Come dentro un sogno
N.d.A. in fondo alla pagina.
Buona lettura!
Come
dentro un segreto
1
Quando
quella mattina Yusaku ricevette un messaggio da parte di Ryoken, ci
mancò poco che si strozzasse con l'innocente sorso di
caffè che aveva appena bevuto a causa di ciò che
lesse. Ryoken gli aveva chiesto, senza troppi giri di parole, se poteva
ospitarlo a casa sua per qualche giorno e chi era Yusaku per rifiutare
una richiesta simile?
Dopo
essersi ripreso dalla tosse e aver fatto dei respiri profondi, gli
aveva risposto che non c'era problema alcuno, che sarebbe potuto
rimanere a casa sua per tutto il tempo che desiderava e — a
questo pensiero non diede una forma mentre pigiava freneticamente sulla
tastiera dello smartphone, però — che per lui
avrebbe fatto di tutto sempre,
in qualsiasi momento e in ogni circostanza, perché
desiderava solo la sua felicità.
E
leggendo quel “poi
ti spiego” inviato dopo un'infinita sequela di “grazie”,
“ti
adoro” e “come
farei senza di te”, Yusaku intuì che
il motivo del malessere di Ryoken fosse dovuto a un altro —
l'ennesimo — litigio col padre.
Poi
si crogiolò per qualche attimo nel rileggere gli altri
messaggi da parte sua e avvertì le gote bruciare e
arrossarsi come tizzoni ardenti. E decise anche di esagerare
riflettendo sul fatto che Ryoken si fosse rivolto proprio a lui e non a
qualcun altro, ma questo pensiero lo portò a inabissarsi
senza pietà alcuna in un vortice di incertezza che
smorzò il calore alle gote come un'improvvisa secchiata di
acqua gelida e gli strinse un po' il cuore, facendogli male.
In
realtà non lo sapeva. Non aveva certezza alcuna sul fatto
che Ryoken avesse contattato solo lui, magari aveva prima chiesto ad
altri amici che per un motivo o per un altro non erano stati in grado
di aiutarlo — era il periodo natalizio, dopotutto, e in molti
erano già partiti per le vacanze —, oppure aveva
tentato di prenotare una camera d'albergo ma, sempre considerando il
periodo nel quale si trovavano, erano ormai tutte occupate
già da tempo.
In
un attimo, l'idea che tanto l'aveva fatto sentire vivo
(essere la prima scelta di Ryoken)
si
tramutò in un macigno pesante che iniziò a
gravargli malignamente sui polmoni, impedendogli di respirare.
Possibile
che la sua mente facesse sempre di tutto per sabotarlo?
2
Fu
intenso, meraviglioso e devastante al tempo stesso. Fino a un attimo
prima Yusaku non sapeva cosa aspettarsi dall'incontro con Ryoken e un
attimo dopo ecco che si ritrovava avvolto nel suo abbraccio, stretto
forte come se Ryoken avesse decretato il suo corpo snello come unico,
vero appiglio nella propria vita.
In
uno sfilaccio di secondo, tutti i crucci che avevano popolato con
insistenza la mente di Yusaku svanirono nel nulla, spazzati via da una
garbata folata di aria calda.
Il
terrore di non essere abbastanza per Ryoken perse tutta la sua
importanza, così come il traffico di Den City che rimbombava
nelle strade e anche il resto del mondo; in quel momento contava solo
il fatto che Ryoken fosse lì e che si stesse aggrappando a
lui con tutte le proprie forze e che gli stesse tacitamente chiedendo
aiuto.
Yusaku
ricambiò l'abbraccio, inspirando a fondo tutta la meraviglia
che Ryoken portava sempre con sé. Rimasero per un po'
lì, in piedi davanti l'entrata dell'appartamento,
sorreggendosi a vicenda sotto un cielo pesante come un enorme blocco
grigio e compatto fatto di nebbia e malinconia.
«Grazie» sussurrò Ryoken. Il suo respiro
caldo solleticò il collo di Yusaku e questi socchiuse gli
occhi, beandosi di quel fugace contatto.
