Vittorio
si svegliò con un enorme emicrania. Sbuffò
passandosi una mano
sulla fronte, cercando di tapparsi le orecchie con il cuscino, ma il
pianto del bambino era troppo forte, disperato. Si chiese se non
fosse dentro la sua testa, ma udendo Ross imprecare
dall’altra
stanza capì che si trattava di suo nipote. Si
alzò dal letto e
raggiunse la camera del fratello. La porta era semiaperta,
così
entrò silenziosamente. Ross aveva tra le braccia il piccolo
Claudio
che piangeva, e ancora piangeva, sembrava veramente indomabile.
Vittorio,
ancora sonnecchiato, sbadigliò e si pasticciò gli
occhi.
«Che
combini?» chiese mentre quello si voltava a guardarlo in
cagnesco
per aver parlato ad alta voce.
«Tento
di far zittire il moccioso, non vedi?» continuò a
sbattere il bimbo
di qua e di là, ma Claudio non aveva intenzione di fermarsi.
Ross
perse la pazienza, come ogni volta che suo figlio piangeva.
«Ma
che diavolo ha! Si è svegliato con la luna storta,
eh?!» imprecò,
iniziando a sudare per la difficoltà della situazione.
Vittorio
scosse la testa e decise di dargli una mano dato che era totalmente
incapace.
«Devi
essere più delicato, così lo ammazzi
praticamente» lo prese in
braccio premuroso, poi, tentando di farlo calmare, dato che non
sembrava voler smettere di piangere, lo dondolò avanti e
indietro
con le braccia. Non era esperto di bambini, non aveva mai avuto
neanche dei cugini più piccoli. Eppure avrebbe dovuto
cullare in
quel modo suo figlio, esattamente nello stessa maniera in cui stava
cullando suo nipote. Si morse il labbro e una sensazione di ansia
allo stomaco lo attanagliò.
Sarebbe
diventato padre…
Davvero sarebbe diventato padre?
Lui,
così giovane, con tutta la vita davanti...
Ross
lo guardò stralunato, poi alzò un sopracciglio.
«Certo,
pivellino, che non sei male come genitore. Ti avevo
sottovalutato»
fu il commento pungente del più grande, che
infierì come una lama.
Vittorio
scrollò le spalle, poi gettò uno sguardo a
Claudio che si succhiava
il ditino. Era veramente un amore quel bambino, a parte quando
frignava. Assomigliava tanto a suo fratello, ma aveva gli occhietti
verdi di Nicole.
E
suo figlio come sarebbe stato?
Si
fermò a fissate il muro per dei secondi, non sentendo Ross
che gli
parlava. Continuava a pensare al repentino cambiamento di Valeryn, e
a quanto male gli stesse facendo. E poi non riusciva a smettere di
pensare a loro figlio, non sapeva se sarebbe stato in grado di farlo,
il padre, forse era ancora un ragazzo immaturo... D’altronde
neanche suo fratello sapeva ancora come comportarsi.
Fare
il genitore non te lo insegnava nessuno, né lo si poteva
imparare da
qualcuno. Con sua madre era sempre in conflitto e lei aveva
già i
suoi tre figli, quelli naturali...
«Ma
ci senti, dammi il bambino, si è addormentato!»
Ross
lo distolse bruscamente dai suoi pensieri, prendendosi Claudio in
braccio e poggiandolo sulla culla. Si assicurò che stesse
effettivamente dormendo, poi lo coprì con la copertina
ricamata che
Mena gli aveva regalato.
Si
voltò verso Vittorio, sbattendo la testa da un lato.
«Dì,
ma che pensi alle vacche?» lo apostrofò, poi
vedendo l’espressione
persa del ragazzo, decise di piantarla.
«Okay,
pivello, che ti succede?» incrociò le braccia,
sedendosi sul letto.
«Niente...»
fu il mormorio che provenne dalla bocca del ragazzo, con ancora lo
sguardo vagante nel vuoto.
«Avanti,
non dire cavolate, dimmi che c’è!» lo
mise con le spalle al muro,
e sapava che quando faceva in quel modo non poteva tergiversare.
Tra
l’altro, era lui stesso ad averne bisogno, di parlarne con
qualcuno; e quando Ross provava a tirargli fuori le cose a lui veniva
naturale aprirsi.
Vittorio
sospirò sedendosi accanto a lui, prendendo un po’
di tempo a
giocherellare con il suo anello di metallo.
«E’
che ho paura, tutto qui» fu quello che riuscì a
dire.
«Ah,
beh!» esclamò il maggiore con
un’espressione ironica «Di che
cos’hai paura? Hai solo messo incinta la tua ragazza a soli
diciotto anni, ma non preoccuparti, tra nove mesi passa
tutto!»
Il
ragazzo lo guardò torvo di fronte a quella battuta, poi
alzò gli
occhi al cielo.
«Grazie
fratellone, tu sì che sei d’aiuto»
sussurrò, un po’ irritato.
Ross
scoppiò a ridere, come se tutta quella situazione fosse
estremamente
divertente e prendersi gioco di lui migliorava la situazione. Eppure
fino a una settimana fa non sembrava l’avesse presa
esattamente
bene, ricordava di avergli visto raramente in viso
quell’espressione
preoccupata.
«Ma
dai» abbassò la voce per evitare di svegliare
Claudio che si
muoveva nella sua culla «Ormai il danno è fatto,
Vitto. Fa’ finta
che vada tutto bene»
Il
fatto era che non andava per niente bene. Valeryn era diversa con lui
e non sapeva che fare, non sapeva come assicurarsi che le cose
andavano ancora bene tra loro. Per quanto si sforzasse a mantenere in
piedi quel rapporto, lei faceva dei passi indietro e risultava
estremamente irraggiungibile.
Forse
era egoista a pensare quelle cose, forse non riusciva a capire la
condizione in cui si trovava, la situazione psicologica che stava
passando; era incinta e la sua famiglia non l’aveva
supportata,
l’aveva rimproverata e aveva subíto le ire di suo
padre che aveva
smesso di parlarle.
Era
lei a tenere il peso di quella gravidanza, lo aveva tenuto per
settimane senza dirgli niente, e quello non glielo biasimava; ma non
sapeva come potersi assicurare che le cose non stessero andando a
rotoli, perché era una sensazione che aveva addosso da un
po’ e
non lo abbandonava un istante.
Ross
notò i suoi occhi bassi e l’espressione triste.
Sospirò facendo
una smorfia rassegnata. Il suo fratellino si era cacciato in un
guaio, ancora era un ragazzo ed era troppo per lui tutto quello.
D’altronde anche per lui stesso che aveva ventisei anni non
era
esattamente facile, ogni giorno era una prova con sé stesso
e
crescere suo figlio era diventata la sua unica priorità
nella vita.
Vittorio
doveva ancora terminare la scuola superiore, era un ragazzino allegro
come un fringuello e aveva sicuramente dei piani per il suo futuro.
Sapeva
come un bambino poteva scompigliarli tutti, specie in
un’età dove
le scelte si rivelavano cruciali.
