Capitolo 21
Antichi rancori
Zamesh finì di
leggere l'ultimo aggiornamento normativo infernale, sbuffò,
spense il portatile e si alzò dalla poltroncina in pelle non
meglio identificata (e sulla quale nessuno osava fare domande) del
suo ufficio di Responsabile dell'Ottavo Girone. Si avvicinò
allo specchio che occupava l'intero sportello di una delle librerie
in pregiato ciliegio del Giardino dell'Eden e grugnì
soddisfatto alla sua immagine riflessa. Era bello, nonostante la
cicatrice lasciata molti millenni prima da un'artigliata di Akenet.
Aveva un viso ovale e delicato, folti ricci castani e due grandi
occhi color miele che gli davano un aspetto dolce, se non si faceva
caso allo sguardo freddo e duro.
Zamesh era crudele,
terribilmente crudele, ma non da sempre, lo era diventato quando era
iniziata la Grande Guerra e aveva scoperto che torturare e uccidere i
suoi "fratelli" gli dava piacere, a differenza di Akenet,
che faceva tanto il duro ma non era neanche capace di carbonizzare a
morte i suoi sottoposti. Finiva sempre per risanarli perché in
fondo non era che un debole.
Passò una mano
sulla cicatrice. Anche quella non era altro che la dimostrazione
della debolezza del suo avversario millenario.
Emise un ringhio
sommesso, quel vigliacco non si meritava di comandare il Nono Girone.
Non era abbastanza duro. Certo, era stato il guerriero più
forte e quello che aveva ottenuto più vittorie, ma lui aveva
ottenuto poche vittorie in meno ed era molto più crudele.
Meritava molto di più il trono del Nono Girone.
Una rabbia fredda pervase
Zamesh che non tollerava più di essere sempre un passo
indietro ad Akenet.
Questa volta avrebbe
dimostrato a Lucifero chi dei due aveva realmente la stoffa per
essere il suo secondo in comando, avrebbe ottenuto il trono del Nono
Girone e mostrato come si comportava un vero Responsabile infernale!
La festa sarebbe finita e anche dal Nono Girone si sarebbero
innalzati urla e lamenti disperati, come era giusto che fosse!
«Signore!» Lo
chiamò Aluaryel rimanendo rispettosamente ferma sulla porta
dell'ufficio.
Zamesh si girò, la
demone era accompagnata dell'umano di nome Eymerich.
«Ho portato il
dannato come da lei richiesto».
Zamesh osservò
l'inquisitore; era piuttosto mal ridotto: il suo corpo era ricoperto
di piaghe.
L'Arcidiavolo chiuse il
pugno destro e lo riaprì di scatto. Le piaghe sul corpo del
dannato sparirono. Non l'aveva fatto per pietà, ma per
utilità, il dannato gli serviva ancora, era intelligente per
essere un umano e crudele quanto bastava per poterlo considerare un
servitore fidato. Era stato proprio lui a intuire dove avrebbero
potuto trovare la compagna di Azaele dopo l'improvvisa sparizione da
Roma. «Ritengo che questa storia si chiuderà dove è
iniziata, li cercherei nelle campagne tra Mentana e Monterotondo».
Aveva suggerito con estrema sicurezza.
E aveva avuto ragione,
c'erano voluti solo due giorni perché le spie di Zamesh
individuassero la fattoria dove si erano nascosti Azaele e i suoi
alleati. L'arcidiavolo aveva atteso che Gabriel e Safet fossero
lontani e poi aveva ordinato a Eymerich di attaccare. Ma
evidentemente qualcosa era andato storto.
«Chi ti ha ridotto
in questo stato?» domandò seccato..
«Quel traditore di
Akenet!» rispose l'umano stizzosamente.
Gli occhi di Zamesh si
infiammarono di rabbia, ancora una volta Akenet si era intromesso tra
lui e il suoi obiettivi.
Ma sarebbe stata
l'ultima. Ormai era arrivato il momento di scoprire chi meritava
davvero il comando del Nono Girone, e non aveva dubbi a riguardo.
