And your time has come
The naked truth is in disguise
It's your secret complication
Exhausted of this sacrifice
Just like a lying preacher
Hiding to survive
(Lacuna Coil, Distant
Sun)
Love me, before the last petal
falls.
(Nightwish, Beauty
& The Beast)
***
Il caldo, le luci, il vociare,
l’attesa, il frusciare di
abiti costosi e il tintinnio dei bicchieri dei drink, dei
gioielli… Così si
presentava una delle serate mondane più glamour e
chiacchierate della Germania,
uno sfavillante convoglio di star della musica e dello spettacolo,
nazionali e
internazionali.
C’era qualcosa di magico e
perverso nel piacere che si
poteva provare nel scendere da una lustra limousine nera ed essere
accolti da
un tappeto di persone adoranti che urlavano il tuo nome al di
là di un nastro
rosso che segnava il confine tra la gente comune e i loro idoli. Di
quelle
urla, Kuu si era beata e compiaciuta, rispondendo con sorrisi
smaglianti e
saluti calibrati, rivolgendosi a fans, telecamere e giornalisti, tutti
concentrati
su di lei. Perché era lei la regina della serata –
lei, e Kaaos il re – e buona
parte dell’attenzione sarebbe stata dedicata a loro due, i
Pristine Blue, la
popolare novità dell’anno della scena musicale
tedesca.
Appena era arrivata assieme a Kaaos,
c’era stata una miriade
di microfoni ad accalcarsi attorno a loro, domande a pioggia da
intervistatori
che lei, fino a poco tempo prima, aveva visto solo in televisione. E la
gente
che, confinata oltre il tappeto rosso dalle transenne e dai molti
bodyguard che
sorvegliavano la zona, gridavano e applaudivano, scattavano foto,
chiedevano
autografi, sventolando il loro CD e poster con la loro immagine.
Qualcuno,
addirittura, portava il logo dei Pristine Blue disegnato sul viso o
sulle mani.
Tutto questo
ha del
folle…
Solo fino a sei mesi prima, lei era
stata dall’altra parte
del nastro.
Poi erano entrati, e lei si era
ritrovata catapultata nel
vivo degli Echo Awards 2010: l’arena era più piccola
di quello che le era sempre
sembrato a guardarla in TV, dal salotto di casa, ma l’effetto
era comunque
straordinario. Riflettori tenui sui toni del rosa e del viola a
illuminare il
palco e gli spalti, e il parterre di fronte allo stage era pieno di
eleganti
tavolini corredati di divanetti scamosciati. La sala era già
quasi del tutto al
completo.
Era tutto nuovo, per lei, un mondo
noto ma ancora
inesplorato, pieno di celebrità di estrazione varia di cui
lei ormai era parte
integrante e pochi relativi fans, probabilmente ancora incapaci di
credere di
avere avuto accesso all’evento grazie alla vincita di qualche
concorso.
Kuu si guardava intorno annoiata
dalla sua comoda poltrona
dell’area vip, Kaaos alla sua sinistra che gettava sguardi
occasionali allo
scintillante premio come Best Newcomer che avevano appena vinto, la
loro
manager Griet a destra, euforica e fiera, che chiacchierava esaltata
con Luke,
la guardia del corpo che li seguiva ovunque da ormai qualche mese.
Il palco, al momento, aveva appena
accolto i Tokio Hotel per
la quarta volta, quella sera, che erano già saliti per
ritirare il premio come
Best Video, Best Band e Best Song, e ora ritiravano un meritato Best
Album per
il loro acclamatissimo ed attesissimo Humanoid, emozionati come se non
si fosse
trattato del milionesimo premio che si portavano a casa, come se non si
fossero
mai trovati su un palco davanti a chissà quante migliaia di
spettatori.