Doveva
aiutarlo, doveva farlo sfogare un po’ per non farlo chiudere
troppo
in sé stesso e farlo cadere nello stesso baratro in cui si
era perso
lui stesso.
«D’accordo,
pivello, facciamo una cosa» disse d’un tratto.
Vittorio
alzò lo sguardo su di lui, interrogativo.
«Adesso
noi lasciamo Claudio a nonna Mena, prendo la macchina e ci facciamo
un giro in centro» propose, mettendosi in piedi.
Il
castano sospirò, massaggiandosi la fronte con una mano.
«No,
non è il caso» provò a fermarlo.
Si
ritrovava improvvisamente senza forze e non aveva voglia di uscire.
Ross
negò con la testa, risoluto.
«Non
rompere le palle. Hai bisogno di distrarti, pivello, non puoi
lacerarti la testa a diciotto anni, devi vivere!» lo
redarguì,
molto serio.
Lo
prese dal braccio senza dargli tempo di dire qualcosa, Vittorio non
riuscì ad opporsi e si fece trascinare piano fuori dalla
stanza.
«Birra
e panino farcito vanno bene? Oppure preferisci un bicchierino di
amaro? Sai, l’altro ieri il Capus ci è andato
giù di brutto, è
andato a vomitare nel cesso del bar ma non ha fatto in tempo a
buttarla nel cesso, capito? E’ rimasto a pulirgli tutto e lo
abbiamo preso per il culo due giorni...»
Vittorio
sorrise a suo fratello, mentre continuava a raccontargli gli aneddoti
più strani dei suoi amici.
Meno
male che c’era lui a tirarlo fuori dalle sue paranoie.
Tre
ragazze, una con degli occhi verdi intensi, dei capelli castani mossi
che le ricadevano sul seno, un’altra con degli occhi scuri
come
pozzi e dei capelli ricci dello stesso colore, e infine,
l’ultima,
con degli occhi castani e dei capelli scuri, lunghi e perfettamente
lisci, erano sedute sul divano della vecchia casa di Alex, ormai
stabilita ufficialmente come luogo di ritrovo.
Valeryn,
Maia e Miriana approfittarono di quell’ora in cui i ragazzi
erano
assenti, occupati dale partite di calcio ai campetti, mentre Conny e
Sara erano andate a fare shopping al centro commerciale. Anche Miriel
avrebbe voluto andare a comprare una marea di cose, ma Valeryn aveva
bisogno d’aiuto e d’altronde aveva intenzione di
parlare con lei,
dato che non avevano ancora avuto modo e lei quella cosa se
l’era
segnata al dito.
Maia
rovistò nella dispensa tra le cose che avevano comprato
qualche
giorno fa. Maledì i ragazzi che puntualmente finivano tutto,
ingozzandosi come dei maiali. Trovò di commestibile soltanto
una
scatola di arachidi. Poi aprì il piccolo frigo e
tirò fuori
un’aranciata.
Portò
il vassoio sopra il tavolino e si accomodò sul divano,
sedendosi
alla sinistra di Valeryn che si torturava le mani, ancora insicura se
rivelare tutto alle amiche.
«Lo
so che non è il massimo» disse facendo spallucce,
notando Miriel
che lanciava uno sguardo interrogativo verso gli arachidi «Ma
si
sono divorati tutto, sono inaffidabili quelli là»
Poi
si versò un po’ d’aranciata sul
bicchiere, facendo lo stesso con
quello delle altre due. Ne porse uno a Valeryn, che lo prese
distrattamente.
«Tò,
era meglio una coca cola, ma l’unica cosa che c’era
era del cuba
libre» scosse la testa, pensando a quanto alcolizzati e
tossici
fossero i loro amici.
Miriel
accusò un sorrisino, poi mangiò un po’
di arachidi prima di
concentrarsi su Valeryn. Aveva un’espressione preoccupata, i
lineamenti del volto erano tesi, con una mano si torturava i capelli.
Scosse
la testa, incrociando le braccia, in maniera un po’ altezzosa.
«Allora,
si può sapere che ti prende?»
Era
sempre stata una ragazza diretta, ma non aveva problemi, nemmeno con
Maia che adesso le scoccava uno sguardo torvo.
Valeryn
dal suo canto alzò le spalle, non sapendo come rispondere
esattamente a quella domanda. La sua testa era così
affollata da
pensieri che non riusciva nemmeno a capire le sue sensazioni.
«Ecco,
io... Non lo so...» fu l’unica cosa che
riuscì a pronunciare.
Miriana,
che non amava portar le cose alle lunghe, prese nuovamente la parola.
«Andiamo,
non incominciare a balbettare, eh?» la rimproverò
«Se vuoi dirci
qualcosa devi essere esplicita, altrimenti non capiremo
niente»
Valeryn
le lanciò un’occhiataccia. Odiava chi le si
rivolgeva in quel
modo. Per diamine, loro che ne potevano capire? Stavano lì a
fissarla come se potesse improvvisamente illuminarle con
chissà che
rivelazione, nessuna di loro era rimasta incinta e si sentiva
dannatamente in difficoltà nel provare a spiegare cosa aveva
in
testa in quel momento, aveva solo un mucchio di confusione. Si
ridestò passandosi una mano tra i capelli, tentando di
calmarsi.
«Non
è facile, okay? Non lo è per niente,
anzi...» ebbe uno scatto
impulsivo e si alzò dal divano, facendo per andarsene,
irritata e
anche un po’ ferita.
«Non
mi va più di parlare, non ne vale la pena» la
sentirono dire.
Maia
la trattenne subito da un braccio, la rimise a sedere e si
voltò
arrabbiata verso l’altra che la fissava con uno sguardo
tagliente.
«Miri,
evita di comportarti così, non la aiuti per
niente!» la rimproverò.
La
ragazza emise uno sbuffo e prese a guardarsi le unghie curate.
«Non
è colpa mia se è diventata particolarmente
sensibile» fu la
lapidaria risposta.
Valeryn
la guardò infastidita, poi si scostò i capelli
dal volto. Adesso
stava esagerando usando quei toni, quasi non la riconosceva
più.
Fece un passo avanti e la fronteggiò, mollando la presa di
Maia dal
suo braccio.
«Oh,
certo!» esclamò con sarcasmo «Non sei tu
quella incinta, o
sbaglio?»
Miriel
si voltò verso di lei con un cipiglio.
«Non
sono io quella che combina una cazzata e poi si piange
addosso!»
La
castana rimase incredula a guardarla. Non poteva immaginare che una
delle sue migliori amiche potesse risponderle con quei toni. Se
l’era
presa molto poiché non le aveva parlato prima della
gravidanza, ma
non poteva comunque trattarla senza un minimo di tatto. Prima che
potesse risponderle, una riccia Maia pose fine a qualunque
discussione.
«Ragazze,
se dobbiamo litigare possiamo anche andarcene»
«Per
me non c’è problema, lo stavo facendo prima che mi
fermassi»
sibilò Valeryn, con le braccia incrociate. Miriel scosse la
testa ed
alzò gli occhi al cielo.