#
Akenet era steso sul
letto, malgrado la ferita alla spalla gli facesse ancora male, stava
molto meglio. L'umore invece non era dei migliori, il che era
comprensibile visto che grazie all'intervento di suo zio Gabriel era
caduto prigioniero di una banda di eroi sgangherati. Si liberò
dalle coperte scalciando innervosito al ricordo di come l'Arcangelo
l'aveva messo al tappeto.
Qualcuno bussò
alla porta; allungò la mano verso i pantaloni buttati su una
sedia accanto al letto ma sentì immediatamente una dolorosa
fitta alla spalla.
«Fanculo!», pensò,
«Vuol
dire che chiunque sia mi vedrà in mutande!»
«Avanti!»
ruggì sdraiandosi di nuovo.
La porta si aprì e
entrò Gabriel, il che mise ulteriormente di malumore
l'Arcidiavolo che si aspettava di vedere Palletta.
«Cosa vuoi?»
domandò sgarbatamente.
Gabriel non se la prese,
non si aspettava che il nipote lo accogliesse diversamente.
«Volevo sapere come
stavi» rispose calmo.
«E poi?»
Ringhiò l'Arcidavolo.
«E poi, cosa?»
domandò Gabriel.
«Non trattarmi da
idiota, zio!» Ringhiò Akenet sedendosi sul bordo del
letto.
Gabriel sospirò,
stava per rispondere ma il nipote lo anticipò. «Comunque
la risposta è no. Scordatelo, non ho intenzione né di
aiutarvi, né di rinunciare a prendermi il figlio di Azaele».
Gabriel sospirò di
nuovo, Kenni era sempre stato molto sveglio. «È una
bambina»
Akenet ebbe un attimo di
incertezza da cui si riprese subito. «E quindi? È anche
meglio, le ragazzine sono molto più sveglie dei maschietti».
«Kenni, vuoi
davvero fare una cosa del genere a tuo cugino?»
L'Arcidiavolo sorrise
crudelmente. «Sopravviverà come sono sopravissuto io»
Gabriel lo guardò
severamente. «Iliadel non era tua figlia! E nemmeno tua
sorella, anche se la consideravi come tale»
Akenet si alzò in
piedi di scatto e per quanto l'essere in mutande gli togliesse un po'
di autorevolezza, riuscì a far arretrare leggermente lo zio.
«Oh, quindi siccome non eravamo consanguinei, non avrei dovuto
soffrire come un cane quando me l'avete portata via? Io volevo bene a
quei mocciosi. Prima me li avete affidati e poi me li avete portati
via. Tutti, anche Iliadel. Lei piangeva disperata quando il suo
tutore se l'è presa, ma a quegli stronzi dei suoi genitori non
è importato nulla né dei miei sentimenti né dei
sentimenti della piccola! A nessuno di voi è importato nulla
del dolore dei vostri figli, vi siete comportati come dei pezzi
merda…»
Gabriel impallidì,
non poteva dar torto a suo nipote, in fondo, anche se in modo un filo
più diplomatico, anche lui aveva espresso il medesimo pensiero
ai suoi fratelli.
«Abbiamo commesso
un grave errore, non posso darti torto, ma…»
Akenet lo interruppe
furioso. «Il vostro “errore” ci ha fatto finire
tutti all'Inferno e mentre noi siamo stati puniti per aver sbagliato,
voi siete ancora tutti lì!»
«Non siete finiti
tutti all'Inferno» puntualizzò lo zio.
«Oh, scusami tanto
se avevo dimenticato Yliel “la perfettina”, quella che vi
ha dato tanta soddisfazione mollando il suo ragazzo da un giorno
all'altro per diventare un Arcangelo, e tutti quelli di noi che si
sono risparmiati la condanna eterna crepando nella Grande Guerra o
sparendo nel nulla come Iliadel!»
«Anche noi
Arcangeli abbiamo avuto la nostra parte di dolore!»
