Sing me
a song of a lass that is gone
Say, could that lass be
I?
Merry of soul, she sailed on
a day
Over the sea to Skye...
Nina si
risvegliò distesa sul prato, il sole alto nel cielo che le
carezzava il viso. Aprì gli occhi poco alla volta,
imprecando tra i denti per le macchie verdi che sarebbero rimaste sul
suo bellissimo vestito rosso – l'ultimo regalo che Genya, la sua capo infermiera
e la persona più simile a una madre che avesse mai
conosciuto, le aveva spedito da Londra per consolarla di essere stata
assegnata a uno sperduto ospedale delle Highlands.
Per un attimo non
capì cosa ci facesse, esattamente, distesa su un prato, e
cosa fosse quello strano ronzio che le pulsava nelle orecchie, nel
sangue e in ogni frammento d’osso: non aveva mai avuto una
simile percezione del proprio corpo, quasi che per la prima volta
potesse realmente sentire ogni singola cellula
dividersi, riprodursi o scoppiare. Poi alzò lo sguardo sulle
pietre che la circondavano e la memoria di cosa fosse accaduto poco
prima si riaffacciò alla mente. Non che spiegasse qualcosa:
ricordava solo di essere salita sulla Collina delle Fate, come la
chiamavano a Inverness, aver sentito quel forte richiamo che
l’attirava verso le pietre e aver appoggiato le mani a quella
al centro del cerchio. Come fosse poi finita a rovinarsi il vestito di
Genya rimaneva un bel mistero. Un mistero che però non era
intenzionata a risolvere a stomaco vuoto, non dopo aver scoperto quanto
fossero deliziosi gli scones con la marmellata che sapeva preparare
Mrs. Fizz della pasticceria in paese.
Così Nina
iniziò a scendere il pendio, ma d’un tratto una
mano forte e callosa le strinse il braccio, cogliendola di sorpresa e
costringendola a voltarsi. Di fronte a lei stava un uomo alto e dallo
sguardo di ghiaccio, capace di far gelare il sangue nelle vene anche a
lei e a tutta la sua spavalderia. Indossava una divisa rossa e
l’aver ascoltato a volte, per caso, le noiosissime
“lezioni” di storia militare di Nikolai le
suggerì si rtrattasse di
quella dei Dragoni. Gesù Cristo
d’un Roosevelt, aveva ragione Genya a
dire che la gente in Scozia non era tutta a posto: che ci faceva questo
vestito come nel Settecento?
«Che ci fa in
giro una sgualdrina per le terre di Sua Maestà?».
Nina recuperò
tutta d’un colpo la propria spavalderia, liberando il braccio
con uno strattone dalla presa ferrea dell’uomo:
«Sgualdrina sarete voi, vecchio bavoso! Si dà il
caso che io possa camminare ovunque ne ho voglia e Sua
Maestà può pure baciarmi il cul...».
Nina non fece in tempo a
vedere la mano dell’uomo avvicinarsi all’elsa della
spada e sfoderarla, così come non vide il cavallo nero che
sfrecciò tra di loro, colpendo con una zoccolata
l’uomo in divisa e mandandolo lungo disteso. Ancora stordita
si ritrovò ad afferrare la mano guantata che il cavaliere
– e a quanto pare suo inaspettato, e certamente non
richiesto, dato che sapeva benissimo cavarsela da sola, eroe
– le offriva. Il ragazzo – perché se da
cavallo, con il lungo mantello nero e la spada che gli pendeva al
fianco con l’elsa intarsiata a forma di corvo, sembrava un
uomo, da vicino era solo un ragazzo non troppo più grande di
lei – la issò a cavallo e, senza darle tempo di
fare altro che non fosse aggrapparsi a lui, sfrecciò via da Craigh Na Dun.
«E tu chi
diamine saresti, si può sapere?».
«Uno che non ha
mai sentito una donna imprecare».
«Allora devi
conoscerne ben poche. Probabilmente sarà colpa di
quell’orrendo taglio che ti ritrovi».
Il ragazzo non
arrossì, ma le scoccò un’occhiataccia
di fuoco, che però Nina liquidò in fretta con
un’alzata di spalle: non era certo lei a dettare legge in
fatto di moda, ma era sicura che in nessuna epoca un taglio simile
sarebbe mai stato ritenuto passabile.