Maia
scosse la ragazza da un braccio.
«Smettila
anche tu, Vale, così non possiamo aiutarti. Devi rilassarti,
okay?»
tenne gli occhi fissi su quelli dell’amica e poi si rivolse
all’altra «E tu, Miriel, sta’ zitta un
po’ e lasciala
parlare!»
Quella
fece una faccia indignata, ma poi si zittì. Appena le acque
si
furono calmate, la ricciolina tirò un sospiro di sollievo.
«Allora,
dicci tutto dall’inizio, siamo qui per ascoltarti»
esortò
l’amica, facendole un sorriso incoraggiante.
Valeryn
prese fiato, scoccò un altro sguardo a Miriel che aveva il
broncio,
e cominciò a torturarsi i capelli. Poi decise di buttarsi,
di
raccontare tutto dall’inizio, perché lei stessa
sentiva la
necessità di mettere insieme tutto quello che stava provando
per
riuscire a capire come uscirne.
«Dunque,
io... Non so esattamente cosa mi prende, so solo che mi sento molto
strana...» fu la prima cosa che disse.
Miriel
scosse la testa emettendo un suono scettico, mentre Maia assunse
subito un’espressione preoccupata.
«Tutto
questo è successo troppo velocemente...» fece un
cenno alla sua
pancia ancora piatta «E... e non so se riuscirò a
sopportarlo. E’
come... come un peso per me...»
Miriana
la guardò interrogativa, poi mosse di qua e di là
i suoi lunghi
capelli scuri.
«E
adesso che significa che non potrai sopportarlo?»
Valeryn
si morse il labbro, iniziando a sentire gli occhi lucidi.
«E’
difficile, ve lo giuro... Mi sento come in gabbia, mi sento cresciuta
tutto ad un tratto e… non so che fare...»
Maia,
che era molto empatica, fece uno scatto e le strinse una mano, gesto
che non sfuggì a Miriel, la quale non riuscì a
fare a meno di
scoccare uno sguardo irritato alle loro mani intrecciate.
«L’altro
giorno ho parlato con mia madre, mi ha detto che dovrò
prendermi le
mie responsabilità, dovrò dedicarmi sempre a
questo bambino. E che
dovrò crescere, sono ancora una ragazzina. Io... Io ormai
sono
segnata, capite? La mia vita non sarà più la
stessa...» calde
lacrime cominciarono a colarle dagli occhi smeraldini. Maia
sospirò
abbracciandola e anche Miriel abbassò lo sguardo.
«Ho
tanta paura. Non voglio crescere, voglio fare la mia vita normale.
Voglio cazzeggiare con voi, voglio fumare, voglio bere, voglio andare
alle feste!» tirò su col naso «Quasi
voglio tornare a litigare con
Daniel...»
«Oh,
beh, non preoccuparti, quello non cambierà»
ridacchiò amaramente
Miriel, scuotendo la testa.
«E...
e poi...» si divincolò dall’abbraccio di
Maia, puntando gli occhi
arrossati verso la vecchia TV che Carmine aveva portato da casa sua.
Sospirò pesantemente, si sentiva quasi libera adesso che lo
stava
dicendo a loro.
«E
poi, Vittorio»
si fermò a mordersi il labbro, mentre le ragazze si
lanciavano uno
sguardo confuso e interrogativo.
«V-Vittorio?»
boccheggiò Maia, tentando di capire cosa c’era che
non andava con
lui. Miriel accavallò le gambe, preparandosi a sentire.
«Non
lo so... Io sono così confusa...»
mormorò.
«Sei
confusa...» la riccia esitò un attimo prima di
proferire «Sei
confusa su quello che provi per lui?»
Quelle
parole la colpirono come un pugnale. In fondo non lo aveva mai
pensato direttamente, ci girava intorno come se fosse una nota
dolente, ma sapeva bene che le sue sensazioni contrastanti
riguardavano proprio i suoi sentimenti per lui.
Miriel
scattò sull’attenti, la guardò stupita,
spiazzata.
«Che
cosa?!» chiese, spalancando gli occhi.
Valeryn
si morse il labbro in ovvia difficoltà. Non sapeva che
rispondere, o
per meglio dire, sapeva che una parte di sé si stava
allontanando da
Vittorio, ma non riusciva a comprendere il motivo. Da quando aveva
saputo della gravidanza, la sua testa era piena di dubbi e di
esitazioni, si sentiva così terribilmente distante da lui
che quasi
non riusciva a farsi toccare.
Annuì
debolmente decidendo di tirarlo fuori, non poteva nascondere la
verità a se stessa ancora per molto.
Maia
sospirò passandosi una mano sul bel viso, mentre Miriana
boccheggiava, incredula.
«Io...
io non ci posso credere!» esclamò, senza riuscire
a dire altro.
Valeryn
la guardò triste, poi socchiuse gli occhi. Nemmeno lei ci
poteva
credere, eppure non riusciva più a stare con Vittorio come
faceva
sempre, c’era qualcosa che la bloccava, si sentiva forzata,
si
sentiva come se avesse paura
di lui, come se la gravidanza l’avesse macchiata.
«Tu
stai dicendo che hai intenzione di lasciarlo?» chiese a
bruciapelo
Miriel con gli occhi ridotti a fessure. Come diavolo poteva pensare
una cosa del genere? Proprio in quel momento, che aveva un bambino in
grembo e lui era il padre?
Maia
intervenne a suo favore per non far degenerare le cose
un’altra
volta. La situazione era già abbastanza delicata e
difficoltosa da
gestire per tutti, anche per loro, che non sapevano cosa dirle.
«Fa’
parlare lei, Miri. Cosa ti senti di fare?» le si rivolse
apprensiva,
cercando in qualche modo di farle capire che l’avrebbe
sostenuta a
prescindere, ma anche lei stentava a crederci, anche Maia si chiedeva
com’era possibile che improvvisamente l’amica
avesse tutti quei
dubbi su Vittorio con cui aveva tanto lottato per stare insieme.
Valeryn
sospirò. Non sapeva proprio cosa fare, percepiva
semplicemente una
sensazione di
rifiuto,
era come se avesse bisogno di spazio, di ossigeno.
«Non
lo so, ve lo giuro. Sono come... bloccata...»
disse,
Miriel
negò con la testa, prima di alzarsi e fronteggiarla,
puntandole un
dito contro.
«Tu
sei stupida! Non sei bloccata, sei solo una stupida!»
alzò la voce.
Valeryn
guardò Maia sconcertata. Adesso si stava toccando veramente
il
fondo. La riccia le fece cenno di sedersi, ma quella la
ignorò
«Non
capisci un cazzo, Valeryn! Sei diventata più idiota del
previsto,
dannazione, ma come puoi? Come puoi pensare una cosa del
genere?»
«Miriana,
basta!»
Questa
si voltò verso la ricciolina che si era messa in piedi e le
aveva
stretto entrambe le braccia. Si divincolò con un impeto e
quasi la
fece barcollare.