Kuu accavallò le gambe,
lasciate generosamente scoperte dal
corto abito di seta verde, e li osservò con interesse mentre
Bill si avvicinava
al microfono per snocciolare l’ennesimo, commosso discorso di
ringraziamento:
erano abissalmente diversi rispetto alla prima volta in cui li aveva
incontrati, ormai dieci lunghi anni prima, ma le sembravano ancora gli
stessi
ragazzini di allora, almeno per quanto riguardava certi atteggiamenti,
perché
sotto altri aspetti erano decisamente cresciuti. Dal primo
all’ultimo, ciascuno
di loro aveva assunto una propria identità precisa e ben
delineata, e se una
volta avrebbe riso di loro – così come loro
avrebbero riso di lei – ora non
poteva che riconoscere che ormai non restava altro da fare, se non
ammirarli.
C’erano
una volta i
quattro di Magdeburgo che sognavano di conquistare la Germania e
finirono per
sottomettere il mondo…
“Cosa ne pensate di loro,
ragazzi?” domandò casualmente Griet
a lei e Kaaos, sporgendosi verso di loro con in mano il suo bicchiere
di gin
and tonic.
Kuu la trovò una domanda
molto curiosa.
“Sono bravi,”
disse Kaaos, seduto scompostamente nella
propria poltrona, fissando il palco con i suoi occhi neri.
“Il loro stile ha
avuto un’impennata non indifferente da quando Jost ha smesso
di manomettere i
loro demo. Ci hanno guadagnato di brutto.”
Kuu rise.
“Mi spiace solo che siano
troppo belli per essere presi sul
serio da chi non li conosce,” disse, senza sbilanciarsi
troppo. “Non avrei scommesso
un centesimo su di loro, all’inizio,” aggiunse.
“Ma hanno tirato fuori la
grinta, e si meritano quello che hanno.”
Parlava senza interesse, limitandosi
ad esternare un mero
parere. Non le facevano né caldo né freddo, quei
quattro, in quanto gruppo. Non
le dispiaceva la loro musica, ma li trovava troppo perfetti per essere
veri. Non
aveva mai smesso di credere che ci dovesse essere qualche trucco dietro
a un
gruppo così bello e bravo e simpatico.
Era stata una loro fan sfegatata,
agli inizi, ma poi li aveva
visti crescere a dismisura nella popolarità, li aveva visti
diventare delle
stelle della scena musicale mondiale, e aveva perso
l’interesse per loro.
All’epoca le erano piaciuti per la loro sfacciataggine di
giovani talenti ribelli,
adesso erano solo quattro celebrità come tante, nonostante
ancora li ammirasse
per come affrontavano la loro fama.
Improvvisamente in sala calarono le
luci e si fece silenzio.
Tutti i riflettori si spensero, ad
eccezione di quelli che
puntavano sul centro del palco, dove Nena stava salendo per consegnare
il
premio successivo. Kuu, però, guardava altrove.
I Tokio Hotel, con il loro bel premio
in mano, stavano
ritornando verso i loro posti. Seguì con lo sguardo Bill,
Tom, Georg e Gustav
che sfilavano silenziosi verso la passerella, non di destra, come
avevano fatto
le volte precedenti, ma di sinistra. Le sarebbero passati accanto in
cinque
secondi netti.
Kuu rivolse loro
un’occhiatina di sufficienza mentre si
avvicinavano, tra grida festanti e strilli isterici, e gli occhi di
tutti erano
per loro, per le loro espressioni di trionfo. Nel sorpassarla,
incrociarono il
suo sguardo per un momento: uno di loro la ignorò, un altro
le fece un
occhiolino sfacciato, un altro si limitò a scrutarla
brevemente, un altro le
sorrise. Il sorriso più triste e vuoto che lei avesse mai
visto.
Kuu si chiese come due occhi di quel
caldo color cioccolato
potessero apparire così gelidi, dietro a quella misteriosa
patina di opaca
malinconia.
I ragazzi ripresero i rispettivi
posti, festeggiati da pacche
del loro manager, Benjamin Ebel, e del loro ormai storico produttore,
David
Jost.
Kuu scorse una ragazza alta e
slanciata, vestita esattamente
come le bodyguards, un paio di occhiali scuri a nasconderle gli occhi,
che si
alzò a salutò il ritorno di Tom con un bacio
sulle labbra. Non fu difficile
riconoscerla come la sua ragazza, una figura di certo non nuova al
pubblico più
fedele, dato che ormai era già più volte comparsa
su diversi giornali, in
qualche servizio su di loro e anche ad un paio di eventi come quello,
senza
contare le sue occasionali apparizioni in un paio di episodi della
Tokio Hotel
TV.