«E uno che vi
ha appena salvata, milady» continuò lo sconosciuto
nel suo forte accento scozzese.
«Nessuno ve
l’ha chiesto, milord» rispose Nina facendogli il
verso.
«Brum vi
avrebbe presa su alla Collina delle Fate, nel migliore dei casi. O
imprigionata a Fort William. Ho visto di cosa è capace, non
l’augurerei nemmeno a un maledetto Sassenach».
«E ora vorreste
la mia riconoscenza?».
«No, solo che
teniate la bocca chiusa ed entriate nella baracca: non ho tutto il
giorno da perdere con voi».
«Capo, hai
finalmente deciso di prendere moglie?».
La catapecchia dove il
ragazzo l’aveva portata era stipata con una decina di
highlanders, i kilt scuri e i capelli arruffati illuminati dalla luce
fioca del fuoco acceso, che ne metteva in evidenza solo la sporcizia e
la giovane età.
«Io di sicuro
non mi sposo uno con un gatto morto in testa...»
ribatté lesta Nina, che non si curò minimamente
delle dieci paia di occhi puntate su di lei, intente a squadrarla dalla
testa ai piedi fissando inorridite il suo vestito rosso tutto macchiato
di erba e fango. Giustamente per seguire un simile incivile dovevano avere anche loro
cattivo gusto, perché quel vestito era stupendo e le stava
addosso una meraviglia, anche con il fango e tutto il resto.
«Jesper,
fa’ silenzio! L'ho solo salvata dalle grinfie del Capitano Brum».
«Da cui mi
stavo salvando da sola, grazie tante. Ora sarei tranquilla a Inverness
a mangiare scones, invece che qui su con
voi... che siete? Ladri?».
«Più
fuggitivi che altro» le rispose il giovane di prima con un
largo sorriso sotto la barba troppo curata, per un ladro. «O
meglio, lui è un fuggitivo» aggiunse, indicando un
giovane seduto in disparte, che Nina non aveva notato fino a quel
momento e per questo si maledisse: Gesù Cristo
d’un Roosevelt, era bello da mozzare il
fiato, pure con i capelli biondi ispidi e sporchi di terra, la camicia
strappata e la mandibola contratta!
«Noi lo abbiamo
solo fatto evad...».
«Jesper! Adesso
tutti zitti: se Brum è nei paraggi, i Dragoni non saranno
lontani e noi dobbiamo andarcene il prima possibile. Matthias, te la
senti di viaggiare?».
Il giovane
nell’angolo grugnì e Nina si ritrovò a
pensare che dopotutto qualche difetto doveva averlo anche lui, e
probabilmente era l’essere un po' barbaro a sua volta.
«Serve prima
che qualcuno mi rimetta l’osso nella spalla»
sibilò in scozzese, digrignando i denti dal dolore. Solo a
quel punto l’occhio allenato di Nina notò la
posizione innaturale del braccio. Beh, a sua discolpa doveva dire che
il giovane aveva cose più interessanti da notare che un
braccio dislocato, non era certo colpa sua se non aveva subito attivato
i sensi da infermiera. Ma una volta attivati, era impossibile
spegnerli, e così si intromise nella concitata discussione
in gaelico che era nata tra i vari uomini e ragazzi mentre si
preparavano a “operare”.
«Oh, fermi
tutti, razza di bifolchi con badili al posto delle mani. Non
permetterò a nessuno di voi di toccare quel braccio. E
sì» aggiunse, «sono una Sassenach che capisce lo scozzese.
So parlare sette lingue e sono un’infermiera, quindi ora
levatevi dalle palle e lasciate fare a me».
«Una donna non
dovrebbe imprecare» ci tenne a ricordarle un tale alla sua
destra. «Lo dice san Paolo».
«E allora digli
di andare a...».
«Questa
sì che è una Sassenach divertente,
Capo» intervenne il ragazzo che poco prima era stato chiamato
Jesper.
«Anche tu non
sei troppo antipatico. Il che non vuol dire molto, dati gli standard
bassi dell’intera stanza, ma è qualcosa»
ammiccò lei.
«Smettetela
entrambi: la Sassenach è una nostra
prigioniera finché non verrà portata a Castel Leoch e
il clan deciderà cosa fare».