«Tu
sta’ zitta, Maia! Stai zitta! Smettila di difendertela
sempre, sai
benissimo anche tu che sta sbagliando! E’
inaccettabile!» urlò,
il bel viso cosparso di un colorito roseo, segno che la collera aveva
preso il sopravvento in lei.
Maia
fece per intervenire, ma Valeryn la precedette e si mise in piedi.
Non tollerava che nessuno le si rivoltasse contro in quel modo.
Nessuno.
La
guardò con gli occhi verdi che sprizzavano scintille, di uno
sguardo
che avrebbe fatto paura chiunque.
«Non
ho chiesto un tuo parere, prima di tutto» sibilò
con una nota
gelida che mascherava la rabbia «E poi io faccio
ciò che mi pare, i
problemi ce li ho io, non tu, tesoro, chiaro?»
Miriana
incrociò le braccia, con un’espressione di sfida,
senza farsi
scalfire minimamente.
«Tu
non puoi fare una cosa del genere a Vittorio, non puoi
lasciarlo!»
«Perché
no, sono fatti miei!»
La
castana strinse i pugni, serrò i denti ed iniziò
a sentire caldo
per l’agitazione. Maia, preoccupata, le strinse delicatamente
un
braccio.
«No,
cazzo!» l’altra mandò la sua
raffinatezza a quel paese «Lui ti
ama, stupida, lo farai soffrire in questo modo! Non capisci? Hai
bisogno di lui, è il padre di tuo figlio, non puoi
allontanarti da
lui proprio in questo momento!»
Voleva
solo provare a farla ragionare. Era uno sbaglio, Miriel lo sapeva.
Conosceva anche Valeryn da una vita, conosceva quel suo lato
impulsivo e tendente a mettersi nei casini, intuiva l’inizio
di una
serie di conseguenze nefaste. Non era solo una questione personale,
del fatto che non le avesse detto niente, o meglio, lo era ma fino ad
un certo punto. Era convinta che stesse commettendo un grosso errore
che le sarebbe costato caro.
Valeryn
guardò Maia in cerca di un aiuto. Quella, però,
abbassò lo sguardo
non sapendo esattamente come intervenire. Anche lei pensava che
l’idea di allontanare Vittorio fosse troppo avventata, fosse
qualcosa dovuta ad un momento di sbandamento ma non una scelta da
prendere a lungo termine.
Aveva
bisogno di condurre una gravidanza serena e con l’aiuto di
tutte le
persone che tenevano a lei, di sicuro non era una buona idea lasciare
il padre del suo bambino. Come avrebbero preso quella scelta in
famiglia?
«Io...
Io ho bisogno di una pausa per riflettere, che ti piaccia o no, devo
capire...» fu quello che riuscì a sussurrare.
«Ma
che diavolo c’è da capire?»
La
mora sbatté i capelli, innervosita da quello stato di
ottusità che
pervadeva l’amica in quel momento.
«Sei
incinta di lui e lui ti ama da impazzire, si vede da ogni cosa che
fa. Dopo tutto quello che avete passato? Dopo che hai messo le corna
a Elia, dopo che ha rotto con il suo migliore amico per te, dopo che
è andato contro la vostra famiglia perché siete
cugini e tuo padre
non vi accettava? Lui ti sta vicino come pochi ragazzi farebbero in
questo momento. Lui non è andato via! Non è
scappato, Valeryn, dopo
che gliel’hai detto. E tutto questo perché vuole
stare con te!»
La
castana fece per risponderle, ma si limitò a mordersi il
labbro,
consapevole che Miriana aveva messo nero su bianco quello che il suo
ragazzo aveva fatto e faceva per lui giornalmente.
«Come
puoi ripagarlo così?» la udì sospirare,
notando un velo di
dispiacere sincero «Vittorio non se lo merita»
disse infine.
Aveva
ragione. Vittorio non meritava niente di tutto quello. Non meritava
di essere allontanato, non meritava di essere tagliato fuori, non
meritava di essere considerato un peso, non meritava di avere la
colpa se lei era rimasta incinta e ancora lei avrebbe dovuto portare
avanti la gravidanza per nove mesi con paura, problemi fisici,
dolori, modificando il suo corpo e il suo stile di vita. Ma non
riusciva ad immaginarlo al suo fianco, era come se la favola fosse
improvvisamente finita e lei si fosse risvegliata nella
realtà.
Erano dei ragazzini che avevano fatto gli imprudenti e non sapeva
cosa voleva. A volte, quando la notte chiudeva gli occhi, si
ritrovava persino insicura di volerlo tenere in braccia quel
bambino...
Di
fronte ad un pensiero forte del genere, ebbe un fremito. Aveva
bisogno di pensare alla sua situazione sentimentale, e Miriana non
poteva interferire, era una sua amica, ma non aveva il diritto di
imporle ciò che fare. Avrebbe scelto con la sua testa, anche
se
l’avrebbe portata a decisioni sbagliate, perché
lei non stava bene
psicologicamente e per una volta voleva pensare al suo benessere.
«Farò
ciò che mi farà stare bene»
annunciò fermamente.
La
mora scosse la testa, quasi con disprezzo.
«Sei
un’egoista» sputò fuori, fece per
andarsene, ma poi si voltò
all’improvviso puntandole il dito contro.
«Sai
che c’è? Che secondo me hai paura, hai paura di
stare con lui
perché ti ha messa incinta! E’ a lui che dai la
colpa di questo!
Perché hai paura di affrontare la gravidanza, hai paura di
tutto! Lo
vuoi tenere questo bambino, sii sincera!»
Maia
spalancò la bocca e si mise tra le due, la tensione era alta
e vide
Valeryn fare uno scatto verso l’altra che si
irrigidì e si sentì
agguantare.
«Adesso
basta, Miriana, mi hai rotto il cazzo!»
l’afferrò da un braccio
sentendosi ferita nel profondo, sentendosi toccata, sentendo una
freccia che aveva centrato il punto dei suoi problemi.
«Mollami,
stronza!» fu la replica dell’altra, che
alzò il braccio per
levarla via.
La
riccia intervenne immediatamente, facendo in modo che non
incorressero in nessuno scontro fisico.
«Ora
calmatevi tutt’e due, siete pazze? Non ne vale la
pena!» urlò,
redarguendole.
Miriel
continuò a guardarla in cagnesco, mentre quella faceva
altrettanto.
«Sei
solo una bimbetta infantile che non pensa ad altro che a sé
stessa!
E te ne pentirai se lascerai Vittorio, quando non saprai che fare con
un bambino tra le braccia, vorrai solo tornare da lui!» fu
l’ultima
cosa che la prima riuscì a dire, prima che la porta di casa
si
spalancasse e Censeo, Carmine e Daniel entrarono senza tanti
complimenti.
Valeryn
li guardò con un’espressione allarmata, mentre
Miriel sbatteva i
capelli, nervosa, e si sedeva, guardandosi distrattamente le unghie
per dissimulare il trambusto appena successo.
Dietro
di loro, Conny e Sara entravano tutte eccitate con delle enormi buste
in mano. Maia guardò la castana con un sospiro e le fece un
cenno
come per dire che avrebbero parlato un’altra volta.
