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Andromeda Shun & Cygnus
Hyoga in
« Cenerentola
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C’era una volta una magnifica
villa, sulla sommità di una collina, un palazzo nuovo, ricco ed elegante, che senza
eccessivi sfarzi s’imponeva sulle case del paese. Descriverla adeguatamente
sarebbe il solo modo di rendere onore alle sue verdi e curate siepi, alle
finestre istoriate, ai corridoi caldi e luminosi. Ma quello che c’interessa
sapere di questa villa è che, al momento di cui si scrive, essa era in preda
all’isteria collettiva.
“Le carrozze! Avete chiamato le
carrozze? Non c’è più tempo! Le carrozze devono essere prenotate in
anticipo! Vi dico che le nostre sono inagibili. Vorrei proprio sapere
chi ha avuto la bella idea di uscire a passeggio in campagna, proprio in
campagna, e proprio nei sentieri allagati dalla pioggia! Ah, ma se…”
“I signori, Lady Pandora. Sono
stati i signori a…”
“Ah, non si può stare tranquilli
un minuto. Parlerò io con i signori. Le carrozze, per amor del cielo!
Avete prenotato le carrozze sì o no?”
“Andiamo subito, Lady Pandora.”
“Sbrigatevi, insomma!”
“Sì, signorina!”
Non tutta la villa, a dire il
vero, tuttavia, era coinvolta nel clima frenetico. In un appartato salottino,
per esempio, due distinti gentiluomini sedevano uno di fronte all’altro, il
massimo dei loro sforzi proiettato nel meditare sulla prossima mossa a scacchi.
“Lady Pandora sembra piuttosto
agitata. Cavallo in G4.”
“E sta venendo qui. Torre in G6.
Attento, Minos.”
“Alla torre o a Lady Pandora? Il
mio cavallo è guardato da un pedone.”
“A Lady Pandora, infatti. Prendi
su la scacchiera. Filiamocela.”
“Aiacos! Minos!”
Come la gentil donzella posò
piede nella stanza, i due si bloccarono istintivamente, senza osare proseguire
nel tentativo di fuga. Minos ancora ancora, incrociando le braccia dietro la
schiena, poteva fingere di non saperne niente. Aiacos, che reggeva in bilico la
scacchiera sulla testa, non poté fare altrettanto.
“Ma insomma, che combinate! Per
l’amor del cielo, devo starvi dietro come a due bambini! Voi due, tra i tre
conti e magistrati più importanti dell’intero regno, che sedete al Tribunale di
Sua Maestà ogni giorno…” Due passetti lesti lesti, e Minos drizzò la schiena,
con aria impassibile, per farsi raddrizzare il panciotto. “Ma che disordine!”
Aiacos guadagnò solo una tirata d’orecchie.
“Ahia! …non me lo meritavo.”
“Sì, invece. Di chi è stata
l’idea di uscire in carrozza, imbrattandomela tutta di fango?”
“Sua.”
“Sua.”
“Decidetevi.”
“Non ha importanza, Lady Pandora.
Penserò io a sistemare tutto.”
I tre si voltarono quasi
contemporaneamente verso la dolce voce che si era introdotta nel loro discorso.
Un ragazzino esile, dallo sguardo sognante, aveva fatto capolino dalla porta. I
suoi abiti erano certamente poveri, ma straordinariamente puliti, e né quelli
né gli strofinacci che gli impegnavano le mani, segno della sua condizione
servile, riuscivano ad intaccare la straordinaria bellezza del suo volto
efebico, la luminosità dei suoi occhi, il sorriso gentile. Le sue parole
risvegliarono un grande sospiro nella giovane donna che, ora, si portava una
mano al petto.
“Shun. Grazie al cielo, sei un
angelo.”
“Oh, sono contento di potere
esservi utile.”
“Sentito? Ci pensa Shun” liquidò
allegramente Aiacos, girando attorno a Pandora per riappoggiare la scacchiera
sul tavolino, per ridare un’ombra di dignità alla scena. “Non faremo brutta
figura alla festa. Tranquilla.”
“Dovreste essere più coscienziosi,
voi due! Questa festa è un’occasione importantissima, è il primo ballo
della stagione, indetto dal principe in persona! È un evento di grande
prestigio, ed è importante che voi, in quanto eminenti personaggi pubblici, vi
mettiate in mostr-Aiacos! Quei cioccolatini non sono per te!”
“E per chi sono?”
Lo strano trio si era rimesso a
ciarlare – più o meno – allegramente per conto suo, ma Shun non se ne crucciò.
Era ormai abituato ai frequenti siparietti che si svolgevano in quella casa.
Per non essere d’impiccio o d’incomodo, si spostò ai margini della stanza,
cominciando diligentemente a spolverare i soprammobili.
“Allora” sospirò per l’ennesima
volta Pandora, cercando di fare il punto della situazione. “Il ballo si terrà
stasera alle dieci in punto. Forse riusciremo ad avere le carrozze
pronte in tempo – ma sappiate che dopo facciamo i conti anche a questo
proposito – e i vestiti sono pronti e stirati nelle camere degli ospiti.”
