"Her
heart yearned to be buried with her brother."
-
Jessica
Marie Baumgartner
-
Our
bloody halo
2009.
1.
È
tuo, le
dice.
L'ho
fatto per te, mormora
con le labbra premute contro la sua tempia.
È
finita, Alex, sussurra,
spostandole una ciocca di capelli con il pollice.
Non
può farti più alcun male, sospira,
sollevandole il viso verso il suo.
"C'è
stata un'esplosione, Master Alex."
"Lo
so."
"Le
notizie sono ancora frammentate, ma attorno alle sette di mattina,
ora locale, l'Aeronautica Militare Italiana ha rilevato l'ingresso di
un velivolo non autorizzato nello spazio aereo sopra Roma."
La
guarda e Alex gli sfiora una guancia, raccogliendo fili di rosso e
nero - sangue e Uroboros.
"Non
vogliono renderlo ufficiale, ma sembra che l'agente Redfield sia
morto in Kijuju."
Qualcuno
urla, qualcun altro piange - una cacofonia di suoni e suppliche che
si dischiude attorno a loro come l'ultimo assolo dell'umanità.
"Suo
fratello ha vinto, Master Alex."
Il
mondo muore e Wesker sorride.
2.
C'è
un entusiasmo febbrile nei gesti di Wesker - nel modo in cui la
trascina tra le guglie della Torre e indica il cielo.
"Guarda."
la incita, mostrandole l'orizzonte.
"Nulla
può fermarlo." aggiunge, rafforzando la presa attorno il
suo braccio.
Alex
si umetta le labbra, percepisce le dita di Wesker affondarle nella
carne, lasciandovi impronte violacee e assorbendola nel proprio
delirio, divorandola
fino a renderli Uno e il Tutto.
"Io
ne sono la mente." le dice, inclinando il mento verso di lei -
negli occhi un baluginio estatico, che lo rende più giovane
all'improvviso.
"Risponde
a me e me soltanto." prosegue, aggrottando le sopracciglia
confuso quando posa lo sguardo sul punto in cui le sta stringendo il
braccio.
Si
scosta appena, lisciando le pieghe che si sono create sulla manica
del suo blazer bianco.
"È
finita, Alex."
"Stiamo
parlando di milioni di vittime."
"Miliardi,
Ada."
"È
finita." ripete, guardandola come si aspettasse una reazione -
una qualsiasi.
"Non
rimarrà niente, Al: il mondo sarà inghiottito dal tuo
sogno di salvezza e potere."
"E
per te sarebbe un problema?"
"...
no."
Alex
lo accoglie contro il suo corpo in silenzio.
3.
Il
conto alla rovescia del mondo era cominciato il nove marzo 2009.
Alex
dondola un piede oltre il bordo del letto, osservando in silenzio
città e nazioni gorgogliare nel colore del sangue e infine
spegnersi in un nero senza più voce.
"Si
sta diffondendo in fretta."
Wesker
socchiude un occhio, fissandola - una ferita rossastra nell'oscurità
della stanza.
"L'Europa
è sempre stata il focolaio perfetto per le pandemie."
aggiunge, chiudendo il tablet e appoggiandolo sul comodino.
Un
fruscio, dita lunghe e affusolate tra i suoi capelli, lungo la nuca.
Alex
inclina il mento, guardandolo da sopra la spalla nuda.
"Basterà,
Al?" mormora, quieta.
La
pupilla di Wesker si restringe e l'Uroboros ruggisce.
4.
Stuart
ne aveva intravisto i volti su vecchie foto sbiadite, il logo
dell'Umbrella un marchio rosso e bianco nell'angolo in basso a
sinistra - #12, #13.
Era
graziosa,
Master Alex; una bambina i cui occhi sembravano divorare l'ambiente
circostante, scomponendolo e sezionandolo - le guance arrossate dal
vento, i capelli biondi sciolti sulle spalle.
Era
spietato,
il dottor Wesker; un viso liscio e spigoloso, reso ancora più
duro dalla determinazione con la quale fissava l'obiettivo - la mano
sinistra ben stretta attorno quella di Master Alex.
Cling.
Solleva
lo sguardo, incontrando quello del dottor Wesker - freddo, guardingo.
