madre
Il
giusto nome delle cose
La prima volta che la
chiamano mamma è assolutamente per caso.
Il Comandante sta partendo
per Vienna e Gretl ha avuto la fortuna di alzarsi in tempo per
salutarlo, con l'istitutrice che la segue a qualche passo di distanza
mentre lei trotterella verso il padre.
Maria la vede già in
terra ancor prima che la punta della scarpina le si imperni sul
pavimento, ma non riesce comunque a evitare che la bambina
capitomboli a terra, prorompendo subito in un pianto dirotto.
«Ti sei fatta male,
piccola?» chiede come se non fosse abbastanza ovvio, giusto per
distrarla con le parole dal dolore che deve sentire, centuplicato
dall'età.
Gretl annuisce nelle
lacrime, ricompensata subito da un abbraccio. «Povera piccolina! Non
ti preoccupare, passa in fretta.» La donna le accarezza il ginocchio
su cui la bambina è atterrata malamente. «Dobbiamo stare più
attente quando camminiamo, capito? O rischiamo di farci molto male.»
La bambina fa ancora sì con la testa e l'istitutrice preme le labbra
sulle dita prima di accarezzarle di nuovo il ginocchio. Un bacio e
passa tutto. «Va meglio, adesso?»
«Sì, mamma. Grazie.»
Maria non può vedersi, ma
in qualche modo sa che l'orrore dipinto sul volto stesso di Gretl fa
il paio con il suo.
«Volevo dire–»
«Fräulein Maria, ecco
cosa volevi dire,» si intromette il Comandante, la voce così
raggelante che Maria non riesce ad alzare lo sguardo su di lui. «Non
è tua madre, Gretl. Faresti bene a ricordarlo. Tutti voi.»
La bambina non esita un
momento prima di dire: «Sì, papà.» È così soldatesca come
risposta che Maria, nel caos generale, comunque si stupisce che Gretl
non abbia confermato l'ordine con un ben più suggestivo Sissignore.
«Fräulein,» la riscuote
il Comandante, facendola trasalire, «confido che si impegnerà
affinché non si ripeta mai più. Sono stato chiaro?»
Il soldato, questa volta,
è lei – anche se prima di rispondere si alza in piedi per
recuperare almeno un briciolo di dignità.
«Sì, Comandante.»
Maria non discute perché
non ha nulla in contrario: non è la loro madre, non è giusto che la
chiamino così, che la sostituiscano al ricordo solo perché si
prenderà cura della famiglia per il resto dell'estate.
L'uomo la fissa per un
lungo istante, sembra soppesare il suo assenso, ma Maria non sa dire
quale sia l'esito delle sue riflessioni: se ne va senza ulteriori
parole, con solo un vago cenno di saluto rivolto alla figlia a far
intendere di essere ancora conscio della situazione. La donna ha la
sensazione che dovrebbe essere più indignata – è stato un errore,
Gretl è piccola, non ha saputo distinguere fantasia e realtà, e il
Comandante avrebbe dovuto mostrarsi molto più comprensivo nei suoi
confronti, per quanto ferito –, ma l'unica cosa che riesce
veramente a pensare è che quell'uomo deve aver amato davvero molto
sua moglie.
Prima che la tristezza si
impossessi di lei, prende per mano Gretl e le sorride. «Forza: per
far passare il dolore ci servono tanti biscotti, non è vero? Andiamo
a fare colazione.» Anche la bambina sorride e Maria non può fare a
meno di ringraziare Dio per la sua fortuna: per essere in quella
nuova casa da solo un giorno, ha già rischiato il licenziamento
troppe volte.
-
La seconda volta che la
chiamano mamma il Comandante non lo viene a sapere.
«Posso chiamarla mamma,
Fräulein Maria?»
Marta lo chiede con la
testa sulle sue ginocchia, mentre strappa i petali di una margherita
al ritmo di una domanda che Maria non aveva avuto il cuore di
indagare prima e che ora le si presenta in tutto il suo splendore –
in tutta la sua pericolosità.
È la prima volta che
qualcuno dei figli Von Trapp riporta in auge l'argomento dopo la
disastrosa capitolazione di Gretl. Maria si chiede se ne abbiano
parlato, se Gretl abbia avuto il coraggio, o anche solo il bisogno,
di confessarlo agli altri, di cercare un conforto e la conferma di
non essersi comportata poi così male. I ragazzi non battono ciglio,
non sembrano sorpresi né scandalizzati... La donna è certa che in
privato, al buio delle loro camere, abbiano discusso non solo
dell'incidente alla partenza del Comandante, ma anche della
possibilità di inchiodarla di nuovo sulla stessa linea di pensiero.
Sono furbi e scaltri, non solo per riempire un secchio di ragni o
infilarle una rana in tasca. Nonostante tutto, nonostante l'imbarazzo
che la coglie, Maria non può fare a meno di essere colpita dalla
loro intelligenza. Né si stupisce che abbiano scelto di assestarle
il colpo in montagna – sulla sua montagna, dove stanno bene,
dove si sentono sicuri, appagati, veramente felici.
Il bene che Maria si scopre
a voler loro le stritola lo stomaco in una morsa così forte da
essere quasi spiacevole. Se non rischiasse di perseverare in un
equivoco che le è stato espressamente imposto di evitare, li
abbraccerebbe uno ad uno, riempendoli di baci e ringraziamenti.