“La mia è quella blu?”
“Sì, Aiacos, la solita. Mesi che
te ne alloggi a scrocco in questa casa, e…”
“Va bene, va bene, ho capito.”
“Bene. Ora vi farò un’altra
semplice domanda. Avete, non è vero – spero vivamente che non abbiate pensato
che potessi occuparmi anche di questo – una compagna con cui
presentarvi?”
Passarono tre secondi di
silenzio. Più che sufficienti per dare un’idea della risposta a Lady Pandora,
che invece del tanto sospirato sì udiva solo Shun canticchiare
allegramente nella sua opera di pulizia. I due uomini si guardarono in faccia.
“Tu chi porti, Minos?”
“Ma sì, ma sì” si distrasse
quello, allungando le dita pallide verso il tavolo a spostare un pezzo da un
quadro nero ad uno bianco, in orizzontale. “Mi porterò dietro Rune.”
“Rune è il tuo procuratore.”
“Lo so.”
“È un maschio.”
“Appunto. Non è rumoroso, non fa
commenti inopportuni, non si attarda quand’è ora di andarsene. Direi che è
perfetto.”
“E va bene.” Batté il piede a
terra, Pandora, spostandosi con lo sguardo da uno all’altro. In fondo, non
c’era niente di male per un uomo celibe a farsi accompagnare dal proprio
assistente, specie se ricoperto di una carica importante come quella di
procuratore di Lord Minos. Passò dunque lo sguardo all’altro gentiluomo, con un
che di vagamente minaccioso. “Aiacos?”
Minos sogghignò. Adesso arrivava
il bello. Appoggiò sfacciatamente il viso alla mano, un gomito sulla
scacchiera, pregustandosi le arrampicate sugli specchi dell’amico e collega, che
stava cercando di mantenere un sorrisetto sicuro e spavaldo, in evidente
ricerca di una risposta convincente. Alla fine, sotto gli occhi divertiti del
Giudice, allargò il sorriso fino a farlo divenire smagliante, e spalancò le
braccia: “Naturalmente pensavo di invitare voi, mia splendida, avvenente
Lady Pandora!”
“Mmh. Questa è una buona
risposta. Sarei venuta lo stesso, ma, naturalmente, al braccio di Lord Aiacos
sarà tutt’un’altra cosa. E va bene.”
Vittoria schiacciante. Minos
sbuffò svogliato, mangiandosi un pedone senza aspettare il proprio turno. Ma
ormai Aiacos era andato. Tubò, così, a voce alta, per interrompere la gloria
del collega:
“E Lord Rhadamantis? Mia Lady
Pandora, perché non controllare a dovere anche lui?”
“Perché io so badare a me stesso,
Minos.”
“Si-signor Rhadamantis!” pigolò
Shun, scostandosi per fare entrare l’uomo imponente che si profilava sulla
soglia. Lord Rhadamantis entrò con tutto il suo severo cipiglio, in netto
contrasto con il ghigno divertito di Minos e la disinvolta postura di Aiacos. Il
quale tuttavia raggiunse subito il collega alla scacchiera, come riunito da un’improvvisa
complicità: “Uuh, c’è Barbablù!”
“Barbablù,
Barbablù!”
“Finitela,
idioti.”
“Rhadamantis,
mio caro. Qual buon vento ti porta?”
Rhadamantis, aggrottando il
nobile monociglio, spostò gli occhi da Pandora, signorilmente accomodata in
poltrona, a Shun, che si fece piccolo piccolo. Ma ritornò quasi subito alla
nobildonna, omaggiandola di un piccolo, marziale ma rispettoso inchino.
“Vengo a recapitarvi l’invito
ufficiale al ballo di stasera, mia signora.”
“Oh, è meraviglioso. Ti
ringrazio” flautò lei, prendendo tra le dita la busta che il conte le allungava
gentilmente. Gesto di diverso tenore quello invece diretto agli altri due
uomini, che ricevettero le loro buste senza troppa grazia né formalità.
“Immaginavo che foste qui, come
al solito. Ho anche i vostri.”
“Grazie, caro collega!” vociò
Aiacos, sghignazzando.
“Aah, il malvagio Barbablù in
realtà ha un cuore d’oro! Fufu.”
“Finitela. E badate di non
presentarvi in ritardo.”
“Come sta la tua adorabile
mogliettina, vecchio mio?”
“Sta bene.” Per la prima volta da
quand’era entrato, Barbablù ricambiò i sorrisetti dei due gentiluomini con un
sottile, inquietante sogghigno. Lady Pandora scosse la testa, disapprovando.
