(I'm not) His Babysetter
Disclaimer:
Haikyuu!!
non mi appartiene e da questa storia non ci ricavo neanche uno
zellino.
E’
una BokuAka,
ma
ovviamente ci sono dei
riferimenti KuroTsuki
perché sì
Baby-setter
Quella
mattina non ci fu il ripetitivo suono della sveglia a strappare Kenji
dal rifugio onirico in cui i suoi pensieri si erano accoccolati come
un gatto sulla sua poltrona preferita, bensì il ritmico e
rassicurante respiro della persona che quella notte, dopo molte
trascorse da sole, era finalmente sdraiata accanto a lui, su un
fianco. Una posizione alquanto sobria per qualcuno così
sopra le
righe: l’unica nota stonata erano le braccia vagamente
conserte,
quasi volessero emulare un abbraccio che gli era – per forze
maggiori – sempre negato. Tokyo e Osaka distavano cinquecento
chilometri e tre ore abbondanti di treno: vedersi non era
impossibile, ma non era sempre fattibile. Gli orari da ufficio di
Kenji – per quanto flessibili, le scadenze erano serrate
– e gli
allenamenti, patite, amichevoli, interviste e tutto ciò che
era
richiesto a uno sportivo professionista come Kotaro, spesso non gli
permettevano di trascorrere insieme più di qualche ora. Quel
giorno
però era il primo giorno di vacanza che entrambi si erano
concessi:
Kenji aveva preso delle ferie e la Prima Divisione aveva interrotto
le partite per quel lasso di tempo canonico di pausa richiesto tra la
fine e l’inizio del nuovo campionato, per la compravendita
dei
giocatori e un po’ di riposo – per quanto moderato
e con
l’obbligatorietà di un allenamento costante
– per questi ultimi.
Tempo che molti impiegavano per tornare dalle proprie famiglie a
ingozzarsi di onigiri (più del solito), viaggiare
dall’altra parte
del mondo per andare a far visita a qualcuno che non voleva saperne
di uscire dalle proprie vite (e dal proprio cuore), godersi la
tranquillità della campagna e restare ore ad ascoltare i
ranocchi
che gracidavano nei laghetti (sì, persino i promotori della
JVA
avevano diritto a qualche giorno di ferie, anche se certi anfibi,
quando non giocavano, amavano seppellirsi in un museo) o trascorrere
le ore raccontando con entusiasmo cos’era successo in ogni
singolo
giorno che avevano trascorso lontani come se fosse un soldato tornato
da una guerra di trincea.
E
Kenji certe volte alzava gli occhi pensando a se stesso come
l’amata
che attendeva al fronte l’amore della sua vita, nella
speranza di
vederlo comparire: trasandato, magro, provato dalle battaglie, ma
vivo.
E
non solo Kotaro tornava che era vivo – e pieno di energie, i
muscoli delle cosce di Akaashi potevano confermarlo con assoluta
certezza – ma era se possibile ancora più grosso,
forte e… beh,
un po’ trasandato lo era, ma Kenji adorava vederlo mentre
indossava
la sua vecchia felpa della Fukurodani, un cappellino nero che gli
appiattiva i capelli (e sì, in effetti Bokuto con i capelli
schiacciati era un’immagine alquanto disturbante, ma non
necessariamente con un’accezione negativa) e degli anonimi
pantaloni della tuta neri sempre troppo stretti sulle quelle cosce
che Kenji avrebbe (e in effetti aveva)
morso.
C’erano
delle volte (molte, a dirla tutta) che Kenji su chiedeva come fosse
possibile essere così fortunati a essere riusciti a
conquistare
cuore, anima e corpo (molto corpo) di una
persona
come Kotaro: buono, disponibile, generoso e bastava vederlo per
sentire il flusso del proprio sangue abbandonare il cervello,
perché
tanto non serviva più ragionare.
