"You
were the vampire in my dream.
My
perfect one."
-
Anne
Rice
-
Killers
are quiet
"Assomigli
alla Koljada."
Così
esordisce Sherry mentre si accendono le luci dell'albero di Natale su
Raccoon City - un obbrobrio che il sindaco ha pensato bene di
strappare dalla foresta di Arklay per metterlo poi in piazza e
decorarlo in un tripudio di palle colorate e nastri dorati.
"Chi
ti ha insegnato quella parola?" le chiede Alex, cercando Annette
tra la folla.
Sherry
le cammina al fianco evitando tutte le piastrelle grigie del
lastricato in una strana versione del gioco della campana, dando ogni
tanto un morso al suo biscotto e spargendo nell'aria l'odore della
castagna, quello delle nocciole.
"L'ho
letta." ribatte lei, tranquilla - sua madre un puntolino
distante in fila davanti a un chiosco di dolci.
Alex
continua a muoversi in mezzo alla folla; non le prende la mano, ma
Sherry ha abbastanza buonsenso da aggrapparsi alla manica del suo
cappotto, seguendola in silenzio.
"Ne
hai ancora per molto?" le chiede, alzando la voce di qualche
ottava per farsi sentire il mezzo al rumore.
Annette
si volta, fissandola - negli occhi un qualcosa di simile al
divertimento.
"Qualche
minuto." replica, posando poi lo sguardo su Sherry e abbozzando
un sorriso.
"Le
hai comprato un calzoncello." constata poi, neutra.
Alex
si scrolla nelle spalle, evitando accuratamente un moccioso poco più
grande di Sherry con un orrendo cappello da renna addosso e il viso
sporco di cioccolato.
"È
roba costosa." puntualizza Annette, intrecciando le proprie dita
a quelle della bambina e prendendola in consegna.
Alex
arriccia il naso, aggiustandosi la sciarpa attorno il collo.
"Sì,
be', deve farsi cadere i denti dalle carie sempre meglio una
specialità italiana di questa... roba
che vuoi prenderle tu." chiosa, scuotendo la mano destra davanti
a sé.
Annette
porge un fazzoletto a Sherry, avanzando di qualche metro nella fila -
le labbra leggermente screpolate dal freddo, un grumo di mascara
sulle ciglia dell'occhio sinistro.
"Gli
omini di pan di zenzero piacciono anche a Will: ho pensato di farne
scorta per l'inverno." le spiega, e Alex tace, gettando
un'occhiata in tralice alle facce sorridenti dei biscotti.
"E
poi il loro profumo è rassicurante." aggiunge, adesso a
solo due persone dal bancone.
Alex
inspira con forza, nasconde metà del viso dietro la sciarpa,
sollevando il bavero bordato in pelliccia del cappotto.
Giù
per la gola l'odore della cannella di quegli stupidi omini di
panpepato è nauseante.
"È
vero." le conferma Wesker, gettandole un'occhiata pigra,
saziata.
Alex
posa la guancia sul cuscino, alzando un sopracciglio.
"Le
assomigli." mormora, fissando il soffitto - un profilo
durissimo, che la debole luce che filtra dalla finestra rende ancora
più compatto, esigente.
"Pallida,
fredda: la Koljada portava doni e punizioni." aggiunge, la sua
voce poco più di un sussurro - la pressione
esercitata
da più ruoli e maschere cominciare a mostrare i primi segni.
Alex
lo guarda scivolare nel sonno, lo veglia per qualche minuto,
raggomitolandosi poi al suo fianco e coprendo entrambi con la
trapunta pesante.
E
io?,
vorrebbe chiedergli, E
io cosa porto, Al?
La
neve riprende a cadere, lasciando senza risposta la sua domanda.
Stretta
in un abito da sera asimmetrico bianco è davvero
la
Koljada del mito - tra le sue dita
raso
envers crêpe e seta.
Alex
inclina il viso verso di lui, osservandolo con la coda dell'occhio
mentre scivola con la punta delle dita sulla spalla sinistra, dove
l'emblema di Medusa arriccia il tessuto, è
un Versace, Al,
gli aveva detto qualche istante prima, abbozzando un sorriso storto.
"Ti
piace." mormora, e non è una domanda.
Wesker
sfrega tra il pollice e l'indice la stoffa del vestito, le sfiora la
curva del seno - piccolo, modesto; che può facilmente
racchiudere nel palmo della sua mano.
Alex
ride - un suono sommesso, raro - negli occhi un baluginio furbo,
ambiguo.
Nell'oscurità
della sua auto Wesker la bacia mentre Villa Spencer attende.
Non
le piace; questo l'ha capito fin dall'inizio.
