- Titolo:
l’ultimo elfo delle terre di Rhunt
- Fandom:
originale
- Pairing:
M/M,
- Challenge:
Writober
- Prompt:
Incanto
- L’ultimo
elfo delle terre di Rhunt
- Al
principe Anhrian non capitava così frequentemente di
lasciare
il palazzo reale: era troppo occupato nello studio della magia e
passava tutto il tempo nel suo addestramento imposto dal re, suo
padre.
- Desiderava
che lui diventasse un abile mago e lui non ne aveva mai compreso il
motivo. Doveva seguire i suoi ordini altrimenti erano guai per lui e
al genitore non importava quanto desiderasse giocare con suo fratello
maggiore: lo obbligava a studiare quell’arte che da piccolo
aveva sempre detestato!
- Aveva
passato tutta l’infanzia chiuso in quella stanza che aveva
sempre odiato, aveva il permesso di uscire per pochissimi motivi, o
per le sue esercitazioni all'aperto o per eventuali eventi sociali
come matrimoni o altro.
- Aveva
bruciato tutta la sua infanzia per colpa di quell'essere.
- «Padre,
dove stiamo andando?»
- Poteva
esserne incuriosito, no? Dopotutto non capitava che suo padre lo
trascinasse con sé senza dargli una spiegazione e desiderava
sapere le motivazioni dell'uomo.
- «Andiamo
da tuo zio».
- «Non
starà male?»
- «Lui
sta bene sta tranquillo».
- Se
stava bene, per quale motivo il padre lo stava trascinando da suo
fratello minore? Era quello ad insospettire il diciottenne e sentiva
che ci fosse qualche altra ragione.
- *~~~*
- Il
palazzo dello zio non era grande quanto quello reale in cui era
cresciuto, ma quando si trovava lì non si sentiva
così
in gabbia come a casa propria: lì non era obbligato a
studiare magia o esercitarsi e si sentiva libero.
- Ad
Anhrian davano sempre la stessa stanza che si affacciava su uno
splendido giardino che avrebbe tanto desiderato visitare, ma,
nonostante le suppliche, sia il padre che lo zio avevano sempre
rifiutato di farlo entrare.
- Il
punto era che i fiori lo avevano da sempre affascinato, erano dotati
di colori variopinti e ogni tipo era dotato di una fragranza che li
distingueva dagli altri rendendoli unici. C’erano anche
alcune
piante dotate di poteri magici che venivano usate in determinati
incantesimi o pozioni ed era un ramo della magia che gli piaceva
assai.
- C’era
però un tipo di fiore che lo attirava per ben altro, ed
erano
le rose che oltre ad essere fra più i belli esistenti, erano
dotate di quelle spine che potevano addirittura ferire le persone se
non maneggiate con cautela. Era proprio questa caratteristica che li
rendeva i fiori più affascinanti di tutti, almeno per
Anhrian
era così.
- Aveva
sentito una storia sul giardino dello zio, si diceva che ci fosse un
fiore magico talmente potente che chiunque l'avrebbe posseduto
avrebbe acquisito dei poteri invincibili, questa però era
solo
una leggenda.
- Il
principe doveva ammettere che c’era una luce che veniva
proprio
da una siepe che di notte illuminava il giardino ma né il
padre e tantomeno lo zio gli avevano detto cosa fosse.
- Lui
con il tempo aveva percepito che quello fosse un luogo intriso di
magia, potente a quanto sembrava. Crescendo era riuscito a percepire
un potente incantesimo ma all’epoca non era mai riuscito a
capirne la composizione, ma, dopo essere maturato, era riuscito a
percepire meglio che tipo di sortilegio fosse: magia di sangue.
- «Anhrian
riesci a percepire qualcosa?»
- Lo
Zio sembrava più serio del solito e il principe era certo
che
fosse lì per qualcosa di importante, forse proprio riguardo
al
giardino che per anni lo aveva affascinato.
- «Qualcuno
ha lanciato un incantesimo nel giardino, sembra una magia potente ed
antica».
- «Io
e tuo padre crediamo che tu sia pronto».
- “Pronto?”
Era Possibile che il padre lo avesse costretto a studiare la magia
per spezzare l‘incantesimo di quel giardino? O credeva
davvero
che ci fosse un fiore magico? Anche se non riusciva a comprendere il
motivo per cui non lo avessero fatto avvicinare prima di quella
serata.
- «Volete
che io lo spezzi?»
- «Vogliamo
sapere cosa sia successo in quel giardino, Anhrian».
- Ormai
il diciottenne era certo: il genitore lo stava solo usando!
- Non
poteva tirarsi indietro, chissà cosa avrebbero fatto il re e
lo zio.
- Da
bambino più volte si era rifiutato di studiare magia,
perché
voleva continuare i giochi col fratello più grande o quando
non ne aveva voglia: ogni volta era stato vittima di punizioni
corporali dall’uomo!
- Nonostante
fossero passati anni, Anhrian, portava ancora il segno delle frustate
sulla schiena e, per non subirne più, aveva imparato ad
obbedire al genitore che era dotato di una crudeltà unica.
