Doveva
essere un 5-8000 parole al massimo, giuro.
Solo che poi non so cosa sia successo, ed eccoci qui.
A
mia discolpa posso dire solo che, dopo aver
scritto la drabble per il contest indetto da Mari Lace sul forum Ferisce
la Penna, mi
sono messa a rileggere la saga per l’ennesima
volta e una sera ho dato di gomito al mio compagno sotto le coperte e
gli ho
chiesto: Secondo
te se
l’Unione Europea volesse scavare un tunnel fino al centro
della Terra, potrebbe
indire un bando?
La
sua risposta semiaddormentata è stata: Ma
che cazzo stai scrivendo?
Comunque, secondo me sì.
Non credo
che avesse ragione; ma tanto è bastato per scrivere questa
follia.
La
storia è ambientata dieci anni dopo il finale de
L’inganno
di
Opal;
gli eventi successivi
dei libri non si sono mai svolti, tranne la nascita dei gemelli, che
francamente mi piaceva troppo. Tutto il resto dovrebbe chiarirsi con la
lettura.
Detto
questo, non mi rimane che lasciarvi alla
storia e chiedere, come Petrarca, pietà nonché
perdono.
Buona
lettura!
Non hai mai voglia di lasciar
andare tutto
e dormire?
Polledro
le mostra l’articolo un giorno in cui Spinella è
stranamente stanca, estenuata,
spossata da tutto e da tutti, e il nome di Artemis Fowl è
lontano dalla sua
mente cosciente come il suo proprietario dal nucleo della Terra, dal
ventre del
mare. Spinella attira a sé il tablet e legge con
disinteresse: è un articolo
della versione online di un giornale Fangoso, uno di quei siti che il
Centauro
ama tanto tenere sotto controllo. Titola: Giovane
genio irlandese si aggiudica bando dell’Unione Europea per la
realizzazione del
tunnel sotto l’Atlantico. Sotto, un catenaccio
aggiunge: Fanno
ancora discutere i retroscena della
famiglia Fowl. Ma il curriculum di Artemis Fowl II, fondatore della
startup Nea
Atlantis che
ha presentato il progetto
vincente, è
indiscutibile. La
parola curriculum
è
evidenziata in un
colore diverso, indicando la presenza di un link a un altro articolo
che,
evidentemente, approfondisce i titoli accademici del Fangoso
più famoso sotto
la superficie. Spinella scorre con le dita l’articolo senza
soffermarsi a
leggerlo, scorge solo qualche parola.
«Che
cosa sarebbe questa Nea Atlantis?»
«È
tutto qui quello che hai da dire?» Polledro la fissa come se
si fosse aspettato
da lei qualcosa di molto più intelligente, arguto, e forse
risolutivo da parte
sua. Poiché è evidente che questa tanto sospirata
epifania sulla questione non
gli proverrà da lei, dopo qualche secondo si decide a
risponderle. «C’è scritto
lì, comunque. La startup fondata dal Fangosetto.»
«Sì,
Polledro, so leggere anch’io. Ma che cosa sarebbe una
startup?»
«Per
essere molto semplicistici, un’azienda.» Polledro
si china su di lei attraverso
il tavolo. «Per l’amore del… Spinella,
vuoi leggere con attenzione, per favore?
Artemis ha appena vinto un bando milionario per scavare un tunnel di
mille
chilometri di profondità sotto l’Oceano Atlantico.
Mille chilometri, Spinella. L’unico umano che
è già al corrente della nostra esistenza ora ha
anche i fondi pubblici per
mostrarla al mondo e fingere di averla scoperta per caso. Veramente,
veramente
non hai nient’altro da dire?»
«No.»
Spinella spinge di nuovo verso di lui il tablet e si appoggia allo
schienale
della sedia. C’è una parte di lei, una parte che
non si può dire ad alta voce,
che è stanca ed estenuata ed esausta anche di questo: di
nascondersi come topi
o come ragni, di fuggire dalla luce e dal sole e dall’aria
pulita, che vorrebbe
soltanto arrendersi e lasciare che li trovi. «Avremmo sempre
dovuto
aspettarcelo. Adesso è troppo tardi.»
Eppure
il suo cuore ha una piccola contrazione dolorosa quando lo dice. Forse
perché
avrebbe giurato che Artemis fosse diverso.
Sono
nella CabOp da stamattina. Tecnicamente, Spinella non potrebbe
accedervi: è una
civile, ora. Ma i ragazzi della squadra sono sempre così
contenti di vederla
che sono loro a dirle di passare a trovarli, ogni tanto, e a chiudere
un
occhio. Sarebbe un’infrazione al protocollo, in
verità, e anche grave; ma è
stato sempre Grana a dare ordine di farla passare, in passato, e anche
quando
non c’è i ragazzi la fanno passare lo stesso.
«Polledro
è più trattabile se ti vede ogni tanto»
le ha detto a mo’ di spiegazione, ed
entrambi sanno che è una scusa e che Polledro se la
prenderebbe anche a male,
se la sentisse; ma va bene così. Hanno bisogno entrambi di
una scusa dietro la
quale nascondersi, e non importa il fatto che non reggerebbe di fronte
a un
richiamo ufficiale: non è per quello che ne hanno bisogno.
Spinella
rimane in CabOp anche giornate intere. Polledro smanetta, lavora,
traffica con
i cavi, e intanto chiacchiera, chiacchiera. Dei vecchi tempi, dei tempi
moderni: chiacchiera di tutto, questo centauro, e ogni tanto, quando
pensa che
lei non se ne accorga, la osserva con preoccupazione.
«Va
bene l’agenzia investigativa, sì?»
«Benissimo»
risponde Spinella immancabilmente senza guardarlo negli occhi.
«Un sacco di
lavoro. Altroché.»
E allora
perché passi qui
giornate intere?
potrebbe chiederle Polledro, e di certo lo pensa; ma non lo chiede, per
fortuna, e Spinella è grata che non glielo chieda. Sarebbe
troppo umiliante da
dire – non che il lavoro va male, perché non
sarebbe neppure vero. Non va
esattamente male – è solo uno di quei tanti
lavoretti autonomi nella capitale
che a stento sbarcano il lunario, ma che sono dignitosi, tutto sommato,
e non
ci si lamenta. Come un negozio che vende troppo poco e a fine mese ha
messo
insieme giusto quel poco che basta per andare in pari e farci un
po’ di
guadagno e trarne di che mangiare, nulla di più; questo non
bastava a Bombarda,
naturalmente, non poteva bastargli, e dopo un paio d’anni ha
finito per tornare
a dedicarsi al crimine che lo chiamava troppo forte per ignorarlo; ma
non è
propriamente andar male, questo, e Spinella non s’era
aspettata poi tanto di
meglio. O forse sì, se l’era aspettata, ma in
termini diversi – s’era aspettata
di divertirsi e di vivere avventure e di difendere la sua gente come in
passato. Un’idea stupida, folle e infantile, ora se ne rende
conto: se non si
diverte e non s’appassiona più non è
perché… è per
l’età. Sta diventando più
vecchia, ormai. Ha più di novant’anni, a
quest’età di certo non si è giovani e
appassionati e folli e insensati come una volta; eppure
c’è ancora una voce,
dentro di lei, che talora le mormora all’orecchio che una
volta la vita era
davvero più bella, che non era solo lei a vederla tale
perché era più giovane;
che da quando è morto Tubero è morta anche una
parte di lei, una parte luminosa
e agguerrita che non ritroverà mai più dentro di
sé; che quando lavorava nella
LEP, quando c’era nei paraggi Artemis Fowl, la sua vita era
migliore e più
varia; e che se, ora che né Tubero né Artemis
sono più in circolazione, la sua
vita le appare tanto monotona e noiosa, allora tutta la bellezza che un
tempo
ci trovava era dovuta ad altri, e dunque, ora che è sola al
mondo, il grigiore
e la monotonia non può imputarli che a se stessa…
Quando
questa voce le parla all’orecchio, Spinella di solito si
mette a dormire per
ore e non ci pensa più; oppure va a trovare Polledro,
perché la voce delle sue
chiacchiere confortanti parli più forte di quella dentro di
lei. Di solito
funziona; di solito. Oggi invece Polledro ha tirato fuori il nome di
Artemis
Fowl, e tutta la bellezza e la passione della sua giovinezza
l’hanno assalita
con una fitta di nostalgia come i ricordi della sua infanzia.