«Ma non siete stati
gettati all'Inferno dal Padre o, peggio ancora, da vostra madre, come
è successo a me! É colpa sua se i miei occhi sono
così!» ruggì Akenet indicando rabbiosamente gli
occhi completamente neri.
«Sei ingiusto,
Kenni, sai bene che tutti i ribelli che hanno cercato di opporsi alla
loro caduta sono stati inceneriti e che Medeaiel ti ha salvato la
vita!»
«È stata una
loro scelta e almeno si sono evitati la vita di merda che tutti noi
stiamo conducendo da millenni! Lei mi ha tradito due volte, zio. La
prima quando mi ha abbandonato che ero solo un ragazzino e la seconda
facendomi precipitare all'Inferno dopo aver finto di tendermi la mano
per aiutarmi!»
Gabriel si avvicinò
a suo nipote e fissandolo negli occhi gli domandò «Quindi
per vendicarti degli errori di noi padri e madri vuoi distruggere la
famiglia di Azaele e causargli un ulteriore dolore oltre a quelli che
ha già dovuto patire?»
«Stai parlando di
lui o di te?» Rispose Akenet con un sorriso cattivo e gli occhi
rossi.
L'Arcangelo impallidì
leggermente e suo nipote lo incalzò. «Fammi capire, zio.
Per quale motivo dopo millenni di completo disinteresse, di punto
bianco ti importa di tuo figlio? Hai davvero tanta paura che la
nostra schiera possa vendicarsi dei torti subiti?»
«Che mi sia
disinteressato di Azaele è solo una tua convinzione e per
quanto riguarda il mito dell'Alfiere del male, sappi che non credo
affatto in quella stronzata e sono certo che non ci creda neanche tu,
sei troppo intelligente!» ribatté Gabriel.
Akenet andò a
recuperare i vestiti, se li infilò nervosamente e si voltò
di nuovo verso suo zio emettendo un gemito di dolore nel chiudersi la
cerniera dei pantaloni.
«Quindi vuoi farmi
credere che hai deciso di intervenire perché tieni al
cuginetto? Non sarà piuttosto che hai deciso che era arrivato
il momento di lavarti la coscienza?»
Gabriel si irrigidì
ma mantenne la calma. «Attento Kenni, ti voglio bene, ma la mia
capacità di perdonare le tue offese ha un limite, e per
quanto riguarda la mia coscienza, non ho nulla da rimproverarmi, io
ho votato contro quella decisione».
Akenet si avvicinò
allo zio. Scintille di fuoco stavano cominciando a zampillargli
dall'aureola spezzata e dalle mani rivelando che stava faticando a
tenere la rabbia sotto controllo. «Oh, sei davvero convinto che
aver “votato contro” basti a scaricarti dalle tue
responsabilità? Dimmi zio, cosa hai fatto di realmente
concreto per evitare che la tua compagna e tuo figlio soffrissero?»
domandò con cattiveria.
«Ho fatto tutto ciò
che ho potuto!» rispose Gabriel con una calma che se Akenet non
fosse stato sopraffatto dalla rabbia, avrebbe interpretato come il
segno che stava per oltrepassare il limite.
«Bé, non è
stato abbastanza! È colpa della tua mancanza di palle se zia
Galadriel è morta!»
Quell'accusa tanto
crudele quanto ingiusta fece perdere definitivamente la pazienza
all'Arcangelo. «Ho ascoltato abbastanza stupidaggini, moccioso.
Non ti permetto di scaricare su di me la responsabilità della
morte di Galadriel. Ti sei scordato che gli angeli che hanno ucciso
tua zia erano sotto il tuo comando?»
Akenet vide l'aureola di
Gabriel illuminarsi, le sue grandi ali bianche aprirsi e emettere
lampi azzurrini mentre una luce bianca e celestiale cominciava a
sprigionarsi dal suo corpo.
«DIMMI AKENET, COSA
HAI FATTO TU, PIUTTOSTO, PER EVITARE CHE LA CIRCONDASSERO IN VENTI E
LA COLPISSERO A MORTE?» Tuonò l'Arcangelo nell'antico
verbo, posando una mano sull'elsa della sua spada e facendo un passo
avanti.