La
disperazione di quei bambini aveva inghiottito il mondo senza
rimorsi.
5.
Si
erano sempre posseduti a vicenda.
Si
appartenevano in quel modo viscerale e affamato che hanno tutte le
cose rotte
-
spezzate e perdute.
Nel
sangue versato misuravano la cifra della loro reciproca comprensione
- di quanto fossero disposti a sopportare per amarsi.
Erano
nati quando Spencer li aveva rubati, ma si erano tramutate nella
bestia del mito sotto la sua egida - Zeus venuto a sconfiggere il
Padre ed Era giunta per sgozzarlo come l'immondo titano che era.
Alex
rovescia il viso verso l'alto, fissandolo da sotto in su - il capo
sulle sue cosce, addosso pelle e Uroboros.
Wesker
la bacia e il cielo si tinge di nero e rosso.
6.
Cade
una neve gelida su Sushestvovanie, dura e aspra come le sue terre.
Alex
la osserva scivolare lungo le vetrate del loft, tra le dita una tazza
di caffè tiepido.
"Manca
poco." la rassicura Wesker, percorrendole la linea delle spalle
con l'indice.
"Forse
un mese o due." aggiunge, sovrastandola.
"Nessuna
malattia potrà più toccarti." mormora, sfiorandola
con una gentilezza incerta, spaventata.
"Sto
morendo, Al."
"No."
"Il
Progenitore mi tiene in vita, ma allo stesso tempo consuma le mie
risorse: i tessuti..."
"Ho
detto di no."
"...
non credo che la tua opinione abbia importanza per il virus."
"L'avrà
quando renderò questo mondo sano - integro. Degno."
La
gabbia aveva infine trovato il suo uccellino.
7.
È
un pensiero che l'attraversa all'improvviso mentre lo osserva dormire
- le dita sfiorargli le ciglia, il viso.
C'era
stato un momento nel quale gli occhi di Albert erano stati uguali ai
suoi - azzurri, trasparenti.
Li
ricorda fissarla dalla parte opposta del laboratorio, seguirla per i
corridoi dell'Umbrella - scivolare tra le sue cosce la prima volta
che la curiosità era mutata in desiderio e infine in
ossessione.
Li
ricorda mutare
-
schiudersi in una corolla di rosso e oro, avvampando attorno a una
pupilla sottile e nerissima.
Wesker
respira, Alex si solleva insieme al movimento del suo petto - nuda,
bagnata d'entrambi.
L'Uroboros
ingoia il grido dell'ultimo uomo in silenzio.
8.
Poche
migliaia di sopravvissuti: a questo si riduce la speranza.
Wesker
raddrizza le spalle, allarga le gambe - indossa la prossemica del
conquistatore.
Del
predatore.
"La
sorella dell'agente Redfield sta organizzando una resistenza a
Chicago." annuncia Stuart, posando gli esiti degli esami
richiesti sulla scrivania.
"Con
lei ci sono anche l'agente Chambers e Kennedy." aggiunge,
sistemandosi gli occhiali sulla punta del naso.
Wesker
inclina il capo verso destra, accoglie i sussurri dell'Uroboros -
voci e storie di gente (non)morta.
"C'è
una corrispondenza al 50% nella sequenza genetica."
Chiude
gli occhi, estende le propaggini del virus - vede, onnisciente e
divino
mostruoso.
"L'hai
sempre saputo."
"Sì."
"Avresti
potuto dirmelo."
"Avrebbe
fatto qualche differenza?"
"No."
Alex
intreccia le proprie dita alle sue e ascolta.
9.
Pallida,
fredda: un viso spigoloso, che l'orrore aveva reso solo più
intenso
-
vestita di bianco e oro come la principessa delle favole.
Osserva
il mondo morire dall'alto della sua Torre in pietra e metallo,
all'ingresso della sua prigione
rifugio il drago in attesa del principe venuto a salvarla.
Ha
gli stessi capelli biondi di cui tanto motteggiano i cantastorie, ma
non c'è nulla di giusto o buono in lei - né pensiero,
né atto.
Santa
Madonna,
l'avevano chiamata.
Santa
Madonna,
l'avevano invocata.