Shun, il dolce, piccolo Shun,
aveva gli occhi inavvertitamente spalancati sulla scena, sebbene le sue mani
continuassero a lavorare operose. Non riusciva a staccare nemmeno le orecchie
da quella strana, tagliente conversazione, che ai suoi occhi tuttavia spalancava
scenari da fiaba. Un ballo! Un principe! Si ritrovò a
sospirare impercettibilmente, riabbassando le palpebre e concentrando lo
sguardo sulla grata del caminetto, che stava strofinando vigorosamente con lo
straccio per ripulire dalla fuliggine. Lui a quella festa non sarebbe potuto
mai andare, perché…
“Quel ragazzino” saettò di lato
gli occhi Rhadamantis, senza farsi udire dal diretto interessato, intento a
spolverare e fantasticare, con sguardo trasognato “perché è dedito a faccende
tanto umili? Sono stato male informato, o è il padrone di casa?”
“Più o meno” Lord Minos aveva la
pessima abitudine di incrociare le gambe ed appoggiare i piedi sul primo
ripiano che gli capitava, in casa propria o di altri. Si vede che era stato
abituato a trattarsi bene. Dovette posarli solo sotto lo sguardo fulminante di
Pandora. “Lady Pandora ha la casa in affidamento, non lo sai?”
“In affidamento?” interrogò la
voce cavernosa del conte, che rimaneva severamente in piedi. La gentildonna
incrociò le mani in grembo, sospirando e lasciando finalmente perdere Minos.
“In affidamento, Rhadamantis.”
Drizzò la schiena, un sorriso signorile dipinto in volto. “Questa bella casa
che vedi è frutto del duro lavoro di un nobile giovanotto che ben dovresti
conoscere. È un mio lontano parente. È assente da lungo tempo, per uno dei
tanti viaggi di lavoro che lo portano lontano. Io sono responsabile in vece sua
della casa e del suo grazioso, dolcissimo fratello minore.”
“Stai parlando di Ikki?” biascicò
da dietro Lord Aiacos, steso ancor più comodamente di Minos sui divani. “Di
quale nobiltà andate cianciando, Lady Pandora? È solo un borghesotto
arricchito! Come, poi, non si sa bene.”
“Goodness gracious. Un borghese.”
“Volete tacere?” li rimproverò
inviperita l’interpellata. Gettò una breve occhiata al soggetto della loro
discussione, che tuttavia si trovava ad una ragionevole distanza da loro, e con
la testa decisamente fra le nuvole. “È da casa sua che da mesi andate
avanti e indietro come se fosse un albergo! E solo vantando la vostra
conoscenza con me! Dovreste vergognarvi.”
“Beh, è una bella villetta”
commentò con un’encomiabile faccia di bronzo Minos.
“Oh, andiamo, Lady Pandora!” rise
ad alta voce Aiacos, distogliendo Shun dalle sue riflessioni. “Rallegriamo un
po’ la casa, non è vero? Non è vero, Shun?”
Il ragazzino si beccò una brusca
seppur a modo suo affettuosa scompigliata di capelli. Sbatté gli occhioni
verdi, senza capire, ritrovandosi la manona di Aiacos sulle spalle.
“Il nostro angelo del focolare!”
“La nostra Cenerentola” motteggiò
dal fondo della sala Minos, con un innaturale tono apatico.
“Oh!” Shun arrossì terribilmente “Voi…
non dovete badare a me! Lady Pandora sta facendo del suo meglio per badare alla
casa del mio signor fratello, e io le sono così grato! Da solo non ce la farei
a badare agli affari, e alla servitù…”
Sulle sue labbra sbocciò un
modesto sorriso, e riabbassò presto gli occhi sullo strofinaccio, torcendosi
quasi le dita. Non si sentiva invero all’altezza di quei tre nobiluomini tanto
adulti e di tanto alto rango. Finì la frase quasi sussurrando: “Preferisco
rendermi utile come posso.”
“Sentito?” chiosò allegramente il
Giudice, finendo di scompigliarselo a dovere. “Gli piace così!”
“Mh” grugnì vagamente il terzo
componente del gruppo, limitandosi a dare una rassettata alla propria
impeccabile giacca di tweed. “Sarà. Non voglio immischiarvi negli affari
vostri. Ad ogni modo tolgo il disturbo, è già ora di pranzo. Mi raccomando,
puntuali al ballo.”
“Quando mai siamo in ritardo, o
nostro inflessibile Barbablù?”
“Quattro volte su tre. A
stasera.”