Subito accanto, invece,
c’era la ragazza di Georg, vestita
in modo decisamente più affine ai gusti di Kuu, anche se
forse un po’ troppo
sobrio e discreto, ma le piaceva l’abbinamento tra le
ballerine rosse e i jeans
grigio scuro, senza contare che la maglietta bianca sfrangiata che
portava
sotto alla giacchetta nera satinata aveva tutta l’aria di
provenire
direttamente dalla collezione disegnata da Bill. Era più
fine, rispetto
all’aggressività che comunicava lo stile della
ragazza di Tom, e più femminile,
e sembrava sentirsi terribilmente spaesata, là in mezzo,
fino a che Georg la
prese per mano, e lei si rilassò immediatamente.
Kuu si chiese dove avessero lasciato
la figlia di lei, dato
che della piccola non c’era traccia.
Assieme a loro, in jeans e camicia
bianca, c’era anche il
fascinoso DJ Djevel, fratello della ragazza di Tom, che al momento
stava
brindando l’ennesima vittoria assieme a Bill e Gustav.
“Non ce l’hai un
po’ di orgoglio?” le sussurrò Kaaos ad
un
orecchio.
Kuu lo spinse via, infastidita.
“Ero solo curiosa di
vederli nel loro ambiente naturale.”
Era strano, in effetti, trovarsi
lì, perché tante volte
aveva sognato qualcosa di simile. Ora che anche lei aveva avuto accesso
a
quell’ambiente, le sembrava solo tanto fumo e poco arrosto,
una grande,
spettacolare illusione montata per essere venduta al pubblico.
Guardò il prezioso premio
che le scintillava di fronte,
messo in bella mostra sul tavolino, e lo visualizzò nella
propria stanza nella
vecchia casa dei suoi a Potsdam, la sua cittadina natale: avrebbe fatto
una
magra figura con quell’arredamento spartano.
Fin da piccola, Kuu aveva sempre
odiato quella casa, un
minuscolo trilocale a stento sufficiente ad ospitare tre persone. I
suoi non
avevano più avuto figli, dopo di lei, perché non
se li sarebbero potuti
permettere, e così lei aveva vissuto di sacrifici, vestendo
gli abiti dismessi
delle proprie cugine più grandi, acquistando libri di testo
usati per la
scuola, e i pochi soldi che riceveva li teneva da parte per comprare CD
e
biglietti per i concerti. Anche dopo, quando aveva iniziato a lavorare,
quel poco che le restava dai contributi ai suoi per aiutarli con le spese
e dal
pagamento della retta per l’università, li aveva
spesi per quello.
Adesso che era una cantante famosa,
tutto era diverso.
Dopo la firma del contratto
discografico con la Universal,
lei e Kaaos avevano avuto necessità di prendere un
appartamento a Berlino, di
comprarsi vestiti più consoni a delle rockstar, e finalmente
lei si era potuta
permettere un pianoforte tutto suo, un magnifico Bösendorfer
290 Imperial che
aveva sognato fin dalla più tenera età, quando
aveva iniziato a prendere le
prime lezioni di piano da sua prozia Ingrid. Da allora, la musica era
stata
tutta la sua vita.
“Ragazzi,” li
richiamò Griet. “Tutto ok?”
Kuu le sorrise ed annuì.
Aveva sempre adorato Griet, una
donna energica e piena di vita, che si era fatta in quattro per loro,
per
aiutarli a sfondare, e non avrebbe mai smesso di esserle grata di tutto
quanto.
Le veniva un po’ da ridere, però, a vederla
agghindata in quell’abito da sera,
perché Griet era tutto, fuorché una da abiti da
sera. Da come continuava ad
aggiustarselo addosso, infatti, era più che palese che non
vedesse l’ora di
sbarazzarsene e tornare al suo solito, confortevole abbigliamento
casual.