Anche
William lo ritiene un ostacolo - un
vecchio di merda che non ha ancora capito il mio valore,
sbottava spesso - ma il disgusto di Alex è viscerale,
spaventato.
Wesker
la osserva rimanere ben dritta sulla sedia, le spalle gettate
all'indietro in una posa militare, rigida - un muscolo nel collo
tendersi, insieme al nervo sotto la mandibola che le crea una piccola
fossetta vicino all'orecchio destro.
C'è
del prosciutto glassato davanti a loro, carote arrostite e diverse
salse tra cui spicca quella di mirtilli - i piccoli sorsi con i quali
Annette cerca di bere un Barbera d'Asti senza peggiorare la sua
dipendenza da Daparox.
Non
so perché si ostini a convocarci a queste cene, si
era lamentato William fermandosi nel mezzo del vialetto e
aggiustandosi la camicia stropicciata.
Voglio
dire, crede forse non gli faremo il culo alla prima occasione utile?
Cristo, ci ha educato lui così, aveva
aggiunto, imbrociandosi quando Annette gli aveva sistemato la
cravatta.
Giuro,
l'unica cosa divertente è osservare le reciproche reazioni
quando vengono servite le pietanze; tutti a spiare i piatti
dell'altro per vedere chi mangerà per primo e se è
avvelenato,
aveva ridacchiato, aprendosi poi in un sorriso un po' troppo tirato
quando Patrick li aveva invitati a entrare nella villa.
Alex
spinge un grumo di purè con i rebbi della forchetta,
trattenendo una smorfia alla salsiccia avvolta dal bacon.
Spencer
annuisce allo sproloquio di William, Patrick rimane immobile al suo
fianco - un profilo che la mente di Wesker sembra ricostruire,
ricordare.
Impossibile.
Alex
deglutisce e lui riesce a percepire
quel
suono - il disagio espandersi da lei a ondate, ma Wesker si rende
conto che è l'unico a sentirlo come se fosse palpabile,
evidente.
Quando
le posa la mano sulla coscia gli occhi di Alex si riempiono di
qualcosa di simile alla gratitudine.
Non
c'è differenza tra dono e punizione quando è Alex a
dispensarle - il suo corpo una curva tiepida, che lo accoglie con una
naturalezza disarmante.
Si
solleva sui gomiti, lo bacia - gli fa desiderare di poterla aprire
e
raggomitolarsi dentro di lei, nel sangue che pulsa
sotto
le sue dita, là, dove le ha premuto il pollice sulla carotide.
Ed
è bianca, Alex; un pallore che a volte lo abbaglia - un
candore che non ha nulla di innocente o casto, quanto piuttosto gli
ricorda la consistenza degli idoli levigati dal tempo.
È
rossa, Alex; tra le cosce, sulle labbra - lungo gli zigomi quando
tutto è troppo,
e l'orgasmo la rende arrendevole, soffice.
È
lo stesso colore che assumono i suoi sogni quando è al suo
fianco - una tempesta di bianco e rosso nella quale due bambini
annuiscono, obbediscono, assolvono
le volontà di un Padre dai polpastrelli sporchi d'inchiostro e
la ch
dura.
Il
gemito che le strappa quando si spinge in lei ha lo stesso sapore
della neve.
Il
sole si rifiuta di sorgere su Raccoon City, accogliendo la notte più
lunga e la vittoria di Černobog
- Sherry
si è fissata su un libro di mitologia slava che ha trovato in
biblioteca, aveva
spiegato loro Annette, masticando un bastoncino di liquirizia
ripiena.
C'è
un piattino colmo di amaretti sulle lenzuola stropicciate, nell'aria
mandorle e zucchero - veleno ed Alex.
Ne
spezza a metà uno, porgendoglielo e tenendo in equilibrio
precario la tazza tra le ginocchia.
Wesker
vi getta un'occhiata incerta, osservando la cioccolata ondeggiare
pericolosamente vicino al bordo - i piedi di Alex nascosti dalla
coperta, i muscoli dei polpacci tesi
per
mantenere la presa.
"Non
cadrà." lo rassicura, il vento aumentare di intensità,
sbattendo contro la finestra dita di neve e ghiaccio.
Wesker
mette in bocca l'amaretto, schiacciandolo con la lingua contro il
palato - tra di loro un rapporto in grado di scivolare nella
quotidianità fin troppo facilmente perché non generi in
lui una sensazione strana,
aliena.
La
studia in silenzio, cogliendo in lei guizzi infantili e incredibili
perversioni - una creatura in grado di infliggere dolore e di
rifuggirne con la stessa forza.
Dobbiamo
essere tutti un po' matti per lavorare qua dentro, aveva
detto a William quando si era sposato.