Sciolsero
l'abbraccio e, quando i loro sguardi si incontrarono, Yusaku si
sentì morire dentro: quella di Ryoken era l'espressione
tipica di chi stava soffrendo ma, al contempo, cercava di non darlo a
vedere.
Ma Yusaku
conosceva bene quegli occhi azzurri per non rendersene conto e una
scheggia di dolore gli pungolò l'anima.
«Ti racconterò tutto quanto»
proseguì Ryoken mentre afferrava il manico del trolley.
«Ma per qualche ora vorrei provare a far finta che vada tutto
bene».
Yusaku
annuì, spostandosi di lato. «Prego, entra
pure».
(Accomodati nel mio cuore e restaci per tutto il tempo che desideri).
3
Yusaku
amava trascorrere il proprio tempo insieme a Ryoken. Si conoscevano
già da qualche anno e avevano instaurato un bellissimo
rapporto basato sulla fiducia e la complicità reciproche.
Ryoken
non era il suo migliore amico — quel ruolo privilegiato
spettava già a Yusei —, ma relegarlo a semplice amico era troppo
poco, a tratti banale poiché non rappresentava neanche
lontanamente ciò che Ryoken significava per Yusaku e tutte
le emozioni che scatenava in lui ogniqualvolta gli era accanto
(dei marosi indomabili
che impreziosivano l'oceano).
Proprio
come in quel momento, mentre erano intenti a preparare il pranzo
sperimentando ricette che non avevano mai letto o udito prima.
Yusaku
era una persona tendenzialmente abitudinaria, infatti sapeva
già con largo anticipo cosa avrebbe mangiato per pranzo quel
giorno, ma si trattava
di Ryoken e, per tutto il tempo che fosse rimasto a casa
sua, avrebbe fatto l'impossibile pur di distrarlo dai tristi pensieri
che occupavano la sua mente. Difatti, proprio come Yusaku aveva
intuito, la preparazione di una ricetta completamente nuova stava
aiutando Ryoken a concentrarsi su altro e a rilassarsi un poco.
Ringraziò
mentalmente Yusei che, senza neanche saperlo, gli aveva dato
l'ispirazione giusta: in quel momento si trovava in vacanza a Venezia
col suo ragazzo, Judai, e fu proprio con questa reminiscenza proiettata
nella testa che Yusaku propose di cucinare un piatto italiano.
Lui
e Ryoken avevano così trascorso parte del tempo a fare la
spesa — sempre sotto quel cielo grigio e pesante —
e poi erano tornati a casa, al caldo, tra le confortevoli mura
domestiche e quelle stanze piccole che quasi invogliavano a mantenere
una certa vicinanza tra i loro corpi. E proprio per questo non avevano
ancora affrontato seriamente l'argomento più spinoso, ovvero
dove avrebbero dormito quella notte e, con ogni probabilità,
anche quelle successive.
In
parte perché erano stati entrambi categorici a riguardo ma
in due modi differenti — Yusaku voleva cedere la sua camera
da letto a Ryoken in quanto suo ospite e dormire sul divano letto in
salotto mentre Ryoken insisteva nel dire che, essendo piombato a casa
sua con così poco preavviso, non era assolutamente giusto
che si appropriasse anche della camera da letto e che lo facesse
dormire in salotto —, in parte perché Yusaku aveva
in mente una soluzione molto semplice a riguardo ma che, per ovvi
motivi, non avrebbe mai esposto a voce: dormire insieme.
Cielo, era assurdo,
surreale e talmente folle che per un attimo credette di aver sbattuto
la testa da qualche parte quella mattina per arrivare a formulare un
pensiero simile, ma dall'altra… oh, dall'altra
immaginò, per un attimo incandescente come una goccia di
lava, di dormire accoccolato a Ryoken sotto le coperte calde, con il
capo poggiato sul suo ampio petto e i placidi battiti del suo cuore
come sottofondo nella notte invernale.