«Zitti, ho
detto! E tu vedi di fare qualcosa, allora, o chiedo a Jesper di
spararti seduta stante e ci liberiamo del problema».
«No, grazie. Ma
apprezzo il passaggio al tu amichevole. E da buona amica
curerò quell’altro di voi bifolchi. Forza, dolcezza, stringi qualcosa tra i
denti che farà un male cane».
Matthias –
così avevano detto che si chiamava - arrossì fino
alla punta dei capelli, sotto il sudore e il sangue incrostato, e Nina
sorrise soddisfatta sotto i baffi. Poi, senza preavviso,
afferrò il braccio del ragazzo e con una manovra secca e
precisa, come le aveva scrupolosamente insegnato Genya,
reinserì l’osso nella spalla, mente Matthias
sbiancò di colpo, senza però staccare gli occhi
azzurri dai suoi. Nina ordinò non troppo educatamente a
qualcuno di strapparsi la camicia, così che potesse
fasciargli il braccio e tenerlo in posizione, poi lasciò
andare il giovane scozzese.
«Grazie»
bofonchiò lui, dopo aver ripreso il respiro.
«È
stato un piacere, dolcezza».
«In
sella!» ordinò secco il capo della banda.
«La Sassenach viaggerà con
Matthias, così da tenergli le redini. E niente ammiccamenti vari
o tentativi di fuga, siamo intesi? Jesper è bravissimo con i
bersagli in movimento».
«Signorsì,
capitano» borbottò Nina. L'idea
dell’intero viaggio con il corpo alto e muscoloso di Matthias
premuto contro il suo, però, non le dispiaceva poi
così tanto.
Il viaggio verso Castel Leoch e
i successivi mesi nelle terre dei McKenzie scivolarono via veloci,
nello stordimento iniziale che avvolse Nina. Non era una messa in scena
o qualche strano scherzo – che potevano tranquillamente
averle architettato Genya, Nikolai e Zoya, data la sottile
crudeltà del tutto – ma era davvero finita
nel Settecento, tra clan scozzesi e Dragoni inglesi, pronti a spararsi
a vicenda per qualsiasi bazzecola fosse venuta loro in mente.
Nina ringraziava ogni
santo giorno la sua grandissima capacità di adattamento
– quella che l’aveva già salvata varie
volte durante la guerra – e la sua incrollabile sicurezza in se stessa,
che le permettevano di non perdersi d’animo davanti alla vita
di una donna del Diciottesimo secolo. Aveva avuto la fortuna di andare
subito d’accordo con Jordie, il capoclan dei McKenzie di
Leoch e fratello maggiore del ragazzo che l’aveva salvata dal
Capitano Brum, Kaz. Diversamente dal fratellino, infatti, era un uomo
di cultura ed era rimasto subito affascinato dal suo talento per le
lingue e le sue conoscenze mediche. Aveva colto il suo potenziale,
permettendole di utilizzare una stanzetta del castello come ambulatorio
perché curasse i suoi fittavoli, togliendoli dalle grinfie
del parroco del villaggio vicino, convinto che qualsiasi disturbo
andasse curato con l’acqua santa. Nina gli era riconoscente:
aveva imparato abbastanza dalle lezioni di storia di zio Lamb
– il fratello archeologo di suo padre che l’aveva
cresciuta da bambina, quando era rimasta orfana – per sapere
che le veniva concesso molto più di quanto una donna di quel
tempo avesse diritto a fare – e dire. Non tutti, al castello,
avevano ancora imparato a tollerare la sua lingua lunga e sfacciata, ma
la maggioranza aveva imparato a conviverci, quantomeno, giustificandola
probabilmente come una stranezza dei Sassenach e decidendo che, se il
loro signore aveva
deciso di accogliere la straniera, a loro non restava che
rispettare il suo volere.