“Questo è
soltanto l’inizio.” Promise loro. “Mi sto
dando da
fare per organizzarvi qualcosa che non potete nemmeno
immaginare.”
“Una megavacanza di sei
mesi su un’isoletta in Islanda?”
domandò Kaaos, fingendosi speranzoso. Era un orso solitario
un po’ allergico
agli eccessi di attenzione. Gli piaceva l’idea di iniziare a
suonare in giro
per la Germania, e, perché no, magari anche per
l’Europa o il mondo, un giorno,
ma Kuu sapeva che tollerava malvolentieri l’invadenza dei
media.
“Vuoi una vacanza di sei
mesi dopo neanche tre mesi che sei
famoso?” Griet schioccò la lingua con scherzoso
rimprovero. “Ragazzo mio, non
credo che ti sia ben chiaro come funzionano le cose nel jet
set.”
Kaaos si stiracchiò,
protendendo avanti a sé le lunghe
braccia sottili. La giacca di pelle si tese sulla sua schiena.
“Per ora mi posso
accontentare della mia suite di hotel a cinque
stelle con servizio in camera ventiquatt’ore su
ventiquattro.” Dichiarò,
soddisfatto, accavallando pigramente le gambe da ragno.
Kuu raccolse il proprio bicchiere di
San Pellegrino e ne
prese un sorso.
“Non hai classe, Kaaos.
Puoi fare finta di fare il bel
tenebroso quanto vuoi, ma sei nato campagnolo e campagnolo
morirai.”
Lui rise.
“Scusate, Lady Kuu, se non
sono degno della vostra nobiltà.”
“Mi serve
un’aspirina.” Disse lei, portandosi con grazia una
mano alla tempia. Stava iniziando ad avvertire uno sgradevole cerchio
alla
testa.
Subito Griet afferrò la
propria immensa borsa e si mise a
rovistarci dentro.
“Sono sicura di avere
qualche analgesico,” borbottò. “Hai
qualcosa nello stomaco, vero?”
Kuu distolse lo sguardo e fece finta
di niente quando Kaaos
le lanciò un’occhiatina insinuante.
“Sì,
certo.”
“Ecco qui.” Griet
le porse un paio di pastigliette. “Meno
male che non hai preso alcolici.”
Kuu buttò giù
tutto assieme a un bicchiere d’acqua.
Nonostante l’euforia per
quella serata tanto attesa e di
successo, non si sentiva particolarmente in forma. Ma c’era
l’afterparty, a
show finito, ed era una cosa che lei non si sarebbe persa per nulla al
mondo.
Kaaos aveva già specificato che lui avrebbe partecipato solo
a patto che gli
lasciassero scolare tutti i whiskey che voleva; Griet glielo aveva
concesso solo
perché conosceva la sua impeccabile resistenza
all’alcol.
La curiosità di Kuu verso
l’afterparty, invece, era
decisamente più pragmatica: gli ospiti sarebbero stati
personalità di cui lei
stessa era ammiratrice. Ci sarebbero stati Nena, i Silbermond, i Cinema
Bizarre, LaFee, e ovviamente i Tokio Hotel, e come ospiti
internazionali i
Linkin Park e perfino e i Depeche Mode. E lei non sarebbe stata solo
una
comparsa, ma una di loro.
Giornali del calibro di Kerrang e
Rollingstone ci avevano
messo poco a fiutare nei Pristine Blue un grandissimo potenziale e
avevano
dedicato loro articoli decisamente lusinghieri, per una band
esordiente. ‘La
principessa del rock tedesco’, così Rock Sound
aveva definito Kuu dopo l’uscita
di Skies Can Cry, il loro primo singolo, che aveva raggiunto il disco
d’oro a
una sola settimana dalla pubblicazione e il platino a un mese.
Kuu era stata orgogliosa di quei
risultati. Aveva dato anima
e corpo per arrivare fin dov’era e aveva tutta
l’intenzione di restarci, a
qualunque costo.
“Ci aspetta il bis di red
carpet, tra poco.” Le rammentò
Kaaos, vuotando il suo terzo calice di champagne. “Se qualche
ragazza mi regala
un altro orsacchiotto, non rispondo delle mie azioni. Griet,”
Si voltò verso la
manager. “Urge un’intervista in cui mi chiedano
cosa detesto, così forse la
smetteranno con i peluche.”