La verità era che Shun avrebbe
voluto terribilmente partecipare a quella festa. E avrebbe anche potuto, in
realtà. Era lui il padrone di casa, e sarebbe bastata una parola gentile a Lady
Pandora per ottenere di potere unirsi al gruppo; ma ci si era tanto arrovellato
che aveva finito per perdere il coraggio. E così si limitò al modesto,
secondario ruolo di Cenerentola, aiutando come sempre i due ospiti a prepararsi
e tirarsi a lucido in vista dell’evento, trascurando sé stesso e mentendo sui
suoi programmi per la serata. Ma a ben vedere, che cosa mai avrebbe avuto a che
spartire con loro? Lady Pandora, per quanto lontana parente, era nobile. Anche
Lord Aiacos e Lord Minos lo erano. Lui non era nessuno – o quasi. Suo fratello
aveva lavorato tanto, e ancora lavorava sodo, investendo in affari a lui non
del tutto chiari, ma eccome se lavorava. E lo faceva per lui. Grazie alla
volontà, al talento e all’intuito aveva assicurato ad entrambi una bellissima
casa, una posizione rispettabile. Avrebbe potuto dirsene fiero. Ma nonostante
questo, Shun si sentiva fuori luogo. E, meditava rannicchiato immobile al
davanzale della sua finestra, Ikki gli mancava davvero tanto.
Ah, come avrebbe barattato quella
villa lussuosa e le carrozze per una modesta casetta, ma con il fratello al suo
fianco! Per scacciare le lacrime che minacciavano di uscire al pensiero, si
costrinse a scendere le scale e fare una passeggiata nel giardino. La fresca
brezza della sera gli rinfrescò il viso, ma non gli allietò la mente. Fissava le
stelle, gli occhi tristi, pensando che per una volta, una soltanto, gli sarebbe
piaciuto vedere la corte. Vedere principi e dame, e balli e risate, e le luci
scintillanti di una festa a palazzo, come in una bellissima fiaba. Come in una
bellissima fiaba – chiuse gli occhi, il petto scosso dai sospiri – una gentile
fata sarebbe giunta ad aiutarlo, forse, se l’avesse sperato con tutto il cuore.
Giunse le mani. Se ci avesse creduto una buona fata avrebbe avuto compassione
di lui, e avrebbe…
“Maledizione!”
…sfondato la siepe del lato
Ovest, su un cavallo imbizzarrito, costringendolo ad una repentina fuga ed una
caduta fra le sterpaglie. Shun urlò spaventato, riparandosi sotto una panchina,
mentre attorno a lui sembrava scoppiato l’inferno: urla virili, scalpitii e
nitriti sordi, e il fragore di un marasma di bauli ed oggetti rovesciati, che
rischiavano di cadergli addosso. Quando riuscì a tirarsi fuori dal suo
nascondiglio, spalancò la bocca stupefatta nel vedere suo fratello maggiore smontare
da cavallo, con aria parecchio malconcia e soprattutto parecchio, parecchio
incavolata.
“Un giorno o l’altro farò loro la
pelle!” imprecò, strattonando il cavallo sino a farlo fermare, nervoso.
“Fratello!”
“Shun!”
“Ikki, sei tornato!” Il giovane
non poté fare a meno di buttare le braccia al collo del ragazzo più grande, che
con aria corrucciata lo sostenne. “Sei stato via a lungo, fratello! Quanto mi
sei mancato!”
“Sono tornato, Shun. Ma che ti
succede? Cos’è quella roba che hai addosso?”
E tu?, avrebbe benissimo
potuto chiedere Shun. Ma Ikki, dall’altro dei suoi abiti lisi e stracciati come
quelli di un avventuriero, aveva l’aria di chi era abituato ad ottenere
risposte, più che a darne. Così il ragazzino tacque, arrossendo appena.
“Che cosa fai conciato come un
servo?”
“Ho… ho dato una mano… in casa,
fratello. Io…” Alzò gli occhi, verdi, splendenti, verso i suoi, neri, seri. E
non ce la fece a trattenersi oltre. Davanti al suo amato, caro, fratello,
appena rientrato da chissà quale pericoloso viaggio, non gli venne di meglio da
fare che scoppiare in lacrime, raccontando ogni cosa. Di ogni angustia, di ogni
lavoro, di ogni preoccupazione e timore, e di ogni desiderio. Soprattutto
quell’ultimo, sciocco desiderio, di un ballo e di una fiaba. Davanti ad Ikki,
che tornava coperto di polvere e bello come un cavaliere che esce dalla
battaglia, che lo ascoltava senza sollevare un sopracciglio. Alla fine tacque,
mordendosi le labbra. E magari aspettandosi una bella sberla.
Invece, quello che gli arrivò in
faccia fu il tonfo morbido di qualche abito recuperato nei bauli sparpagliati.
Spalancò gli occhi, incredulo e confuso.
“E così” scandiva la voce
profonda del ragazzo di spalle “quell’arpia usurpa la mia casa in mia assenza.”
Suo fratello, il suo forte,
impavido fratello, frugava silenzioso nei bagagli sparsi, mentre il cavallo
trottava tutt’attorno, ancora agitato e confuso. Shun pensò vagamente che anche
quel poveretto doveva avere avuto una brutta serata. Ma presto si vide piantati
addosso gli occhi scuri e taglienti del fratello, che gli porgeva qualcos’altro
con un gesto deciso e che non avrebbe ammesso un rifiuto.
“Togliti quei vestiti, Shun.
Andiamo a vendicarci.”
Certo non era quello il programma
della serata che aveva in mente.