È da dieci anni
che non vede più Artemis. Ha continuato la sua vita,
lassù, senza di lei, senza
di loro; anche troppo bene, a giudicare da questo titolo. È
diventato un
Fangosetto a posto, forse; ma questo pensiero non la rassicura come
avrebbe
fatto dieci anni fa. La fa sentire soltanto più sola, come
se da quella vita
fosse rimasta esclusa.
Polledro
la scruta dall’altra parte del tavolo senza parlare, per un
po’.
«Credevo
fossi la prima a fidarti di lui.»
«Lo
so, ma… forse mi sbagliavo. E poi, non vuol dir nulla. Sono
passati dieci anni
anche per lui. Dieci anni sono tanti.»
Polledro
torna a chinare gli occhi sul tablet. Fa scorrere il testo
dell’articolo su e
giù più volte, senza leggerlo neppure,
perché ormai lo sa a memoria, solo nel
tentativo vano di trovarvi una risposta alle proprie domande.
«Non
lo so, Spinella. C’è qualcosa che non mi convince.
Se avesse voluto dimostrare
al mondo la nostra esistenza, l’avrebbe fatto prima, in altri
modi, e facendola
passare per un merito suo, non per una scoperta casuale. Non che non
possa
farlo, ma… non mi sembra il suo stile. Capisci quello che
voglio dire?»
Spinella
si stringe nelle spalle. «Forse è impazzito.
Oppure crescendo gli è venuto il
dubbio che noi fossimo tutti sue allucinazioni, qualche psichiatra lo
ha
convinto che si era immaginato tutto, e ora vuole scoprire se aveva
ragione lui
o lo psichiatra.»
Polledro
prende fiato. «Spinella…»
«Sto
scherzando» lo interrompe Spinella.
«O forse no. Chi lo sa. Forse abbiamo sbagliato noi,
Polledro. A non farci più
vivi per tutti questi anni. In fin dei conti era solo un ragazzino
l’ultima
volta che ci siamo visti, anche se sembrava molto più
vecchio. Forse crescendo
si è sentito abbandonato, e ora vorrebbe
vendicarsi.»
Polledro
abbassa gli occhi sul tablet. «Lo credi davvero?»
No, grida la voce dentro di
lei. No,
certo che non lo credo che ci farebbe
mai questo, che distruggerebbe la nostra civiltà, che
tradirebbe tutta la
fiducia che abbiamo costruito, l’amicizia che
c’è stata; certo che non lo
credo.
Invece
quello che dice è: «Penso che dobbiamo prendere in
considerazione tutte le
ipotesi, Polledro. Dopotutto, quello che sappiamo è che ha
fondato un’azienda
per costruire un tunnel profondo mille chilometri, dunque dobbiamo
esser pronti
a tutto. A proposito…» Ha uno strano senso di
déjà-vu; in fin dei conti, questo
è esattamente quello che è successo dieci anni
fa, con Opal; solo che all’epoca
c’era uno scienziato italiano ingenuo e ammaliato dal fascino di quella folletta, e ora
invece, a opporsi a loro, c’è
l’unico Fangoso già al corrente della loro
esistenza. Si guarda scioccamente
intorno, come a cercare qualcosa che evidentemente non
c’è. «Com’è che
ancora
non è scattato nessun allarme?»
«Non
siamo ancora a quel punto» borbotta Polledro. «Fowl
ha soltanto vinto un bando.
Non è che stanno già scavando. Per quello ci
vorranno mesi, forse anni. Non c’è
ancora bisogno di barricarci.»
«E
il Consiglio non vuole creare allarmismi» gli fa eco Spinella.
Polledro
scrolla le spalle. «E il Consiglio non vuole creare
allarmismi, giusto. Per il
momento, è una notizia top-secret, Spinella. Non avrei
neanche dovuto dirla a
te, ma… tanto il Consiglio ti convocherà nei
prossimi giorni. Tanto valeva che
sapessi. Però fingiti sorpresa, quando te lo
diranno» aggiunge in fretta.
Spinella
incrocia le dita. «Prometto che non ti farò finire
nei guai.»
«Più
sorpresa di quanto hai fatto ora, magari. Scusa se te lo dico, ma non
ti ho
visto troppo sconvolta dalla notizia.»
«Devo
recitare?»
«No,
ma… oh, lascia stare. Basta che tu non gli dica che te
l’ho detto io.» Detto
questo, Polledro ripone il tablet in un cassetto e si rimette al lavoro
senza
più guardarla. Spinella non se la prende: è
esattamente per questo che le piace
venir lì. È stranamente rilassante restare seduta
al suo fianco, come ora, a
fingere di non esistere.
«Sabato
do una festa, comunque. Nel mio appartamento. Sei dei nostri?»
Semidistesa
all’indietro, col capo reclinato contro lo schienale della
sedia, con gli occhi
chiusi, Spinella gli risponde senza neanche guardarlo. «Da
quand’è che hai
abbastanza amici da dare una festa?»
«Simpatica.
Sono vecchi compagni di università, nulla
d’impegnativo. Allora, ti conto?»
Spinella
arriccia il naso. «Un covo di ingegneri, quindi.»
Polledro
continua a battere su una tastiera senza voltarsi verso di lei.
«Viene anche
qualche agente fuori servizio, perciò siamo sicuri che non
ci suoneranno tanto
presto per farci togliere la musica. Forse persino Grana, se riesce a
liberarsi.»
Ingegneri,
agenti Ricog. Tutta gente che nella vita si è affermata, che
con la sua vita è
andata avanti, sempre più avanti; che non si è
fermata in un giorno
lontanissimo di dieci anni fa, a rifiutarsi tanto d’andare
avanti quanto di
tornare indietro, cristallizzata nel momento in cui una bomba
è esplosa e tutto
per lei è finito.
«Magari
la prossima volta, Polledro. Questo sabato non sono sicura di riuscire.
Sto
seguendo un caso…»
Ci
girano intorno da anni, danzando in punta di piedi, come
sull’orlo di un abisso
di cui non si vede il fondo, ai suoi silenzi e alle sue stranezze e al
suo
ostinato rifiuto di andare avanti, ancora avanti, dal mattino alla
sera. A un
tratto il ticchettio di tasti s’interrompe, Polledro rimane
in silenzio davanti
al computer, indeciso, a guardare lo schermo luminoso che gli illumina
il volto
di luce azzurrognola. Spinella lo spia attraverso le palpebre
semichiuse. Sente
che sta per porle la domanda che ha avuto sulle labbra per anni.
«Spinella.»
La sua voce suona immensamente triste. «Se tu avessi bisogno
di un aiuto, un
aiuto per qualsiasi cosa, me lo chiederesti?»
Non
vorrebbe che le tremasse la voce. «Sì.»
«Allora
perché non me lo stai chiedendo?»
«Perché
non saprei che cosa chiederti» risponde Spinella. Almeno la
verità gliela deve,
poiché non può dargli nient’altro.
Polledro
si volta verso di lei. È imbarazzato, impacciato come un
bambino: i centauri
non sono noti per la loro empatia, lui meno di altri, e per questo la
domanda
che deve porle gli costa ancora più che a chiunque altro.
«Vorrei
solo aiutarti, Spinella… solo che non so come fare. Se tu
soltanto mi dicessi
come ti senti, potrei almeno sforzarmi di provare a capirlo. So che non
posso
fare altro, ma posso fare almeno questo.»
Polledro
ci sta provando veramente perché non
vuole lasciarla andare, perderla, vederla sparire in un vortice senza
provare
almeno a tenderle la mano; ma Spinella non sa se quella mano
sarà in grado di
prenderla. Non può neppure lasciarla sospesa a
mezz’aria così, però.