Un
lungo momento di pace e intimità che gli sarebbe sempre
sfuggito dalle dita poiché irrealizzabile. Poteva modellarlo
a suo piacimento nella propria testa, in quel luogo accessibile solo a
lui, ma poi tutto quell'incanto, a un certo punto, si sarebbe sempre
sfaldato e sgretolato pian piano, distrutto dal pessimismo di Yusaku,
un pessimismo che faceva parte del suo essere realista —
questo a detta sua.
Riportò
tutta la sua attenzione sulla ricetta e, come era ormai abituato a fare
da tempo, si impose di fingere che andasse tutto bene.
In
compenso, il pranzo italiano fu un successo su tutti i fronti.
4
Yusaku
non aveva in programma di addobbare l'albero di Natale quel giorno, ma
nel pomeriggio, mentre estraeva lo scatolone contenente le decorazioni
dallo sgabuzzino, pensò di aver fatto proprio bene a
cogliere la palla al balzo quando Ryoken gli aveva chiesto, per pura e
semplice curiosità, se avesse intenzione di decorare
l'appartamento in vista delle feste imminenti.
Vivendo
da solo, Yusaku alcune volte tendeva a rimandare diverse cose che
riteneva superflue, come ad esempio decorare la casa per Natale in
quanto a lui non faceva differenza alcuna se rincasava senza trovare
neanche un addobbo ad accoglierlo o meno.
Ma si trattava di Ryoken
e allora aggiungere qualche tocco di scintillante colore qua e
là non sarebbe mai stato un problema. Così, dopo
aver riesumato anche l'alberello che ogni anno perdeva sempre qualche
rametto in più, cominciarono ad adornarlo senza seguire un
ordine preciso, ma ricreando comunque un'armonia di colori gradevole
nella disposizione dei suppellettili.
Erano
tutti di forme e dimensioni differenti, ma c'era comunque una sfumatura
che li accomunava, ovvero il fatto che ognuno avesse una storia da
raccontare legata alla sbadataggine di Yusaku. Negli anni passati,
infatti, gli erano tutti sfuggiti di mano almeno una volta,
schiantandosi sul freddo pavimento con un tonfo secco.
Così
gli angioletti avevano perso l'aureola o la punta dell'ala destra o
sinistra, le palline colorate erano tutte ammaccate, i nasi a carota
dei pupazzi di neve erano scheggiati, e poi c'era un altro
suppellettile in particolare, sempre un po' rovinato, che avrebbe
presto cambiato la vita di Yusaku in un modo inenarrabile.
(E anche quella di
Ryoken).
5
Erano
intenti a parlare tranquillamente del più e del meno quando
il cielo si lasciò sfuggire un fiocco di neve. Il
piccolo cristallo volteggiò per un po' con grazia ed
eleganza in aria prima di adagiarsi proprio sul bancaletto della
finestra che dava sul salottino di Yusaku. Proprio lì dove,
frugando nello scatolone, Ryoken trovò un oggetto che lo
fece capitombolare nei tristi ricordi che lo avevano spinto a recarsi
in quell'appartamento, da Yusaku.
Nell'unico
posto in cui desiderava trovarsi quando tutto diventava maligno e
avverso. Al caldo e al sicuro, vicino a chi lo faceva sentire in pace
col mondo.
(La sua persona).
6
Yusaku
si accorse quasi nell'immediato che la situazione fosse mutata in
maniera importante. Aveva da poco terminato di elencare a Ryoken i tre
videogiochi per la PlayStation che desiderava acquistare con l'arrivo
dell'anno nuovo e questi non aveva risposto, facendogli così
credere che ci stesse pensando un attimo su prima di rivelare quali
fossero i suoi.
Ma
più i secondi passavano più si rendeva conto che
non solo Ryoken si era chiuso nel mutismo più assoluto, ma
aveva anche smesso di appendere le decorazioni all'alberello con cura e
precisione. Yusaku si voltò verso di lui con fare
preoccupato. Il ragazzo era intento a osservare l'addobbo che
ciondolava tra le sue dita. Era una nota musicale, una croma nera con
qualche brillantino qua e là, un po' scheggiata sulla coda,
ma comunque tanto graziosa.
«Ryoken…» Yusaku lo chiamò
piano, quasi avesse il terrore di disintegrargli qualcosa dentro,
all'altezza del petto.