Stretto alla schiena di Ikki, le
braccia a stringerlo fortissimo in vita, in quel galoppare disperato, Shun
pensava freneticamente al da farsi. Aveva sperato in una fiaba, e si stava
trasformando in un romanzo di pirati.
“Ma fratello!” tentò di farsi
sentire da sopra il ritmo feroce della cavalcata. “Non faremo mai in tempo! Che
cosa vuoi fare!”
“Voglio andare a dirgliene
quattro!” ruggì quello, facendosi sentire eccome. Shun deglutì, discretamente
intimorito dalla piega che stavano prendendo gli eventi. Non era certo sua
intenzione arrivare a palazzo reale per piantare delle grane, o per fare
scenate. O peggio, per menare le mani.
“Ma fratello, io…!”
“Non ora, Shun! Siamo quasi
arrivati!”
Nel fresco della notte, Shun alzò
gli occhi, e vide il castello. Non aveva mai visto niente di più bello in vita
sua. La guancia appoggiata alla forte schiena del fratello, nel vento della
cavalcata, fu sorpreso dall’altezza delle torri, slanciate, e dalle luci.
Quando si fermarono, fu bruscamente, ma non troppo. Ikki non l’avrebbe mai
lasciato cadere: smontò, bruscamente, affidando il cavallo al primo stalliere,
e lo aiutò a scendere con entrambe le mani.
“Ora stammi a sentire. Io entro
dentro e sistemo tutto.”
“Ma Ikki… fratello mio.” Shun
gliele afferrò, quelle mani, e Ikki le lasciò dov’erano, pur scalpitando di
energia virile. Sospirò. Ora riconosceva il fratello, il dolce, piccolo
fratello, avvolto in abiti più consoni ai suoi bei lineamenti: quello che ora
era diventato un giovane ed elegante cavaliere pretendeva la sua attenzione, e
la ottenne. “Sii prudente, ti prego.”
“Lo sarò. Tu
aspettami qui, Shun” gli ordinò protettivo, volgendosi verso il portone e le
guardie reali, il petto in fuori, ben deciso ad andare a fare giustizia. “Non
permetterò che chi ti ha maltrattato sin’ora resti impunito. Tu dovrai entrare
a testa alta quando sarà il momento. Mi hai capito?”
“S… sì!” si mise sull’attenti
lui.
Shun restò fermo obbediente dove
il fratello maggiore gli aveva detto, fissandolo con ammirazione mentre procedeva
a larghe falcate. Ammantato a sua volta di abiti più adeguati all’occasione,
Ikki aveva tutte le intenzioni di presentarsi senza invito. Bastò guardare
significativamente le guardie e scrocchiare le nocche del pugno, e le porte si
aprirono magicamente.
Nel frattempo la festa, colorata e
piena di musica, si svolgeva al ritmo di valzer. Quasi tutti gli invitati
avevano ballato almeno il primo giro. Quasi tutti: non il principe, troppo
impegnato ad illuminare a giorno l’intero salone, accompagnato dall’immancabile
generale; il capitano delle guardie, impettito come sempre sull’altro fianco; e
una manciata di dame o cavalieri solitari che ancora non si erano incontrati. Tra
questi, un giovane ragazzo: una figura vestita quasi interamente di bianco,
dall’aria seria e vagamente malinconica, che se ne stava in disparte. Guardava
fuori dalla finestra, quasi fosse impegnato a contare le stelle.
“Hyoga! Che cosa ci fai lì?”
“Ah… nobile Milo. Nulla, nulla di
importante.”
“Non hai ancora preso parte alle
danze!”
“Per me è già solo un onore
essere qui” si schernì il ragazzo, con un timido sorriso. “Grazie alla
benevolenza vostra e del Maestro. Ma non mi sento dell’umore giusto per una
festa.”
“Isaac si sta divertendo” gli
sorrise gentilmente il nobile vassallo del principe, affiancandolo come un
fratello maggiore. Lo fece sorridere. “Perché non ti unisci a lui?”
“Sono troppo pensieroso, temo.”
“A che cosa pensi?”
Scosse le spalle, senza nessuna
espressione in particolare. I capelli biondi gli ricaddero dolcemente sulle
spalle, mentre tornava a rivolgere lo sguardo alla finestra. “Al
passato.”
“Al passato. Ti
va di parlarne?”
“Magari un’altra volta.” Hyoga
accennò con un gesto vagamente preoccupato alle spalle del suo nobile amico.
“Credo che il Maestro abbia bisogno di voi. Il Venerabile Shaka…”
Milo seguì la traiettoria del suo
sguardo e sbiancò. Non quel demonio! Non quella furia bionda! Non quello
a dirigersi con intenzioni scientifico-disquisitorie al suo
Camus!
“Fermi tutti!” si sgolò, partendo
alla carica. “Camus! Non rivolgere la parola a quella maledetta strega!”