- Così
venne scortato dallo zio e dal re all’esterno del giardino.
- Più
il principe si avvicinava e tanto più sentiva una forza
ostile, oltre all'incantesimo riusciva a percepire una barriera
magica.
- «C’è
una barriera».
- «Né
io e né tuo zio siamo riusciti ad entrare quando eravamo
giovani, abbiamo provato di tutto».
- «Davvero
credete che io ci possa riuscire?!»
- «I
tuoi maestri hanno sempre detto che tu sia il mago più
potente
che abbiano mai conosciuto».
- «Padre,
è per questo che mi avete fatto studiare magia?
Perché
dovevo scoprire il segreto di questo luogo?»
- «Avevi
un dovere».
- «”Un
dovere”? Per colpa vostra non ho avuto un’infanzia,
avevo
tre anni la prima volta che mi avete messo un libro di magia in
mano»
- «Non
ti vorrai ribellare proprio adesso?»
- «Ribellare?
Vi siete approfittato di me appena ho dato segno di poteri!»
- «Anhrian,
ti prego».
- «Non
vi ci mettete anche voi zio!»
- Cosa
era stato per loro? Era stato solo uno strumento e non gli avevano
mai dimostrato l’affetto che un padre e uno zio avrebbero
dovuto riservare ad un figlio e nipote.
- «Spezza
il sigillo, sei l’unico che può farlo».
- «No!»
- Il
padre lo guardò con un'aria minacciosa ma non avrebbe
ceduto,
poteva fermarlo con un qualsiasi incantesimo e ne aveva imparati
molti.
- All’improvviso
però udì una voce melodiosa venire proprio dal
giardino.
- “Salvami”.
- «Sentite
anche voi questa voce?»
- “Hai
promesso di liberarmi, dove sei…”
- «Quale
voce? Non dirci che sei impazzito?!»
- Riusciva
a sentirla, era come un richiamo e doveva scoprire a chi
appartenesse, saperne di più.
- Concentrandosi
sulla barriera Anhrian sentiva che quello fosse un posto che era
stato sigillato per nascondere qualcosa ommeglio qualcuno, infatti,
percepiva una flebile presenza di qualche essere vivente.
- “Quando
verrai a liberarmi, Manhish?”
- Quel
nome gli risuonava nella mente ed aveva qualcosa di malinconico triste.
- Conosceva
un Manhish, era un suo antenato morto durante la guerra fra umani ed
elfi che aveva portato alla loro estinzione.
- “Manhish…
Manhish…”.
- Quella
voce era così struggente che Anhrian prese la decisione di
fare qualcosa, ma sentiva di dover andare da solo.
- «Vi
aiuterò, ma non potete seguirmi»
- «Cosa?»
- «Dobbiamo
sapere cosa c’è in questo giardino!»
- «Solo
o io posso entrare!»
- Non
sapeva dire il perché. se fosse l'unico a percepire quella
voce, significava che solamente lui avrebbe potuto scoprire cosa
fosse successo: il padre e lo zio non sarebbero mai potuti entrare
così come qualsiasi altro umano.
- Quella
era magia di sangue e solamente chi aveva eretto quella barriera
sarebbe potuto entrare o chi ne aveva ereditato i poteri; lui sentiva
di aver acquisito tutti i poteri di Manhish.
- «Solo
io posso entrare!»
- Gli
bastò poggiare solo una mano sulla barriera
perché
quest'ultima lo lasciasse passare e quella fu la conferma di tutto:
era un discendente diretto di Manhish.
- Una
volta entrato riusciva a percepire con più
intensità
sia la voce che sembrava richiamare “Manhish” che
la sua
presenza.
- I
suoi occhi si poggiarono sulla rosa più bella che avesse mai
osato vedere.
- Ad
uno sguardo poteva sembrare una comune rosa rossa ma non era un fiore
normale e lo dimostrava l'intensa luce che emanava: era un bagliore
dorato, la stessa luce che illuminava il giardino durante le ore
notturne.
- In
quel momento Anhrian comprese cose che non aveva mai capito la sua
passione per i fiori erano nati probabilmente grazie al suo
predecessore, che aveva incantato proprio quella rosa.
- Si
concentrò cercando di capirne la composizione percependo
immediatamente che quella non si trattasse di un fiore comune, ma era
un qualcosa che Manhish aveva sigillato, una persona che doveva
essere davvero importante per lui.
- Era
una magia di sangue, una delle più forti magie e letali se
non
sapute usare con cautela.
- «Manhish…»
- Eccola
la voce era sempre più forte e nitida e percepiva la
malinconia di quel tono
- «Sono
qui per salvarti».
- Con
sé capitava spesso che portasse degli strumenti per fare
incantesimi e, in quel momento, aveva un piccolo pugnale e sentiva di
aver fatto bene a portarlo, ma non sapeva dire se fosse una
coincidenza o fosse stato un sesto senso.
- Incise
un taglio sul palmo della mano, esattamente sulla linea della vita
era , abbastanza profondo per lasciare che fuoriuscisse abbastanza
sangue che fece colare sulle radici del fiore.