Sara
si avvicinò con un sorriso a trenta denti, mostrando un
vestitino
verde corto fino al ginocchio.
«Che
ve ne pare? E’ spettacolare, vero? Non mi fa nemmeno i
fianchi
grossi!»
Sorrideva
contenta, mentre Maia lo esaminava e Miriel frugava tra le altre
buste.
Valeryn
si mise a sedere fissando il vuoto, e d’un tratto, fu come se
niente fosse appena successo e le ragazze si distrassero
dall’ambiente giocoso e chiacchiericcio.
«E
questo?» la mora tirò fuori un reggiseno tutto in
pizzo, rosso,
sicuramente più grande di una misura e la mutandina a
brasiliana in
coordinato.
Sara
glielo tolse subito di mano, imbarazzata.
«Lascialo
stare, questo è privato...» borbottò,
mentre le ragazze
ridacchiavano. Daniel si avvicinò alla sua ragazza facendola
spaventare, soffiandole nell’orecchio.
La
bionda cacciò un urlo di riflesso e quello rise
rumorosamente.
«Dì
sei impazzito, per caso?» gli urlò contro.
«E
tu sei una grassona» poi le scippò il completino
di mano,
osservandolo con un’espressione schifata
«Sul
serio vorresti mettere questo coso? Ma se sei una balena, pasticcina
mia, sarai orrenda conciata così»
Sara
gli tirò un calciò arrabbiata, mentre Daniel si
scansava e ne
approfittava per palpargli il sedere.
«Porco!»
lo apostrofò, spingendolo via.
«Bella,
amoruccio della mia vita!» unì le labbra e si
riavvicinò
agguantandola per provare a scipparle un bacio, facendola strillare.
Maia
rise, Miriel scosse la testa continuando a frugare tra le borse
dell’amica. Valeryn accennò un piccolo sorrisino,
mentre la sua
testa si perdeva nei pensieri. Voleva tanto scherzare con lui
come facevano i loro amici adesso, che, ridendo si baciavano e si
abbracciavano. Daniel, a modo suo, era innamorato di Sara.
E
lei, invece? Lo era?
Era
ancora innamorata di Vittorio come una volta?
Quella
domanda la devastava interiormente.
Carmine
lanciò uno sguardo dis.ustato ai due piccioncini, poi si
sedette sul
divano accendendo la TV. Si passò una mano tra i capelli
neri e alzò
un sopracciglio.
«Certo
che fanno proprio cagare» bisbigliò, mentre le
ragazze
ridacchiavano,
«E
poi, Dan, del cuba libre in frigo... Ripeto, cuba
libre, no, ma
che problemi hai?»
Il
castano si staccò bruscamente da Sara, facendola barcollare,
con in
volto un’espressione accigliata.
«Sei
solo geloso, Carminiello» disse con un ghigno
«Primo, perché
Angelina ti sta mandando in astinenza»
Il
moro fece per protestare, ma quello non glielo permise.
«Secondo,
perché io so fare i drink, mentre tu no. Sei un buona nulla,
ammettilo»
Carmine
gli lanciò uno sguardo di fuoco.
«Chiudi
quella fogna, idiota, e poi che ne sai tu della mia vita
privata?»
sibilò, divenuto improvvisamente rosso in viso.
«Io
so sempre tutto, mi pare ovvio» rispose il ragazzo con i
capelli a
caschetto, vantandosi.
Carmine
scosse la testa facendo una smorfia irritata, mentre Maia alzava gli
occhi al cielo e si sedeva accanto a lui, dandogli un bacetto sulla
guancia per calmarlo.
Quell’oggi
sembravano tutti così in vena di litigare.
«Lascialo
perdere, Mine. Lo sai che è un buffone» gli
strinse un braccio,
sorridendo.
Daniel
si voltò versò di lei, lanciandole uno sguardo
truce.
«Oh,
tu guarda! Ha parlato la protettrice dei deboli!» la
scimmiottò e
subito dopo lanciò uno sguardo allusivo a Valeryn, facendo
intendere
che la debole era lei, che veniva sempre difesa a spada tratta.
La
ragazza se ne accorse ma non reagì, emise semplicemente uno
sbuffo e
si mise in piedi per andare in bagno.
Si
sentiva debole, le girava la testa e poi aveva una nausea
persistente, era aumentata da dopo la discussione. Si era molto
innervosita, forse doveva misurare la pressione, ma dubitava che in
quella casa umida ci fosse un misuratore.
Miriel
le scoccò uno sguardo sbieco, ma decise di non seguirla.
Dopo quello
che aveva detto, il suo orgoglio glielo impediva; d’altronde,
poteva sempre contare sull’altra sua amica che di sicuro era
più
gradita di lei, pensò con le braccia incrociata, crucciata
da tutta
la situazione.
Conny,
nel frattempo, tornò dalla cucina insieme a Censeo, che
aveva in
mano una tavoletta di cioccolato. Si sedette sulla poltrona amaranto,
mentre la ramata si accomodava sullo stesso bracciolo.
«Guarda
amore, guarda che ho comprato!» esclamò
elettrizzata, tirò fuori
dei leggins di pelle e un top grigio con le maniche a sbuffo, tutto
brillantinato.
La
sua moda era caotica e stravagante, un po’ come la sua
personalità.
Teneva comunque molto al parere del suo ragazzo, ma Censeo era
distratto, rivolse un breve sguardo ai vestiti e poi annuì,
voltandosi verso i suoi amici che ancora discutevano. Conny rimase
spaesata per un attimo di fronte a quel mancato interessamento, non
era affatto da lui. Censeo era sempre così attento, dolce e
premuroso con lei.
«Ma
nemmeno li hai guardati!» esclamò, tirandogli una
gomitata sulle
costole.
Il
biondino fece una smorfia di dolore.
«Teso’,
dai, conosco i tuoi gusti. Li vedrò meglio quando li
indosserai»
rispose addentando il cioccolato.
La
ragazza assottigliò gli occhi e lo guardò. Censeo
si sentì
osservato e ricambiò lo sguardo.
«Ma
che c’è?» le chiese, senza capire.
«Sei
maleducato» proferì Conny, rimettendo i vestiti
dentro le buste con
un gesto stizzito.
Censeo
alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Quando la sua ragazza
pretendeva
delle attenzioni diventava petulante.
«I
tuoi vestiti mi piacciono, amo’. Lo sai. Non
c’è bisogno che te
la prendi così»
Conny
s’irritò maggiormente per il modo superficiale in
cui le aveva
risposto, così si alzò dalla poltrona, prese le
buste e si diresse
verso la cucina, delusa.
Pensandoci,
non era la prima volta che Censeo provava a minimizzare qualcosa che
le stava a cuore. Era davvero insensibile delle volte, non sopportava
proprio quella parte di lui che lo rendeva uguale
agli altri.
Questi
guardò il punto in cui era sparita e fece spallucce,
pensando che le
sarebbe passata presto, come al solito.