Hyoga, giovane rampollo di nobile
famiglia, era stato educato da una stirpe di cavalieri a non indietreggiare di
fronte al nemico. Ma siccome l’amato amico del suo precettore stava già facendo
il diavolo a quattro, il giovane pensò di approfittarne per sfuggire per un
poco al rumore della festa, e di fare quattro passi in giardino. Si defilò
elegantemente, una figura bianca e slanciata, per la portafinestra che dava sui
giardini, più o meno nell’esatto istante in cui Ikki faceva il suo ingresso in
sala.
Shun, nel frattempo, aveva avuto
più o meno la medesima idea. Angosciato all’idea di dover aspettare il
fratello, aveva optato per una strada alternativa, ed ora si ritrovava, da
Cenerentola ad elegante cavaliere, negli opulenti cortili del castello del re.
Inutile descrivere la sua meraviglia nel contemplare i viali ornati di
composizioni floreali, le fontane, che alla luce della luna acquisivano una
magia tutta loro. Tutto, sotto la luce della luna, in quel posto da fiaba, era
magico: i germogli delle aiuole, teneramente chiusi; le fronde degli alberi,
che stormivano quiete; i due loschi figuri nell’ombra, che finivano di legare e
imbavagliare un poveretto stordito.
Due loschi figuri. Già.
“Bello che impacchettato” scandì
una voce per entrambi, soave.
“Già!” una risata sgangherata, e
lo scattare di un coltello. “E ora lo sgozziamo!”
“Sei veramente senza un briciolo
di eleganza. Non hai classe.”
“Scuci i soldiii!”
cantilenava infatti il malvivente piegato sulle gambe, minacciando con enorme
godimento il poveraccio a terra con gli occhi sbarrati, dondolando avanti e
indietro il coltello.
“Death Mask. Non fare rumore!”
“Sgancialo, sgancialo,
sgancialo il danarooo!”
Shun era rimasto a dir poco
impietrito di fronte allo spettacolo. Due borseggiatori nei giardini del re? Ma
chi erano quei due uomini? Fece un passo indietro, automaticamente, il cuore in
gola. E sfortunatamente fece abbastanza rumore per farsi sentire: un istante, e
quelli avevano gli occhi sull’intruso. Uno scintillio di occhi, un mantello
scarlatto nella notte. Cappuccetto Rosso, il sicario dalla bellezza fatale, mosse
un passo avanti. Aveva puntato l’inerme preda.
“Ci penso io a questa
caramellina.”
Shun deglutì. Non aveva che una
risorsa a sua disposizione.
Solo una.
“Pandora!”
Lady Pandora capì che la
situazione era nera nel momento stesso in cui lo vide entrare a passo di
carica nel salone. Ikki era abbastanza conosciuto per il temperamento
irascibile e per i suoi colpi di testa, ma dovette ammettere che quando si
sentì chiamare da un capo all’altro della sala da ballo, con voce tonante, fece
fatica a deglutire lo champagne.
“Aiacos. Minos. Rhadamantis!”
riuscì ad articolare, raccogliendo le gonne ed allontanandosi il più possibile
dal raggio d’azione del ragazzo che, inferocito, stava attraversando a grandi
passi l’intera pista da ballo, aprendo la folla con abbondante indifferenza
alle occhiate e agli urletti delle signorine. Lui puntava l’arpia, e l’arpia
scappava, giustamente. Bene. Molto bene. Valutò con un’occhiata i tre energumeni
verso i quali l’arpia se ne stava scappando e decise semplicemente di falciarla
prima che li raggiungesse. Prese la rincorsa, spiccò un salto e si preparò a
stenderla con un calcio rotante.
Pandora urlò, cadendo a terra
nello sgomento degli astanti.
Gli occhi sbarrati, il fiato
corto, ma incolume.
Il calcio era stato parato da un
braccio solido e da una presa altrettanto micidiale. Ikki, liberatosi dall’uomo
che si era messo improvvisamente in mezzo fra sé e l’usurpatrice maledetta, si
piegò sulle ginocchia. Indifferente al rumoreggiare sconvolto della folla,
squadrò da capo a piedi l’orientale che si lisciava le pieghe della cintura di
seta, come se avesse appena scacciato una mosca.
“E tu chi diavolo sei?”
“Rispondi tu per primo. Con quale
cognizione attacchi una donna?”
“Non sono un gentiluomo”
sogghignò il giovane, serrando i pugni, pronto in guardia. “Se mi si fa un
torto, io lo vendico, senza guardare in faccia nessuno. E tu? Sei il paladino
delle donne?”
“Che sciocchezza.” Un sorriso
sornione. Finalmente quell’uomo dal viso delicato come quello di una fanciulla
aprì gli occhi: erano azzurri, e tremendi. “È solo che non mi piacciono i tipi
rumorosi.”
“Basta, ti prego, basta” gemeva
intanto il sicario più spietato dell’intero regno. “Basta con quegli occhioni.”