Eppure, nonostante tutto,
la prima notte a Leoch, davanti alla certezza
che davvero non si trovava nel suo
tempo, perché quel castello, nel Ventesimo secolo, era solo
un vecchio rudere che lei e Genya avevano visitato mesi prima, si era
sentita spezzata dentro. Aveva di nuovo
avvertito con precisione ogni singola parte del suo corpo, ogni angolo
che le doleva al solo pensiero di essere lontana da casa di ben
duecento anni, di non essere ancora nata. Il peso di tutta
quell’assurdità le era crollato addosso di colpo,
mentre rifaceva la fasciatura per Matthias. Cosa poteva farci, lei, nel
Settecento? E come poteva tornarci, ora, a casa? Da Genya, Nikolai, Zoya... sì, anche
la mancanza di Zoya le pulsava prepotente nel petto, togliendole il
respiro. E così era scoppiata a piangere. Era andata avanti
a lungo, anche dopo che Matthias l’aveva goffamente stretta a sé col
braccio sano, facendole appoggiare la guancia sulla sua spalla tesa, e
le aveva sussurrato dolci parole all’orecchio mentre le
carezzava i capelli.
«Finché ci
sarò io, qui, non avrai nulla da temere» l’aveva poi
rassicurata, quando la ragazza aveva a malincuore sciolto
l’abbraccio, tirando su col naso e asciugandosi gli occhi rossi.
«So badare a me stessa, dolcezza» aveva ribattuto pronta,
ricevendo in risposta uno scettico schiocco di lingua decisamente molto
scozzese.
Matthias McTavish aveva
però mantenuto la sua promessa, approfittando di ogni
occasione che gli era lasciata libera dal lavoro nelle stalle
– era bravissimo con gli animali, aveva scoperto Nina,
dicevano anche che avesse addestrato un lupo – per scortarla
in giro per il villaggio nel suo giro ai malati, o anche solo per farle
conoscere quel pezzo di Highlands, che sembrava così simile
e allo stesso così diverso da quello che Nina aveva
conosciuto durante i mesi a Inverness. La ragazza adorava provocarlo e
stuzzicarlo in ogni modo – specie da quando aveva scoperto
che era ancora scapolo e desiderato da tutte, a Leoch –
ma soprattutto vedere come il ragazzo, sempre silenzioso e impettito,
arrossisse a ogni sua battuta, per poi ammonirla.
«Una brava
donna scozzese non parlerebbe mai così».
«Grazie al
cielo che allora il Signore mi ha fatta nascere più a sud.
Che noia, altrimenti!».
«Dovreste stare
attenta, miss Zenik».
«E voi imparare
a ridere, mister McTavish, anche se sospetto che
questo non sia il vostro vero nome...».
«Certe cose
è meglio non saperle, miss. E poi io so ridere, solo che le
vostre battute non sono divertenti».
«Questo non
è assolutamente vero: Jesper le trova
spassosissime». Matthias rispose con un grugnito sarcastico
dal fondo della gola: Nina ormai aveva dovuto imparare a decifrare quei
suoni, in mancanza di parole da parte del giovane. «Siete voi
che avete un palo su per il cu...».
La ragazza
scoppiò a ridere e, insieme a un sospiro rassegnato, anche
un sorriso divertito spuntò sulle labbra di Matthias. Nina
pensò che avesse il sorriso più bello del
Diciottesimo e del Ventesimo secolo messi
insieme.
Quando Jordie McKenzie
le aveva detto di seguire il gruppo di uomini che girava per le terre
del clan a riscuotere le tasse, così che poi potessero
riaccompagnarla a Inverness, Nina aveva storto il naso. Per quanto la
compagnia del misterioso McTavish le piacesse più del
dovuto, il Settecento e tutte le sue stupide leggi su come una donna
dovesse o non dovesse comportarsi le andavano fin troppo strette, come
quando cercava di infilarsi i bellissimi vestiti di Genya, sempre di
diverse di taglie troppo piccoli. Non si aspettava certo che Kaz McKenzie,
dietro i guanti neri e la spada col corvo, nascondesse un animo da
ribelle giacobita e sfruttasse la riscossione delle tasse –
lavoro che doveva ammettere gli calzava proprio a pennello –
per raccogliere anche oro e sostenitori per la causa scozzese. E
così quello che era un viaggio regolare, si era ben presto
trasformato in un rischio di finire sulla forca. Rischio che si era
concretizzato quando alle loro spalle era spuntato il Capitano Brum con
tutto il suo squadrone di Dragoni e l’aveva riconosciuta. Non
aveva trovato prove concrete per incastrarli come ribelli –
McKenzie pareva anche bravissimo coi giochi di prestigio, e tutto era scomparso, insieme a Matthias
– ma questo non aveva fermato il Capitano dal provare a
portarsi a casa la sua dose di soddisfazione, cercando di farla
prigioniera.