“Preferiresti forse delle
bottiglie di vino?” lo stuzzicò
Kuu.
“Touché, mon
amie. Un bel Pinot Grigio, o un Marsala, o del
Barbera, magari.”
“Ho idea che tu ti sia
abituato troppo in fretta ai capricci
da star, sai?”
“Oh, sentitela!”
la rimbeccò lui. “Miss
Mi-metto-un-Versace-perché-uno-Chanel-sembrerebbe-dozzinale.”
Kuu gli allungò un calcio
stizzito sullo stinco.
“E quella con cui mi hai
appena colpito non è forse una banalissima
Jimmy Choo?” insisté Kaaos.
“Oh, sei
impossibile!” sbottò lei, imbronciandosi.
“Buoni, voi due.”
Li ammonì Luke, divertito. Era un uomo
sulla quarantina, alto e robusto, con due penetranti occhi blu che a
Kuu erano
sempre piaciuti. Le ispiravano fiducia. “Non costringetemi a
dividervi.”
“Quanto manca alla fine
dello show?” domandò Kaaos,
sbadigliando.
Griet controllò
l’ora sul trasandato Swatch che teneva al
polso, una pessima stonatura con la raffinatezza dell’abito.
“Ormai è
questione di minuti. Iniziate a prepararvi. Con
quel gingillino in mano, vi pioveranno addosso un sacco di
giornalisti.”
Rispose gioviale.
Una decina di minuti più
tardi, infatti, le telecamere
all’interno della’arena si spensero e la gente
iniziò a defluire a piccoli
gruppi, scortati da guardie in divisa.
“Afterparty,
here we come!” si rallegrò Kaaos, alzandosi in
piedi.
Kuu lo imitò. Si
sistemò il vestito, assicurandosi che non
ci fossero sgualciture o altro, raccolse la pochette e il premio, poi
prese il
braccio che Kaaos le offriva. Facevano abbastanza specie, loro due, a
braccetto: lei era alta poco più di un metro e mezzo, lui
quasi due metri.
Si avviarono verso l’uscita
insieme a Griet e Luke. Erano in
molti a occhieggiarli incuriositi.
Una volta fuori, trovarono un grande
affollamento: gli artisti
venivano fermati per foto e interviste e i fan gridavano a
squarciagola. Un
paio di metri avanti a loro, i Tokio Hotel, privi del loro seguito di
compagne,
management e security, venivano tempestati di flash e lodi, mentre una
donna in
tailleur rosso acceso se li mangiava con gli occhi tra una domanda e
altra.
“Poco fa ci avete regalato
una performance degna dei posteri
con il vostro nuovissimo singolo. Che cosa ne pensate delle altre
esibizioni di
stasera?”
Prevedibilmente, fu Bill a prendere
la parola:
“Ci è piaciuta
molto tutta la serata. Esibirci è stato un
onore, soprattutto perché abbiamo visto che anche gli altri
sono stati molto
brillanti. Personalmente mi sono piaciuti i Silbermond, ed era anche la
prima
volta che sentivo i Pristine Blue dal vivo. Davvero bravi. Credo che la
voce di
Kuu sia una delle più belle che si siano sentite in giro
negli ultimi anni. Sono
sicuro che arriveranno lontano.”
Oh, per
favore!
Kuu gli lesse nel tono della voce un
chiaro filtro di
diplomazia, anche se probabilmente era sincero.
“Ma chi lo veste,
quello?” commentò Kaaos, scuotendo la
testa di fronte al discutibile gilet in simil-coccodrillo che Bill
indossava.
Kuu fece una smorfia disgustata.
Preferiva di gran lunga le
cose raffinate a quelle estrose.
“Suppongo ci pensi da
solo.”
Per la verità,
però, Bill le piaceva: era un tipo in gamba,
che non si curava di ciò che gli altri dicevano di lui e
andava avanti per la
sua strada. Aveva carattere, un carisma e una presenza scenica innati,
e lei,
segretamente, un po’ lo invidiava. Il suo era un fascino che
non aveva nulla a
che vedere con la sua innegabile bellezza androgina; gli veniva da dentro,
ed era
una cosa che nessuno gli avrebbe mai potuto portare via.