Il
campanello suonò, Daniel corse a rispondere. Entrarono Elia
e Alex,
quest’ultimo infreddolito fino al capo rasato,
l’altro con una
bottiglia di birra in mano, i capelli biondi con un taglio a tendina
che gli stava benissimo.
Daniel
gli si avvicinò con una smorfia e lo squadrò con
una punta di sana
invidia.
«Sempre
il solito ubriacone, tu! Con ‘sti capelli da froscio»
lo apostrofò, mentre Elia gli dava uno scappellotto alla
nuca.
«Che
c’è, ti piaccio?» lo provocò
con un ghigno mentre si mordeva
volutamente il labbro inferiore.
Daniel
fece finta di vomitare ficcandosi due dita in gola.
Alex
rise, levandosi di dosso il giubbotto e sporgendosi sul divano ad
abbracciare e baciare la sua Miriel, ancora visibilmente irritata.
Il
ragazzo con i capelli a caschetto si diede un’occhiata
intorno e
notò che mancava Valeryn nella stanza, così si
rivolse nuovamente
ad Elia che beveva la sua birra.
«E
Vitto
dov’è? L’hai lasciato ai
lupi?» chiese ironico.
Elia
quasi si strozzò con la birra nel sentir nominare il nome
del suo
migliore amico.
Quel
gesto dell’altra sera...
Il
cuore prese a battere più veloce del dovuto e
iniziò a sentirsi
strano.
Se
ne vergognò improvvisamente, soprattutto con
l’amico di fronte che
lo ispezionava in cerca di una risposta.
Non
sapeva perché gli faceva quell’effetto, ma il solo
pensare a
quella carezza dell’altra sera gli faceva venire voglia di
scomparire dall’imbarazzo.
«Non
lo so...» fu quello che riuscì a mormorare,
cercando di nascondere
la sua difficoltà all’apparenza immotivata.
Daniel,
infatti, stava per chiedergli se aveva ingoiato un porcospino, ma
Alex fortunatamente intervenne, alzando le spalle.
«Non
era con Valeryn?»
chiese, interrogativo.
Che
stava succedendo tra quei due? In effetti era il dubbio mastodontico
che circolava da un bel po’ di giorni nella testa di tutti
quanti.
Elia
si levò di dosso la giacca e la lanciò con fin
troppo impeto sopra
una sedia incustodita. Alex gli lanciò subito uno sguardo
preoccupato. Ripensò improvvisamente alle parole che gli
aveva
confidato l’amico.
Valeryn
era diversa con lui, lo teneva a distanza, lo evitava più
che
poteva. Lui in quel momento aveva bisogno di aiuto, aveva bisogno di
consigli, di qualcuno che gli sollevasse il morale.
«No,
la pazzerella è in bagno a fare la
popò!» udì dire a Daniel.
Il
suo sguardo si perse nel vuoto, stringendo le labbra.
Si
sentiva così legato a Vittorio che era come se stesse
vivendo tutto
quello in prima persona e non riusciva a levarsi dalla testa il
pensiero dell’amico.
Aveva
una brutta sensazione...
Valeryn
si appoggiò con le mani al lavandino, ansimando.
Si
guardò allo specchio, vedendo un’immagine di
sé davvero brutta.
Era pallida, aveva la matita sbavata e gli occhi lucidi. Perché
era ridotta così?
E quella dannata
nausea che non le dava tregua, non riusciva quasi a respirare... Si
portò istintivamente una mano sopra il suo ventre. Non
sapeva se era
solo la nausea a ridurla in quel modo, c’era
dell’altro. Ed era
sicura che avesse a che vedere con le dure parole di Miriel.
Dio,
come poteva pensare anche solo minimamente di chiudere con lui?
Lei aveva bisogno di lui, lei lo amava,
ma non
si sentiva più sé stessa da quando lo aveva
scoperto.
La gravidanza l’aveva sconvolta, stava divorando la sua vita,
e
lei, ancora così piccola, ancora così indifesa,
non sapeva come
“Sei
un’egoista.”
Cominciò
a piagnucolare. Lei non era così, quella non era la vera
Valeryn.
Dov’era
finita la ragazza di una volta?
Ross
parcheggiò la macchina proprio sotto casa di Alex. Rivolse
uno
sguardo a Vittorio che fumava con il finestrino aperto e scosse la
testa, tentando di riscaldarsi con le braccia. Si era fatta sera,
erano andati in un pub a bere birra e fare un po’ di casino.
Suo
fratello doveva distrarsi un po’ da tutta quella situazione.
Ross
lo capiva, capiva perfettamente che era solo
un ragazzo, aveva bisogno anche di quello, forse soprattutto
di quello.
«E
basta fumare, mi stai impuzzolendo la macchina!» lo
rimproverò, poi
si strinse nel giubbotto «Peraltro hai il finestrino aperto
da
mezz’ora e mi hai fatto congelare!»
Vittorio
fece spallucce, poi gettò lontano la sigaretta finita. Di
solito non
esagerava con il fumo, ma in quei giorni era così nervoso
che non
poteva farne a meno.
Fece
per scendere dalla macchina, ma suo fratello lo trattenne da un
braccio. Si voltò a guardarlo interrogativo.
«Ehi,
nemmeno un “Grazie,
Ross. Mi sono
divertito tantissimo con te, ti adoro, grazie per avermi pagato le
birre, il panino e l’amaro”?» Il
più grande alzò un sopracciglio di fronte a quel
suo tentativo di
sgattaiolare via senza degnarlo di una parola o di uno sguardo.
Vittorio
sospirò e fece mezzo sorriso, annuendo.
«Sì,
grazie. Sono stato bene» fu l’unica cosa che disse.
Aveva
ancora in colpo quell’alcol da metabolizzare, non era
semplice
affrontare alcun tipo di discorso per lui.
Non
fece passare dei secondi in più e scese dall’auto.
Il più grande
imprecò sonoramente, così lo richiamò,
incitandolo a tornare
indietro senza esitazioni. Vittorio alzò gli occhi al cielo
e si
fermò.
«Dimmi,
che c’è?» chiese, appoggiando un braccio
sul finestrino aperto.
Si
guardarono negli occhi senza dire niente.
«Come
che c’è?» chiese Ross, dopo un
po’, sbalordito «Credevo ti
fossi divertito!»
«Infatti
mi sono divertito» confermò il castano.
Il
fratello scosse la testa emettendo un suono gutturale che significava
che non gli credeva affatto.
«E
allora perché stai ancora così?»
Vittorio
non rispose a quella domanda, solamente abbassò lo sguardo.
Si era
divertito veramente con lui, in quelle ore in cui aveva bevuto e
fatto casino con il “Capus”, il
“Prof”, Dado e tutti gli
altri suoi amici non aveva pensato a niente. Ma adesso che sapeva che
in quella casa c’era lei
non poteva essere per niente tranquillo.
Perché
erano tutti riuniti lì e lui non poteva fare a meno di
salire a
salutarli, si preoccupavano a loro volta, i suoi amici.