Per fortuna – o
forse no – Kaz sembrava saper tirare fuori dai guanti
soluzioni come se nulla fosse, e per toglierla dall’impiccio
l’aveva liberata dalla stanza della locanda dove Brum la
stava interrogando per accusarla di essere una traditrice della Corona,
in combutta con gli scozzesi. Oltre a quello, le aveva anche offerto su
un piatto d’argento la giusta scappatoia perché
nessun soldato inglese potesse più sequestrarla a suo
piacimento. Era molto facile, le aveva detto senza guardarla negli
occhi, le carte già pronte in mano: bastava che si sposasse
uno scozzese. A quel punto sarebbe stata a sua volta scozzese, davanti
alla legge, e non avrebbero potuto vantare diritti su di lei in quanto
cittadina inglese. Nina aveva sbottato crudele che anche no, grazie tante,
come aveva già detto lei non se lo sposava uno con un gatto
bagnato in testa. Kaz aveva riso.
«Non sono io
quello che devi sposare, Sassenach, ma McTavish... Altrimenti
sarò ben contento di lasciarti nelle grinfie di Brum, questa
volta, senza rischiare la pelle mia o dei miei uomini per
un’inglese dalla lingua lunga»2.
Nina aveva sbattuto gli
occhi più volte a quelle parole. Lei sposare Matthias? Lei sposarsi?
Ma i calci nei fianchi di
Brum durante l’interrogatorio e la sua pistola contro la
tempia ancora le dolevano e la lasciavano inerme davanti alla paura,
l’istinto di sopravvivenza che le diceva di
accettare.
E così poche
ore più tardi si trovava seduta su un sasso, nel mezzo della
brughiera, a leggere le carte dell’accordo matrimoniale.
«Volete bere
qualcosa, miss Zenik?» le domandò titubante
Matthias avvicinandosi, il sole che gli faceva risplendere ancora di
più i capelli, rendendolo simile a un angelo. Nina scosse la
testa, a quei pensieri, poi allungò la mano e
tracannò un lungo sorso di whiskey, sotto il sopracciglio
sollevato del ragazzo.
«Ma a te sta
davvero bene?» chiese lei, ignorando la sua chiara
espressione di rimprovero e passando al tu: dovevano sposarsi di
lì a poche ore, che si prendessero qualche confidenza.
«Io...
sì. Per salvarvi lo faccio volentieri: vi ho promesso che
vi avrei protetta...».
«Piantala con
queste cavolate da cavalier servente. Non hai una ragazza a casa che ti
aspetta? Non sei di Leoch, no? Ti stanno solo
proteggendo dopo averti fatto evadere. Ma nelle tue terre magari
qualcuna che ti aspetta c’è, di sicuro meno
irriverente e inglese».
«No» rispose
lui sincero, sedendole accanto. «Dubito che qualsiasi padre sarebbe
d’accordo a concedere la mano di sua figlia a un uomo con una
taglia sulla testa».
Nina sorrise:
«Direi proprio di no, anche se probabilmente la figlia
sarebbe d’altro avviso, specie dopo averti visto senza
camicia quando tagli la legna». Poi gli schioccò
un occhiolino divertito, che fece arrossire e balbettare
Matthias.
La ragazza
tornò seria: «Non sono vergine, però.
Questo non è un problema, per voi cattolicissimi
scozzesi?».
Matthias la
guardò sorpreso: «Siete vedova?».
Nina scosse la testa, poi
gli lanciò uno sguardo eloquente.
«Oh, beh,
ecco... no. Sempre che non sia un problema per voi che io invece lo
sia. Immagino che qualcuno dei due debba sapere cosa fare, dopotutto»3. Poi se ne
andò, tutto rosso.
Nina finì
tutta la bottiglia in un sorso: non avrebbe certo fatto una cosa tanto
folle come sposarsi con un ricercato, pur alto, prestante e biondo, da
sobria.
