«Grande malizia è la superbia e la prima malizia, inizio e origine, causa di tutti i peccati» commentò Rosalie con voce fredda, appena incrinata dallo sfogo emotivo di pochi istanti prima. «Non mi guardate così» aggiunse, constatando gli sguardi sbalorditi degli altri presenti «sarò anche bionda, ma non sono stupida. So contare fino a cento e so anche citare i discorsi Sant’Agostino. Non è che ci sia molto altro da leggere, in questa casa, a parte trattati di filosofia, di medicina e di teologia» concluse, quasi come per giustificarsi.
«Non sto facendo il superbo» protestò Edward «direi che sarebbe piuttosto difficile data la mia… posizione attuale» si contorse leggermente ed emise un sibilo di dolore, la parte bassa del corpo in preda alle fiamme. Nonostante si fosse sforzato di rimanere impassibile, Carlisle non poté fare a meno di ridacchiare. 
«Mi detesti così tanto, allora? Vorresti davvero liberarti di me? Se è così dillo e me ne andrò, ti lascerò campo libero per la tua nuova compagna» disse Rosalie, la voce appena sussurrata.
Edward non rispose e si chiuse in un ostinato silenzio. Poteva leggere i suoi pensieri e si rese conto che, in quel momento, avrebbe avuto il potere di farla allontanare dal Clan, se avesse voluto. Aveva potere su di lei. Ma lo voleva? Per quanto fosse odiosa, per quanto fossero soliti azzannarsi a vicenda verbalmente o ignorarsi, nel migliore dei casi, si rese conto che non avrebbe potuto immaginare la famiglia Cullen senza Rosalie. 
«Tua sorella ti ha fatto una domanda» disse Carlisle con tono ammonitore «sarebbe educato se tu  le rispondessi». 
Edward continuò a restare in silenzio, fino a quando sentì uno schiocco e un lampo bruciante sulle natiche già doloranti. Ci mise qualche frazione di secondo per rendersi conto che Carlisle gli aveva assetato una sonora sculacciata. 
«Ecco, se pensavo di aver raggiunto il fondo dell’umiliazione…» commentò Edward con la voce che  conteneva un ringhio di frustrazione.
«Ti assicuro che siamo ben lontani dal fondo» commentò Carlisle, «adesso rispondi a Rosalie, o ne ho pronte un'altra decina che ti farà rimpiangere la frusta».
«Che cosa dovrei risponderle? No, che non ti detesto, Rosalie. E non vorrei davvero che tu te ne andassi, per quanto odi ammetterlo, sei pur sempre mia sorella. Ho detto che quelle cose crudeli perché so benissimo che ti avrebbero ferito a morte. Mi sono comportato da stronzo, con te, come tu ti sei comportata da stronza con me. Quindi lascia che Carlisle faccia quel che deve fare, dato che me lo merito. Comunque… ti ringrazio. Davvero. So che sei sincera. Non immaginavo che saresti stata disposta davvero a sacrificarti per me».
«Ok, Edward. Puoi alzarti» disse Carlisle con un sospiro.
«Cosa?» chiese Edward sorpreso.
«Ho detto che puoi alzarti, penso che per il momento il tuo castigo sia stato sufficiente».
Edward si sollevò, lentamente e emettendo sibili e gemiti a ogni movimento. 
«Piano, piano» gli disse Carlisle, sorreggendolo per le braccia «adesso rivestiti e ricomponiti» e si allontanò da lui, per concedergli un minimo di privacy.
Con lentezza e con sofferenza, Edward fece risalire i vestiti al proprio posto, azione che, probabilmente, era parte stessa del castigo, poiché il contatto con i tessuti gli risultava pressoché insopportabile. Tutta la pelle, dalle natiche a metà delle cosce tirava e gli sembrava raggrinzirsi, come se fosse una fetta di manzo messa a sfrigolare in padella.
«Dato che mi sembra si sia ristabilita una certa empatia reciproca» la voce di Carlisle sembrava d’un tratto più leggera, «vorrei che facessimo tutti un passo indietro, e riprendessimo la conversazione da dove le cose hanno iniziato a degenerare, ok? Prima che diciate qualcosa di cui potreste pentirvi, vi comunico che nessuno è ancora fuori dai guai. Questa» sollevò davanti al loro naso la frusta che teneva arrotolata in mano «non ha ancora finito di lavorare, per stanotte. Ma… avete l'opportunità di mi convincermi a farla lavorare meno di quel che avevo previsto, non la sprecate. Anche tu, giovanotto» disse a Edward «una sola parola sbagliata e ritorni dritto la sopra con le chiappe al vento, a prenderti tutte quelle che non ti ho dato. Chiaro?» 