E’
solo che aveva una sensazione di ansia che riusciva a spiegarsi poco,
o meglio, era come una sorta di presagio di ciò a cui
sarebbe andato
incontro.
«Ho
capito» sospirò Ross, rassegnato «Stai
così per quello,
giusto?»
Continuò
a non rispondere, si morse lievemente il labbro.
«Senti,
ti dico una cosa» Il fratello maggiore lo guardò
negli occhi,
risoluto, e poche volte aveva visto quel bagliore negli occhi di
Ross, che non faceva altro che prendere la vita alla leggera.
«La
devi smettere, Vitto. Qualunque cosa succeda, devi essere forte. Devi
farlo per te stesso. Altrimenti non starai più bene, ti lacererai»
«Lo
so che non è facile» lo precedette, dato che stava
per dire
qualcosa «Ma guarda me. Io ce l’ho fatta in qualche
modo, ce la
farai anche tu. Tu sei ancora meglio di me, pivello. Mi costa dirlo,
ma lo sei»
Vittorio
annuì con un sorrisino che riuscì a strappargli
dopo quella
constatazione, poi fu investito da un grande gelo. Si strinse nel
giubbotto e si avvicinò al portone, suonando il citofono. La
serratura scattò. Un po’ impacciato,
tornò indietro, non sapendo
bene che parole usare.
«Senti,
grazie, eh? Hai ragione» soffiò piano, mentre Ross
annuiva,
compiaciuto.
«Ah,
e un’altra cosa. Mi sono divertito davvero oggi, io... Mi
diverto
sempre con te» gli rivelò con affetto, poi
finalmente voltò le
spalle ed entrò in casa, mentre il maggiore sorrideva e
metteva in
moto.
Proprio
in quel frangente, Elia si trovò fuori in veranda a fumare.
Aveva
visto tutto, aveva sentito ciò che si erano detti.
Gettò il fumo
piano dalla bocca, che si confuse subito con il gelo
dell’aria.
Stava
davvero così male, Vittorio? Per lei?
Perché
avrebbero avuto un figlio così giovani e Valeryn non lo
voleva
vicino come avrebbe dovuto...
Era
comprensibile, non riusciva invece a comprendere quel suo patetico
umore di fronte ad un realtà così oggettiva.
Continuava
ancora a sentirsi tradito
perché?
Voleva
solo tanto aiutare Vittorio in qualche modo, fargli capire che lui
gli sarebbe stato sempre accanto.
Ma
quello che sentiva in fondo al suo cuore era che voleva Vittorio per
sé, e nient’altro.
La
mano gli tremò e la sigaretta con gli ultimi aspiri cadde di
sotto.
Il
castano, nel frattempo, entrò in casa. Daniel lo accolse
festosamente, gli altri lo salutarono in coro.
«Bella
zi’, aspettavamo solo te!» esclamò
estasiato, mentre lui si
toglieva il giubbotto e faceva per metterlo via.
«Ma
no, da’ qua, faccio io!» glielo tolse dalle mani.
Carmine
alzò un sopracciglio nel vedere quella scena.
«To’,
ma guarda che servizievole!» commentò con sarcasmo.
«Per
tua informazione, io riservo sempre
questo trattamento agli amici» si pavoneggiò
quello, mentre
imboccava il corridoio e portava il giubbotto del castano in
un’altra
camera.
«Sì,
come no, quando ci urli contro ti adoriamo!»
Vittorio
lasciò perdere Daniel che, per l’appunto,
strepitava contro il
povero Carmine per averlo provocato. Qualcuno gli chiese qualcosa e,
finito di rispondere, si accomodò vicino a Maia che aveva il
cellulare tra le mani.
La
riccia alzò lo sguardo su di lui e fu automatico ripensare
alle
parole dell’amica di poco prima, perciò scosse la
testa,
dispiaciuta. Vedere Vittorio in quel momento le faceva pensare che
Valeryn si era bevuta completamente il cervello. Non poteva
lasciarlo... Lui era così bello, così gentile...
E in quel momento
le sembrava così disperato.
Non
lo meritava.
Decise
di apparire più disinvolta possibile e dirgli qualcosa, ma
non
potette fare a meno di notare dello sguardo di disappunto che Miriana
le aveva lanciato avendo intuito le sue intenzioni. Decise di fare
finta di niente e si accinse a rivolgergli un sorriso.
«Ehi,
come stai?» gli chiese, piegando la testa di lato.
L’ennesima
domanda del genere.
Vittorio
abbassò lo sguardo e lei se ne accorse.
Come stava? La
domanda che più odiava
in quei giorni.
Perché
non stava bene.
«Bene,
grazie, Maia» mentì.
Dopo
si guardò intorno per sfuggire dalla sua stessa bugia, ma
gli altri
erano attenti a guardare la TV. Censeo però gli sorrise, poi
gli
fece uno cenno seccato verso Daniel e Carmine che discutevano ancora.
Maia
continuò a guardarlo. Era caparbia, odiava vedere i suoi
amici in
quel modo, lei voleva sempre mettere una buona parola con tutti.
«Vitto,
noi due siamo amici ormai da un paio d’anni»
mormorò, anche se le
urla di Daniel e Carmine risuonavano per tutta la casa. Lui le
ricambiò lo sguardo interrogativo, era vero che si
conoscevano da
tanto, al dire il vero quasi tutti erano cresciuti nello stesso
quartiere, tre quarti di loro avevano passato la loro infanzia
insieme.
«E
quindi ci tenevo a dirti che... che se hai bisogno di aiuto, beh,
sappi che puoi contare pure su di me» gli venne naturale
dirglielo.
Era
nella sua indole, era una dote innata quella di preoccuparsi per chi
voleva bene.
Lui
le sorrise sinceramente. Quella ragazza aveva un cuore d’oro,
era
sempre dolce e affettuosa con tutti.
«Grazie,
che carina che sei» le rispose.
«E
un’altra cosa...» aggiunse seria, poi si
passò una mano tra i
ricci «Lei
è in bagno, ti prego, raggiungila, è da tanto che
sta chiusa»
Vittorio
strinse le labbra e annuì piano. Doveva andarci, non poteva
fare
finta di niente, doveva incontrarla prima o poi, no? E Maia si stava
rassicurando che si prendesse cura di lei.
Dove
avere il coraggio di affrontarla, lui era il suo ragazzo.
In
un gesto automatico, si alzò di scatti dal divano con il
cuore che
gli martellava in petto e scomparì nel corridoio.
Elia
rientrò dalla veranda proprio in quell’esatto
momento. Tutti si
voltarono a guardarlo.
«E
tu dove stavi, ti eri perso?» chiese Alex, squadrandolo
strano. Il
biondo negò con la testa, ma non aggiunse niente,
concentrato a
fissare il punto in cui Vittorio era sparito.
«Ah,
a fumare, e quando mai!» constatò
l’amico, ironico.
Elia
fece ruotare il suo sguardo su Maia, interrogandola con gli occhi.
Sentiva il profumo di Vittorio, gli fece girare la testa
perché lo
avrebbe riconosciuto in una folla di sconosciuti.