Ryoken
non rispose, non subito almeno. E quando lo fece, tutto Yusaku si
sarebbe aspettato di udire tranne che quelle parole.
«Ha venduto il
pianoforte».
7
Se
Ryoken avesse detto qualsiasi altra cosa, avrebbe sicuramente avuto un
effetto molto meno devastante. Perfino udire “Presto
diventerò padre”, a confronto, non
avrebbe sconvolto così tanto Yusaku.
E
non stava affatto esagerando mentre formulava quel muto pensiero nella
sua testa, seduto sul pavimento poco distante da Ryoken, con quel
silenzio opprimente che aveva ripreso a gravare tra loro.
Era
bastata una semplice frase per distruggere tutto e in un modo che
Yusaku non credeva nemmeno possibile e fu lì, in quel
preciso istante, che si rese conto di quanto Ryoken fosse ormai
spezzato dentro, forse impossibile da ricomporre. Suo padre gli aveva
strappato il cuore dal petto senza prima averlo anestetizzato e l'aveva
fatto nel modo peggiore possibile: dando via ciò che Ryoken
aveva di più caro al mondo.
«Era l'unico ricordo di mia madre»
proseguì mentre stringeva la croma nella mano.
«E lui l'ha venduto senza prima consultarmi».
Yusaku
si sentì morire dentro. Sapeva quanto il ragazzo fosse devoto a quel
pianoforte e quanto rappresentasse un tassello fondamentale della sua
anima. In più di un'occasione aveva avuto il piacere
(l'onore)
di
ammirare Ryoken mentre sfiorava quei tasti bianchi e neri e trasformava
quel fuggevole contatto in melodie struggenti e meravigliose.
Se
qualcuno avesse chiesto a Yusaku di descrivere l'amore con un'immagine,
sarebbe stata senza ombra di dubbio quella di Ryoken intento a suonare
il pianoforte.
«Ora casa nostra sembra così
vuota…»
Yusaku
lo aveva sempre pensato, ancor prima che il ricordo della madre di
Ryoken uscisse di scena. Più che vuota, aveva sempre
sostenuto che quella villa in riva al mare fosse troppo grande per due
sole persone.
Forse
prima non era così. Forse un tempo la madre di Ryoken era
stata in grado di colmare tutti quegli spazi con la sua dolcezza e il
suo amore per il pianoforte, sentimento che aveva trasmesso al figlio
senza riserva alcuna.
Quella
delicatezza raffinata Ryoken l'aveva sicuramente ereditata da lei, da
quella donna che Yusaku non aveva mai avuto modo di conoscere di
persona, solo tramite i bei racconti del figlio.
Non
se ne rese conto, non in un primo momento almeno, ma quando si
ritrovò a stringere Ryoken tra le proprie braccia comprese
di essersi avvicinato a lui in un abbrivo dettato dal forte sentimento
che provava nei suoi confronti e di aver desiderato solo una cosa: proteggere il suo amore da
tutto il male del mondo.
Ryoken
non gli era mai parso tanto fragile come in quel momento. Era sempre
stato un ragazzo aitante e carismatico, tutte qualità che in
quel momento apparivano sfocate, sigillate in un giovane corpo che non
riusciva più a manifestarle.
(Come se il sole avesse
smesso all'improvviso di splendere e scaldare le giornate).
Yusaku
rimase in silenzio, conscio che in quel momento qualsiasi parola
sarebbe stata superflua e inefficace contro il dolore che provava
Ryoken.
Continuò
ad abbracciarlo, facendo scorrere con garbo e lentezza la mano sulla
sua schiena, invitandolo tacitamente a proseguire, a sfogarsi, a
buttare fuori tutto anche se angosciante, soprattutto se
angosciante.
E
Ryoken, con la fronte poggiata contro la sua spalla,
continuò: «Lui ha sempre odiato quel pianoforte.