Akenet si rese conto di
aver esagerato. Parzialmente accecato dalla luce celestiale emessa
dallo zio, arretrò di un passo e istintivamente circondò
il suo corpo di fiamme infernali.
L'Arcangelo sbatté
le grandi ali dai riflessi azzurrini provocando uno spostamento
d'aria che spinse l'Arcidiavolo contro il muro, quindi sguainò
la spada angelica e la puntò contro il cuore di Akenet che,
conscio di trovarsi per la seconda volta in una posizione di
debolezza rispetto allo zio, spense le fiamme infernali.
«Hai perso la tua
baldanza, Arcidiavolo?» domandò sarcastico l'Arcangelo.
Akenet si limitò a
indicare con un cenno del viso la spalla sinistra che aveva
ricominciato a sanguinare. Era sudato fradicio per lo sforzo che gli
stava costando mantenere il controllo per evitare di reagire
all'attacco dello zio e per il dolore dovuto alla riapertura della
ferita.
La vista del sangue che
colava sul braccio del demone calmò Gabriel che rinfoderò
la spada e riacquistò il suo aspetto umano.
«Quando questa
storia sarà finita potrai tornartene all'Inferno. Nel
frattempo, sarai mio prigioniero. Ti sconsiglio di tentare la fuga,
questa stanza è stata preparata per essere la tua prigione per
cui non faresti una bella fine. E non preoccuparti, comunque vada
questa storia, non vedrai più la mia faccia!»
Qualcuno bussò
alla porta. Gabriel indietreggiò senza perdere di vista il
nipote che lo osservava con un'espressione indecifrabile.
L'Arcangelo aprì
la porta solo il tanto da permettere a Renzo Galletti di affacciarsi
sulla stanza. L'uomo appariva piuttosto turbato.
«Suo figlio e gli
altri sono tornati. Forse è meglio che venga di là, il
suo amico Safet non sta molto bene»
Gabriel scambiò un
ultimo sguardo con Akenet e poi uscì senza aggiungere una
parola.
L'arcidiavolo aspettò
che Gabriel chiudesse la porta dietro di sé poi si avvicinò
alla porta finestra che dava sul giardino. Gli bastò
un'occhiata per constatare che un incantesimo impediva di aprirla. Lo
zio non aveva bluffato.
Improvvisamente gli
sembrò di cogliere un movimento all'esterno. Guardò
verso il giardino e vide un ragazzino dai lunghi capelli neri e
mossi, gli occhi color pervinca e due ali candide.
Sorpreso, si chiese cosa
ci facesse lì fuori.
Il ragazzino sorrise e
volò ad abbracciare una coppia di Arcangeli: Gabriel e
Galadriel. Lei era bellissima, aveva lunghi capelli neri e ricci, gli
occhi nerissimi e il sorriso allegro ereditato da Azaele.
Akenet si avvicinò
ai vetri esterrefatto e di colpo sparirono tutti e tre. Sospirò
tristemente, ciò che aveva appena visto non era che l'immagine
di un ricordo lontano.
Abbassò il capo
mortificato. Si era appena reso conto di aver parlato in quel modo
con suo zio solo per il gusto di farlo soffrire quando in realtà
avrebbe dovuto dirgli molte altre cose.
Avrebbe dovuto dirgli,
per esempio, che non pensava affatto quello che aveva detto poco
prima e che sapeva benissimo che la zia era morta per colpa di un
gruppo di suoi subordinati aizzati da Zamesh.
Avrebbe dovuto dirgli che
anche lui era arrivato troppo tardi e che dall'alto lo aveva visto
piangere per la sua compagna ferita a morte.
Avrebbe dovuto dirgli che
lo aveva protetto da Zamesh per permettergli di stringere tra le
braccia Galadriel e darle l'ultimo saluto e che quel vigliacco
portava ancora i segni dei suoi artigli sul viso.