Si
sedette vicino alla ragazza, nel posto in cui fino a qualche secondo
prima c’era seduto lui.
Per
un po’ di secondi si torturò le mani e non seppe
se era il caso di
chiederglielo, ma fu più forte della ragione.
«Dov’è
andato? L’ho visto che è salito»
sussurrò all’amica e lei lo
guardò un tantino perplessa.
Elia
si preoccupava tanto per Vittorio. Anche se a volte intravedeva
qualcosa in lui di strano, di diverso, in lui. Lo conosceva troppo
bene e si preoccupava davvero poco per gli altri, mentre per Vittorio
aveva quella sorta di protezione, di devozione, quell’affetto
viscerale che lei a volte non se lo spiegava bene.
Decise
di non pensarci e gli rispose dicendogli la verità.
«In
bagno, da Valeryn»
La
ragazza si teneva la fronte, gli occhi socchiusi.
Si
sciacquò la faccia per riprendere fiato, era la cosa che
odiava di
più, vomitare, le faceva ribrezzo. Eppure doveva abituarsi,
erano
già passate circa quattro settimane. Si sentiva
così sola in quel
momento, in quel vecchio bagno vuoto.
Ma
chi aveva più?
Lei
stava crollando a pezzi come un castello di carte.
E
dalle persone che potevano salvarla non voleva essere salvata.
Era come se avesse trovato confortevole il suo malessere.
Appena
prese una tovaglia per asciugarsi, Vittorio aprì piano la
porta.
Valeryn
si voltò con il cuore in gola scrutandolo dallo specchio,
non si
aspettava di trovarlo lì. Lui la guardò a sua
volta, poi si chiuse
la porta alle spalle.
Rimasero
fermi a fissarsi senza dirsi nulla per qualche secondo, tutti e due
in difficoltà più che mai.
La
ragazza si mordeva il labbro nervosa. Non voleva affrontarlo proprio
in quel momento, era l’ultima cosa…
Stava
male e voleva andare via…
Quel
bagno le sembrava troppo stretto, sentiva ansia, disagio, non voleva
che si avvicinasse.
Ma
lui lo fece, si avvicinò di più a lei.
«Che
cos’è successo?» gli chiese, facendo
scorrere i suoi occhi per il
bagno tentando di collegare
Valeryn
non rispose, continuò ad asciugarsi la faccia.
«Hai
vomitato, vero?» trattenne il fiato, il fatto che lei non
rispondesse gli faceva male. La ragazza gettò uno sguardo al
lavandino che aveva appena lavato, poi annuì lentamente,
senza
guardarlo.
Vittorio
si avvicinò a lei poggiandole una mano sulla guancia,
preoccupato.
Lei alzò lo sguardo su di lui, senza parlare.
«Come
stai adesso?» le chiese, spostandole una ciocca di capelli
dal
volto.
«B-bene...»
sussurrò impercettibilmente, poi gli ricacciò
piano la mano e andò
a posare la tovaglia. Il ragazzo sospirò volgendo gli occhi
al
cielo, sentì gli occhi lucidi, ma doveva essere forte.
Forte,
altrimenti sarebbe crollato su quel pavimento che di pulito aveva ben
poco.
Si
sarebbe lacerato la carne trapassandola fino al cuore.
«Dimmi
qualcosa, Valeryn» sembrava una supplica, anzi, lo era
«Dimmi che
va tutto bene, ti prego»
Non
andava tutto bene.
Non
andava tutto bene fuori, non andava tutto bene dentro di lei. Le
scese una lacrima traditrice, colpevole. Fece per andarsene, non
poteva stare a guardarlo un minuto di più.
Lui,
però, la trattenne da un braccio.
«Non
andartene via, rimani con me, per favore» sussurrò
con la voce
incrinata, mentre con una mano la stringeva dalla schiena contro il
suo petto.
Non
voleva che la pregasse. Era troppo per lei. Senza pensarci, o forse
perché in fondo ne aveva bisogno, si alzò
leggermente sulle punte
per poterlo baciare. Lui chiuse gli occhi, il cuore era impazzito,
tutto dentro di lui sembrava impazzito. La strinse forte a
sé dalla
nuca passandole una mano tra i capelli, non voleva lasciarla mai.
Voleva approfondire quel bacio, voleva tanto fare l’amore con
lei…
L’afferrò
in braccio e la fece sedere sul lavandino, aprendole le gambe ed
infilandosi dentro, cercando di trovare un appiglio fisico in quella
lontananza mentale che adesso sentivano.
Ma
Valeryn bloccò la sua mano che aveva provato ad infilarsi
sotto il
suo maglione. Si staccò dalle sue labbra con lo sguardo
basso,
anche se lui non voleva lasciarla andare, la strinse ancora.
«Ti
prego...» soffiò tra le sue labbra. I suoi occhi
grigi erano
tristi, ma poteva leggere tutto l’amore che provava per lei.
“Sai
che c’è? Che hai paura.”
Sì,
aveva paura. Miriana aveva ragione. Aveva paura e non poteva farci
niente. Aveva repulsione anche solo se la toccava e non riusciva a
fermare quel senso di nausea allo stomaco. Si divincolò dal
suo
abbraccio.
«No,
torniamo di là» disse lapidaria, scansandolo e
rimettendosi in
piedi.
Vittorio
rimase spiazzato, non riusciva quasi a muoversi. La testa
già
pesante per quel pomeriggio di alcol, iniziò a martellargli.
Si
sentiva così male...
Si
sentiva così morire dentro.
Perché
lei lo aveva rifiutato e poteva percepire tutto il suo disagio anche
solo quando la sfiorava dai vestiti.
Valeryn
uscì dal bagno, lui la seguì piano, senza dire
una parola. Per
quanto volesse, le parole non uscivano di bocca, nemmeno quando
tornarono in salotto e tutti gli lanciarono delle occhiate
apprensive.
Voleva
andarsene.
Non
voleva stare là.
Non
aveva più senso stare là...
Però
incontrò lo sguardo cervone di Elia e in quel momento
desiderò
abbracciarlo con tutto il cuore. Sentire il suo calore, sentirsi
protetto.
Sentirsi
amato...
Così
si sedette accanto a lui, ancora in silenzio. Valeryn era con Maia e
teneva gli occhi bassi e arrossati, gli altri li vedeva che facevano
finta di niente.
Il
biondo lo fissò ancora un po’, non gli aveva
levato gli occhi di
dosso. Evitò di fargli qualsiasi domanda superflua,
solamente lasciò
scivolare una mano su quella sua che si trovava appoggiata sul
divano.
Vittorio
sentì automaticamente un brivido a quel tocco,
così alzò gli occhi
grigi lucidi e lo guardò, si guardarono e parlarono
tacitamente.
Allargò
le dita e fece in modo che quelle dell’amico si incastrassero
perfettamente alle sue prima di richiuderle.
Elia
sentì il fiato mozzarsi.
E
rimasero in quel modo.
E
Vittorio non andò più via.
E
stavolta quella mano la strinse e non ebbe paura.
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