Il bagliore della luna si infiltrava nella camera, rischiarandola appena.

Mikan arricciò il naso e dischiuse gli occhi: la presa di Natsume sulla sua mano si era accentuata convulsamente. Quando succedeva di solito era un’involontaria richiesta di aiuto. Aveva la fronte imperlata di sudore, le sopracciglia aggrottate e mormorava: «No… basta… non voglio…»

Con gli anni, Mikan aveva imparato a non spaventarsi più: sapeva perfettamente cosa fare. «Ehi…» sussurrò con dolcezza. Avvolse le braccia intorno al suo collo per portarsi più vicina.

Fu a quel punto che il ragazzo uscì di colpo dal suo incubo, spalancando gli occhi, stralunato. Specchiandovisi, si poteva vedere tutta la sua paura. Lo scoppiettio inarrestabile del fuoco, le urla, le luce arancione di quel paesaggio ormai rovinato per sempre… Nella sua memoria era una scena vivida e gli sembrava di poter anche respirare l’odore della cenere.

«Ssssh.» Mikan ancora assonnata prese ad accarezzare i suoi spettinati capelli mori. «Siamo al sicuro qui. Solo noi due. È tutto finito. Mh?»

Quelle parole dette sottovoce ebbero l’effetto di una freccia calmante scoccata dritta al suo cuore. Mikan le ripeté più volte, come una nenia. L’effetto di tranquillità fu immediato. Il battito tornò al ritmo giusto, i muscoli si rilassarono. La mano libera di Natsume corse al viso di Mikan, che accarezzò fugace con l’indice, studiandone con occhi felini ogni dettaglio. Le regalò un bacio, perché ne sentiva l’esigenza irrefrenabile e perché era più facile che dire grazie. Solo lei aveva il permesso di vedere la sua debolezza, solo lei sapeva curarla. Ogni volta spegneva tempestivamente l’incendio dentro al suo cuore, inondandolo con un fiume di amore.