Ma questo non le è
concesso.
«Non credo che tuo padre
apprezzerebbe, Marta,» sorride quindi, a mo' di scuse – mi
dispiace che tu non abbia più una madre, mi dispiace che ti manchi
così tanto da volerla vedere perfino in me. «E avrebbe ragione,
sai? Io non lo sono.»
Per un lungo momento tutto
quello che riempie il silenzio è il sommesso fischio del vento,
unico discreto testimone di una conversazione proibita. Poi Marta
torna alla carica.
«Neanche la baronessa
Schraeder lo è, ma papà la sposerà comunque. Questo farà di lei
la nostra nuova mamma?»
Maria sente lo sguardo di
tutti puntato su di sé, compreso quello di Liesl, ma quando
alza gli occhi a incrociare i suoi, la ragazza guarda via, colta sul
fatto. A Maria si stringe il cuore: non vuole rovinare quello che
insieme sono riuscite a costruire, non vuole che la ragazza si senta
minacciata o, peggio, che senta minacciato il ricordo di sua madre.
Non vuole nemmeno che
questo accada con tutti gli altri. Potrebbe dir loro che non è solo
di un legame di sangue che si sta parlando, ma c'è qualcosa di più
profondo in quello che i ragazzi le stanno chiedendo per voce di
Marta. Qualcosa di più preoccupante. Quello che le stanno ponendo è
un problema di sostituzione, di scambio, ed è un problema che devono
avvertire con un'urgenza così pressante da aver deciso di
affrontarlo prima che il Comandante torni con al fianco una donna che
non conoscono, ma di cui già immaginano il ruolo futuro che
credevano essere ormai confinato nel passato, e questo li spaventa
più di ogni altra cosa.
«Ascoltate,» dice Maria,
guardandoli tutti a turno, «nessuno potrà mai sovrapporsi a vostra
madre. La baronessa Schraeder non prenderà il suo posto, ma sarà
vostra madre in modo diverso.»
Ancora nessuno parla, e
dal modo in cui Kurt e Louisa tornano a giocherellare con la stoffa
dei loro abiti Maria è sicura che l'attacco sia finito lì, almeno
per il momento. Non crede che siano soddisfatti della risposta, né
che siano disposti ad accontentarsi di qualcosa che non li appaghi
del tutto, ma le domande così difficili dovrebbero essere terminate
per quel singolo pomeriggio.
Ad avere un'opinione
differente in merito, tuttavia, è sempre Marta.
«Perché non potrebbe
essere lei, invece, nostra madre in modo diverso?»
Nessuno stropiccia più i
vestiti, nessuno muove più un muscolo, se non per voltarsi verso di
lei. Solo Brigitta alza gli occhi al cielo, ma non si lascia sfuggire
niente di pungente, nessuna battuta sarcastica, nessuna risatina
soffocata. Persino Liesl torna a guardarla, e stavolta senza
nascondersi. Maria comprende subito: nessuno di loro aveva avuto
intenzione di arrivare a tanto, ma adesso che l'ulteriore domanda è
stata fatta è fuor di dubbio che vogliano una risposta, e che la
vogliano ora.
«Be'...» inizia
imbarazzata, cercando di sorridere per sdrammatizzare, «io e vostro
padre non siamo innamorati.» Sono le sopracciglia improvvisamente
alzate di Brigitta che le fanno aggiungere, veloce, «E io diventerò
una suora. Le suore non diventano madri.»
Maria si concede giusto il
tempo di chiedersi come mai la motivazione più ovvia
all'impossibilità di diventare madre sia arrivata solo in seconda
posizione nella sua testa, ma poi batte le mani festosa, come sempre,
per invitarli a cantare: hanno tutti bisogno di una distrazione.
-
La terza volta che la
chiamano mamma è presente anche la baronessa.
«Ci insegna una nuova
canzone, mamma?» esordisce Kurt nel silenzio rilassato che segue la
loro ultima esibizione domestica.
Maria si volta senza
pensare, prima di rendersi conto di aver risposto a un appellativo
che non le compete, né in quella casa, né mai, ma quando finalmente
realizza avverte il cuore saltare un battito, perché anche se il
Comandante è fuori dal suo campo visivo, lei sa
benissimo che è lì, in quel salotto, con il giornale
spiegato sul tavolo a sbocconcellare biscotti al burro. Sa che
sta ascoltando tutto, come
sempre, per controllare che ogni cosa sia al suo posto e per imparare
tutto il possibile sui suoi figli. Sa che allo stesso
tavolo ci sono la baronessa Schraeder e lo zio Max, altrettanto
consapevoli di quello che accade intorno a loro, anche se solo di
rado prendono parte alla conversazione.
Sa anche che
dovrebbe fare qualcosa – qualsiasi cosa – pur di
distogliere l'attenzione generale da quella parola, ma, prima che
possa trovare una nuova miracolosa pigna su cui sedersi per fingere
un reumatismo, il frastuono di ceramica in pezzi la salva d'impaccio,
instillandole tuttavia una diversa preoccupazione, che però ha vita
breve: la testa scatta in direzione del suono e ciò che vede le
riempie il cuore di tenerezza più che di ansia, perché Louisa ha le
mani alla bocca di fronte alla tazzina da tè e il piattino infranti
sul pavimento, ma gli occhi la cercano per comunicarle che va tutto
bene, che non si è fatta male perché l'ha fatto di proposito, e che
farebbe davvero bene a portare Kurt fuori dalla stanza approfittando
della confusione che regna sovrana per qualche istante.