Forse dentro di me lo sapevo già da tempo, ma ho voluto sperare fino
all'ultimo di sbagliarmi… sai, dopo la morte di mamma non ha
mai voluto che lo suonassi in sua presenza. Credevo fosse il suo modo
di combattere il dolore, ma ora mi rendo conto che la sua unica
preoccupazione era che non diventassi come lei e che non mi mettessi in
testa idee assurde come vivere
di musica. Io amo ciò che sto studiando
all'università, ma non sono i tasti del computer quelli che
vorrei pigiare per il resto della mia vita. E poi…»
Cielo,
c'era dell'altro? C'era veramente
dell'altro? Ryoken non aveva già patito abbastanza a causa
dell'insensibilità di suo padre?
«… e poi ha anche parlato male di te. E
lì non ci ho visto più».
Yusaku
sussultò. «Come, scusa?»
domandò, smettendo di carezzargli la schiena.
Non
era una novità, per lui. Sapeva cosa Kiyoshi Kogami pensasse
della sua persona, gli bastava far riaffiorare dalla fanghiglia dei
ricordi tutte quelle occhiatacce gelide che gli aveva riservato
ogniqualvolta andava a trovare Ryoken, che fosse per scambiarsi qualche
appunto sulle lezioni universitarie o perché Ryoken aveva
finito un gioco per la PlayStation che voleva assolutamente fargli
provare o perché, più semplicemente, lo invitava
dentro casa il tempo necessario per finire di prepararsi prima di
uscire insieme. Qualunque fosse il motivo, non andava mai bene. Ma non
il motivo, era Yusaku
a non andare bene e lui immaginava anche il perché.
Non
era stupido, sapeva da quale vetta altissima Kiyoshi lo trafiggeva con
lo sguardo; un traguardo al quale Yusaku non ambiva nemmeno
poiché desiderava solo condurre un'esistenza tranquilla, a
differenza di Kiyoshi che aveva invece grandi progetti per il figlio.
(E ora suo figlio si
trova qui, a casa mia, intento a vomitare tutto il dolore che lei
stesso gli ha provocato).
Ryoken
allontanò la fronte dalla sua spalla e alzò lo
sguardo, instaurando il contatto visivo con le sue iridi verdi.
Pareva teso, la tristezza sostituita da una rabbia cocente, quasi in
procinto di esplodere.
«Te lo giuro, Yusaku, non lo riconoscevo più. Ha
iniziato a farneticare cose assurde che non voglio ripetere
e—»
«Tanto so bene cos'ha detto» lo interruppe Yusaku.
«O meglio, posso immaginarlo».
Ryoken
lo guardò con una punta di sconcerto.
«Andiamo, Ryoken, pensi che non ci abbia mai fatto caso? Tuo
padre mi odia, mi ha sempre ritenuto non alla tua altezza e di
conseguenza mi reputa una compagnia per niente adatta a te. Cosa ti ha
detto? Che dovresti troncare la nostra amicizia? Che posso influenzarti
negativamente col mio stile di vita non da ricco? Che
essermi amico ti renderà lo zimbello di tutti sul posto di
lavoro? Avanti, dillo pure! Non mi importa».
(Invece sì,
gli importava eccome).
Non
tanto dell'orribile considerazione in sé, quanto
più il fatto che nel mondo esistessero davvero individui che
basavano il valore di una persona sul ceto sociale di appartenenza,
escludendo qualsiasi altra qualità ritenuta inutile ai fini
del giudizio.
Yusaku
non aveva mai conosciuto i suoi genitori. Per quasi tutta la vita aveva
vissuto in un orfanotrofio e, una volta maggiorenne, aveva cercato
subito un lavoro, in modo tale da pagare la retta universitaria.
Non
ambiva a una rivalsa nella propria vita, né a dimostrare che
anche un nessuno come
lui poteva raggiungere le stesse vette di Kiyoshi Kogami.
Non gliene importava un bel niente, voleva solo essere lasciato in pace
e condurre un'esistenza tranquilla divisa tra il lavoro alla
caffetteria e lo studio di ingegneria informatica
all'università.
Chiedeva
forse troppo?
Ryoken
era in procinto di rispondere, quando Yusaku fu investito da un'ondata
di devastante consapevolezza.
«Immagino che quando tuo padre saprà che ti trovi
qui, andrà su tutte le furie».