Non
sa se riuscirà a dar voce a quello che sente; forse parole
per dirlo non
esistono, ed entrambi stanno solo perdendo tempo. Poiché
però il suo tempo non
vale più di quello di Polledro, che per lei ne sta gettando
davvero tanto,
Spinella si preme le mani sulle palpebre e si sforza di guardare dentro
di sé
alla ricerca di qualche parola che possa dar forma al vuoto che le
scava dentro
e non cessa di pulsare mai.
«Non
hai mai voglia di lasciar andare tutto e dormire?»
Polledro
aveva ragione, come sempre. Il Consiglio la convoca con urgenza il
giorno
successivo; non è un obbligo, naturalmente. Potrebbe anche
rifiutarsi, ora che
non è più una militare; ma Spinella si trascina
fuori dal letto, si fa la
doccia e risponde alla chiamata.
I
membri del Consiglio sono stranamente gentili con lei. Lasciano parlare
Vinyàya, perlopiù, forse perché
pensano che possa ammansirla; le dicono le
stesse cose che le ha detto Polledro, le mostrano lo stesso articolo e
qualche
altro di qualche altro giornale; Spinella li ascolta in silenzio senza
fare
commenti. Se vogliono un favore da lei, dovranno chiederglielo. Non ha
intenzione di fare nulla per agevolarli.
Alla
fine, quando hanno ormai esposto a grandi linee tutto quello che
c’era
d’importante da dire, Vinyàya la considera in
silenzio per un attimo, forse per
decifrare la sua espressione, e prosegue con cautela.
«Spinella,
sai già perché ti abbiamo chiesto di venire. Tu
sei la massima esperta su
Artemis del Sottosuolo, perciò te lo chiederò
direttamente. Tu che cosa faresti
al nostro posto?»
Hanno
scelto la strada lunga, dunque. Mostrarsi ragionevoli e bendisposti
versi di
lei, pronti ad ascoltare il suo punto di vista e a prendere in
considerazione
le sue parole, solo per poter poi contraddire un attimo dopo qualsiasi
sua
proposta all’istante, senza neppure prendersi la briga di
fare finta di non
aver già vagliato e bocciato qualsiasi sua possibile idea e
obiezione prima
ancora di decidere di convocarla, e prospettarle la richiesta che
stanno per
porle come inevitabile e necessaria.
Spinella
prova grande rispetto per Vinyàya e un ancor più
grande affetto, ma al loro
gioco non intende starci. Si schiarisce la gola. «Se avete
convocato me, è
perché avete già preso in considerazione
l’idea di eliminarlo e avete stabilito
che non è possibile. Ho ragione?»
I
membri del Consiglio si aggiustano nervosamente sulle sedie come se
queste
bruciassero sotto di loro; Vinyàya si morde le labbra, ma
è l’unica,
quantomeno, ad avere il coraggio di continuare a sostenere il suo
sguardo.
«È
vero, Spinella. Ci abbiamo pensato, ma sai anche perché.
Tenere la nostra
civiltà al sicuro ha la massima priorità, ora
come ora, ma…»
«Ma
Artemis è sotto gli occhi di tutti, ora» completa
Spinella. «E poi c’è il
problema dei suoi collaboratori e del bando europeo. Potreste anche
uccidere
Artemis, ma non potete uccidere tutti,
o qualcuno si chiederebbe che cosa succede. Sbaglio?»
«…
ma abbiamo chiamato te» prosegue Vinyàya come se
non fosse mai stata
interrotta. «Il signor Fowl si è spesso mostrato
più ragionevole di quanto
fosse lecito aspettarsi, date le circostanze, in passato, e non
c’è motivo per
cui non debba disposto a trattare anche ora. Spinella, tu sai che noi
non
sacrifichiamo nessuna vita a cuore leggero, neanche quelle
umane… ma sai anche
che è in ballo la sopravvivenza della nostra intera specie.
Dobbiamo capire che
cosa ha in mente e quanto è disposto a cedere, e abbiamo
pensato che sarebbe
più bendisposto a trattare se gli mandassimo qualcuno di cui
si fida già.
Saresti disposta a parlare con lui, Spinella?»
Facciamola
finita,
grida quella voce tossica, inaudita, che
è sepolta dentro di lei e che da fuori non s’ode
né si vede, ma che Spinella
sente in tutta la sua intensità dentro di sé; lasciamo che ci scoprano,
che ci prendano; vogliamo nasconderci nei
buchi per tutta l’eternità?
Quello
che dice Spinella ad alta voce, invece, è: «Sono
disposta a parlargli, ma non
in nome del Consiglio. Solo da amica. Non intendo parlamentare, anche
perché
non avrei l’autorità per fare concessioni. Posso
solo scoprire quello che avrà
da dirmi volontariamente.»
Vinyàya
annuisce gravemente. «È quello che speravamo.
Spinella, naturalmente, questa
missione non figurerà da nessuna parte. Noi ti appoggeremo e
ti forniremo tutto
quello che ti occorre, e ti ringrazieremo per il disturbo, ma nessuno
dovrà mai
saperlo.»
«Bene»
risponde Spinella. «Voglio l’attrezzatura completa,
però. Non vado lassù
disarmata. Ali, armi, corazza e tutto il resto.»
«Naturalmente.
Non ti manderemmo mai sulla superficie senza darti il necessario per
proteggerti.» Gli sguardi di tutti si appuntano su
Vinyàya, come aspettandosi
che tiri fuori una questione particolarmente scottante; lei si
schiarisce la
voce. «Ora, venendo alle tue richieste…»
Hanno
davvero
bisogno
di lei, dunque.
Spinella incrocia le braccia sul petto e accavalla le gambe.
«Voglio un mese di
ferie pagate.»
Il
Consigliere Cahartez aggrotta un sopracciglio. «Non lavori
più per la LEP. Non
siamo noi a poterti…»
«Lo
so. Per questo ho specificato pagate. Voglio
un mese del mio vecchio stipendio. Mi pare una richiesta onesta,
considerando
quanto mi state chiedendo. Vi costerebbe comunque meno di una missione
diplomatica di un ambasciatore.»
I
Consiglieri si consultano per lo sguardo per un tempo molto minore di
quanto
Spinella si fosse aspettata. «Concesso. Altre
richieste?»
Dunque
sarebbero stati disposti a pagarla anche di più: Spinella
quasi si pente di non
aver chiesto due o tre mensilità, ma, in fin dei conti, non
è tipo da
approfittarsi del Consiglio o dell’oro del Popolo. Vuole solo
un po’ di tempo
per tirare il fiato; vuole staccare un po’ da Cantuccio, da
tutto, da se
stessa, se possibile, e anche il riposo, per una detective privata, si
paga;
vuole staccare da tutto per un po’ e non pensare a niente. Ma
quest’occasione è
troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire, e quello che le viene in
mente, in fin
dei conti, non costerà niente a nessuno.
«Voglio
un permesso di un mese per la superficie.»
«Concesso.
Ci servirà anche per giustificare la tua presenza in
superficie, se dovesse
venir fuori. Un permesso turistico.»
«Illimitato.»
«Va
da sé» risponde Vinyàya sorridendo.
«E»
la interrompe Spinella alzando la voce «Un permesso per
Disneyland Paris.»
Il
fatto che glielo concedano indica quanto sono spaventati.
Artemis
ha incontrato il Commissario europeo per l’Ambiente a
Bruxelles, in occasione
di non si sa bene quale conferenza sul clima o su che altro;
all’incontro,
naturalmente, in un enorme edificio istituzionale, Spinella non ha
potuto
assistere. È stato il Consiglio a dirle dove si sarebbe
trovato Artemis
quest’oggi: l’incontro era su tutti i giornali
specializzati; ma d’ora in poi
dovrà cavarsela da sola.