Santa
Madonna urlavano
adesso, sbattendo contro le porte della Torre e osservando
terrorizzati l'Uroboros avanzare in un'onda nerastra e pulsante.
Alex
solleva il mento, respira
-
paura e adrenalina, disperazione e rabbia.
Wesker
chiude le dita a pugno e l'Uroboros si ferma.
10.
Le
ha regalato un futuro non più a scadenza - una possibilità.
"Non
sono compatibile."
"Lo
sarai."
Ha
spezzato
una ruota che aveva sempre girato a suo sfavore, gettandone i pezzi
ai suoi piedi come un'offerta e una confessione.
"Più
del 90% delle malattie non esistono più; cancellate insieme ai
loro portatori."
Ha
divorato sette miliardi e mezzo di persone per concederle una
speranza - per mettere a tacere la propria solitudine.
"È
nel mio sangue, Alex: nel nostro."
Alex
scosta la carta velina dal pacchetto che le ha posato sul letto,
scivolando con l'indice lungo la glassa al cioccolato di un éclair.
"Il
mondo era malato, Alex: marcio. Corrotto. Ma tu no. Oh no, tu
no."
Solleva
il viso, sulle labbra un sorriso morbido, fragile.
"Sei
mia sorella."
Wesker
le sfiora una guancia con le nocche della mano, nel suo gesto una
tenerezza incerta, sotto la quale si nasconde una bestia uguale a
lei.
"E
se tu sei indegna allora questo cosa mi rende?"
Mio,
sussurra
tra i suoi pensieri la voce di Alex, alzandosi sulle ginocchia e
cercandogli la bocca in un bacio languido, vorace.
Distruggere
era l'unico modo che conosceva per proteggerla.
****
1994.
Siete
fatti della stessa materia, aveva
detto William.
E
anche dello stesso sangue, aveva
aggiunto ridacchiando.
Nero
su carta bianca: alleli e geni che si sono sovrapposti per decretarne
l'origine, la storia.
Gemelli.
È tua sorella gemella, Al.
Non
c'era stata alcuna sorpresa negli occhi di Birkin mentre la loro
situazione
continuava, un nodo di sangue e carne - un bisogno che bruciava e
urlava e trovava pace solo in lei.
Nostra
madre si chiamava Avreliya,
mormora, baciandolo.
Nostro
padre Vlasiy,
sussurra, scivolando lungo la sua erezione in un movimento languido,
elegante.
Wesker
si alza sui gomiti, Alex gli prende il viso tra le mani - fratello,
geme.
Invoca.
Il
mostro che è in loro squarcia
e
sorride.
1995.
Ricorda
una bambina che odiava gli omini di pan di zenzero.
Ricorda
una bambina come lui: capelli biondi, quasi bianchi; occhi artici,
animati da un baluginio crudele, selvaggio.
Affamato.
La
ricorda mentre lo studiava in silenzio seduta al suo fianco nel
salone principale di villa Spencer - biscotti con scaglie di
cioccolato tra le dita e sulle labbra una piega un po' storta,
arrugginita.
La
ricorda,
e quando incontra il suo sguardo è sempre la stessa bambina
che gli sorride: un dolore uguale al suo nel cuore, la medesima
disperazione con la quale distruggerà un mondo intero.
"Sei
mia sorella."
"Sì."
"Di
sangue. Gli esami di Birkin lo confermano."
"E
hai scomodato William solo per questo?"
Alex
si raggomitola contro il suo fianco e respira.
1996.
I
piedi nudi sul tavolino in vetro e wengè, nell'aria arancio e
argan.
È
un attimo sospeso; un bicchiere vuoto sul bancone della cucina, il
tic tic della stilografica sul foglio - un gesto nervoso, che faceva
sempre quando qualcosa non la soddisfava
nei
risultati dei trial.
La
luce di agosto si arrampica tra le fessure della tapparella
abbassata, la spallina di una sottoveste bianca che le scivola giù
per la spalla, fin quasi scoprirle il seno - piccolo, rosa.
Clic.
Alex
si volta, fissandolo.
"Si
è rotta l'aria condizionata." gli dice, indicando con un
cenno del capo verso sinistra.