Gli
occhi di Ryoken si ridussero a due fessure. «Credi che sia
qui per ripicca nei suoi confronti?»
Yusaku
abbassò lo sguardo. Non sapeva come o cosa rispondere.
L'unica cosa che desiderava era non litigare con Ryoken e non essere a
sua volta una fonte di dolore per lui.
«Yusaku».
Ryoken
lasciò andare la croma e poggiò le mani sulle sue
gote
(calde, quelle mani erano calde)
e
Yusaku alzò nuovamente lo sguardo, gli occhi che pizzicavano
e un groppo in gola difficile da sbrogliare.
Ryoken
si avvicinò un po' di più, tanto che i loro
respiri trovarono un punto d'incontro in cui miscelarsi tra loro.
I
suoi bellissimi occhi azzurri erano limpidi come una primavera che in
quel momento non esisteva ma che, a modo suo, stava fiorendo sotto
sfumature del tutto diverse.
«Il motivo per il quale sono qui è
perché mio padre si è permesso di offendere le
due persone che più amo al mondo. Ha offeso il ricordo di
mia madre e ha offeso te, giudicandoti senza sapere nulla sul tuo
conto. E questo non glielo perdonerò mai».
Yusaku
tremò. Tremò da dentro, partendo dal cuore,
lasciandosi poi sfuggire un piccolo gemito. Chiuse gli occhi e qualche
lacrima sfuggì al suo controllo, solcandogli le gote.
Ryoken
le asciugò con garbo, conscio che dopo un'esternazione
simile non sarebbe mai più potuto tornare indietro. E andava
bene così.
«Sono così felice di averti nella mia vita,
Yusaku. Abbiamo vissuto tantissimi momenti insieme, uno più
bello dell'altro. Sai quali sono i miei preferiti?»
Yusaku
negò col capo, riaprendo lentamente gli occhi. E quando vide
Ryoken sorridere, sentì di amarlo più di
qualsiasi altra cosa al mondo.
«Sono quelli in cui tu mi ascolti suonare il pianoforte. Sono
gli unici istanti in cui mi sento in pace col mondo e compreso. Ti ho dedicato ogni nota, fin
dal primo momento in cui ci siamo conosciuti. Quando tu mi
guardi, io mi sento completo. E non c'è altro luogo in cui
vorrei trovarmi ora se non qui, insieme a te. Perché l'ho
capito ormai da tempo, Yusaku: la mia casa sei tu».
In
quell'istante, quando Ryoken gli sfiorò le labbra con le
proprie per poi baciarle con una dolcezza inenarrabile, Yusaku
avvertì una felicità tremante diramarsi in ogni
cellula del corpo dovuta alla realizzazione di aver trovato l'anima
gemella.
Anche
i suoi momenti preferiti con Ryoken erano gli stessi: erano quelli in
cui si beava della sua figura avvolta in un concerto di melodie
romantiche e struggenti, erano quelli in cui si perdeva in lui, nel suo
sguardo assorto e nelle sue dita che scivolavano sinuose sui tasti del
pianoforte, le stesse dita che ora, invece, stavano scivolando sul suo
corpo, lascive e garbate al tempo stesso.
Più
il bacio proseguiva e più Ryoken lo carezzava con desiderio,
più Yusaku si sentiva parte di qualcosa di incantevole e
immenso, impossibile sia da descrivere che da quantificare.
«Non qui…» riuscì a
sussurrare quando si staccarono per riprendere fiato, con le gote
ridotte a due tizzoni ardenti e le labbra gonfie e arrossate.
«Andiamo in camera nostra».
Sorrisero
entrambi a quell'affermazione, felici di aver trovato una soluzione che
li mettesse d'accordo riguardo i posti letto. Alla fine Yusaku aveva
ragione: dormire insieme avrebbe risolto ogni problema.
8
Quel
pomeriggio nevicò, ma loro se ne accorsero solo dopo aver
fatto l'amore. Quell'unico fiocco di neve solitario che si era adagiato
sul bancaletto che aveva segnato l'inizio era stato poi seguito dai
suoi compagni, miliardi di cristalli di ghiaccio tutti diversi e unici
tra loro.