È Liesl che intanto tira
a sé il fratello, mentre con un'occhiata d'intesa Maria si para tra
il bambino e il padre, che però non sembra assolutamente degnarli di
attenzione: ha lo sguardo puntato su Louisa, la mano tesa in avanti
verso di lei, aperta in un gesto di raccordo e rassicurazione
insieme.
«Chiedo scusa, non era
mia intenzione,» assicura la ragazza, abbassando immediatamente lo
sguardo sul tappeto che ora sprigiona odore di tè dal punto in cui
la macchia ha preso ad allargarsi.
«Siamo distratte oggi,
vedo,» la rimbecca il padre, e a Maria quel tono suona familiare:
anche se non la smaschera apertamente, anche se si sistema la stoffa
dei calzoni per chinarsi a terra a raccogliere i cocci, non ha
creduto neanche un po' alle misere scuse della figlia, i cui occhi si
spostano sull'istitutrice per un secondo, prima di tornare a fissarsi
in basso, al riparo da quelli dell'uomo.
Maria fa per
inginocchiarsi a sua volta, avvertendo di colpo l'urgenza di essere
d'aiuto in qualche modo, fosse anche solo per concentrare
l'attenzione su di sé e non sui ragazzi.
«Lasci, Comandante–»
«No, no, ce la faccio.»
L'uomo le sorride appena,
incerto, mentre le rivolge un'occhiata fugace, quasi furtiva, che
Maria vorrebbe saper interpretare con maggiore chiarezza: è certa
che se fosse stato furibondo per l'accaduto, avrebbe già ordinato a
lei di lasciare la casa e a Kurt di filare in camera sua, in
punizione per il resto dei suoi giorni o almeno della stagione, ma
l'evidente imbarazzo con cui ora il Comandante si ostina a non
guardarla nemmeno le fa tremare il respiro ancor più di quanto
avrebbe fatto una reazione scomposta o persino irata.
Maria scandaglia la stanza
per un momento ed è a quel punto che la vede: la baronessa la stava
già guardando, ma non si ritrae quando i loro occhi si incontrano.
La fissa senza fingere che sia solo un caso che le stia rivolgendo
tutta la sua attenzione. E come potrebbe? Non è forse lei che i
ragazzi dovrebbero imparare a chiamare madre? Non è forse lei che
dovrebbero imparare ad amare come una madre?
Ma non è in quella
direzione che i figli Von Trapp si stanno muovendo. Per quanto si
impegnino, Maria sa che non stanno riuscendo nell'impresa di farsi
piacere quella donna bella e raffinata che viene da Vienna. Non che
la odino o che non ne tollerino la presenza in casa, ma non la
preferiscono, non ne cercano la compagnia, né la tenerezza. E
nello sguardo della baronessa, fermo e tagliente di gelido
risentimento, Maria sa che anche lei ne è pienamente consapevole:
non le si rivolgeranno mai come mamma con la stessa spontaneità con
cui l'hanno fatto con lei.
Il pensiero le fa pungere
gli occhi per un istante ed è sul punto di chiederle scusa – di
dirle che è desolata, che andrà meglio, che prima o poi sapranno
apprezzare anche lei come la madre meravigliosa che sarà per loro –
quando Kurt, dal nulla, le toglie la possibilità di parlare per
prima.
«Mi dispiace, papà,»
pigola, infatti, il ragazzino, beccandosi l'occhiataccia combinata di
Louisa e Brigitta. Persino Gretl, nota Maria, scuote la testa in un
pensiero di facile intuizione: l'aveva scampata, perché mai ha
dovuto infierire? Non ricorda, forse, quello che è accaduto l'ultima
volta che qualcuno ha osato chiamarla mamma di fronte al Comandante?
L'uomo gira la testa nella
direzione del ragazzo. «Per cosa? Non hai rotto tu la tazza. Non hai
fatto nulla di male, dico bene?»
Maria si sente bruciare la
nuca dalla voglia di spiare il volto del Comandante, ma il pensiero
di tradire anche solo una minuscola emozione inopportuna la fa
rimanere fissa su Kurt, che la guarda di rimando in cerca di una
direttiva.
Direttiva che, purtroppo,
tarda ad arrivare.
E allora Kurt prende di
nuovo l'iniziativa: indica i cocci a terra e chiede: «Ti sei...
fatto male?»
Il Comandante ride
apertamente mentre gli si avvicina per dargli un leggero buffetto
sulla guancia, gesto che fa subito distendere le spalle del bambino
in un respiro tremolante. «Sto bene, sto bene. Ci vuole ben altro
per scalfirmi.»
Nel girare sui tacchi la
guarda negli occhi. È un momento breve, se Maria non fosse stata già
ad osservarlo forse non l'avrebbe nemmeno colto, ma c'è e la donna
non fa in tempo a decifrarlo.
«Mando a chiamare Franz
per pulire questo disastro. Vogliate scusarmi.»