Wesker
rimane immobile tra il corridoio e la sala, l'odore del dipartimento
di polizia ancora addosso - cuoio, polvere da sparo e qualcosa di
tipicamente maschile, di cui Alex aveva riso, definendolo il classico
esempio di quello che si ottiene quando si mettono troppi alfa
in una stanza.
"E
hai finito la spremuta d'arancia." prosegue, sottolineando quel
tu,
come
se non fosse stata lei
a
berla tutta in sua assenza.
La
fissa in silenzio, studiandola e scoprendosi abituato
alla
sua presenza.
Le
persone erano sempre state mezzi, strumenti: arti in più da
usare,
e poi buttare.
Alex
stiracchia le gambe in avanti, appoggiando il fascicolo sul bracciolo
e guardandolo a sua volta.
"Giornata
difficile?" gli chiede, le guance leggermente arrossate dal
caldo, i capelli umidi sulla nuca.
Wesker
le si avvicina, sfiorandole il viso con la punta delle dita - un
gesto intimo, riservato.
"Redfield
ha di nuovo bruciato qualcosa negli archivi? Ha sbagliato il
congiuntivo nel rapporto?" aggiunge lei, sollevandosi sulle
ginocchia e sfregandogli tra il pollice e l'indice il colletto della
camicia.
"Ha
fatto tutte e due le cose?" conclude, e quando la bacia ha il
sapore di una quotidianità aliena, mostruosa.
Sua.
Sulla
bocca di Alex ritrova sempre ciò che manca.
1997.
Sono
un accostamento singolare.
Intelligenti,
spietati: gli enfant prodige di un dio morente e avido - la visione
distorta di una famiglia in cui i figli muoiono per il Padre e
diventano gli alfieri del suo delirio.
Le
accarezza una guancia mentre dorme, osservandola istintivamente
afferrare la sua mano e distendersi verso di lui - cercare il suo
calore, la sua presenza.
Sul
comodino il distintivo della S.T.A.R.S. giace inerte, opaco; a pochi
centimetri di distanza una tessera magnetica dell'Umbrella
Corporation - dottoressa Fayer, livello di autorizzazione 4.
Si
china su di lei, percorrendole in punta di dita la curva del seno e
sfiorandole con il pollice un capezzolo - piccolo, rosa.
Il
respiro di Alex si spezza,
un istante tra il sonno e la veglia in cui non sono né mostri
né uomini.
Apre
gli occhi, un sorriso disarmante sulle labbra: crudele nella sua
sincerità, doloroso nel suo amore.
Wesker
la bacia mentre fuori la neve diventa rossa e rossa.
1998.
Tutto
è rosso.
Tutto
esplode
-
si scioglie dietro le sue palpebre, nella sua mente, tra i pensieri,
dove il virus trascende,
rendendolo dio e mostro.
Tutto
pulsa
e in mezzo a quella cacofonia di denti e carne lei è lì
–
con lui.
Per
lui.
Wesker
- il Progenitore - urla,
le ossa si rompono, accartocciandosi
verso
l'interno e prendendo
nuova forma.
Tu
sei mio fratello e io sono tua sorella.
Apre
gli occhi e il mondo è ancora rosso e nero e rosso e...
Siamo
una famiglia, Al.
Dita
pallide gli sfiorano il viso, le labbra; il cielo si dilata,
assumendo la tonalità violacea di una contusione: il primo
pugno scagliato dai nuovi dèi contro quelli vecchi.
Noi
siamo tutto ciò che conta: tutto ciò per cui vale la
pena vivere, Al.
Alex
lo bacia e il mondo piange.
1999.
Liscia,
senza imperfezioni.
Questa
la loro pelle, la storia che racconta.
Alfieri
del nuovo mondo, bambini ibridati
per
essere migliori; più performanti, più efficienti.
Non
c'è cicatrice che ricordi la loro sofferenza, sfregio che sia
memoria e rimpianto.
Tutto
tace fuori da loro - tutto urla dentro,
dove sono un ammasso contorto di ferite e tagli, carne ricucita
insieme dall'ambizione e grumi di sentimenti lasciati morire e poi
imputridire.
Alex
sfiora con l'indice il solco pallido delle sue unghie sul petto di
Wesker, osservandolo scomparire respiro dopo respiro.