Edward si portò una mano sul didietro e fece una smorfia.  Rosalie roteò gli occhi e sembrò sul punto di dire qualcosa, ma Emmett la anticipò «Chiarissimo» disse, «E penso che siamo pronti a dire qualsiasi cosa tu voglia, anche in aramaico antico pur di uscire da questa situazione» sorrise. 
Ma Carlisle non sembrò compiaciuto dal suo tentativo di umorismo «forza, allora» li esortò serio  «mi aspetto solo parole civili e ragionevoli, in qualunque lingua vogliate». 
Rosalie si fece avanti, schiarendosi la gola «tocca a me, penso. Questa mattina ho istigato volontariamente Edward e l’ho pungolato con pensieri crudeli sulla sua umana, un po’ come ha fatto lui con me, prima. Sapevo che l'avrei ferito e desideravo farlo. Desideravo che mi aggredisse e che magari mi ferisse, per poterlo accusare di essere fuori di testa. Per ledere la sua credibilità agli occhi degli altri. Perché sono convinta che la sua capacità di giudizio sia completamente offuscata, a causa di quella… Santa Vergine dei Capuleti
«Calma, piccola», le disse piano Emmett «mantieni la calma»
Lei gli si fece vicino, come per cercare la sua protezione, «È solo che… ho davvero paura»
«Di che cosa hai paura, Rose?» chiese Carlisle
«Che gli importi più lei che di… noi. E poi, Carlisle…» Rosalie osò guardare negli occhi Carlisle, che nel frattempo era rimasto appoggiato alla scrivania, in silenzioso ascolto. «Davvero non vedi quale sarà il vero epilogo di questa storia tra un vampiro e un’umana? Non devo essere Alice per sapere che cosa succederà a quella ragazza e io… io farò di tutto per impedirlo, se posso. Mi dispiace» disse con voce incerta, quasi triste «desidero proteggere la mia famiglia e anche una vita umana». 
Rimasero tutti in silenzio. Rosalie e Carlisle si guardarono a lungo e Edward, leggendo le loro menti, quasi credette che quei due fossero capaci di leggersi reciprocamente nel pensiero. Si passò la mano tra i capelli, la postura rigida per via del dolore, «non permetterò che a Bella succeda nulla che vada contro i suoi interessi, Rosalie. Te lo assicuro. Io la amo e capisco che cosa vuoi dire… sono ancora più addolorato di averti detto quelle cose orribili, prima. Ma la verità è che sono un meschino egoista e invidioso. Non posso immaginare di lasciarla andare… anche se so che cosa questo potrebbe comportare per lei. Io sono stanco di invidiare quello che avete voi, gli uni per gli altri. Qualcosa che io non sapevo nemmeno di poter desiderare, prima di incontrare Bella» proseguì Edward, «Mi dispiace, Rosalie so che tu desideri solo proteggerci, per quanto lo dimostri in modi… fantasiosi» le sorrise debolmente e lei ricambiò, con tristezza.
«Ottimo!» esclamò Emmett, con entusiasmo battendo le mani. «Davvero ottimo. Adesso è tutto sistemato giusto? Abbiamo fatto pace, e ci siamo chiariti. Questo chiude la questione, vero Carlisle?» 
«Temo di no» rispose tristemente il vampiro più anziano. 
«Cosa?» esclamò Emmett «ma dai. Hai visto, no? Rosalie e Edward vanno d’amore e d’accordo, proprio come bravi fratelli. Una roba che non si era mai vista prima. Anche io e Eddy ci vogliamo bene» passò un braccio attorno alle spalle di Edward e lo strinse, facendolo sussultare «siamo di nuovo una grande famiglia felice. Non è quello che volevi?»
«Sono molto fiero di voi» ammise Carlisle «ciò nonostante, come ho detto, non siete ancora fuori dai guai. Anzi, tu sei il prossimo della lista».
«Ma perché?» Protestò Emmett.