È
rimasta fuori, schermata, a sorvolare la piazza affollata di
giornalisti e
curiosi e interessati e quant’altro, fuori dal palazzo; un
cordone di polizia
tiene aperto un varco dall’ingresso del palazzo fino
all’automobile nera in
attesa del suo occupante; Spinella non si aspettava così
tanta gente, anche se
forse avrebbe dovuto aspettarselo: stando a quanto le ha detto il
Consiglio,
oggi è una giornata importante, piena d’incontri
istituzionali. Di certo non
saranno tutti lì per Artemis; ma qualche cartellone nella
folla, che incita a
non toccare l’oceano Atlantico, è sicuramente
indirizzato a lui. Spinella cala
sulla folla silenziosamente, si accoccola sul tettuccio della macchina
e
osserva la folla con interesse. Non è più di un
luccichio ai loro occhi: un
luccichio sopra le teste e i tettucci delle automobili. Nessuno
farà caso a
lei. Se dovessero vedere un luccichio nell’aria, lo
scambierebbero per un
riflesso del calore e della tremolante aria il cui vapore evapora.
Quando
Artemis appare sulla soglia del palazzo, Spinella s’accorge
d’aver trattenuto
il fiato per qualche secondo.
Lo
riconoscerebbe in ogni luogo, in ogni momento, tra mille della sua
gente. È
ancora snello, pallido, la sua fronte è ancora spaziosa e
bianca come dieci
anni fa, come l’ultima volta che l’ha visto; ma
è più alto, ora, tanto che
quasi sfiora con la testa la spalla di Leale. Questo è tutto
il cambiamento che
ha avuto in questi anni; quanto al resto, non è cambiato
affatto. Ha ancora lo
sguardo eternamente serio, corrucciato, troppo maturo per la sua
età, che
Spinella ricorda anche troppo bene; i suoi occhi sono dello stesso
gelido
azzurro di allora, solo quella sottile tela di rughe precoci, agli
angoli dei
suoi occhi, s’è scavata e approfondita. I tratti
del suo volto si sono fatti
più affilati e taglienti con l’età,
è snello, slanciato, i suoi gesti sono
eleganti, posati, estremamente misurati; è diventato quasi
bello, ma le sue
labbra sottili hanno ancora lo stesso taglio duro e severo, eternamente
contratte. Quantomeno, pensa Spinella, il suo immancabile completo nero
è un
po’ meno fuoriluogo, ora che ha venticinque anni ed esce da
un incontro
ufficiale con un Commissario europeo.
Leale
riempie la porta con la sua sola presenza. È la solita
montagna incrollabile,
inamovibile, che le ha coperto le spalle e s’è
aspettato lo stesso da lei
combattendo; è invecchiato, certo, ma non poi tanto
più rispetto a quel giorno
di tanti anni fa in cui lei lo ha salvato. Spinella riesce quasi a percepire il suo stress anche da
questa
distanza: la piazza piena di gente, i giornalisti, solo un magro
corridoio di
transenne e gracili poliziotti a separare il suo protetto da
attentatori e armi
da fuoco. Sarebbe l’incubo di qualunque guardia del corpo,
anche di una che non
stia proteggendo uno degli uomini più discussi
d’Europa. Che, per l’appunto, è
proprio quello che sta facendo lui.
Artemis
e Leale indossano occhiali scuri prima ancora di lasciare
l’edificio ed esporsi
alla luce, all’unisono, come un gesto che sono ormai abituati
a compiere e che
è parte delle loro abitudini ormai da anni, come allacciarsi
le scarpe, e
subito dopo Leale stende un braccio di fronte al petto di Artemis per
trattenerlo all’interno dell’edificio mentre
perlustra con lo sguardo la folla
ed esamina il percorso fino alla macchina. Quegli occhiali scuri,
decisamente
più grossi, spessi e voluminosi del normale, Spinella ha la
sensazione d’averli
già visti. Somigliano stranamente alla visiera di certi
vecchi elmetti della
LEP.
Quando
lo sguardo di Leale raggiunge l’automobile, Spinella alza la
mano e fa un cenno
di saluto nella sua direzione.
Leale
rimane interdetto per non più di un momento. Abbozza persino
un accenno di
sorriso, che Spinella gli farà il piacere di considerare un
saluto, mentre si
china sulla spalla di Artemis e mormora qualcosa nel suo orecchio,
coprendosi
la bocca con la mano, ben attento a non gesticolare in direzione della
macchina. Artemis si gira a fissarlo per un istante, poi si volta verso
la
macchina e sorride.
Che
le mancasse la faccia di quel Fangosetto pallido non
l’avrebbe detto mai.
Leale
lo fa aspettare al riparo della doppia porta di vetro antiproiettile
mentre
attraversa la piazza e si reca a esaminare la macchina per eseguire un
ostentato controllo antibomba. Non alza lo sguardo su di lei neppure
una volta,
ma spalanca lo sportello del guidatore e fa cenno all’autista
di scendere. Gli
batte sulla spalla con fare amichevole. «Grazie, amico. Da
qui in avanti me ne
occupo io.» Lo sportello del guidatore rimane aperto per quei
pochi secondi che
le occorrono per scivolare dentro, ancora schermata; poi Leale lo
richiude
sonoramente alle sue spalle e torna a prelevare Artemis
dall’interno
dell’edificio. Spinella scivola sul sedile posteriore e si
mette comoda a
godersi lo spettacolo attraverso i finestrini oscurati: ha la
sensazione che ci
vorrà ancora un po’.
Leale
conduce Artemis attraverso il varco aperto tra la folla che li pressa
da ogni
parte, difendendolo praticamente a spallate da ogni lato. Forse sarebbe
ora che
Artemis assumesse qualche nuova guardia del corpo: Spinella si annota
mentalmente di farglielo presente, ma ha la sensazione che non
servirebbe a
niente, forse perché Artemis non si fiderebbe di nessuno che
non sia Leale, o
forse, piuttosto, perché Leale non si fiderebbe di nessuno
che non sia Leale
per custodire il suo protetto. E poi, quei due insieme hanno fatto cose
ben più
pericolose che uscire da un incontro istituzionale nel centro di
Bruxelles. No?
Una
giornalista riesce a protendere il braccio armato di microfono a
sufficienza da
bloccare il loro cammino, ormai a un paio di metri appena dalla
macchina; Leale
potrebbe proseguire solo praticamente amputandole il braccio, e
Spinella
potrebbe giurare, dalla sua espressione, che ha dovuto trattenersi
dall’atterrarla con una mossa di arti marziali per impedirle
di avvicinarsi ad
Artemis. Artemis gli posa una mano sulla spalla per fargli cenno che
non c’è
bisogno di allarmarsi: è solo una
giornalista, mormora,
e si sforza di sorriderle come se non fosse
infastidito dalla sua interruzione.
«Ester
Politano» si presenta in fretta la giornalista con un pesante
accento italiano.
«Doctor
Fowl, why did you…»
«In
italiano va benissimo, prego» la interrompe Artemis in
perfetto italiano. «Se
posso evitarle di dover tradurre le mie risposte con conseguenti
fraintendimenti… ma due domande sole, per favore. Ho un
impegno.»
«Bene»
risponde la giornalista senza perdere un colpo; Spinella ha la
sensazione che
non le sia sfuggita la velata insinuazione di Artemis, e che
semplicemente
abbia deciso di non farsene distrarre. «Dottor Fowl,
perché intraprendere
questo tentativo di scavo nella crosta terrestre?»
Artemis
si spinge indietro i capelli corvini con la punta delle lunghe dita
pallide.
«Beh, presumo che lei sappia che cosa Svetonio racconta che
Cesare abbia detto
a Cadice, presso il tempio di Eracle…»
Se
Artemis pensava di distrarla o di confonderla, o di farla sentire
inadeguata,
con l’ennesima ostentazione della propria cultura e con
l’ennesima citazione
letteraria tanto dotta quanto gratuita, gli è capitata la
giornalista
sbagliata. Non si lascia impressionare, e Spinella prova una scintilla
di
ammirazione per chiunque sia in grado di rimettere a suo posto il suo
Fangosetto preferito.
«Cesare
però aveva trent’anni quando assunse la questura
in Spagna Ulteriore» lo
interrompe spazientita. «Lei invece ne ha solo venticinque,
dunque è ancora
abbastanza lontano dall’età di Alessandro Magno.