Non è l'unico a lasciare
la stanza: in direzione opposta se ne va la baronessa, che non degna
nessuno di uno sguardo.
-
La quarta volta che la
chiamano mamma non c'è modo di evitare che se ne discuta.
Accade in un pomeriggio
come un altro, durante i preparativi del ballo che fanno fremere la
casa da cima a fondo e che rendono i ragazzi esuberanti e in qualche
modo disattenti. Stavolta è Friedrich che fa per chiamarla mamma, ma
se ne accorge abbastanza in fretta da cambiare parola in corsa,
unendola a Maria in un balbettante mammMaria conclusivo, che
gli fa meritare solo un rimprovero da parte del padre sulla mancanza
di formalità con cui ha osato rivolgersi alla sua istitutrice.
Per quel giorno tutti sono
più cauti del solito e nessuno sbaglia più. È solo alla sera,
tardi, con la maggioranza della casa a letto, che l'argomento viene
ripreso senza alcun preavviso e nel mondo più diretto possibile.
Quando, infatti, Maria
scende le scale pianissimo per andare in cucina a scaldarsi un
bicchiere di latte che la aiuti a dormire, non ha la minima idea che
il Comandante sia sceso prima di lei. Se lo ritrova davanti in giacca
da notte, con in una mano un coltello e nell'altra un barattolo. Sul
tavolo, del pane già tagliato a fette. La nota subito, guardandola
con un'espressione da monello che normalmente la farebbe ridere, ma
che adesso le fa solo chiedere se per caso non abbia dimenticato la
sua vestaglia, come sempre. Una mano scatta a controllare all'altezza
del seno: quando avverte il doppio strato di stoffa già incrociato a
coprirla con più cura rispetto alla sola camicia da notte, Maria tira un
sospiro di sollievo e istintivamente corre a stringere ulteriormente
il nodo in vita.
«Non sapevo fosse qui,»
dice poi.
«E io non sapevo che
sarebbe arrivata,» si riscuote il Comandante, poggiando sul tavolo
quello che ha in mano. «Non riesce a dormire? No? Nemmeno io.» Le
fa cenno di avvicinarsi. «Visto che è qui, posso offrirle pane e
marmellata?»
Maria si stringe appena
nelle spalle mentre un lieve calore le nasce alla base del collo. È
una situazione piuttosto nuova, quella. Non è mai stata sola con il
Comandante in una stanza, ad eccezione del giorno in cui è arrivata,
ma quello non conta molto, o comunque non le sembra affatto la stessa
cosa. In quel momento era stata sotto esame e lo aveva superato con
non poca fatica, con lui che le camminava intorno come un avvoltoio
sulla preda. All'epoca aveva pensato che fosse la sua abituale
maniera di relazionarsi alle altre persone, soprattutto quelle in una
posizione di inferiorità nei suoi confronti, ma adesso, conoscendolo
meglio e vedendolo con i suoi figli, Maria è certa che quello fosse
solo il suo modo burbero – l'unico che conosceva – di proteggere
la sua famiglia. Spaventare le potenziali governanti prima che loro potessero fare del male ai suoi ragazzi.
Ora le sorride, come a
dirle di non avere paura. Non c'è più alcuna traccia di intimidazione.
Solo un invito a condividere con lui un attimo di tranquillità e una
merenda all'ora più insolita di tutte.
Maria non ha il cuore di
rifiutare e fa un passo avanti, poi un altro e un altro ancora, fino
a ritrovarsi abbastanza vicina al Comandante da potersi appoggiare al
piano del tavolo su cui l'uomo dispone ingredienti e strumenti per
preparare il dolce spuntino.
E il silenzio è
improvvisamente troppo carico di intimità.
«È il caldo che non la
fa dormire?» gli domanda allora, per svuotarlo un po'.
Il Comandante annuisce.
«Anche. Ma c'è agitazione nell'aria. Tanta energia. È
difficile riposarsi con questa atmosfera, non trova? Mi chiedo come
ci riescano i ragazzi.»
«Be', più sono euforici,
più si stancano in fretta ed è per questo che dormono benissimo.»
«Dunque è l'euforia che
manca a me, e che risolverebbe tutti i miei problemi? Capisco.»
Maria vorrebbe provare a
rispondere scherzando allo stesso modo, dirgli che non deve
sottovalutarsi, che negli ultimi tempi ha fatto passi da gigante con
tutti, ma le capita di ridere insieme a lui, sola con lui, e la
parola le viene meno, persa in un gesto anch'esso troppo intimo.
Stavolta, però, è il
Comandante che spezza la quiete, e, prima che parli, Maria fa in
tempo a notare un accenno di esitazione nel suo portamento – la
bocca aperta e poi richiusa, la mano che fa per prendere una fetta di
pane per poi ritrarsi, lo sguardo vagante per un secondo. Maria non
capisce, ma quando il Comandante dà voce ai suoi pensieri tutto le
diventa incredibilmente chiaro.
«Fräulein... A proposito
dei miei figli... Mi sembra che continuino a sbagliarsi nel
chiamarla. Ha notato?»