Aveva fatto un errore. Aveva
fatto un errore a coprire la fuga di Lupo, assicurandogli che si sarebbe
sbarazzato lui del ragazzino. L’aveva sottovalutato. Aveva sottovalutato i suoi
grandi occhi luminosi. Aveva fatto l'errore di prestare orecchio alle
prime tre parole che gli aveva rivolto, e da allora gli sembrava di essere
stato risucchiato in un vortice senza fine. Sentiva come lo zucchero scorrergli
per le vene, e annegava nella melassa. Era quasi senza forze.
“…E così è stato per puro miracolo
che mi sono ricongiunto con mio fratello, il mio caro, perduto signor fratello.
Vi prego, signore, io so che c’è del buono in voi, vi prego, prendete i miei
scarsi averi ma preservate la vita di quest’uomo! È legato e imbavagliato, al
freddo, e senza dubbio morirà se lo lasciate lì! Oh, vi prego! Vi scongiuro!”
“Chi va là?”
Cappuccetto Rosso si voltò di
scatto. Oh, no. I ragazzini ora erano due.
Shun abbassò le mani, giunte
nella foga della supplica, per rivolgere gli occhi velati di lacrime alla figura
che avanzava con passo spedito per il viale ciottoloso.
“Chi va là, ho detto!” pronunciò
più scandito e forte, emergendo all’ombra. Era un’apparizione di un bianco
rifulgente, un ragazzo giovane ma fiero, che alzava la voce in maniera il più
possibile controllata. Shun riconobbe ogni cosa, ogni singola cosa, in lui, dai
capelli biondi agli occhi di ghiaccio: ognuna formava l’immagine di un
meraviglioso principe. E non solo.
“Hyoga!”
“Shun?”
Fu come se il tempo si fosse
sospeso.
Sotto la luce della luna, tutto
era davvero magico. Anche quell’incontro, anche quell’incrociarsi di occhi. Non
c’erano che Hyoga e Shun. Nel senso più letterale del termine, perché Aphrodite
ne aveva approfittato per darsela a gambe.
“Shun! Sei proprio tu!” il
giovane nobile si era lanciato in avanti, a prendere le mani dell’altro
ragazzo, e a trarlo dalla polvere in cui era inginocchiato. “Che cosa… che cosa
ci fai qui? Va tutto bene?”
“Oh, sì, va tutto bene ora che
sei arrivato, Hyoga. Guarda, non mi sono fatto niente” rise, quasi, il
ragazzino, imbarazzato e confortato dalla stretta alle sue mani. Hyoga, per la
prima volta in quella serata, sorrise. Poi scosse la testa, sorpreso da
quell’incontro inaspettato.
“Quanto tempo è passato?”
“Sei, sette anni, da quando
giocavamo assieme.”
“Sì. Sì, lo ricordo.”
“Non mi sbagliavo” Shun estrasse
le mani dalle sue solo per congiungere i palmi, in un gesto complice,
guardandolo con occhi entusiasti. “Sei diventato davvero un principe.”
A quelle parole, tanto innocenti
e tanto dolci, il giovane ed algido biondo arrossì.
“Ti sbagli, io…”
“Ma sì, Hyoga. In ognuno dei
nostri giochi, tu eri sempre il principe. Me lo ricordo benissimo.”
“Sì. E Seiya era il cavaliere. E
Shiryu il mago. Tu volevi fare il principe come me, ma gli altri bambini ti
prendevano in continuazione in giro, perché dicevano che eri più adatto a fare
la principessa. Quante volte Ikki li ha malmenati per difenderti.”
“È vero!” Una risata argentina,
che riecheggiava dal passato. “Solo che…” Shun spalancò gli occhi, come se si
fosse all’improvviso dimenticato qualche cosa di estremamente importante. “Non
mi ricordo che cosa faceva Ikki.”
“Ikki? Ma è semplice.” Rise il
biondo, come ritrovando all’improvviso l’allegria. La risata riscaldò il
giardino, cancellò ogni preoccupazione. Riscaldò persino un po’ il cuore ed il
sorriso di Shun, che si lasciò volentieri riprendere per mano, timidamente, per
riprendere una passeggiata che aspettava da troppi anni. “Ikki faceva il
cattivo.”
La festa era in delirio.
Piatti rovesciati, bicchieri in
frantumi, gridolini di signore impegnate a fare il tifo per uno o per l’altro
fascinoso giovanotto, entrambi estremamente concentrati nel riempirsi di botte.
Avevano uno stile di combattimento estremamente diverso, ma ciò non influiva
sul fascino dell’incontro. Volavano delle legnate storiche.
“E… chi lo sapeva che Shaka…
menava così.”
“Oh, nel suo paese è molto famoso
anche per questo.”
“Camus…” sudava freddo, Milo, e
voleva davvero tirare un po’ più lontano dal ring il suo amato, intento ad
analizzare con precisione clinica l’onda d’urto che aveva spedito Ikki contro una
portafinestra. Nemmeno il rumore di vetri infranti gli fece sbattere le ciglia.
