Il Soldato abbassa la testa, schiude
le labbra e butta fuori un respiro di paglia. Debole e rarefatto,
come l’aria che gli si condensa in brina sulla faccia e gli ghiaccia
i muscoli intorpiditi.
Sopra di lui secchiate di gelo – le
tubature sono vecchie e arrugginite, tossiscono con
l’acciaccatura da ultimo ruggito di una salamandra che muore sulla
sua testa.
L’acqua sa di ferro e calcare e cola
nel secchio una goccia alla volta.
Una goccia e l’uomo di fronte infila
un tirapugni dorato a dita tozze da pugile.
Una goccia e l’uomo gli tira un dritto
da spaccare crani.
L’oro si fa rosso, sulla retina del
Soldato il dolore s’imprime in fuochi d’artificio sgargianti.
«Forza Soldato, non farti pregare,
voglio sentirtelo dire un’altra volta!»
Il Soldato non parla – ha smesso di
rispondere a quel nome. Guarda in basso, tra mattonelle scheggiate
in cui serpeggiano rivoli di sangue.
«Dillo, Soldato: Hail Hydra! Dillo!»
Un altro pugno. Un’altra goccia.
Il secchio si riempie, il secchio si
rovescia.
Stilettate di ghiaccio e pugni di
fuoco.
L’uomo lecca il tirapugni ed è solo
l’inizio. Sulla divisa, il marchio dello S.H.I.E.L.D. sparisce sotto
strisce di scotch nero – al suo posto una pacca dai piani alti e il
permesso non scritto di usare ogni mezzo necessario.
«Se credi che solo voi dell’Hydra
sappiate come far cantare un usignolo, ti sbagli. La tua amicizia
con Capitan America non conta niente qui sotto. Qui sei nel mio
regno.»
Il Soldato alza gli occhi per la prima
volta da che l’hanno trascinato lì – il lupo affacciato allo
sguardo, la macchina da guerra riflessa nel metallo di un braccio
sinistro.
«U zimnego soldata net druzey(1).»
Non è l’ennesimo pugno a metterlo a
tacere – la lingua morsa e in bocca un grumo denso e pastoso di
sangue e saliva –, è sapere che quello, dopotutto, è il posto che si
merita.
Non ne ha altri a cui appartenere.
*
«Non ne avevano il diritto!»
L’indignazione del Capitano Rogers
s’incassa nella parete della stanza insieme a un pugno che apre uno
squarcio nel muro. Appoggia la fronte sull’intonaco sgretolato, la
pelle a coprirsi di polvere bianca – è colori chiari e immacolati,
Steve, sotto una divisa che si fa sempre più sporca. E uno scudo che
è sempre più pesante.
Dovevano essere loro i buoni.
Dietro di lui, il Soldato rimane
dritto in piedi – in attesa di un comando.
Lo chiamavano Assassino, il pugno
armato dell’Hydra: muscoli di vibranio, programmato per estirpare
vite e distruggere nazioni intere. Steve, invece, si volta a
guardarlo e sulle labbra ha ancora la parola “Amore”, come allora,
quando era proibito per i motivi sbagliati.
Eppure ora di motivi giusti non ne
sono rimasti.
«Facevano il loro dovere.»
«Torturandoti? Dovremmo essere
migliori di così!»
Steve fa un passo avanti.
Il Soldato uno indietro.
«Scusa.» Non è personale, è meccanica:
il corpo risponde in automatico anche quando la mente traballa
inaffidabile, senza più sapere chi sia il nemico.
«Non fa niente, Buck. Direi che in
questa circostanza sei l’ultimo che dovrebbe chiedere scusa.»
«Lo credi davvero?»
Steve aggrotta la fronte.
Steve, pelle bianca e capelli di sole.
Steve, occhi di cielo e sorriso d’estate.
Il Soldato lo guarda e gli ingranaggi
che l’Hydra gli ha impiantato ancora ruotano. Non fidarti,
gli dice l’istinto. Non saprà chi è il nemico, ma quello è un
miraggio ad occhi aperti, il sogno americano – e a cosa si riducono
i sogni, se non a un pugno di sabbia dorata gettata negli occhi.
Steve fa un passo avanti.
Il Soldato s’impone di star fermo.
«Non lo credo, lo so che è così.» Gli
raccoglie una mano, la porta sotto la divisa, su un cuore che non ha
colore né patria, ma porta invece il suo nome.
«Nessuno ti conosce come ti conosco
io, Bucky.»
Ti sbagli.
Il Soldato chiude gli occhi – dietro le palpebre l'uomo che Steve conosceva è un cadavere che affonda nel ghiaccio.
*
Al collo non più il collare
dell’Hydra, ma piastrine di ferro.
Anche l’uomo di prima era un
soldato, come quello che trova riflesso allo specchio incrostato del
bagno: lo sguardo è quello di un lupo stanco di combattere, ma il
resto potrebbe fare invidia ai pamphlet da reclutamento
dell’esercito. Non ci nasci con muscoli così, te li forgia la
guerra.
La porta è aperta, ma Steve bussa
comunque.
La sua ombra scivola oltre lo stipite
– una carezza di luce che sfiora il Soldato.
«Davvero non ti dispiace condividere
lo stesso letto? Posso dormire sul divano» gli chiede, le braccia
incrociate e bicipiti gonfi sotto una maglietta che sembra
restringersi a ogni minuto che passa.
«Non dovresti essere tu a dormire sul
divano. È casa tua.»
«Nostra.»
Il Soldato si volta.
Dallo specchio, il fantasma di Bucky
batte i pugni contro il vetro e lo chiama ladro. Gli ha
rubato il passato, lo ha privato di un futuro e ora si prenderà il
suo posto sotto al sole.
«Nostra» Ripete, una parola che
non sente sua – perché di suo, finora, non ha avuto nemmeno la
propria vita. Era un giocattolo tra le mani di potenti, vivere o
morire stava al capriccio dei padroni.
«Lo stesso vale per il letto, anche
se… insomma… non voglio dare per scontato che tu voglia—»
«Steve.»
«Sì?»
Il Soldato sfiora l’orlo della sua
maglia; lo solleva sul torace e scopre lembi di pelle su cui la mano
indugia. Lo tocca per sentirsi vivo e libero e in comando, e sotto
le dita ci sono strati di calore, sangue e vita. C’è un’intera
storia cifrata su quel corpo, ma il codice di lettura non appartiene
al Soldato.
Ladro, lo chiama il fantasma di
un sergente morto, mentre allo specchio Barnes vaga perduto al di là
della memoria.
«Bucky?»
Il Soldato scuote il capo, nella testa
il vuoto di un uomo depennato dal mondo e l’eco di un ordine che
torna e tormenta: ripulitelo e ricominciamo da capo.
«Steve…» mormora piano, perché anche i
muri hanno le orecchie. «Non sono sicuro di essere davvero qui…»
Steve gli stringe piano i polsi.
«Lo sei, Buck, se qui con me.» Conduce
le sue mani in alto, alle labbra, baciandogli le falangi, le nocche,
il dorso e i polsi. «Ma quando sei nel dubbio, segui la mia voce.
Continuerò a chiamarti, Bucky, per tutto il tempo necessario.»
Il Soldato chiude gli occhi, sulle
labbra si apre qualcosa che nessuno dei due ha il coraggio di
chiamare sorriso, eppure c’è, anche se piccolo ed effimero.
Cavalcando la voce di Steve, Bucky
ritrova la strada di casa.
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