Possiamo presumere che
quest’iniziativa si collochi nella ben nota predilezione per
il crimine della
famiglia Fowl?»
Artemis
non rimane molto impressionato. Sorride del suo sorriso da vampiro.
«È per caso
al corrente di qualcosa che io e i miei avvocati dovremmo sapere?
Perché al
momento mi risulta che né io né mio padre siamo
indagati per alcunché.»
«E
che mi dice dei suoi trascorsi col magnate americano Jon
Spiro?»
Artemis
aggrotta la fronte. «Spiro? Intende
quell’industriale che fu arrestato… dieci o
dodici anni fa? All’epoca io ero più che
minorenne. Che cosa intende dire?»
Qualunque
cosa la giornalista intendesse dire, sono tutti destinati a non
scoprirlo mai.
In questo preciso momento un’attivista si scaglia contro una
transenna e
scaraventa contro Artemis un barattolo di vernice che lo colpisce in
pieno
petto e gli mozza il respiro, eruttandogli addosso un fiotto di vernice
blu.
Succedono
molte cose molto rapidamente. La giornalista prorompe in
un’esclamazione di
sorpresa ritraendosi di scatto, diversi poliziotti scavalcano
all’unisono le
transenne, l’attivista si getta per terra; Leale si tira
Artemis contro il
petto e si curva sopra di lui, proteggendolo col proprio corpo,
raggiunge la
macchina in un’unica falcata, spalanca lo sportello e
scaraventa Artemis
all’interno senza neppure guardare. Artemis rotola sulle
ginocchia di Spinella
mentre Leale sale al volante, tossisce per un po’, poi
spalanca gli occhi su di
lei e sorride a fatica. Per essere uno che è appena stato
aggredito da
un’attivista, le concede un’inaspettata attenzione.
«Ciao,
Spinella» ansima cercando di riprendere fiato mentre la
macchina parte
sgommando. «Sono contento di vederti.»
«Ehi»
risponde Spinella sforzandosi di sorridere. Si sorprende della
commozione che
le brucia la gola come se fosse pianto. Non si vedono da dieci anni.
«Giornata
monotona, eh?»
Leale
guida follemente per le strade trafficate di Bruxelles. Una volante
della
polizia, partita dalla piazza subito dopo di loro, li affianca e li
supera a
sirene spiegate per aprir loro la strada; Leale ne segue i movimenti
cercando
di coordinarsi con essa attraverso il traffico. «Scusa,
Spinella» dice senza
guardarla. «Avrei voluto salutarti meglio, ma dobbiamo andare
in ospedale.
Artemis…»
«Sto
bene, Leale» protesta Artemis tirandosi a sedere di fianco a
lei sul sedile. Si
sfila la cravatta nera, che gronda vernice blu dall’aspetto
appiccicoso, e si
sbottona la camicia ormai inservibile per mettere a nudo il petto magro
e
rassicurare la sua guardia del corpo. No, decisamente non ha nessuna
ferita,
quantomeno a giudicare a occhio nudo; è a malapena
graffiato; ma domani avrà un
gran bel livido violaceo, che va già allargandosi al centro
del petto. «Nessuno
andrà in ospedale.»
«Negativo,
Artemis. Mi dispiace, ma potresti avere una costola incrinata o una
frattura
allo sterno.»
«Leale»
lo interrompe Artemis in tono ragionevole. «È
vernice di farina di mais. Non
andrò in ospedale a farmi ridere dietro per un po’
di vernice al mais. L’unica
vittima qui è questo completo Armani, ma, a meno che in
ospedale non abbiano
aperto un reparto di lavanderia a secco, direi che possiamo evitare di
intasare
il pronto soccorso. Andiamo in aeroporto, Leale. Per favore.»
«Ci
serve anche un referto di un medico, Artemis. Per la
denuncia.»
Il
tono di Artemis si fa impercettibilmente più stanco.
«È un’attivista che sta
lottando per il suo pianeta. Passerà già
abbastanza guai così, perciò non ho
alcuna intenzione di sporgere denuncia contro di lei, Leale.
È la mia ultima
parola.»
Leale
guarda sui sedili di dietro attraverso lo specchietto, ma non
è lo sguardo di
Artemis che cerca nel riflesso. Cerca quello di Spinella, forse nel
tentativo
di trovare in lei un’alleata; ma Spinella è
sorpresa quanto lui. Questo Artemis
così stranamente civile, comprensivo a tal punto da non
concepire neppure
rabbia, è per lei incomprensibile come un mistero.
«Posso
almeno manifestare il mio dissenso, Artemis?»
Artemis
sorride appena prendendo a riabbottonarsi la camicia. «Certo
che puoi, amico
mio, e sai quanto stimo la tua opinione. Ma anche stavolta ti chiedo di
fidarti
di me.»
Con
un sospiro profondo, Leale abbassa il
finestrino e rivolge un cenno in direzione della volante della polizia
per
comunicare loro il cambiamento di programma. Prende in direzione
dell’aeroporto
con aria assai contrariata; la volante si adegua ai loro movimenti.
È più per
lui che per Artemis che Spinella si decide a schioccare in direzione
del
Fangosetto una scintilla azzurrina che sprofonda al centro del suo
petto, là
dove il sangue già andava raggrumandosi per formare un
ematoma. Artemis alza
gli occhi su di lei in un moto di stupore.
«L’ho
fatto per Leale» dice Spinella strizzando un occhio in
direzione dello
specchietto. «Per quanto mi riguarda, quel livido te lo
meritavi.»
Il
modo in cui Leale fende il traffico s’è fatto
impercettibilmente più calmo. Le
rivolge uno sguardo di gratitudine attraverso lo specchietto.
«Grazie,
Spinella. Anche se mi fai sentire come una vecchia guardia del corpo
iperprotettiva.»
Artemis
è rimasto senza parole. Si posa le dita sul petto,
là dove le tracce violacee
si sono riassorbite al di sotto della pelle, e rimane in silenzio. La
sua
reazione è talmente inattesa che Spinella ride.
«Che c’è, Fangosetto? Ti eri
dimenticato che effetto fa esser guariti dalla magia?»
«Non
credevo che mi sarebbe accaduto mai più» risponde
Artemis. La sua voce suona di
un accento stranamente sincero. Sorride appena. «Scusami,
Spinella. È solo che
sono passati così tanti anni che non credevo che ti avrei
mai più rivista. Sono
contento che tu sia qui» si affretta ad aggiungere.
«Veramente.»
La
risata che aveva sulle labbra le si gela in cuore. S’era
quasi dimenticata
perché è venuta lì; e Artemis coglie
nei suoi occhi il momento esatto in cui
quel pensiero riaffiora dentro di lei. Si abbottona la camicia chinando
lo
sguardo.
«Devo
presumere che non sia una visita di piacere, questa.»
«Non
sono qui in via ufficiale.» Nello specchietto, Leale ha gli
occhi ormai fissi
sulla strada, come se neppure fosse lì. «Ma mi
manda comunque il Consiglio.
Artemis, questo tunnel… che cosa hai intenzione di
fare?»
«Mi
dispiace, Spinella.» La voce di Artemis è divenuta
incommensurabilmente triste.
«Ma se non mi fossi aggiudicato io questo bando, lo avrebbe
fatto qualcun
altro.»
Quella
speranza vana che Spinella aveva concepito dentro di sé
sprofonda un altro po’
nel suo petto. Rimangono in silenzio per il resto del tragitto fino
all’aeroporto.
Il
jet Lear è pronto a partire. Leale ha confermato i dettagli
del decollo per
telefono, seccamente, in poche parole, mentre guidava; vuole che sia
pronto a
partire per il loro arrivo. Non intende perder tempo inutilmente,
né vuole
trascorrere all’aperto, nel percorso tra
l’automobile e il jet, più secondi
dello stretto necessario a spostare Artemis. Spinella immagina come si
sente:
ha fatto il possibile per proteggere il suo datore di lavoro, ma non ha
evitato
l’inevitabile; e avrebbe potuto non essere vernice di mais.