“Qualcuno… qualcuno deve farli smettere!”
agitatissima, Lady Pandora cercava inutilmente di riportare la ragione là dove
tutti ormai erano più che altro intenti a godersi lo spettacolo.
“E perché mai? Minos, una
tartina?”
“Grazie, mio caro. Dici bene. Fa
atmosfera. Ah, ha ripreso la musica, eccellente. Rune, balliamo!”
“M-ma V-Vostra Ec-Eccellenza, mio
signore, n-non posso…!”
“Fufu. Avanti, i passi
sono gli stessi, ma conduco io, facile. Uno, due…”
Ma ecco che una luce di speranza investì
improvvisamente i presenti: il principe Aioria era finalmente giunto, avvisato
dalle guardie del tafferuglio che era scoppiato senza preavviso nel giro di
pochi minuti in sala. L’espressione terrea sul suo volto la diceva tutta.
“Preparati! L’universo
ora ci attende!”
“Fermati! Ci oscureremo in un
mondo di luce!”
Accorso in tutta fretta, il
principe Aioria notò, basito, che le due frasi gridate con tanto impeto dai due
che ormai si stavano ammazzando non avevano nessun senso. Ma non se la sentì
davvero d’intromettersi.
Ignari di tutto e di tutti, il
principe che non era un principe e Cenerentola che non era affatto Cenerentola
si raccontavano le loro vite da quando il destino li aveva separati, le braccia
appoggiate al parapetto di una terrazza bianca. C’era tempo per decidere se
vivere per sempre felici e contenti. Shun, per il momento, era contento di
avere visto un castello tanto grande, e le luci, e quel magnifico giardino.
Hyoga era contento di avere visto Shun.
“Di una cosa, però, mi dispiace”
sospirò il ragazzo più giovane, il viso candido appoggiato alle mani. Hyoga lo
scrutava attentamente, conoscendolo e riconoscendolo sempre di più ogni momento
che passava. Tanto che gli venne spontaneo domandare subito: “Che cosa?”
“Sono riuscito a venire al ballo,
ma non ho ballato!” rise il suo giovane amico, afferrandosi con le mani al
parapetto e dondolandosi appena, sotto la luce della luna. Hyoga rimase in
silenzio per qualche secondo. Poi gli sorrise.
“Nemmeno io.”
Per qualche incomprensibile
ragione, Shun arrossì. Anche Hyoga, ma non aveva importanza, finché c’era solo
la luna, sul giardino. Gli tese la mano. Anche se non era davvero un principe,
potevano sempre riprendere a giocare. La musica non era ancora finita.
And they
all lived happily ever after. ~
{
Ever after
}
È
venuta lunghissimaaa! Com’è possibile? Ba… bakana! Ma-masaka! *O*; Athena no
tameni! *a caso, ormai*
E…
ecco, sono tornata con le favole! No, a dire il vero non è poi tanto lunga, si
dilunga appena più delle altre. Ma non è colpa mia. Essenzialmente porta via
tanto tempo la prima parte, che doveva essere più sbrigativa, ma mi divertiva
troppo orchestrare gli scambi di battutine dei Tre Giganti Infernali. Quanto se
vojonobbene. E un po’ se ne è andato. Poi devo dire che non mi aspettavo tutta
questa rilevanza di Ikki a livello di trama. Alla fine si tratta di una sorta
di parallelo delle diverse sorti dei due fratelli al ballo: anche qui le parti
di Ikki dovevano essere solo un piacevole (?) intermezzo, ma ha finito per
piantare più grane del necessario. Non vi distraete, però, eh! La storia è
davvero dedicata a quei due anatroccoli di Hyoga e Shun, guardate come sono
carini. Ikki a conti fatti non fa altro che menare le mani a destra e a manca.
È solo che fa più casino.
Grazissimissime
a Shinji e LeFleurDuMal che sono stati gli unici ad accorgersi
che avevo aggiornato questa perduta fic. Y_Y Perché lo sapevano, peraltro. Gh.
Mille grazie anche a Kijomi che mi ha betato qua e là le mie svistine, e
a Stateira perché assieme agli ammorih di cui sopra – e lei è inclusa
nel prezzo – mi ha fatto venire tutte le idee necessarie per riprendere Once
Upon a Time Picture presents. Wheeeeeeeeeeeee! <3
NOTA NECESSARIA: Le
amabili cantilene di Death Mask, intento a svuotare le tasche della sua povera
vittima – chissà che fine avrà fatto, a proposito – non sono parto mio. Sono
una citazione più o meno diretta di Willwoosh, i cui video su Youtube mi
fanno spaccare. Questo
è il video incriminato che ha attentato più volte al mio apparato respiratorio,
mio e di un altro paio di Gold Saint. È da quello che sono state tratte le
battute del nostro lupaccio. Se avete tempo e voglia vi raccomando di visitare
il suo canale, c’è da ridere per ore.