Il tono è gioviale, forse
solo un po' triste, ma certo non è furioso. Maria, però, smette di
sorridere e congiunge le mani in grembo, il cuore in gola. Ha sempre
saputo che prima o poi ne avrebbero parlato, anche se non ha mai
dedicato tanto tempo a pensare a come sarebbe accaduto. Le poche
volte che aveva tragicamente fantasticato sulla questione, era
arrivata alla conclusione che il Comandante l'avrebbe convocata per
sgridarla prima e cacciarla poi. Di certo lo aveva immaginato
arrabbiato, deluso e ferito, tutti sentimenti che Maria avrebbe
capito senza pensarci due volte. Ma quello che ora ha davanti la
sorprende. Ha come la sensazione che nel Comandante non vi sia più
nemmeno un briciolo di fastidio per la situazione che è venuta a
crearsi. Solo... rassegnazione, forse, e questo cambia tutto.
«Io..,» si costringe a
iniziare, ma deve fare subito una pausa per raccogliere meglio le
idee. «Ecco, sono desolata, Comandante. Mi creda, non cerco di
incoraggiarli in alcun modo–»
L'altro alza una mano e
sorride. «Non volevo implicare nulla: lo so che non lo sta facendo.
Solo che... Sembra che approvino più lei della baronessa,» ride,
mentre Maria avvampa senza controllo – di vergogna o senso di colpa
non saprebbe dirlo, anche se tutto sommato non crede che vi sia poi
tanta differenza. «Non volevo metterla in imbarazzo. Sono stato
inappropriato... Stavo solo scherzando, immagino.»
La donna accenna un
sorriso, ma per la prima volta in vita sua tiene la bocca chiusa,
scegliendo di riflettere piuttosto che dire la prima sciocchezza che
le viene in mente. Perché la questione è seria, lo è ogni giorno
di più, anche se tutti la ignorano o ci ridono su. E nel Comandante
Maria non vede niente di diverso rispetto a quello che vede nei suoi
figli: ha paura anche lui, come loro. Ha paura che non sia giusto
risposarsi, ha paura che i ragazzi dimentichino, ha paura che siano
confusi – che lui sia confuso. Ha paura di star sbagliando
qualcosa, di star perdendo il controllo, e Maria non osa nemmeno
provare ad immaginare cosa significhi per lui, un Comandante di
Marina, assistere a qualcosa di cui non conosce i meccanismi e a cui
non ha la facoltà di imporre un ordine con un fischietto.
«Signore...» lo chiama,
ricevendone subito l'attenzione. «Io non credo che loro stiano
cercando di rimpiazzare il ricordo della loro vera madre...» Maria
fa una cauta pausa prima di continuare. «Credo solo che associno
quello che fanno con me come qualcosa che attribuiscono a un ruolo
materno, ma non stanno cercando di riscrivere quello che hanno
avuto.»
Il Comandante prende un
respiro profondo e annuisce, piano. Quando parla, Maria intuisce che
qualcosa sia rimasto taciuto. «E cos'è che fa lei con loro?»
«Be', niente che non
abbia visto anche lei: cantiamo, giochiamo, parliamo, ci
divertiamo... Ci abbracciamo. Le piccole hanno sempre tempo per le
coccole.»
Il tono del Comandante ha
una nota lontana di malinconia quando ribatte: «Se la mette in
questi termini, non c'è da stupirsi che la chiamino mamma. Come
altro vorrebbe farsi chiamare?»
«Chiamerebbero mamma
chiunque–»
«Non chiamano mamma la
baronessa o Frau Schmidt, Fräulein.»
Sentir messe sullo stesso
piano la baronessa Schraeder e la governante la fa involontariamente
sorridere.
E soprattutto le fa
perdere la prudenza: «Perché loro non si comportano allo stesso
modo con i suoi figli.»
Il coltello che il
Comandante intinge nella marmellata rimane per un momento
completamente immobile all'interno del barattolo, così come il resto
del corpo dell'uomo. L'unico elemento che pare aver mantenuto la vita
è la bocca, che fa per aprirsi dapprima in modo del tutto
inconcludente, per poi rilasciare un suono, un «Oh»
cantilenato di cui Maria già subodora la malizia. Non si stupisce,
infatti, quando l'altro aggiunge: «Quindi nell'eventualità che io
sposi la baronessa, cosa diventerà per loro? La zia?»
In altre circostanze,
forse, avrebbe apprezzato l'ironia. Adesso avverte solo il fortissimo
calore che dal collo le risale sulle guance e che, da come il
Comandante alza un angolo delle labbra, è sicuramente visibilissimo
anche da fuori. «Sono mortificata, ho parlato troppo.»
Il coltello viene
definitivamente abbandonato nella marmellata perché l'uomo appoggia
le mani sul tavolo e vi scarica il peso, sempre più divertito. «Si
scusa per aver parlato troppo, ma non per quello
che ha detto... Fräulein, ammiro la sua incondizionata sincerità.»
«È tremenda, davvero, mi
dispiace.»
È quando il Comandante
ride che Maria si rende conto di aver appena indirettamente
confermato di aver parlato dal cuore, senza filtri, e che è
probabile che pensi che la baronessa non si comporti da madre nei
confronti dei ragazzi.
«Parola mia,» dice
l'uomo, «non ho idea di come lei possa provenire da un convento.»
Maria sospira, si stringe
un pugno di capelli tra le dita prima di ammettere: «A volte me lo
chiedo anch'io.»