Il fatto che
Artemis stia bene e che in questo momento sia seduto tranquillo sul
sedile
posteriore della macchina a sorseggiare acqua sorgiva irlandese non
cambia il
fatto che Leale non è stato all’altezza del suo
compito. Spinella vorrebbe
potergli dire qualcosa in grado di lenire la sua frustrazione, ma sa
che parole
che parlino alla sua delusione, in questo momento, non ne esistono.
Nessuno
le chiede se salirà sul jet con loro; lo danno per scontato,
e Spinella,
semplicemente, si scherma e sale con loro. Non ha fatto tutta questa
strada per
accontentarsi di sentirsi dire che se quel bando non l’avesse
vinto lui,
sarebbe stato qualcun altro; e poi, non saprebbe dove altro andare,
adesso.
Malgrado
l’adrenalina e l’agitazione della giornata, Artemis
si appisola sull’aereo
quasi subito. È pallido di stanchezza. Quando dorme
così, col capo reclinato
contro il sedile, sembra più giovane di quanto non sia,
forse di quanto sia mai
sembrato; Spinella non è neppure sicura d’averlo
mai visto dormire. È fragile
come un ragazzo. La vernice blu accentua il grigiore delle sue
occhiaie, il
pallore delle sue guance: Spinella lo scruta con più
dolcezza di quella che
avrebbe voluto; eppure Artemis sta progettando di distruggere
l’intero mondo
che lei conosce, la terra della sua gente. Perché non riesce
a odiarlo come una
volta, come quando l’ha rapita e legata e drogata –
forse è perché lo ha
conosciuto meglio, dopo di allora, e nonostante tutto ancora non riesce
a
credere che lui voglia far questo?
Leale
si affaccia per un istante sulla soglia della cabina di pilotaggio. Ha
già
aperto la bocca per chiedere qualcosa, ma la domanda gli muore sulle
labbra
quando si accorge che Artemis sta dormendo. Rimane interdetto per un
attimo.
«Devi
scusarlo, Spinella. Non è che non sia contento di
vederti… ma sono quattro
giorni che non dorme, per preparare questo incontro. Alla fine il suo
corpo ha
ceduto.»
Spinella
si massaggia stancamente le braccia. «Credevo che avesse
fondato una piccola
azienda. Che avesse dei collaboratori con cui dividere il
lavoro.»
Il
sorriso di Leale si tinge di una punta d’ironia.
«Credi davvero che Artemis
cederebbe la pianificazione ad altri?»
«Dunque
niente Nea
Atlantis?»
«No,
questo no. La startup esiste davvero, ovviamente» risponde
Leale. «Ma Artemis
si è limitato ad assumere qualche ragazzo appena uscito dal
dottorato e a
metterlo a fare ricerca. Della progettazione si occupa lui,
però è un buon modo
per far fare curriculum a dei giovani ricercatori. E fa ottenere anche
degli
sgravi fiscali» conclude.
Spinella
non risponde niente per un po’. Si limita a osservare questo
ragazzo che s’è
appisolato con la guancia contro il pugno chiuso, in silenzio, e pensa.
«Dunque
è diventato un bravo Fangosetto. Uno che dà
lavoro agli affamati e ai
neolaureati, insomma.»
Leale
sorride appena. «Non sto dicendo che sia diventato un santo.
Ma ha fatto del
suo meglio, Spinella. Davvero. Ha sbagliato, qualche volta, ma ci ha
provato in
ogni modo a diventare migliore. E in gran parte è stato
merito tuo.»
D’improvviso
Spinella si sente a disagio, colpita come se fosse stata colta in
fallo.
Distoglie lo sguardo da lui, e Leale sembra comprenderne il motivo
senza
bisogno di parole. Sembra indeciso per un po’ su cosa dirle.
«Non
devi fartene una colpa, sai. Lui non l’ha mai
fatto.»
«Una
colpa di che cosa?» chiede Spinella; ma in fin dei conti lo
sa già, e quando lo
guarda è per cercare nei suoi occhi una conferma a quanto le
ha appena detto:
che di averlo ignorato per dieci anni, Artemis non gliene ha fatta una
colpa
mai.
Leale
sorride di un sorriso stanco. Non le risponde direttamente.
«È stato tanto
solo, sai, in certi momenti. Penso di poter dire che fosse il ragazzo
più solo
che abbia mai conosciuto… ma credo che lo consolasse sapere
che tu esistevi da
qualche parte. Che forse per la prima volta non saresti stata tanto
delusa da
lui, per quello che stava cercando di fare.»
Il
suo cuore sprofonda un po’ di più, se ancora ci
sono profondità alle quali può
inabissarsi. Crede alle parole di Leale come crederebbe alle sue
proprie
parole; ma proprio questo le causa un grande dolore.
«Allora
perché sta facendo questo alla mia gente?»
Artemis
si riscuote dal sonno bruscamente proprio quando Leale sta per
risponderle. La
presa di coscienza d’essersi addormentato gli dipinge in
volto un’espressione
colpevole, e cerca il suo sguardo con occhi colmi di preoccupazione.
Vederla lo
rassicura. «Scusami, Spinella. Avremmo dovuto
parlare… ma non te ne andrai via
subito, no? Verrai con noi a casa Fowl. Resterai qualche ora. Abbiamo
tanto di
cui parlare.»
Le
aleggia sulle labbra uno spettro del suo antico, sferzante sarcasmo.
«Sicuro,
Artemis. Così, già che sono lì, posso
prendere un caffè col tuo papà. È
tanto
che non ci vediamo.»
«Oh,
i miei non abitano più in Irlanda» risponde
Artemis con noncuranza. «Per quello
non devi preoccuparti. Si sono trasferiti in Italia da qualche anno.
Mia madre
voleva che i miei fratellini studiassero a Prato, nello stesso collegio
che ha
frequentato lei.»
Non
sapeva neppure che Artemis avesse dei fratelli. Si sente d’un
tratto
immensamente triste. Ha lasciato passare così tanto tempo, e
ora ha la
sensazione che la vita di Artemis sia scorsa troppo veloce e rapida per
tenerne
conto, distante dalla sua, e ora sia per lei lontanissima e
irraggiungibile.
Casa
Fowl emerge dalla nebbia, scura e massiccia come la schiena di un
gigante
addormentato. Spinella ha uno strano tuffo al cuore nel rivederla
– l’ultima
volta che l’ha vista è stata ai tempi di Spiro e
del furto del Cubo. Tempi in
cui la vita era più strana e più bella,
imprevedibile, e lei si gettava in volo
col vento tra i capelli e una sfida per le mani – ma quel
tempo è finito, ora.
La sua vita ora è un noioso lavoro che non è mai
davvero decollato e che non le
ha dato la soddisfazione che da esso si sarebbe aspettata e dal quale
è troppo
orgogliosa per tirarsi indietro.
Leale
li scorta dentro dopo aver disinserito una complessa serie di sistemi
di
sicurezza ed essersi accertato che all’interno sia tutto a
posto. Sulla soglia,
Artemis tiene aperta la porta per lei, mormorando:
«Accomodati, Spinella. Ti
prego, fai come se fossi a casa tua.»
È
l’invito a entrare in una casa umana più galante
che abbia mai ricevuto. Perché
non si monti troppo la testa Spinella gli tira una pacca sul braccio
proteso.
«Lo sai, vero, che tecnicamente è ancora valido
l’invito di quando mi hai
rapita?»
Artemis
non dice nulla, ma Spinella ha la sensazione che sia diventato un
po’ più
pallido d’improvviso. Si pente quasi d’avergli
detto così – era un ragazzino,
all’epoca. Non è che questo lo giustifichi; ma
l’adulto che ha di fronte oggi è
un’altra persona rispetto al ragazzo d’allora.
Distoglie lo sguardo, e Artemis
si affretta a voltarsi verso Leale per fare il punto della situazione.
«Grazie,
Leale. Credo che vada tutto bene. Penso che tu possa prenderti la
serata libera
per stasera, se sei d’accordo.»