Avrebbe dovuto dirgli che
non era riuscito a piangere la morte della zia, perché dopo
essersi concesso un ultimo pianto di fronte ad Atriel, molti millenni
prima, aveva deciso che dai suoi occhi non sarebbe più uscita
nemmeno una lacrima e che a causa di quella decisione aveva finito
perfino per dimenticarsi come si fa a piangere.
Avrebbe dovuto dirgli,
infine, che se c'era qualcuno a cui voleva ancora un po' di bene, tra
tutti gli Arcangeli, era proprio lui, Gabriel.
Ma non l'aveva fatto, non
aveva detto nulla di tutto ciò, perché era un
Arcidiavolo e doveva difendere il suo stupido, inutile orgoglio.
#
Gabriel entrò
nella sala in cui Safet riposava steso su un divano. Un'occhiata tra
lui e Razel gli fece capire che la situazione era molto grave. Almeno
erano tornati anche Azaele, Michele e Yetunde; con loro c'era una
giovane demone che Gabriel aveva l'impressione di conoscere e che non
sembrava ostile, al contrario appariva molto preoccupata per Safet.
Aurora era seduta sul
divano, era bianca in viso e stava trattenendo a stento le lacrime
mentre carezzava delicatamente la fronte pallida e madida di sudore
di Safet. Gabriel si avvicinò al suo vecchio amico e notò
che era sporco di sangue, la sua pelle era bianca come quella di un
cadavere e ricoperta di venature nere dall'aspetto orribile.
Alba e Elena erano chine
sul demone per cercare di capire l'origine del male che lo stava
uccidendo.
«Ci avete capito
qualcosa ragazze? Pensate di poterlo aiutare?» Domandò
Razel cupo.
Elena scosse la testa.
«Qualcosa di orribile e demoniaco lo sta divorando da dentro
Razel, ma chiunque gli abbia messo in corpo questa mostruosità
è troppo forte per me. Alba purtroppo è ancora troppo
inesperta per intervenire e non abbiamo abbastanza tempo per fare dei
tentativi a vuoto che potrebbero farlo soffrire ancora più
di quanto non stia già soffrendo. Temo che non ci sia modo di
salvarlo!»
Gabriel, diede un pugno
contro il muro, sfondando la parete. Poi scivolò sulle
ginocchia.
Azaele corse da lui e lo
abbracciò, senza parlare.
«È
sicuramente opera di Zamesh, il professore mi ha detto che è
stato lui a torturarlo» disse Atriel, in lacrime come tutti gli
altri.
Adel e Kafresh, che fino
a quel momento si erano limitati a osservare la scena in silenzio, si
scambiarono uno sguardo d'intesa.
La piccola demone uscì
silenziosamente dalla stanza, corse verso la camera dove era tenuto
prigioniero Akenet e entrò senza neanche bussare.
«Come hai fatto ad
aprire la porta?» Le domandò l'Arcidiavolo, era ancora
accanto alla porta finestra e la stava osservando stupito.
Lei lo guardò
esitante.
«Perché stai
piangendo, che ti succede?» Domandò ancora Akenet
notando gli occhi rossi e il viso bagnato di Adel.
«Safet sta morendo
Signore. Crediamo che Zamesh gli abbia messo dentro qualcosa che lo
sta divorando».
«E perché
sei venuta a dirlo a me?» domandò lui freddamente.
«La prego, lo
aiuti!».
«Che c'entra
Zamesh?» domandò ancora l'Arcidiavolo girando intorno al
letto e fermandosi di fronte ad Adel.
«Safet ha detto ad
Atriel che si è alleato con Zoel e Krastet. È stato lui
a ordinare di catturarlo e poi lo ha torturato personalmente per ore.
La prego Signore, non abbiamo molto tempo!»
Akenet rifletté
sulla richiesta di Adel. Safet, era uno dei pochi demoni che stimava
e verso cui provava della simpatia, oltre a questo odiava Zamesh, sia
per quello che aveva fatto a Galadriel, sia perché sapeva
molto bene che pur non avendo né le sue qualità di
leader né la sua forza, aspirava ad ottenere il comando del
Nono Girone. Non ci voleva molto a capire che l'alleanza con Krastet
e Zoel era l'ennesimo tentativo di usurpargli il trono.