«Adesso capisco» disse Yusaku mentre si rivestiva.
Era rimasto talmente tanto rapito da quello spettacolo che, a
differenza di Ryoken ormai vestito, aveva indossato solo i boxer.
«Che cosa?» domandò questi, puntando lo
sguardo alla finestra della camera da letto.
«Il cielo. Per tutto il giorno mi ha dato l'impressione di
essere pesante e basta,
mentre invece è sempre stato un cielo da neve. Non me lo
aspettavo… è bellissimo».
«Anche tu lo sei».
Yusaku
avvampò e si affrettò a rivestirsi, come se
Ryoken non l'avesse già divorato con lo sguardo, le mani e
le labbra durante tutto l'amplesso.
«Comunque… volevo chiederti una cosa».
«Dimmi».
Yusaku
inspirò ed espirò prima di domandare:
«Immagino tu non voglia che tuo padre sappia di
noi… o forse sì?»
Ryoken
sorrise, baciandogli la spalla. «Per il momento no. Voglio
godermi qualche giorno tranquillo insieme a te prima di affrontare la
tempesta».
Yusaku
annuì, conscio che prima o poi avrebbero dovuto seriamente
affrontare la tempesta. Per il momento, però, anche solo per
pochi sfilacci di tempo, voleva condividere quel segreto con Ryoken,
lontani dalla freddezza del mondo esterno.
«Credo proprio che tu abbia ragione».
9
Yusaku
non avrebbe mai immaginato di svegliare Ryoken la Vigilia di Natale con
un bacio, un lungo abbraccio e una bellissima sorpresa in serbo per
lui. A dirla tutta, non credeva nemmeno che un giorno Ryoken si sarebbe
trasferito definitivamente a casa sua, ma era successo ed erano
diventati una coppia a tutti gli effetti.
Kiyoshi
non l'aveva presa bene, per
niente. Ma dopo quanto aveva fatto, non era certo nella
posizione di fare tante storie. E in ogni caso, Ryoken non aveva
intenzione alcuna di tornare a casa e Yusaku l'avrebbe ospitato per
tutto il tempo del mondo.
Quell'appartamento
che ora era la loro
casa, pregno di profumi, colori e nuovi ricordi che stavano costruendo
insieme giorno dopo giorno.
«Perché dobbiamo andare in stazione?»
chiese Ryoken ancora mezzo addormentato.
«È una sorpresa. Ti fidi di me?»
A
quella domanda, Ryoken si svegliò completamente.
«Certo che mi fido di te» disse, gli occhi ora ben
aperti e lo sguardo attento.
Yusaku
sorrise. «Ottimo, allora facciamo colazione e
poi—»
Quasi
urlò per la sorpresa quando si sentì afferrare e
trascinare sul morbido materasso, stretto tra le braccia di Ryoken, con
quelle labbra bollenti poggiate sul collo ipersensibile.
«Restiamo ancora un po' qui» sussurrò
tra un bacio e l'altro.
Yusaku
si lasciò sfuggire un mugolio di piacere e poco dopo cedette
alla tentazione, accoccolandosi nuovamente accanto a Ryoken, in quel
calore benevolo e lenitivo. C'era tempo, potevano concedersi qualche
altro minuto di coccole prima di alzarsi dal letto e prepararsi per
andare in stazione.
Anche
se Yusaku fremeva dalla voglia di trascinare Ryoken lì e di
mostrargli quel miracolo fin dal momento in cui, dopo essersi svegliato
quella mattina, aveva acceso il telefono e scrollato le ultime notizie
dei giornali online.
Non
sapeva chi avesse portato quel pianoforte nel cuore della notte in
stazione e, soprattutto, dubitava fortemente che si trattasse proprio
del pezzo di cuore che Ryoken aveva perso. Ma c'era pur sempre un
pianoforte in stazione che attendeva solo di essere suonato da qualcuno
e Yusaku lo sapeva, lo
sentiva, che la neve avrebbe ricominciato a scendere solo
nel momento in cui le dita di Ryoken avessero sfiorato quei tasti,
melodie lontane e meravigliose che segnavano una rinascita.