Leale
avrebbe trovato meno insultante l’idea d’esser
licenziato, e forse anche meno
spaventosa; perché se fosse stato licenziato, quantomeno ora
avrebbe la
ragionevole certezza che a prendersi cura di Artemis ci sarebbe
un’altra
guardia del corpo; ma prendersi la serata libera equivale a dire
soltanto che
il suo datore di lavoro rimarrà solo. Questo è il
peggiore incubo che Leale
abbia sognato negli ultimi venticinque anni e che è
finalmente divenuto realtà.
Rimane immobile al centro dell’ingresso a cercare le parole
migliori per
esprimere il suo disappunto.
«Scusami,
Artemis, ma non è una buona idea.»
«Sarò
qui con Spinella, Leale» risponde Artemis semplicemente,
accennando in
direzione della Neutrino che le pende dal fianco. «Sono quasi
sicuro che le non
mi lascerebbe accadere nulla di male in tua assenza.»
Leale
guarda verso di lei con l’espressione più simile
al panico che Spinella gli
abbia mai visto negli occhi; ma lei si limita a stringersi nelle spalle
con
aria innocente. In queste loro diatribe da vecchia coppia di sposi non
ha
intenzione di entrarci.
A
un ordine diretto Leale non potrebbe disobbedire, ma probabilmente di
veri e
propri ordini Artemis non gliene impartisce ormai da anni,
perché i rapporti
tra di loro si sono fatti fraterni e troppo informali perché
ancora vi sia
spazio per gli ordini; e alla fine Leale cede alla sola
volontà di Artemis.
«Come
vuoi, Artemis. Sarò comunque a portata di telefono per tutta
la sera»
puntualizza, perché probabilmente la sola idea di non essere
raggiungibile per
il suo protetto nel malaugurato – ma non impossibile
– caso che debba trovarsi
in pericolo nella sicurezza di casa propria corrisponde, nella sua
mente, alla
rappresentazione sulla terra dell’inferno.
«Spinella, so che non sei in
servizio, ma posso contare su di te? Sarò a meno di un
chilometro di distanza.»
A
Spinella piacerebbe poter credere che Leale approfitterà
della serata libera
per andare a svagarsi al pub, ma ha la sensazione che non
sarà così.
Probabilmente la serata di Leale trascorrerà in palestra a
lavorare sui
pettorali. «Come no, Leale. Lo terrò al sicuro
dagli spigoli dei mobili e dai
rapitori che potrebbero entrare sparando all’impazzata.
Immagino che entrambi i
rischi ti sembrino egualmente probabili per un venerdì
sera.»
Quando
Leale li lascia, con profondo rammarico, Artemis congiunge le mani in
gesto di
preghiera. «Ti chiedo scusa, Spinella. Ti ho promesso che
avremmo parlato e ti
giuro che avremo tutta la notte per parlare, ma ti prego di voler
pazientare
ancora qualche minuto. Ho un disperato bisogno di farmi una doccia e
seppellire
questo povero Armani. Mi perdonerai?»
«Ti
ho perdonato ben altro» risponde Spinella. «E poi,
questa volta, ti ho fatto
una visita a sorpresa. Fai pure quello che devi.»
«Grazie.
Puoi aspettarmi nel mio studio, se vuoi. È
quello…»
«Lo
so qual è. Quello dove ti ho tirato un pugno in
faccia.»
Artemis
rimane interdetto per un istante. Evidentemente aveva rimosso quel
dettaglio.
«Giusto. Lo conosci già.»
Spinella
si prende tutto il tempo per raggiungere lo studio. Cammina per i
corridoi
silenti come se fosse in un museo che questa notte ha aperto solo per
lei: i
ricordi l’assalgono con dolorosa sollecitudine. La scrutano
dalle pareti i Fowl
torvi, assorti, incupiti, gli antenati di Artemis; ricorda di aver
pensato di
bruciarli con la Neutrino, tanti anni fa, quando… era
così giovane, allora, e
si sentiva così viva. Perché non può
essere ancora così? Eppure sono passati
solo dieci anni, non è poi stato così tanto tempo
fa: se solo allungasse la
mano all’indietro nel tempo, nella se stessa del passato, non
potrebbe
ritrovare quella parte di sé luminosa e combattiva,
così felice di vivere, e
trascinarla nel presente? Non è passato poi così
tanto tempo perché debba
averla perduta per sempre; allora perché non riesce
più a sentirla dentro di
sé, a convincersi che la vita può ancora essere
bella?
Artemis
la raggiunge nello studio dopo quindici minuti esatti, proprio come
aveva
promesso, coi capelli ancora umidi. È vestito di quella che
deve essere la sua
dimessa eleganza casalinga, che consiste nell’ennesimo
completo scuro su
misura, ma almeno senza cravatta, e si sofferma sulla soglia a
guardarla
sorridendo appoggiato allo stipite.
«Levati
quel sorriso dalla faccia, Fangosetto. Non siamo qui per un
appuntamento
galante. Penso di aver diritto a qualche spiegazione.»
«So
che sei arrabbiata con me» risponde Artemis. Non smette di
sorridere neppure
ora. «Ti giuro che ti spiegherò. È solo
che sono così felice di vederti.»
La
sua felicità le brucia in petto come una lama arroventata;
eppure non le sta
rinfacciando di essere scomparsa dalla sua vita, di non essersi
più fatta
vedere né sentire per dieci anni. È solo
genuinamente contento – allora perché,
continua a ripetere quella voce dentro la sua testa che grida tra le
sue
orecchie per farsi ascoltare, perché vuole distruggere la
sua gente?
«Bene»
risponde ad alta voce, per parlare più forte delle grida
dentro di lei.
«Allora, spiegami. Cos’è questa storia
del tunnel?»
Un
computer prende a suonare dell’inconfondibile squillo di un
programma di
videochiamate nel medesimo istante in cui Artemis apre la bocca per
rispondere.
S’interrompe per un momento per gettare uno sguardo allo
schermo, dove ora
campeggia la foto della persona che lo sta chiamando, poi si schiarisce
la voce
e riprende: «Non importa. Risponderò dopo.
Dov’eravamo…»
«Aspetta
un momento» lo interrompe Spinella guardando la foto. Ha
curato lei una parte
di quelle cicatrici, e a uno di quegli occhi azzurri,
dell’identico colore di
quelli di Artemis, ha persino ridato la vista. «È
tuo padre. Non puoi ignorarlo
così.»
«Non
importa. Richiamerà. Ti sto tenendo in sospeso da Bruxelles.
Hai diritto di
capire.»
Spinella
sa quanto Artemis tenga alla sua famiglia. Proprio per questo il suo
gesto la
intenerisce profondamente. «Artemis… a
quest’ora ti avranno visto venir colpito
da quell’attivista su tutti i telegiornali. Vorranno sapere
se stai bene.
Rispondi. Avremo tempo dopo.»
Alla
sua ragionevole insistenza, e agli squilli che si susseguono insistenti
uno
dopo l’altro, Artemis finisce per cedere. I suoi occhi sono
colmi di
gratitudine. «Va bene. Grazie, Spinella, davvero. Puoi
restare qui» aggiunge
accennando al divano. «Da quest’angolazione non
possono vederti. Cercherò di
metterci il meno possibile.»
Spinella
rimane sul divano, ma si scherma ugualmente, per buona misura.
Effettivamente
dall’angolazione in cui è disposto il computer
dovrebbe essere impossibile
vederla, ma non ha intenzione di correre il minimo rischio. Non che, se
il
piano di Artemis andrà a buon fine, questo abbia ormai
più significato.
Artemis
si accomoda davanti al computer e accetta la chiamata. Lo schermo si
riempie di
due volti vicini: quello di Artemis Fowl Senior e quello di una
splendida donna
dai lunghi capelli corvini. È la prima volta che Spinella
vede di persona la
mamma di Artemis, anche se ha la sensazione di conoscerla
già. I suoi occhi
sono colmi di preoccupazione.
«Arty!
Abbiamo visto il telegiornale. Stai bene?»