“Noi andiamo
avanti.” Bisbigliò Griet frettolosamente,
lasciandoli soli in pasto alle telecamere. “Ci vediamo in
macchina.”
All’inizio Kuu era stata
colta impreparata dall’impetuosità
dei media, ma aveva imparato in fretta: sorriso affabile, cortesia,
sguardi
complici nell’obiettivo, e tanta prudenza
nell’esternare i propri pareri. Era
tutto lì, un gioco abbastanza semplice.
Tutto era semplice, se sapevi mentire.
“Sorridete, Lady
Kuu,” sussurrò Kaaos, avanzando verso
l’occhio del ciclone di giornalisti, che, mentre i Tokio
Hotel si
allontanavano, ormai non attendevano che loro due. “Il popolo
vi acclama.”
Kuu lo seguì ad occupare
il posto appena lasciato dai Tokio
Hotel, che ora posavano in un angolo per gli scatti di rito con i premi
mietuti.
Mentre la giornalista iniziava con le
domande, Kuu li
osservò: sorridevano raggianti, mostrando i quattro awards
senza segni di
ostentazione.
Ad un tratto, senza un
perché, uno di loro si voltò verso di
lei, e lei si ritrovò a incontrare lo stesso sguardo
malinconico di poco prima,
e per un attimo si sentì violata
dall’intensità di quegli occhi.
Durò solo un battito di
ciglia. Il momento dopo, i Tokio
Hotel se ne stavano andando e lei stava raccontando alla giornalista le
proprie
impressioni sullo show.
Quello sguardo, però, non
se lo sarebbe dimenticato.
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Note:
ed eccomi qui, come promesso, con questa nuova avventura targata Tokio
Hotel. Il primo capitolo, come sempre, non è che un breve
accenno di introduzione alla storia, quindi dal prossimo mi
dilungherò decisamente di più. Per ora, questo
è quanto. ^^ Ovviamente tutto ciò che
scriverò in questa storia sarà frutto della mia
immaginazione e, a parte i personaggi che sarete in grado di
riconoscere come realmente esistenti, il resto è tutto
puramente inventato, Pristine Blue compresi.
So già che molti di voi, leggendo questo breve capitolo
introduttivo, avranno storto il naso di fronte a Kuu, e magari si
saranno anche detti "Questa è una Mary Sue bella e buona".
Se così fosse, non potrei darvi torto, però
vorrei semplicemente mettere in chiaro che non c'è mai nulla
di lasciato al caso, nelle mie storie. Se una determinata cosa
è in un modo piuttosto che in un altro, c'è un
perché, e se un personaggio è così
piuttosto che cosà ha le sue buone (o cattive?) ragioni di
esserlo.
Quello che voglio dire, anche se spero vivamente che non ce ne
sia bisogno, è che c'è una abissale differenza
tra una semplice Mary Sue messa lì solo per conquistare il
cuore di Bill (o Tom, o Georg, o Gustav) con la sua accecante bellezza
e uno sguardo seducente, e un personaggio pensato invece per
essere presentato così, creato con consapevolezza e
soprattutto uno scopo preciso. Siamo solo all'inizio e la storia
sarà lunga, spero abbiate abbastanza fiducia in me da
aspettare a dare giudizi negativi su Kuu o chiunque altro. Se poi,
più avanti, lo vorrete fare lo stesso, lo
accetterò di buon grado. ;)
A proposito di nuovi personaggi, vi linko l'immagine con la copertina
dell'album dei Pristine Blue, così vi potete fare una mezza
idea di come li ho immaginati: Kuu
& Kaaos
I commenti sono sempre e comunque i benvenuti. Che pensiate o meno di
essere banali, il parere di un lettore è sempre importante,
per uno scrittore che si vuole migliorare, quindi apprezzerò
molto se vorrete farmi il regalo di una recensione, breve o prolissa
che sia.
Intanto, grazie in anticipo a tutti!
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