«E va bene. Portami
da Safet» le disse al termine di quelle riflessioni. «Poi
dovrai anche spiegarmi come mai tu puoi girare dove ti pare e io no»
aggiunse freddamente.
Adel fece cenno di si e poi gli fece strada fino alla sala dove riposava
Safet. All'Arcidiavolo si presentò una scena abbastanza
inusuale: demoni, angeli e umani erano tutti silenziosi e in lacrime
intorno a Safet. Indubbiamente,
pensò
Akenet, il
supervisore
sa farsi voler bene.
Gabriel vedendolo entrare
si era alzato in piedi stupito e pronto a combattere, ma Akenet
allargò le braccia in segno di pace. «Sono qui per il
vecchio, non ti agitare!»
«Pensi di poterlo
aiutare?» Domandò Azaele speranzoso. Akenet notò
la somiglianza tra lui e Gabriel e non poté fare a meno di
sogghignare, si strinse nelle spalle e rispose. «Chi pensi sia
più forte tra me e quella mezza sega di Zamesh, cuginetto?»
«Allora, ti prego,
aiutalo prima che sia troppo tardi!» Intervenne Aurora.
Akenet si voltò
verso di lei e la osservò perplesso. «Quindi saresti tu
la compagna umana di Safet? È meglio che esca da qui, non sarà
un bello spettacolo»
«Non ho alcuna
intenzione di abbandonarlo in un momento simile!» Replicò
lei decisa.
«Ottimo, mi mancava
proprio di avere intorno un'umana che strilla isterica mentre cerco
di concentrami!» commentò lui.
«Immagino che ti
abbiano già detto che possiedi gli stessi modi cortesi di un
troll?» ribatté lei passandosi una mano sul viso per
asciugare le lacrime.
Una luce divertita brillò
negli occhi di Akenet. «No. Chissà perché, la
gente tende a evitare di dirmi cose che potrebbero irritarmi»
rispose avvicinandosi al divano.
Ad Aurora sfuggì
un piccolo sorriso mentre si alzava per fargli spazio.
L'Arcidiavolo si sedette
al suo posto e diede uno schiaffetto a Safet che aprì gli
occhi e disse debolmente. «Sarei stato torturato abbastanza per
oggi, Signore. Se non le dispiace eviterei di essere anche
carbonizzato!»
L'Arcidiavolo sorrise,
una delle caratteristiche che apprezzava di più del
Supervisore era che non perdeva mai il suo senso dell'umorismo,
nemmeno nelle situazioni più difficili. «Non ho
intenzione di carbonizzarti vecchio. Ora ti tiro fuori la porcheria
che ti sta divorando, ma ti avverto che ti farà molto, molto
male. Sei pronto?»
«No!» rispose
Safet. «Ma va bene lo stesso, proceda pure».
Akenet ne osservò
il corpo martoriato per qualche istante, poi le dita della sua mano
sinistra si trasformarono in cinque artigli neri e acuminati, gli
salì in grembo e poggiò la mano destra sul suo petto,
infine si concentrò per non pensare al dolore alla spalla e
gli affondò gli artigli nello stomaco.
Safet iniziò a
urlare e tentare di contorcersi ma l'arcidiavolo gli bloccava i
movimenti tenendolo stretto tra le ginocchia e schiacciandolo contro
i cuscini mentre gli rigirava gli artigli nello stomaco. Fiotti di
sangue nero schizzarono da tutte le parti, ma Akenet continuò
a frugargli dentro senza badarci. Improvvisamente sul suo volto
comparve un ghigno soddisfatto, si bloccò per un istante e
infine cominciò a ritirare lentamente gli artigli dallo
stomaco di Safet trascinando fuori un'orripilante creatura nera
dotata di tentacoli ricoperti di ventose piene di aculei. La
creatura si contorceva nel tentativo inutile di liberarsi dalla sua
stretta emettendo versi striduli e sprizzando scintille infuocate.