«L’aver staccato un braccio a tuo fratello non ti sembra una ragione sufficiente? E comunque non sarebbe giusto nei confronti di Edward, dato che lui ha avuto la sua parte».
«Beh, immagino tu abbia ragione…» ammise Emmett con una smorfia.
«Ma non m’importa io…» intervenne Edward ma Emmett lo interruppe. 
ammise con una smorfia.
«Comunque» aggiunse Carlisle «dato che mi sembra che la lezione sia almeno parzialmente assimilata, credo di potervi decurtare la pena» la sua espressione era tornata dura e ferma «Rosalie, quale era la pena comminata per Emmett?». 
«Cento» rispose lei.
«Possiamo scendere a sessanta. Emmett, alla scrivania. Stessa procedura di Edward. Rosalie, dovrai contare di nuovo».
«Carlisle non puoi farmi questo, ti prego» implorò Rosalie.
«Tranquilla, piccola», la rassicurò Emmett «sarà uno scherzo… Non pensare al piccolo Eddy, qui. Adesso vedrai come la prende un vero uomo» le mise la bocca vicino all’orecchio e le disse qualcosa sussurrando talmente piano da essere inudibile. Edward lo sentì comunque, leggendo i pensieri di Emmett e si mise le mani davanti agli occhi, sperando di scacciare l’immagine estremamente sconcia che gli si era creata nella mente. 
Rosalie annuì, ma era evidentemente angosciata. 
Senza indugio, Emmett si denudò dalla vita in giù, esponendo glutei rotondi e sodi e gambe muscolose come quelle di un giovane toro. Pose le mani sulla scrivania e fissò dritto davanti a sé.
«Forza Carl, fai del tuo peggio».
Carlisle lo fissò con sguardo preoccupato. Avrebbe voluto dirgli che quella non era una sfida e che il suo scopo non era di spezzarlo, ma Emmett era fatto così. Prendeva tutto come una sfida. Certo, tra tutti e tre, lui era il meno colpevole. Si  era solo trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato e stava cercando ancora di proteggere Rosalie. Ciò nonostante, non poteva permettergli di prendere quell’esperienza sotto gamba, aveva bisogno che anche lui ne fosse, in qualche modo, segnato. Morse di nuovo il manico della frusta e vi iniettò una dose supplementare di veleno. Suo malgrado, avrebbe dovuto fare davvero del suo peggio. 
In effetti, Emmett prese le prime venti frustate con una ammirevole stoicità. Carlisle aveva distanziato i colpi, dato che erano un minor numero, per coprire l’intera porzione dei glutei e delle cosce. Eppure, quando il colpo ventuno si abbatté nel solco della frustata numero uno, i suoi occhi si dilatarono e vi fu un evidente contrazione dei muscoli della schiena. Le successive dieci lo portarono ad agitarsi sulle gambe, quasi come se volesse battere i piedi. Le ultime nove lo fecero grugnire leggermente. E la voce di Rosalie, che contava in un sussurro udibile appena, si fece ancora più debole. 
Anche Carlisle era emotivamente spossato, nonostante non mostrasse alcun segno esteriormente, vedere i propri figli soffrire quel modo, a causa della sua stessa mano, lo distruggeva. Quantunque  fosse consapevole che lo stava realmente facendo per il loro bene. 
Strinse i denti e si fece forza. Doveva arrivare fino in fondo, ormai. Non poteva tirarsi indietro o sarebbe stato tutto inutile. Avrebbero sofferto senza motivo.
Si avvicinò a Emmett e gli mise una mano sulla spalla, era teso come un blocco di marmo. «Coraggio», gli disse «adesso farà male». Lui annuì in silenzio, senza distogliere gli occhi dal punto indefinito che stava osservando. 
Carlisle diede un altro morso al manico della frusta e iniziò la terza raffica. Stavolta, sulla pelle di Emmett si formò un lieve segni bianco, dove la frusta lo colpiva. 
«Quarantuno» bisbigliò Rosalie
Emmett ringhiò come un orso inferocito. 
«Quarantadue»
Il ringhio si trasformò in un lamento e il giovane vampiro bruno sollevò un pugno staccando la mano dalla scrivania.
«Quarantatré. Quarantaquattro. Quarantacinque»
Carlisle ne calò tre in rapida successione e la testa di Emmett scattò all’indietro, la sua schiena si inarcò. 