(Proprio come dentro un
segreto).
E
non vedeva l'ora di rinascere insieme a lui.
Amo
la neve.
Amo
soprattutto la neve che cade quando meno te lo aspetti.
Ci
si sente come dentro un segreto.
—
Fabrizio Caramagna
N.d.A.
•
Questa storia partecipa al Calendario dell'Avvento di Fanwriter.it
Giorno scelto: 1 gennaio 2024 — BUON ANNO A TUTTI!
•
Questa storia partecipa al Calendario dell'Avvento del forum Siate
Curiosi Sempre.
Prompt: la citazione di Fabrizio Caramagna che trovate a fine storia
•
Che bello tornare per il quarto anno di fila con questa data per il
Calendario dell'Avvento.
Per me è ormai una tradizione pubblicare una Ryoken/Yusaku
ogni primo dell'anno, l'idea di iniziare anche il 2024 con loro mi
riempie il cuore di gioia.
Tra l'altro, il primo gennaio è anche il compleanno di
Ryoken, quindi doppio motivo per festeggiare — anche se
è solo un mio personalissimo Headcanon, ci sono comunque
affezionata.
•
È la prima volta che racconto della madre di Ryoken e spero
di averle dato un'identità, o quantomeno di averne gettato
le basi. Di lei nel canon non si sa nulla, così come non si
sa nulla dei genitori di Yusaku, ma purtroppo sappiamo benissimo di
ciò che ha fatto Kiyoshi e quindi non trovo neanche
così implausibile il fatto che si sia comportato
in quel modo col figlio.
Inoltre, non l'ho mai scritto esplicitamente, ma secondo me Kiyoshi non
ha mai amato sua moglie anche nel canon, quindi volersi liberare del
pianoforte ha fatto comprendere a Ryoken proprio questo.
È tristissimo da dire, ma considerando il
personaggio…
E questo si ricollega a un altro punto fondamentale della storia: io so
bene che in quasi tutte le fanfiction che ho scritto Ryoken studia
Ingegneria Informatica all'università oppure lavora come
programmatore per una grossa azienda oppure ancora studia il
funzionamento della realtà virtuale, ma dovete sapere che mi
sono sempre basata sul Ryoken di fine VRAINS, quando rimane appunto
legato a questo mondo per proteggerlo e impedire eventuali attacchi da
futuri nemici.
Anche perché, in qualsiasi modo la si guardi, Ryoken rimane
pur sempre un eccellente hacker e possiede delle doti informatiche non da
poco.
Però Ryoken, nella prima stagione, dice questo a Yusaku: “Non mi fido
dell'intelligenza artificiale. Il mondo di Internet è una
finzione. Ciò che conta è il respiro e il battito
della vita”, e io mi sono sempre chiesta cosa
avrebbe fatto se non fosse stato invischiato in questioni
più grandi di lui legate appunto al mondo dell'intelligenza
artificiale.
E secondo me Ryoken avrebbe proprio scelto un percorso artistico. Ce lo
vedo benissimo come scrittore e, come in questo caso, musicista.
Ma per il modo in cui nella serie si è preso cura di suo
padre nonostante tutto,
secondo me punterebbe anche allo studio di Medicina
all'università.
Insomma, tutte cose più “reali” e molto
più legate al
respiro e al battito della vita, proprio come dice lui.
Quindi sì, in questa storia ho sperimentato non poco e mi
sono divertita un sacco (!)
•
Io come al solito ho scritto tantissimo e vi chiedo umilmente scusa,
ormai non faccio neanche più il buon proposito per l'anno
nuovo di essere meno prolissa perché tanto finisce sempre
così.
Ma ci tenevo a spiegarvi alcune cose, soprattutto se consideriamo il
modo in cui vi ho fatto conoscere Ryoken nel corso del tempo.
Questo è un altro aspetto di lui che vorrei approfondire
nelle mie future storie, se ne avrò l'occasione.
Grazie per essere arrivati fino a qui e felice anno nuovo!
M a k o
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