Il Comandante la guarda
con un guizzo ancora più allegro negli occhi. «Eppure è certa di
volerci tornare, no? Non è buffo?»
Maria esita,
improvvisamente conscia di un fatto: se deve proprio essere sincera
con sé stessa, l'unica cosa davvero buffa in quella situazione è
che lei, al tornare in convento, non ha pensato poi molto negli
ultimi tempi, e quando l'ha fatto è stato perlopiù una scusa, una
giustificazione.
Una
deresponsabilizzazione.
Ma forse è solo
l'impressione del momento. Non può negare che la vita in casa Von
Trapp le piaccia più di quanto avrebbe mai potuto immaginare, ma
questo non vuol dire che la sua vocazione abbia subito
ridimensionamenti di alcun tipo. Magari è solo giovane, troppo
giovane per poter essere del tutto immune agli attacchi della vita
secolare. Sarà sufficiente tornare in convento per mettere a tacere
ogni tipo di dubbio che le passa per la testa, di questo è piuttosto
convinta, anche se si sente in dovere di ripeterselo mentalmente un
paio di volte prima di riuscire a sorridere e ad annuire in una
risposta che vorrebbe suonasse come: sì,
è buffo, ma andrà tutto bene perché il mio posto è quello, non
questo.
Il Comandante non replica,
non esprime i suoi pensieri, ma Maria sa che ci sono e sa
che non li vuole conoscere, perché lei quel lampo negli occhi
dell'uomo che ha di fronte, autoritario e tenero allo stesso tempo,
lo ha già visto e ne rammenta il significato: orgoglio. Ha visto la
sua titubanza, ha compreso di averla generata lui e se ne è saziato
prima che Maria potesse fare alcunché per difendersi.
Per sua fortuna, il
Comandante non insiste e riprende a spalmare marmellata sul pane, una
fetta ciascuno, la prima servita per lei, che vorrebbe tanto
addentarla subito, ma che alla fine decide di aspettare che anche lui
abbia la sua per dare un morso: è pur sempre la bambinaia, non la
bambina.
Il silenzio che cala
mentre si godono lo spuntino notturno, nonostante tutto, stavolta è
confortevole. Maria non si sente più così a disagio, le piace il
clima di tranquillità in cui è immersa. Non avverte minacce, né
astio nei suoi confronti. Soltanto calma. Un prolungamento delle
giornate passate con i ragazzi. Solo, senza i ragazzi. E senza
la baronessa o i domestici. In cucina ci sono solo lei, il suo capo e
un dolce che considera un privilegio a cui non è mai stata
abituata1.
È per questo che, quando
il Comandante riprende a parlare dal nulla, quasi si stupisce del
fatto in sé, ma è la tristezza che avverte nella voce di lui che
veramente coglie la sua attenzione.
«Loro... le bambine...
non vengono mai da me per le coccole...»
Maria sente il proprio
stomaco torcersi, ma allo stesso tempo le viene quasi da sorridere:
appena arrivata in quella casa non avrebbe mai immaginato di poter
vedere lui, il Comandante Von Trapp, così affranto e così
intimorito dalla mancanza di familiarità tra sé e i suoi figli. E
invece adesso è lì con lei, a chiederle aiuto con le spalle
leggermente incurvate dal peso di voler essere un genitore perfetto,
ma senza sapere come diventarlo.
La donna finisce di
masticare il suo boccone, poi parla con semplicità.
«Solo perché non sanno
di poterlo fare. Loro... Stanno ancora capendo come muoversi intorno
a lei. Ci vuole tempo, sa, ma lei può incoraggiarli tutti.»
«Come?»
Maria si stringe nelle
spalle. «Glielo dica. Li faccia avvicinare. Non chiedono altro, mi
creda. Anche se non sempre lo sanno.»
«Che intende?»
«Be', soprattutto dai più
grandi non può aspettarsi che siano troppo diretti.» Non lo sono
nemmeno durante i temporali, ma questo non le sembra il caso di
rivangarlo a voce alta. «Sono in un'età complicata, ma forse
proprio per questo hanno bisogno di lei.» Il Comandante annuisce con
aria grave e pensosa insieme, mentre Maria conclude: «Saranno felici
di vederla fare un passo verso di loro.»
Il Comandante abbozza un
sorriso prima di annuire. «Chiameranno mamma anche me?»
La donna ride apertamente.
«Se lo preferisce a papà, perché no?»
Anche il Comandante si
unisce alla sua felicità e Maria scopre che quella è una scena a
cui le piacerebbe assistere, anche solo per vedere l'effetto che fa.
Tornano a mangiare quieti,
le bocche piene degli ultimi morsi del pane addolcito dalla confettura di
albicocche. Quando Maria finisce la sua fetta, strofina le mani tra
di loro per pulirle delle ultime briciole. Le rimangono congiunte a
mezz'aria nel momento in cui il Comandante parla di nuovo, il tono
più basso di prima, più riflessivo, come in una confessione.
«Io le devo delle scuse,
Fräulein,» dice, infatti. «Per quella mattina, con Gretl... Non
avrei dovuto, sono stato troppo duro.»
Maria deglutisce, frenando
l'impulso non previsto di raggiungerlo, di mettergli una mano sulla
spalla o sul braccio e stringere appena in un gesto di conforto. Ma
non può farlo, non deve, non sta bene. Tutto quello che le è
concesso è parlare a sua volta, con dolcezza e senza riserve.