La cerimonia era stata
veloce e lei aveva dovuto indossare un orrendo abito con un corpino
tanto stretto che a malapena era riuscita a strizzarvicisi dentro
e a respirare. Non sapeva dove l’avessero recuperato,
così come non sapeva dove Matthias avesse trovato un anello
da metterle al dito, anche perché se le fosse stata lasciata
voce in capitolo avrebbe scelto qualcosa di decisamente più
allegro e vistoso per entrambe le cose, e fatto decorare la chiesetta
spoglia dove gli uomini del clan McKenzie si erano stipati ad assistere
alle loro promesse eterne. Le faceva strano l’idea di
sposarsi senza zio Lamb ad accompagnarla all’altare, Genya a
reggerle il lungo strascico che avrebbe scelto e Nikolai seduto in
prima fila pronto a commuoversi. Zoya non sarebbe mai venuta, nemmeno
nel Ventesimo secolo.
Matthias era stato tirato
a lucido a sua volta, con i capelli pettinati ordinatamente, la barba
fatta di fresco e una camicia e un kilt nuovi, puliti. Sembrava davvero
un principe uscito dalle favole. Se Nina fosse stata più
lucida, avrebbe notato come a sua volta la stesse mangiando con gli
occhi.
«Io, Matthias Helvar...».
«Ti chiami Helvar? E me lo dici
così?».
«Non sarebbe un
matrimonio legale, altrimenti».
«Oh, giusto.
Prego, continua».
«Io, Matthias Helvar, prendo te, Nina Zenik, come mia
sposa...».
«Io, Nina Zenik, prendo te, Matthias Helvar, come mio
sposo...».
La festa era poi
proseguita nella locanda vicina, fino a quando gli uomini del clan
avevano deciso che avevano bevuto abbastanza, li avevano caricati di
peso – con qualche difficoltà, data la stazza di
Matthias e quanto gracilini fossero alcuni, come Jesper e Wylan, il contabile del
McKenzie – e trascinati nella loro stanza al primo piano. Un
matrimonio scozzese non era valido se non veniva consumato. Matthias
era riuscito però ad allontanare tutti, nonostante avessero
insistito per rimanere ad assistere secondo la tradizione. Ma essere grandi e grossi
e in grado di rompere loro qualche osso a mani nude aveva avuto la
meglio su qualsiasi norma imponesse la tradizione.
Rimasti soli, Nina prese
l’iniziativa per prima, non sapeva se mossa dal vino e dalla
birra che erano scorsi a fiumi al banchetto di nozze o da Matthias che
si era tolto la giacca elegante ed era rimasto solo in camicia. Gli si
avvicinò, piano, si alzò sulle punte dei piedi e
sussurrò: «Per uno che afferma di non essere mai
andato con una donna, prima in chiesa hai
baciato fin troppo bene...».
Non capendo del tutto la
provocazione, Matthias ribatté a sua volta con un filo di
voce: «Ho detto di essere vergine, non un
monaco...».
«Non dovrei
corteggiarti, prima?» domandò lui, staccandosi a
fatica dal corpo caldo di Nina. «Dirti che quando ti ho
vista, stamattina, in quel vestito bianco...».
«Quel vestito
osceno, vorrai dire!» puntualizzò la ragazza,
sollevando un sopracciglio.
«Eri
bellissima, invece... è stato come quando, in una giornata
grigia, d’un tratto un raggio di sole fa capolino tra le
nuvole e ti illumina tutto, togliendoti il fiato...».
«Oh, Gesù Cristo
d’un Roosevelt! Pensi di andare avanti
molto con questa poesia spicciola o hai intenzione di portarmi a letto?
Siamo già sposati, non serve che mi corteggi, non che sia
molto interessata alla cosa».
«E va
bene» le soffiò lui sulle labbra, riavvicinandosi
e stringendola a sé per la vita, prima di poggiare le labbra
sulle sue e baciarla fino a toglierle il fiato.
Nina pensò che
ubriacarsi dei suoi baci fosse mille volte migliore degli scones di
Mrs. Fizz. O quasi...
La luna di miele non
durò molto, con il viaggio che doveva proseguire e la
minaccia del Capitano Brum che pendeva sulle loro teste. Ma Nina
cercava ogni momento buono per trascinare Matthias con sé
dietro un cespuglio o in un anfratto della brughiera per ritagliarsi
qualche minuto da soli. Il ragazzo agli inizi cercava di ritirarsi,
imbarazzato, ma poi era sempre ben felice di farsi rubare baci e altro con l’erba a
solleticargli la pelle e il vento fresco a carezzarli. Nina doveva
ammettere che imparava in fretta e perdersi tra le sue braccia era
sempre più facile, insieme a dimenticarsi da dove venisse e
quale fosse il suo posto nel mondo.