Forse
è per questo che ci hanno scelto, il
pensiero, lasciato cadere tra di loro mentre un cerbero femmina
sbranava la sua rivale.
Forse
è per questo che mi piace,
non si era permesso di ammettere nemmeno a se stesso, osservandola
ridere
mentre
un uomo si spezzava i polsi, il delirio post-infezione spingerlo a
strapparsi la pelle di dosso mentre cercava di raffreddarsi -
temperatura corporea superiore a 41 gradi celsius, frequenza cardiaca
sopra i 150 battiti al minuto, elettrocardiogramma completamente
fuori scala.
Alex
smette di mangiare gli amaretti, fissando gli ultimi due rimasti - un
profilo spigoloso,
che
non tradisce la fame con la quale divora il cibo e le persone.
"Non
siamo matti." lo prende in contropiede, bevendo un sorso di
cioccolata.
"Non
più del resto del mondo." aggiunge, pulendosi il labbro
superiore con il pollice.
Wesker
la guarda, aspetta - si scopre perdersi nel suo viso, trovandovi ogni
volta una simmetria nuova; una microespressione che gli ricorda se
stesso, un momento sospeso nella sala di attesa di un ambulatorio
dell'Umbrella.
Sposta
il piattino verso di lui con il piede, tra le cosce un filo perlaceo
intrappolato nella sottile peluria bionda dell'inguine.
Wesker
lo trae a sé e accetta il dono della Koljada
per quello che è: una resa e una confessione.
Tutto
è bianco, tutto è freddo.
Raccoon
City giace sotto una coltre di neve e ghiaccio, dal terreno alzarsi
una nebbiolina che rende il paesaggio simile a quello di una
cartolina dell'orrore - alberi secchi e rami che si contorcono verso
l'alto alla ricerca di un singolo raggio di sole; una città
che galleggia nell'aria invernale come se fosse già morta.
C'è
un rivestimento cristallino sul vetro della finestra della stanza; si
apre in minuscole schegge che lo percorrono come crepe, donando a
quell'istante un senso di eternità - un attimo intrappolato
nel tempo e nella memoria.
Alex
respira piano raggomitolata contro il suo petto, un braccio premuto
tra di loro e l'altro attorno la sua vita - i capelli biondi
lasciarle scoperta la nuca, il viso.
Wesker
la fissa nel silenzio sospeso di quel momento, chiedendosi perché
non riesca a ucciderla: perché non riesca a ricollocarla
-
che cosa muova la sua mano lasciando che le accarezzi una guancia
invece di firmarne la sentenza.
A
volte me lo chiedo anche io, Al, aveva
mormorato sulla sua bocca, punendolo lasciando che le chiudesse le
dita attorno la gola e gemendo il suo nome quando si era spinto in
lei - costringendolo ad accettare che no,
non l'avrebbe uccisa.
Né
ora, né mai.
Le
percorre la linea dalla spalla al polso con le nocche della mano,
soffermandosi sull'anulare sinistro e ruotando tra il pollice e
l'indice una fascia in oro bianco e ossidiana uguale alla sua - nasce
dal luogo più inospitale dalla terra,
le aveva detto, osservandola indossarla.
Come
noi? aveva
sorriso lei, ma nella sua voce c'era stato un tremore - una
vibrazione che aveva cercato di nascondere l'incertezza.
Come
noi,
le aveva risposto, i rubini posti a corona della pietra riflettersi
nei suoi occhi, tingendogli l'iride di rosso.
Alex
si stiracchia, inarcandosi verso di lui e spingendolo con i piedi
verso il bordo del letto - sul comodino una tazza vuota con ancora
l'alone del cioccolato lungo la rima.
"Dormi,
Al." sussurra, tra il sonno e la veglia.
Wesker
inclina il mento verso il basso, la guarda - le palpebre chiuse, le
ciglia ombreggiare un viso aristocratico, troppo simile al suo perché
qualcosa non
gli si arrotoli tra le costole, facendo fiorire in lui una strana
sensazione di orgoglio e possesso.
Mia,
sussurra
quella sensazione.
Mia
da amare, distruggere, proteggere, insiste
l'eco di quella percezione, bruciandogli il fondo della gola, le
viscere.
Mia
e basta,
si spegne poi quel mormorio, lasciando spazio al respiro di Alex - al
silenzio della neve.
La
Torre dell'Orologio di San Michele batte la mezzanotte, saluta un
Natale ghermito dal buio e dalla galaverna - tra di loro un tepore
che gli fa venir voglia di fermarsi
e riposare, almeno per un altro po'.
Wesker
chiude gli occhi e ascolta il battito del cuore di Alex diventare il
suo.
"Love
me. You have destroyed everything!
But
if you love me, it can all be restored in a new form.
Love
me."
-
Anne
Rice
-
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