«La capisco,»
garantisce, la testa lievemente piegata di lato. «L'ho capita anche
quel giorno.» L'uomo alza un sopracciglio, scettico, e Maria inspira
profondamente. «Forse è stato un po' troppo militaresco, ma
comprensibile.»
«Non saprei... Non era
colpa sua, né della bambina...» Il Comandante scuote il capo prima
di tornare a guardarla. «Mi dispiace.»
Maria lo guarda negli
occhi, colpita. È la seconda occasione in cui l'uomo le chiede scusa
in modo tanto accorato e, come per la prima, anche adesso lei ha
difficoltà a capire come reagire. È certa solo di una cosa: il
Comandante non è in cerca di comprensione, non vuole essere
banalmente capito. Vuole essere assolto, e Maria non sa
bene né come né perché sia possibile che lei abbia il potere di
farlo, di concedergli quello che desidera veramente, ma sa di essere
lei la persona designata, l'unica in grado di affrancarlo dalla
colpa.
E allora, semplicemente,
lo fa.
«Io la perdono.»
Il viso del Comandante si
rilassa subito in un'espressione così grata che Maria avverte
qualcosa agitarsi all'altezza del petto, e ha come la sensazione di
non avere le parole per esprimere il sentimento, ma lo sguardo
dell'uomo è di colpo troppo intenso perché Maria possa sopportarlo
a lungo nel silenzio.
Armeggia con l'orlo della
vestaglia, pinzandosi la stoffa sotto il mento a coprire il rossore
che sente infuocarlesi lungo il collo. Poi, veloce, si scopre a dire:
«Spero che i ragazzi chiameranno mamma la baronessa. Presto.»
Il Comandante sbatte le
palpebre un paio di volte, stupito, e la donna non lo biasima: a
parti invertite, è certa che avrebbe reagito allo stesso modo a un
cambio d'argomento così repentino. Ma quando l'uomo parla non è più
così sicura di comprendere del tutto.
«Lo spera?» le chiede,
infatti, con un tono a metà tra la meraviglia e l'indignazione.
«Non dovrei?»
«Oh, sì... Se lo vuole,
ovviamente.»
Maria quasi si sente in
errore, ma rapidamente scaccia via l'idea. Non è questione di
volerlo o no, ma un dato di fatto, pensa senza però dirlo ad
alta voce. «Non... Non lo spera anche lei?» corregge il tiro.
La domanda sembra far
riscuotere il Comandante, che raddrizza la schiena e si schiarisce la
gola prima di assicurare: «Io? Ehm... Be', sì. Certo. Suppongo di
sì. Perché no?»
La mente di Maria si
arrovella per un momento sulla risposta che ha appena sentito, ma
subito decide che non le interessa, che non è affar suo. Tutto
quello che le importa, adesso, è allontanarsi e tornare su un
terreno in qualche modo più sicuro per lei, meno imprevedibile di
quello.
«Bene. Io... Credo che me ne andrò a
dormire, Comandante,» annuncia allora di punto in bianco, desiderosa
più che mai di nascondere il turbamento simulando uno sbadiglio. «La
montagna domani sarà impegnativa, come sempre.»
L'uomo annuisce con
vigore, questa volta senza alcuna traccia di sorpresa a colorargli la
voce. Maria lo definirebbe persino sollevato. «Sì, giusto. Allora
buonanotte.»
«Buonanotte.»
Si avvia decisa,
intenzionata a lasciarsi alle spalle la cucina il prima possibile, ma
riesce appena ad arrivare sulla porta quando viene richiamata
indietro.
«Fräulein.»
La donna si volta, in
attesa di parole che tardano ad arrivare.
Poi il Comandante fa un
respiro profondo e china il capo.
«Grazie.»
Maria gli sorride,
permettendosi di indugiare con la mano sullo stipite un secondo di
troppo prima di riprendere il cammino verso la sua stanza.
È solo a metà della
scalinata verso le camere che si ricorda del latte da scaldare e
della notte insonne che aveva immaginato di evitare. Lancia un'ultima
occhiata affranta nella direzione da cui è venuta, ma non prende
nemmeno in considerazione l'idea di tornare indietro e rimediare alla
dimenticanza. Qualcosa dentro di lei le suggerisce che stanotte,
dopotutto, potrebbe anche fare bei sogni.
-
La quinta volta che la
chiamano mamma Maria non c'è, è tornata in convento.
È di nuovo Gretl che
scivola nell'errore mentre piange sommessa.
«La mamma non tornerà
più?»
Georg la sente fuori dalla
camera, un momento prima di bussare alla porta per la buonanotte.
«Shh, andrà tutto bene.»
C'è Liesl con lei, e
forse sono sole, ma l'uomo non tenta la fortuna spingendosi un po'
più avanti per spiare dalla sottile fessura che il battente lascia
aperta. Rimane lì, immobile, con la mano sospesa in un gesto
interrotto appena in tempo. I pensieri invece no, quelli non si
fermano, corrono veloci.
Non ha bisogno che
qualcuno corregga sua figlia per fargli intendere di chi stessero
parlando prima del suo tacito arrivo. Non potrebbe confondersi
nemmeno se lo volesse, ne è più che certo.