Rosalie emise un suono strozzato «Carlisle…» iniziò, ma Emmett la bloccò con un cenno della mano. 
«Tranquilla piccola» le disse con  la voce affogata in un ringhio inespresso «va tutto bene».
Edward sobbalzava a ogni colpo, il sibilo della frusta gli faceva venir voglia di coprirsi le orecchie, gli sembrava di sentirla ancora sulla propria pelle. 
Carlisle mise una mano sulla spalla di Emmett «stai andando molto bene ragazzone, è quasi finita, ok?» Emmett annuì, la faccia tirata e tesa, gli occhi che lanciavano fiamme. 
Le successive cinque frustate gli strapparono altrettanti lamenti soffocati e lasciarono sulla pelle cinque solchi bianchi. 
«Cinquanta» disse Rosalie.
A cinquantacinque Emmett gridò. A sessanta cadde in ginocchio, tremante. 
Carlisle lasciò cadere a terra la frusta e si passò una mano le mani sulla faccia e tra i capelli, anche lui stava tremando. Rosalie gli scoccò uno sguardo indecifrabile e si precipitò al fianco del proprio compagno, accarezzandogli i capelli e sussurrandogli all’orecchio.
Anche Carlisle, dopo aver recuperato un minimo di controllo, si avvicinò a Emmett, ancora in ginocchio, una mano aggrappata alla scrivania e l’altra puntata per terra, gli posò una mano sulla testa «ce la fai ad alzarti?» gli chiese con dolcezza. Emmett annuì e si sollevò con cautela. Si rivestì, facendo qualche smorfia mentre il tessuto strusciava sulla pelle.  
Carlisle gli tenne una mano sulla spalla e incontrò il suo sguardo. Emmett sogghignò debolmente «poi mi dirai dove hai imparato a usare quell’affare così dannatamente bene?» gli chiese.
Carlisle sorrise a sua volta «sì, credo che tu ti sia guadagnato questa storia. Sono molto fiero di te». Il giovane vampiro bruno sorrise con maggior convinzione. 
«Adesso perché tu e Edward non andate di sopra? Probabilmente avrete voglia di sdraiarvi. Vorrei concludere la mia conversazione con Rosalie in privato».
Il volto di Emmett si indurì e il suo corpo si tese. 
Carlisle lo guardò dritto negli occhi «sarà al sicuro, te lo prometto».
Rosalie strinse il braccio del proprio compagno «vai, piccolo. Non ti preoccupare» lo rassicurò «se mi sentirai strillare troppo forte, potrai sempre venire giù a staccare la testa a Carlisle, giusto?» Lui ghignò. Le diede un bacio e annuì. 
 
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Jasper sollevò gli occhi dal suo libro e osservò Edward e Emmett attraversare il salotto «Vi ha messo sotto un treno?» gli chiese «avete un aspetto orribile».
«Essere messi sotto da un treno avrebbe fatto meno male» commentò Emmett «Cristo, che esperienza orribile, ho le chiappe in fiamme. Vado a sdraiarmi in camera tua, Ed.»
«Cosa? E perché?» protestò Edward.
«Perché la mia stanza è un macello» rispose Emmett «Rosalie ha squarciato il materasso».
«E io dove vado, scusa?» Chiese Edward. 
«Al diavolo» rispose Emmett laconico, e si avviò con andatura rigida verso il piano di sopra. Edward non ebbe il coraggio di ribattere, non era nelle condizioni di affrontare alcuno scontro con Emmett, nemmeno verbale. Si sentiva prosciugato, come se la caccia di quella mattina non fosse servita a nulla.
«Puoi sdraiarti in camera nostra se vuoi, Edward» gli disse Jasper, con torno cortese «sembra davvero che tu ne abbia bisogno. Io comunque resterò qui fino a quando non sarà tutto finito»
«Fai la guardia alla Barriera, Jon Snow?» 
Jasper sogghigno «qualcosa del genere».
«In tal caso, credo che accetterò la tua offerta. Stare in piedi è davvero un’agonia» disse Edward e si avviò anche lui verso le scale.
«Ti serve aiuto?» Chiese Jasper.
«No, sono a posto. Grazie» disse Edward «tu bada che Bruti ed Estranei non si ammazzino a vicenda, lì dentro».
 
 




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