"C'è
qualcosa che può farti male, Al?" mormora, circondandogli
la vita con le cosce e percorrendo lo spazio dove prima c'erano i
segni dei suoi graffi con la punta della lingua.
"Rimarrà
qualcosa di noi, Al?"
Wesker
intreccia le dita nei suoi capelli e geme quando Alex snuda i denti e
affonda.
2000.
Sangue
sotto la lingua, tra le sue cosce.
Alex
mormora il suo nome, inarcando i fianchi contro la sua bocca -
intreccia le dita nei suoi capelli, attirandolo a sé e
strappandogli il respiro, la coscienza.
Lo
bacia come se volesse divorarlo,
come
se volesse essere di nuovo parte di lui - integra, completa.
lo
guarda come se fosse tutto - l'inizio e la fine.
Mia
sorella, mormora
una voce tra i suoi pensieri.
Mia
da possedere, distruggere, amare, ruggisce
la stessa voce mentre si spinge in lei - ancora e ancora e ancora.
Il
cuore di Alex sussurra le sue stesse parole.
2001.
Ti
dona, vorrebbe
dirle.
Alex
muove le dita dei piedi nella sabbia, negli occhi un baluginio
infantile, fuori posto.
Disegna
un semicerchio con il tallone, raccogliendo una conchiglia sfumata
nel colore del rosa.
"Patetico."
afferma, ma le sue dita continuano a giocare con la conchiglia,
sfiorandone la superficie a ogni passaggio tra le nocche.
"Non
ho tempo per queste cose." prosegue, infilandosi la conchiglia
in tasca e fissando il mare.
"Ed
è tutto così appiccicoso."
si lamenta, sedendosi sulla battigia e ridacchiando quando le onde si
infrangono contro le sue caviglie.
Wesker
l'affianca, inclinando il mento verso di lei e soffermandosi sulle
labbra socchiuse in un'espressione quieta, serena.
Posa
lo sguardo sull'anulare sinistro, dove una fascia in oro bianco e
ossidiana cattura il riflesso del sole - la fede gemella bruciare
sotto
il guanto in cuoio nero e kevlar.
Il
mare lambisce i piedi di entrambi in silenzio.
2002.
Una
malattia senza cura; un'infezione che estendeva le sue propaggini in
ogni anfratto del corpo, rendendolo suo
- schiavo di un sentimento che si rifiutava di chiamare.
William
l'aveva definita un'affinità di intenti e desideri.
Annette
era stata meno aulica
e
aveva sancito che erano uguali, lui e Alex.
"Due
stronzi che scopano bene insieme e manderanno all'inferno questo
mondo di merda."
Daniel
l'aveva fissato in tralice come se fosse stato lui l'idiota,
mormorando un siete
fatti della stessa materia e
lasciando la frase sospesa lì, tra un monito e una verità.
Tump.
Wesker
raccoglie il cuscino caduto a terra, fissando la schiena nuda di Alex
- una gamba intrecciata alle sue e sul viso un'espressione quieta,
distesa.
Tra
i suoi pensieri - nelle sue cellule - il virus sussurra,
instancabile.
2003.
"Da
quanto?"
"Tre
giorni." gli risponde Stuart, neutro.
Wesker
raddrizza le spalle, la schiena - solleva il mento, assumendo la
prossemica del comando.
"Ci
penso io." ribatte, spostando il piede in avanti - stivali
rinforzati in titanio e addosso un polimero di kevlar e cuoio per
combattimenti militari.
Stuart
apre la bocca, indeciso; osserva Wesker raggiungere Alex -
affiancarla in silenzio.
"Devi
mangiare, Alex."
"Me
ne sono dimenticata."
"Bugiarda.
Stuart ha detto di averti portato pranzo e cena ogni giorno."
Wesker
si china su di lei, sedendosi alla sua altezza.
"...
ho altro da fare."
"Morire?"
"Tra
un impegno e un altro."
Stuart
china il capo, dando le spalle a un momento intimo, privato.
"Aleksandra."
"È
tanto che non mi chiami con il mio nome."
"Ed
è un problema?"
"No.
Mi piace. Ripetilo."
"Aleksandra."