Ne è certo perché ha
provato tutto il giorno a non pensarci, a ignorare il continuo
bisogno di tornare alla sera precedente, in un cortile pieno di
musica e di un'idea di famiglia a lungo trascurata, ma non ci è
riuscito: l'assenza di Maria è stata così ingombrante da essere
riconoscibile ovunque.
Maria non c'è nella
tranquillità che aleggia per la casa.
Maria non c'è nella
moderazione con cui i ragazzi si muovono nella villa.
Maria non c'è nella
musica che non suona più, sparita insieme alla chitarra che, muta,
raccoglie la polvere in un convento.
«Mi manca tanto.»
Le parole della bambina
intercettano così sorprendentemente bene il suo flusso di pensieri
che Georg, per un attimo, quasi teme di averle pronunciate lui e se
ne spaventa. Si scopre terrorizzato all'idea di volerla lì, di voler
ripristinare l'ordine che era venuto a crearsi e che è sicuro non
tornerà mai più: quell'ordine, quel nuovo peculiare modo di vivere
che hanno appreso in un'estate, gravitava intorno a lei, e adesso che
lei è andata via Georg fa fatica a vedere una soluzione. Come
possono ora tornare a vivere senza Maria, quando è a lei che
devono tutto ciò che sono diventati?
«Manca molto anche a me.»
Gli si stringe il cuore
nel petto mentre realizza che è come se i suoi figli avessero perso
la loro mamma una seconda volta. Non osa nemmeno immaginare cosa
possano provare, soprattutto i più grandi, ma sa che dovrà farlo,
che a breve gli verrà chiesto di mettersi nei loro panni per cercare
di sistemare le cose, perché è quello che un genitore fa e lui non
si tirerà indietro, non sarà da meno e sarà lì, pronto ad
attendere i suoi ragazzi per trasformare il loro dolore in qualcosa di
più sopportabile, con cui convivere in sottofondo.
Cos'è che ha perso lui,
invece? Perché sembra come se... Come se... Come se avesse perso
anche lui sua moglie un'altra volta?
Georg scuote la testa e
sospira: Maria non era sua moglie, non lo sarebbe mai diventata. Era
solo l'istitutrice dei suoi figli, nulla di più.
E allora perché non trova
pace né conforto nel pensiero della donna che a tutti gli effetti lo
sposerà di lì a poco? Perché ha l'impressione che qualcosa si sia
rotto anche dentro di sé e che non vi sia possibilità alcuna di
ripararlo con Maria lontana da casa?
Maria.
Nella sua testa, senza
onorifici.
Solo Maria.
Sempre Maria.
Maria, che è andata via
senza salutare, con un misero biglietto di scuse ad annunciare la sua
partenza.
«Forza, asciugati le
lacrime: papà sarà qui a momenti per salutarci.»
Georg vorrebbe fuggire,
vorrebbe lasciare Gretl al suo pianto liberatorio e Liesl ai suoi
quindici anni, vorrebbe ritirarsi nel tentativo di dare un senso a
quello che prova, ma sa di non poterlo fare. Ha il dovere di apparire
calmo con la sua famiglia, di andare avanti come se un terremoto non
avesse appena scosso la casa. Lo deve a
loro, a quei figli che ora più che mai hanno bisogno di un punto di
riferimento solido, anche quando lui non sente di esserlo.
Sospira un'ultima volta
prima di calpestare il pavimento con decisione inscenando una
camminata, e finalmente le nocche della mano picchiano forte contro
la porta, in attesa del permesso per entrare.
–
La sesta volta che la
chiamano mamma è la prima di molte altre.
L'appellativo le viene
rivolto con sicurezza, senza che vi sia l'accenno di un errore.
Maria
avverte l'impulso
dell'abitudine destarsi a rimediare, ma un altro istinto, più
insistente, la spinge a tacere. Sceglie di cercare
Georg con lo sguardo e scopre che anche lui la guarda – la guarda
sempre, pieno di tenerezza e stupore, quel misto di sentimenti che lei
ha imparato a riconoscere come il suo modo di amarla profondamente.
Le sorride.
Le fa l'occhiolino.
Annuisce.
Va tutto bene, le
sta dicendo. Stanno solo dando il giusto nome alle cose.
Qualcosa le esplode nel petto, qualcosa che semplificando chiamerebbe felicità.
E allora non
corregge Brigitta, accetta di essere madre e si innamora un po' di più.
1È
un piccolo, insignificante riferimento alla canzone Something
Good (in italiano Non baciarmi ancora) in cui Maria
canta: “Perhaps
I had a wicked childhood / Perhaps I had a miserable youth / But
somewhere in my wicked, miserable past /There must have been a
moment of truth”.
È veramente l'unico riferimento al passato travagliato di Maria,
menzionato qui e mai più. Ho voluto intenderlo come una condizione
di povertà, per questo pane e marmellata a lei sembra un lusso.
Angolino
di Menade Danzante.
Salve!
Sempre
qui per la ToBeWritingChallenge2023 di BellaLuna.
Il prompt di questa storia è Motherhood.
Non ho molto da dire, se
non che per me questa storia è stata importantissima. Spero con
tutto il cuore di aver mantenuto i personaggi IC e di non aver
snaturato nulla.
Alla
prossima!
Menade
Danzante
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