Quando finalmente Akenet
riuscì a estrarla del tutto dal corpo di Safet, la incenerì
con una fiammata.
Safet, mormorò un
debole «Grazie!» e perse i sensi. Aurora fece per
avvicinarsi, ma l'Arcidiavolo le fece cenno di aspettare. Poggiò
una mano sulla ferita aperta, la massaggiò per qualche istante
e quando fu sicuro di aver riparato il macello interno, la richiuse.
«Adesso puoi
avvicinarti» disse lasciandole il posto al fianco del
supervisore. La professoressa, che non aveva emesso una sillaba per
tutto il tempo che aveva visto il suo compagno urlare e contorcersi,
strinse la mano di Akenet tra le sue in segno di ringraziamento e si
chinò ad abbracciare Safet.
Akenet si avvicinò
a Gabriel e facendo un cenno verso Aurora commentò. «È
in gamba l'umana di Safet!»
«Lo so!»
rispose laconicamente l'Arcangelo. Zio e nipote si guardarono
imbarazzati.
«Mi dispiace che la
tua ferita si sia riaperta» disse Gabriel. «Prima ho
esagerato, scusa!»
L'Arcidiavolo fece
spallucce e guardò lo zio dritto negli occhi «Ho
ripensato alla tua proposta e ho deciso che vi darò una mano a
combattere quei quattro sfigati che vogliono rapire la piccoletta»
«Davvero?»
domandò stupito Gabriel.
«Si,
ma sia chiaro che dopo che li avremo fatti a pezzi sarà Tana
libera tutti»
«Cosa intendi?»
Domandò Gabriel.
«Lo sai cosa
intendo!» Rispose Akenet.
Gabriel esitò.
«Per me va bene.
Tana libera tutti e poi si vedrà!» Rispose debolmente
Safet dal divano.
Gabriel porse la mano al
nipote che la strinse e poi si diresse fuori dal salone. Mentre
usciva lanciò uno sguardo ad Atriel per invitarla a seguirlo e
fece un cenno di saluto a Safet e Aurora. La Professoressa gli
sorrise e non poté fare a meno di pensare che Akenet, con quel
suo passo lento e sicuro di sé e quei modi bruschi ma leali,
le ricordava un leone della savana africana.
Adel osservò
Atriel e Akenet uscire insieme dalla sala. L'Arcidiavolo non l'aveva
più degnata di uno sguardo da quando erano usciti dalla sua
camera. Molto probabilmente non si fidava più di lei e
comunque era abbastanza ovvio che preferisse la compagnia di Atriel
alla sua.
Sospirò
e cercò di trattenere le lacrime. Kafresh se ne accorse, le
circondò le spalle con un braccio e le sussurrò. «Non
piangere, ricordati che tu sei la sua
Palletta!»
«Cosa vuoi dire?»
domandò lei un po' imbarazzata.
«Ma, davvero non
l'hai capito?» ridacchiò lui scompigliandole i capelli
affettuosamente.
«Ehem, buonasera,
voi chi sareste?» domandò Renzo Galletti dietro di loro.
Adel si voltò.
Sulla soglia della sala vide Ariel e Eowynziel. Insieme a loro
c'erano una guerriera dal seno più grande che Adel avesse mai
visto, un'Arcangelo identica a Eowynziel ma dallo sguardo decisamente
più sveglio e un angelo biondo dagli occhi azzurri e le labbra
carnose con una chitarra elettrica appesa sulle spalle.
Razel sorrise. «Sò,
arrivati i rinforzi, finalmente!»
Aveva appena finito di
dirlo che anche un altro Arcangelo varcò la soglia della sala.
Era una guerriera alta più di due metri, dagli occhi verde
smeraldo e i capelli rosso scuro raccolti in una lunga treccia, una
spada dall'elsa finemente decorata pendeva dal suo fianco destro.
Diede un'occhiata a Safet
e commentò. «Tutto bene, marito?»
Nella sala calò un
silenzio imbarazzato.
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