Wesker
posa la fronte contro quella di Alex e chiude gli occhi.
2004.
Lo
perseguita.
Lo
rende schiavo,
vittima di un sentimento che non avrebbe mai voluto provare.
Lo
bacia come se lo amasse davvero, gli offre un corpo che il sole di
Sonido de Tortuga ha sbiadito nel tenue colore dell'oro: seni piccoli
e rosa che può racchiudere nelle sue mani con una facilità
imbarazzante - fianchi spigolosi, cosce morbide, mollemente
intrecciate alle sue.
Lo
tocca come se fosse reale - come se loro
lo
fossero.
Scivola
con la punta lingua lungo il suo petto, aprendosi a lui come una
promessa che sarà mantenuta - qualcosa che può essere
suo e suo soltanto.
Wesker
inclina il viso verso il basso,
"Sono
tua sorella, Al."
oscenamente
sensibile a tutto:
il respiro di Alex, la sensazione umida e calda lungo la sua
erezione, il suo odore sulla pelle - in
lei -
dove ciò che resta di loro esige,
e reclama.
"Il
dottor Wesker è suo fratello?"
"Tra
le altre cose."
Il
desiderio negli occhi di Alex è anche il suo.
2005.
A
volte la paura la conquista.
A
volte Alex cede
al
dubbio e l'orrore la travolge: i muri si riempiono degli occhi delle
sue (loro) vittime e i cadaveri urlano,
conficcandole le unghie nella carne e trascinandola nella bocca
nerastra in cui lei stessa li aveva gettati.
Per
lui non ha alcuna importanza; sono solo incubi - riflessi inquieti
che può spegnere con una torsione del polso.
Per
Wesker nulla
è
come loro e mai lo sarà; nessuno è davvero
degno.
Tranne
lei.
Alex
rifugge dal suo sguardo e Wesker comprende - percepisce.
Tende
le braccia verso di lei come quando erano piccoli e morbidi e
innocenti
- lascia che gli si raggomitoli addosso, nascondendogli il volto
nello spazio tra il collo e la spalla.
Posso
dormire con te, Al?
Contro
il suo petto non è mai stata lo spietato Overseer della
storia, ma solo Alex.
2006.
Infanti
rubati, adolescenti cresciuti come armi e strumenti - bestie da monta
e riproduzione, animali da lotta e competizione.
Costretti
a evolversi e diventare migliori - più performanti, più
efficienti.
Mostri-adulti
che dovevano immolarsi
per
il Padre - aiutarlo a trascendere mentre loro morivano
e rinascevano ogni volta come scudo e spada del suo sogno.
"Tu,
un dio?"
Wesker
fissa il corpo di Spencer, tra le dita bave di sangue e carne - sotto
la suola delle sue scarpe ossa e polvere.
"Non
essere ridicolo, padre."
"Lo
ucciderò, Alex: te lo prometto."
Tra
i suoi ricordi quei bambini non hanno mai smesso di urlare.
2007.
È
un peso, un arto morto.
È
indegna,
secondo i parametri dell'Uroboros, eppure il Progenitore l'ha scelta
comunque - lui
l'ha scelta comunque.
È
fragile e debole e mortale e...
"Non
lo mangi?"
Wesker
sbatte le palpebre una, due volte: segue lo sguardo di Alex verso il
suo piatto - un risotto allo zafferano - riportandolo poi sul suo
viso.
È
giovane
senza
trucco; un ovale pallido e nel quale gli occhi spiccano come ferite.
Lascia
piccole gocce d'acqua sul tavolo, i capelli ancora umidi, le guance
arrossate dalla doccia.
Lo
fissa, alzando un sopracciglio in un'espressione interrogativa.
"Perché
io ho ancora fame." aggiunge, tendendo la mano verso il piatto.
È
rotta,
Alex.
Come lui.
È
sottile e potrebbe spezzarla con niente
-
dovrebbe strapparla via, reciderla come un fiore secco, avvizzito.
È
una delle regole della medicina: amputare l'arto morente per salvare
il resto corpo.
Se
la ritrova sulle cosce, i piedi intrecciati ai suoi polpacci e la
forchetta già nel piatto, a raccogliere il riso rimasto.