Una volta fatto ritorno a
Castel Leoch, Jordie aspettava Matthias con la notizia che il ragazzo
agognava da quando l’avevano fatto evadere da Fort William:
poteva tornare a casa sua. Nelle ultime settimane trascorse insieme,
Nina aveva scoperto che era stato arrestato dopo aver tentato di
difendere la sorella dalle attenzioni del Capitano Brum. Ripetutamente
fustigato, ancora portava sulla schiena i segni della
crudeltà del Capitano inglese.
Ma davanti alla gioia di
Matthias per tornare a casa, portarla a Lallybroch, dove aveva mosso i
primi passi da bambino e doveva viveva il suo, di clan, dove era lui il
laird delle terre e fantasticava ci fosse il loro futuro, con bambini e
un fuoco sempre acceso, Nina si sentì falsa. Non poteva
donargli il suo cuore, se non apparteneva nemmeno a quel secolo. E come
farlo, senza che soffrisse?
«Io non sono di questo
tempo, mi capisci?! Mi stai ascoltando, Matthias?».
«Nel futuro ho
amici, una vita e un lavoro. E so come andranno le cose qui, vivo ogni
giorno guardandovi raccogliere soldi per la causa degli Stuart e
sapendo come andrà a finire».
«Morirete
tutti, Matthias! Gli inglesi piegheranno la Scozia per i secoli a
venire e perderete ogni indipendenza. E tu nemmeno puoi
capirmi!».
«No. No, non
posso capirti. Ma posso crederti. E io ti credo, Sassenach. Forse tra noi ancora
non c’è amore, ma credo che ci sia rispetto, e il
rispetto significa che possono esserci segreti, ma non bugie. Per
questo so che non mi stai mentendo».
Poi l’aveva
abbracciata, asciugando le sue lacrime di rabbia, e l’aveva
baciata. Quello era Matthias: un uomo fermo nei suoi stupidi ideali.
Aveva parlato di rispetto e nemmeno per un momento le aveva promesso
che avrebbe abbandonato la causa giacobita, per donarle un futuro
felice e legarla a quel passato. Era un highlander, dopotutto, e se
Nina aveva imparato a conoscerlo negli ultimi tempi, sapeva che non
avrebbe mai smesso di lottare per la propria patria. Ma forse si
sbagliava, però, realizzò Nina, perché
non era del tutto sicura che quello che c’era tra di loro,
quel sentimento confuso e sconvolgente che l’aveva presa per
le viscere e tirata verso di lui sin dal primo giorno, non fosse
qualcosa di simile all’amore. Forse solo un inizio, una
promessa. Eppure, era sicuramente qualcosa di più del
rispetto, lo sentiva ogni volta che facevano l’amore e le
sussurrava nell’orecchio frasi in gaelico di cui non sempre
conosceva la traduzione, ma non le era comunque difficile intuire, o
ogni volta che lei lo irritava per dispetto e lui arrossiva e scuoteva
la testa dicendole che era “una Sassenach
impertinente”.
E così, presa
dalle sue riflessioni e ancora scossa dopo la rivelazione, nemmeno si
accorse dove Matthias l’aveva veramente portata.
Perché quella che si ergeva davanti ai loro occhi, dopo
giorni di galoppo nella brughiera, non era Lallybroch, ma la Collina
delle Fate da cui era arrivata quel primo giorno, che ormai le sembrava
così lontano, insieme alla sua vita nel futuro con Genya,
Nikolai e Zoya, zio Lamb e Mrs. Fizz della pasticceria,
l’ospedale e tutte le comodità che talvolta le
mancavano dal Ventesimo secolo.
«Va’, Sassenach» le
sussurrò Matthias in un orecchio, aiutandola a scendere da
cavallo – per una volta, Nina non protestò
– e attirandola a sé per un ultimo bacio.