- «Oi
go josafi*».
- In
un attimo il bagliore emanato dalla rosa divenne così
abbagliante che dovette chiudere gli occhi non riuscendo minimamente
ad osservarla, solo quando cessò completamente
riuscì a
mettere a fuoco la figura che aveva di fronte agli occhi.
- Anhrian
in quel momento non riusciva a credere ai propri occhi, quello che
aveva di fronte non era un umano, ma quei lineamenti eterei, i tratti
morbidi e delicati potevano sembrare caratteristiche che alcuni suoi
simili potessero avere ma quelle orecchie a punta erano un segno
distintivo degli elfi.
- E
quello era sicuramente l’ultimo elfo delle terre di Rhunt.
- «Manhish
sei giunto per spezzare il tuo incanto?»
- Sentiva
che quell’elfo non gli avrebbe mai fatto del male, ma loro
erano conosciuti per la loro crudeltà verso gli umani,
però
al principe non sembrava malvagio come narrava la storia del regno.
- «Non
sono Manhish…»
- Non
era spaventato ma bensì ne era affascinato, quei capelli
rossi
gli ricordavano i petali che tanto amava nelle rose rosse e sentiva
una strana attrazione e connessione verso l'altro.
- «Ti
sembrano scherzi da fare?»
- «Non
sto scherzando, mi chiamo Anhrian».
- L’elfo
in qualche modo si avvicinò a lui prendendogli la mano e
notando il sangue che ancora usciva dalla mano.
- «Solo
Manhish avrebbe potuto liberarmi».
- «Sono
un discendente di Manhish, lui è morto duecento anni
fa».
- «Duecento
anni?»
- Tutti
avevano narrato le gesta di Manhish morto come eroe durante la guerra
contro gli elfi, ma le cose erano andate davvero così? Ormai
non n’era certo, era sicuro che l'incantesimo lo avesse
indebolito e fosse morto durante la guerra ma non doveva aver avuto
tempo per riprendersi.
- «Come
è morto?»
- Come
avrebbe potuto rispondergli? Non aveva certezze di come fossero
andate esattamente le cose.
- «Una
guerra scoppiò fra gli umani e gli elfi».
- «Lui
mi promise di fermarla, lo voleva quanto me».
- «Cosa
è successo fra di voi?»
- «Io
e il principe Manhish ci amavamo nonostante non scorresse buon sangue
fra noi e voi umani, ma poco prima che scoppiasse la guerra mi ha
sigillato qui promettendomi di liberarmi appena avrebbe convinto il
genitore a non dichiarare guerra».
- «L'incantesimo
che ti ha lanciato l’ha indebolito, la magia del sangue
è
fra le più pericolose».
- Ne
era certo, era pericolosissima e se si usano quel tipo incantesimo
bisognavano giorni di riposo, anche lui in quel momento si sentiva
abbastanza indebolito.
- «Quindi
lui è morto per colpa mia?»
- «Non
è affatto colpa tua, l'ha fatto per salvarti».
- «Salvarmi…
dove sono i miei simili dove sono?».
- «Mi
dispiace…».
- Come
avrebbe potuto dirgli che gli umani li avevano sterminati tutti?
Erano parole troppe crudeli da dire a qualcuno che era stato
sigillato come fiore per duecento anni.
- «...
sono morti tutti?»
- «Mi
dispiace, gli umani sono stati crudeli».
- Non
erano gli elfi ad esserlo, ma gli esseri umani come lui che avevano
sterminato la razza e spezzato i cuori di due innamorati, erano loro
gli esseri malvagi.
- «Anhrian…
giusto?»
- «Sì»
- «Tu
gli somigli in in modo incredibile…»
- Non
sapeva cosa stesse per accadere ma l’elfo gli si
avvicinò
talmente tanto che riusciva a sentire il suo respiro caldo e allo
stesso tempo melodioso.
- «Come
ti chiami?»
- «Darhel,
ero nipote del re degli elfi».
- Un
nome dal suono incantevole che gli riscaldava il petto, proprio come
aveva riscaldato il cuore di Manhish secoli addietro.
- «Darhel
» pronunciò il principe prima che l'elfo lo
baciasse.
- Quel
luogo e ciò che nascondeva il giardino non sapeva come dirlo
allo zio e al genitore ma una volta usciti avrebbe dovuto affrontarli
e cosa avrebbero pensato quando sarebbe andato indietro con Darhel?
- Questo
il principe non poteva dirlo, in quel momento voleva solo perdersi in
quelle labbra che si addicevano perfettamente alle proprie.
- Sentiva
di aver trovato una parte che completava la sua anima dandogli la
felicità che finalmente meritavano dopo anni di sofferenza.
- Oi
go josafi*= Questa è una linuga che ho inventato io sulla
base
usando il metodo usato albhed, ogni lettera nella nostra lingua ne
rispecchia un altra e questa significa “Io ti
libero”O=I I=O
G=T J=L S=B A=E F=R (Non vi scrivo tutto l’alfabeto per
ora)
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