Agli
occhi di molti, Bokuto non era altro che un sempliciotto
dall’umore
instabile ma con un talento ineguagliabile in campo. Non
c’era
nessuno, ma veramente nessuno, che poteva provare dei sentimenti
negativi verso di lui: certo, sicuramente in campo la
rivalità e la
voglia degli avversari di schiacciarlo era innegabile, ma non appena
conclusa la partita, che avessero vinto o perso (spesso perso,
perché
Kotaro riusciva quasi sempre a portarli alla vittoria… non
l’avevano nominato capitano del Fukurodani a caso, per quanto
umorale, questo suo modo di essere riusciva a unire la squadra e la
sua bravura in campo era indubbia), alla fine sorridevano sempre nel
vederlo raggiante. Anni fa il coordinatore del Karasuno aveva detto
che una persona come Bokuto riusciva a trascinare chiunque e che
instillava il buon umore in tutti, anche negli avversari. Era una
conversazione che non aveva sentito in prima persona, ma quando
glielo aveva riferito Yachi-chan, Kenji si era sentito così
orgoglioso. Sapeva che fin dal primo giorno lui e Kotaro
avevano
avuto un rapporto speciale, per quanto apparentemente freddo e
distaccato, sempre pronto a portare l’altro con i piedi per
terra e
non fargliene scappare una (con gentilezza, a differenza di come
succedeva a Kuroo che si era scelto un corvo ribelle che non si
faceva problemi a beccarlo con discreta cattiveria… ma al
Gattaccio
pareva non importare molto), mai una volta aveva mancato di
supportarlo e incoraggiarlo, premendo sui tasti giusti per riuscire a
fargli tirar fuori il meglio di sé (e che
meglio…).
Quello
che però spesso le persone non vedevano era quanto questo
fosse
assolutamente reciproco. Con il fatto che tutti lo consideravano un
sempliciotto muscoloso non ci facevano molto caso, ma Kotaro era
sempre affianco a Kenji quando era preoccupato di non riuscire a dare
il meglio negli esami (e per Akaashi la media alta era una conditio
sine qua non), oppure si sentiva particolarmente apatico e
desideroso di restare sulle sue. Kotaro era lì a
incoraggiarlo,
dargli quella spintarella in più se aveva bisogno oppure
assecondarlo nei suoi momenti più introversi, restandogli
affianco
in silenzio (sì, ne era capace, e la cosa aveva stupito
notevolmente
anche Kenji e forse persino lo stesso Kotaro).
Uno
dei momenti più memorabili per Kenji era stato quando, con
l’assoluta innocenza e purezza (anche se dato il tema forse
non era
il termine più appropriato) Kotaro gli aveva detto che
voleva
invertire i ruoli. Era stato uno shock perché stavano
scoprendo
tutto insieme, un passo alla volta, e Kenji aveva dato per scontato
che Kotaro fosse l’attivo della coppia, non si era mai fatto
problemi a riguardo quelle tre volte (di numero) che era successo.
Quando
Kotaro glielo aveva detto, Kenji aveva strabuzzato gli occhi senza
riuscire a balbettare parole di senso compiuto. Forse aveva bubbolato
un perché molto confuso, non ne era del tutto sicuro, ma
Kotaro
sembrava aver capito.
“Beh,
mi è sembrato ti piacesse, hai sempre
un’espressione così bella
in quel momento che vorrei provare anch’io. Voglio
condividere
tutto con te, perché non dovrei condividere anche questo? O
ti fa
schifo l’idea? Perché a me no, penso sarebbe
bellissimo, ma se non
ti piace, o ti fa schi-”
Kenji
l’aveva zittito con un bacio perché dopo due anni
che lo conosceva
(e anche piuttosto bene) aveva capito che nei momenti più
importanti, a volte era meglio usare gesti semplici per farsi capire.
Kotaro
era rimasto un po’ stupito, ma si era abbandonato al bacio e
allo
stesso Kenji, a cui erano tremate le ginocchia, il cuore e il
cervello nel momento in cui era entrato nel corpo dell’altro.