Sa
di argan e sangue, un retrogusto di limone e lui
-
maninka e cuoio e voglia.
Le
circonda la vita con le braccia, percependo il battito del suo cuore,
il fruscio del suo respiro - sulla spalla i segni dei suoi morsi,
violacei.
"Mi
fai il solletico, Al." mormora quando le posa la fronte contro
la schiena, baciandole la pelle nuda.
Il
suo corpo, in fondo, le è sempre appartenuto.
2008.
Il
sole africano la bagna d'oro e rosso, rendendo i segni dei suoi morsi
ancora più evidenti, profondi:
fili
di sangue che le scendono tra i seni, lungo il collo.
Wesker
percorre con la punta dell'indice la sottile linea abbronzata poco
sopra il monte di Venere - la segue con lo sguardo come incantato,
strappandole una risata esangue, che si spegne in un gemito quando
posa la bocca tra le sue cosce.
La
stanza è fredda – loro
lo
sono
– ma quando la bacia bruciano,
un disastroso
groviglio
di pelle
e sussurri
e bisogni che gli
scavano
dentro,
facendogli
venire voglia di aprirla e
squarciarla e
riposare tra le sue ossa e il suo sangue e...
"A
volte vorrei vedere cosa c'è qui dentro."
"Nella
mia mente o nel mio petto?"
"Entrambi."
Alex
lo accoglie in lei e diventano infine ciò che sono sempre
stati: Uno in Tutto.
****
0.
Il
mondo come l'avevano conosciuto cessa di esistere il 20 maggio 2010 -
un anno e due mesi dopo che dal cielo era piovuta una creatura nata
dalla disperazione e dalla paura.
Alex
osserva l'ultima luce sul planisfero spegnersi - lampeggiare
frenetica un paio di volte sopra il Giappone, lasciando poi cadere la
stanza nella penombra.
Rimane
a fissare lo schermo qualche altro secondo, sfregandosi l'anulare
sporco di zucchero sul labbro inferiore, assorta.
Si
inclina all'indietro, picchiettando con le dita sulla spalla nuda di
Wesker.
"Al."
lo chiama, piano.
"Al."
ripete quando non riceve risposta, voltandosi.
Wesker
inspira, e tutto il suo corpo sembra riprendere vita - il virus
renderli più simili a dei (non)morti che a delle persone.
Sbatte
le palpebre un paio di volte,
"Da
quanto non dormi, Al?"
mettendo
a fuoco l'ambiente attorno a sé.
"Non
lo ricordo."
Ruota
su un fianco, afferrandole il polso e rovesciandole la mano con la
quale l'aveva svegliato verso l'alto - sui polpastrelli tracce di
cioccolato e vaniglia.
"È
finita, Al." mormora, scostandosi quel tanto che basta per
mostrargli la cartina geografica spenta.
"È
finita." ripete, quasi un sussurro - nella sua voce
un'inflessione felice,
appagata.
"Solo
noi resteremo, Aleksandra. Noi e questa isola."
Wesker
si solleva sul gomito, inclinando il mento verso sinistra e
guardandola - tra i suoi pensieri il virus chiedere,
incerto, ansioso.
"E
credi che l'Uroboros possa curarmi?"
"No;
ma ci darà tempo."
"Quanto?"
"Abbastanza
da salvarti."
Alex
intreccia le proprie dita alle sue, sospirando e stropicciando un
angolo della carta azzurra del sacchetto di dolci tra il pollice e
l'indice.
"Immagino
che non ci sarà più nessuno là fuori in grado di
fare degli éclair oltre Stuart, uhm?"
"Non
sei l'eroe di questa storia, Al: non lo sei mai stato."
"Non
ho mai preteso d'esserlo: non per il mondo, almeno."
"...
sei inquietante quando provi a essere romantico."
"No,
penso proprio di no." le risponde, traendola a sé e
rovesciandola tra le lenzuola sgualcite - strappandole un ansito e
un sorriso.
"Ucciderai
miliardi di persone per salvarne una: ne vale la pena, Wesker?"
Tra
le sue braccia Alex è l'unico futuro in cui abbia mai voluto
credere.
"A
superhero defends what is just; a villain defends what is theirs."
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Drew
Hayes
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