«Quello è il tuo posto nel tempo, non questo. Io
rimarrò a vegliare perché questa volta nessun
Dragone passi a rapirti. So che sai difenderti da sola, ma un
po’ d’aiuto non fa mai male».
Poi si diresse ai piedi
della collina, lasciando Nina davanti al cerchio di pietre, il ronzio
della prima volta che tornò a esploderle nelle orecchie,
nelle ossa e nelle cellule, attirandola a sé, verso la
pietra centrale. Si lasciò guidare dal proprio cuore per
compiere il passo successivo.
«In piedi, dolcezza. Portami a casa, a
Lallybroch...».
Finalmente tu davanti a me
a promettermi che
c’è tutto il tempo che possiamo per il tempo che
ce n’è
fino a che mi chiederai
tutto quello che so dare
avrò cura dei
tuoi limiti e anche delle tue paure
e ti siedi accanto a me
per lasciami
l’orizzonte sempre liberi di scegliere una rotta differente
non ti lascio andare via
dai miei occhi visionari
che non temono il futuro
e giorni straordinari.
Note alla storia: il Grishaverse è
un universo dove cerco di muovermi il meno possibile, perché
la duologia dei
corvi mi è piaciuta moltissimo e ogni volta correrei il
rischio di rovinarla. E Outlander, pur essendo un mio guilty pleasure di
lunga data (dopo quattro anni sono finalmente arrivata a leggere
l’ultimo libro!), è un fandom dove non mi ero
affacciata mai prima come scribacchina. Quindi, insomma, questo
è un piccolo salto nel vuoto creato appositamente per niny95, la
mia destinataria per il Secret Santa di
quest’anno, indetto da Mari Lace sul forum “Ferisce la penna”. Non ci
conosciamo molto, ma spero che questo piccolo pensierino ti abbia fatto
piacere: ho cercato di unire i due fandom che condividiamo, dato che
hai anche scritto di amare le AU, e inserire una piccola sorpresa alla
fine, dato che ho ascoltato le due tracce che avevi indicato e ho
trovato questa particolarmente adatta per la trama! Spero tanto che ti
piaccia, tantissimi auguri di Buon Natale!
Questa storia
è piena zeppa di riferimenti a Outlander e
molte cose si danno per scontate, e temo possa risultare poco
comprensibile a chi non conosce i libri o la serie; quindi, sappiate
che non è colpa vostra: sono io che per fare economia ho
tagliato e cucito a modo mio la trama.
Un abbraccio e buone
feste anche a chiunque sia passato di qui, nella speranza che la storia
vi abbia portato almeno un piccolo sorriso 💜
1Sassenach: è
la parola scozzese per Sassone, inglese. È utilizzato spesso
in senso dispregiativo per rivolgersi agli inglesi, e quindi a Claire
(qui Nina), anche se pian piano, col tempo e l’evolvere della
loro relazione, diviene il soprannome affettuoso con cui la chiama
Jamie, abbastanza iconico nella saga.
2Nella saga originale, a
Kaz (alias Dougal McKenzie) fa giusto comodo che Matthias (Jamie) si
sposi con un’inglese, perché così
nessuno del clan McKenzie sceglierà mai di seguirlo in
guerra al posto che seguire lui (Jamie è un McKenzie per
parte di madre). Qui non avevo lo spazio per poter inserire tutte le
motivazioni dietro la soluzione di Kaz, ma immaginatevi che ci siano
anche queste altre implicazioni che lo portano a dare Nina in sposa a
Matthias. Kaz, di fatto, pur non essendo il capoclan, ruolo che spetta
a Jordie, è il “capo guerriero” del
clan, dato che il vaiolo preso da bambino ha lasciato Jordie infermo e
fragile (invece che ucciderlo), come nella saga originale accade a
Colum, il capoclan dei McKenzie e fratello maggiore di Dougal.
3Sì, allora,
questo scambio di battute della saga originale a me fa volare ogni
volta per la faccia di Claire (insieme alla battuta su San Paolo),
quindi non potevo non metterlo anche qui. Claire nei libri si presenta
come vedova (il marito è rimasto nel ‘900), da qui
il commento sul non essere vergine, che ho riadattato perché
Nina mi serviva senza marito nel futuro e conseguenti sensi di colpa,
per poter volare felicemente tra le braccia di Matthias e velocizzare
la trama.
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