Lui,
il ‘piccolo’ Akaashi, all’apparenza
così più fragile e
delicato, stava scopando Bokuto Kotaro. Un pensiero
volgare
che non gli si addiceva per niente, ma il solo formularlo lo aveva
quasi fatto venire. La voce di Kotaro che continuava a mormorare il
suo nome, così deliziosamente storpiato come solo lui
faceva, il
calore della sua pelle e le gambe che lo spingevano sempre
più in
profondità, quasi volesse tenerlo lì per sempre,
avevano fatto
capire a Kenji che forse, nonostante avesse solo diciassette anni,
forse stava già imparando cosa volesse dire essere
innamorati.
“Grazie
Agasshi...”
aveva
mormorato Kotaro, stringendolo a sé, dopo che si erano
ripuliti e
sistemati sotto le coperte per dormire un’oretta, prima di
alzarsi
e fingere di aver studiato tutto il pomeriggio.
“Grazie
a te, Bokuto-san” rispose Kenji passandogli una mano tra i
capelli,
così meravigliosamente disordinati e afflosciati,
così diversi dal
solito ma che lo rendevano ancora più
magnifico di quanto già
non fosse.
"È
stato bellissimo, dobbiamo assolutamente rifarlo…" disse
Kotaro, sorridendo con gli occhi chiusi, respirando a pieno
nell'incavo del collo di Kenji quello che era diventato il loro
profumo.
E
come quella volta, quella notte appena passata, Kotaro aveva avuto
Kenji e Kenji aveva avuto Kotaro, perché per loro era
perfetto che
fosse così.
Rivedersi dopo così tanto tempo trascorsi lontano rallentava
le
giornate eppure le ore scorrevano rapide e inesorabili, avvicinando
sempre di più il momento in cui si sarebbero dovuti salutare
di
nuovo. In quel momento però Kenji non voleva pensarci.
Si
alzò dal letto, facendo attenzione a non svegliare quella
meravigliosa massa di muscoli che ancora dormiva e andò in
cucina a
preparare la colazione: riso, natto,
zuppa di miso, tofu marinato e saltato in padella, alcune
verdure al
vapore e una
porzione di frutta fresca appena tagliata. Di solito si limitava a
del riso accompagnato da quello che più lo ispirava in
frigo, ma per
quella mattina aveva voluto accogliere il suo ex capitano nel miglior
modo possibile. Disponendo tutto su un vassoio, insieme a due tazze
di tè, raggiunse la camera da letto rimanendo un attimo
immobile a
osservare la meraviglia che era l’uomo che dormiva nel suo (loro)
letto, con la pelle baciata da quei dispettosi raggi di sole che
entravano dalla finestra e i segni della notte appena trascorsa che
si stagliavano orgogliosi e con fierezza sulla sua pelle.
Kenji appoggiò il vassoio sul comodino vuoto prima di
chinarsi verso
l’altro e sfiorargli una tempia con le labbra.
“Buongiorno...”
sussurrò Kenji posando le labbra sulla pelle calda
dell’uomo.
Kotaro si girò verso di lui, osservandolo con uno sguardo
assonato
ma un sorriso raggiante dipinto sul viso.
“’rno
agaashi...”
“Domito
bene?”
Kotaro sbadigliò.
“Come
non facevo da tempo...” mormorò sfiorandogli il
naso con il
proprio.
“Fame?”
“Tanta!”
Kenji fece un gesto con il capo indicandogli il vassoio colmo di cibo
riposto sul comodino.
“Evviva!
La colazione a letto! Akaashi! Sei sempre il migliore!”
Kenji
Akaaashi veniva spesso definito il baby-sitter del capitano del
Fukurodani (baby-setter,
dai più spiritosi) ma in realtà nessuno sapeva
che ragazzo
meraviglioso fosse e che uomo incredibile sarebbe diventato Bokuto
Kotaro.
E in fondo Kenji era abbastanza felice di essere l’unico a
saperlo.
Note dell’autrice:
Niente, volevo un po’ di fluff BokuAka perché loro
due sono
bellissimi, Bokuto è una persona meravigliosa e Akaashi sa
di essere
l’uomo più fortunato del mondo.
Ho usato i nomi propri perché di base sono i pensieri di
Akaashi.
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