È
difficile persino distinguere chi dei due abbia detto cosa. Artemis si
affretta
ad alzare entrambe le mani per cercare di calmarli. «Mamma,
papà… è tutto a
posto. Sto bene. Vedete? Sono già a casa. Non mi sono fatto
niente.»
«Come
fai a essere già a casa? Non sei andato in
ospedale?» protesta Angeline.
«Per
che cosa? Non ho neanche un livido.»
«Avresti
dovuto andarci ugualmente» lo ammonisce suo padre.
«Ho parlato con gli avvocati.
Hanno detto…»
«Papà»
lo interrompe Artemis. «Ti ringrazio, ma non intendo agire in
alcun modo contro
quella ragazza. È solo un’attivista che lotta per
il suo pianeta.»
Fowl
senior sembra cercare le parole adatte per un po’.
«Questo ti fa onore,
Artemis, ma quello che è successo è molto grave.
Quella ragazza avrebbe potuto
ferirti, o peggio.»
«Ma
non voleva ferirmi. Voleva manifestare contro di me, altrimenti avrebbe
usato
qualcosa di diverso dalla vernice» ribatte Artemis. Sospira
profondamente,
massaggiandosi gli occhi per un istante. «Sai per caso che
cosa le hanno
fatto?»
Suo
padre si stringe nelle spalle. «Gli avvocati hanno detto che
è in stato di
fermo, ma ormai è stato un paio d’ore fa. Immagino
che avremo altri
aggiornamenti entro domattina.»
«Va
bene.» Artemis passa in rassegna rapidamente varie ipotesi
nella sua mente.
«Domattina farò qualche telefonata e
vedrò cosa posso fare per lei. Chiamerò
l’addetta stampa e le chiederò di rilasciare un
comunicato per dichiarare che
non intendo sporgere querela e che Nea Atlantis condivide le posizioni
degli attivisti sul cambiamento climatico. Mi consulterò
prima con gli altri
ragazzi della startup, ma credo che anche loro saranno
d’accordo con me.»
«È
una cosa molto nobile, Arty» dice Angeline dolcemente. La sua
voce vibra di una
profonda tenerezza. È veramente fiera di lui. «Tu
stai bene? Non ti abbiamo
nemmeno chiesto com’è andato
l’incontro.»
«Cosa?»
Artemis pare riscuotersi come da un sogno. «Oh…
bene, direi. Uno dei soliti
incontri ufficiali, sai. Niente di che.»
«Artemis»
insiste Angeline a bassa voce. Lo scruta per quello che è
possibile attraverso
lo schermo. «Va tutto bene?»
«Certo,
certo. È solo…» Artemis inspira
lasciandosi andare contro lo schienale della
sedia. «Non lo so. A volte penso a cosa succederebbe se
fallissi.»
Spinella
s’accorge d’essersi protesa in avanti sul divano.
È una fortuna che
dall’angolazione del computer i genitori di Artemis non
possano vederla, perché
altrimenti avrebbero visto qualcosa d’invisibile, come uno
sfarfallio,
schiacciare i cuscini del divano. È la prima volta che sente
Artemis esprimere
un dubbio su un proprio piano, su se stesso, sul suo genio infallibile
e
costante.
«Sei
solo stanco, Arty» gli risponde suo padre. «Non
farti condizionare da quello
che è successo oggi. Stai facendo qualcosa di mai tentato
prima. Concentrati su
questo.»
Artemis
si sforza di sorridere, ma per qualche motivo il sorriso non sembra
estendersi
ai suoi occhi. Nella luce azzurrina dello schermo, le rughe sottili che
li
circondano sembrano farsi più accentuate e profonde; in
momenti come questi
sembra molto più vecchio di quanto non sia. Questo Artemis
così dilaniato,
dubbioso, Spinella non ricorda d’averlo mai visto.
«Hai ragione, papà. Sono
pensieri sciocchi. Non parliamone più. Voi come
state?»
«Sei
sicuro che non ci sia altro che vuoi dirci, Artemis?» insiste
Angeline. «Mi
sembri strano. C’è qualcosa che non va?»
Artemis
scuote la testa. «Ha ragione papà, mamma. Sono
solo un po’ stanco. Possiamo
sentirci domani?»
«Artemis.»
Gli occhi di Angeline sembrano sondare la stanza alle sue spalle per
quanto
possibile attraverso la telecamera. «Non è che per
caso sei in compagnia di una
persona speciale e non ce lo vuoi dire?»
Spinella
non ricorda d’aver mai visto Artemis Fowl arrossire. Non
è un bello spettacolo.
Diventa rosso a chiazze su tutto il viso, sulle orecchie, sul collo,
persino
sulla nuca, ed esclama: «Mamma! Come ti viene in
mente?»
Artemis
Fowl Senior ha tutta l’aria di qualcuno che preferirebbe
assistere a qualsiasi
altra conversazione che quella, e sembra che intenda adottare una
strana
tattica basata sul fingere di non essere al fianco di sua moglie in
quel
momento.
«Sto
solo dicendo che ci farebbe piacere» si affretta a
specificare Angeline. «Sai
che per noi andrebbe bene in ogni caso, vero? Anche se non fosse una
ragazza,
voglio dire. Vero, Timmy?»
Le
guance di Artemis, che erano quasi tornate del loro consueto insalubre
pallore,
tornano a ricoprirsi di chiazze, mentre suo padre, sentendosi chiamato
in causa
mormora: «Angeline, ti prego…è stato
appena aggredito. Lasciamolo stare.»
«Grazie
del tuo sostegno, mamma» si sforza di dire Artemis.
«Ma non ce n’è bisogno.
Davvero.»
«Sto
solo dicendo» riprende Angeline con voce bassa, ancora
sorprendentemente dolce,
e Spinella prova la fortissima sensazione che non dovrebbe essere
presente a
questa conversazione, ma che ormai sia troppo tardi per tirarsene
indietro.
«Che a noi andrebbe bene chiunque tu voglia frequentare,
davvero. Che sia una
ragazza o un ragazzo o…»
«O
un troll» suggerisce Artemis ridendo appena, per spezzare la
tensione e la
solennità greve del momento. Sta scherzando, sebbene
Spinella non possa fare a
meno di rabbrividirne ugualmente d’orrore, e i suoi genitori
ridono entrambi.
«O
un troll, certo» ripete sua madre sorridendo; ha gli occhi
pieni di dolcezza.
«O
un’elfa» suggerisce Artemis infine.
Spinella
si sente sprofondare; vorrebbe che il divano la inglobasse, scomparire,
ed è
lieta di essere schermata e che nessuno possa vederla avvampare,
nemmeno
Artemis, nemmeno lei stessa; e se nessuno la vede, poi potrà
negare a se stessa
che sia mai avvenuto.
È
evidente che Artemis stava proseguendo lo scherzo sullo stesso tono di
prima,
ma per qualche motivo per Angeline quest’evidenza non appare
chiaramente come
per lei. La parola elfa sembra far scattare
qualcosa di misterioso nella
sua testa, perché d’improvviso il suo volto si
trasfigura, e lei esclama:
«Quindi quelle voci su te e Liv Tyler erano vere!»
Le
sue parole scatenano due reazioni piuttosto diverse e contrastanti tra
loro. La
prima appartiene ad Artemis Fowl Senior, che chiede: «Chi
è Liv Tyler?». La
seconda invece appartiene ad Artemis Fowl Junior, che esclama:
«Ci sono voci su
me e Liv Tyler?»
«L’ho
letto su una rivista da Helena» insiste Angeline.
«Dopo quella serata di
beneficenza per l’Unicef l’anno scorso. Non ti ho
chiesto niente perché… Artemis,
è vero?»
«Mamma.»
Artemis parla con voce calma, chiara, con una punta appena
d’ironia. «Ti
prometto che, se mai dovessi fidanzarmi con Liv Tyler, sarai la prima a
saperlo. Ma sono alquanto certo che abbia almeno una decina
d’anni più di me e
anche un figlio. Ti giuro che non sto frequentando nessuna persona al
momento. Mi credi?»
Non
è che Angeline sembri tanto convinta dalla sua versione;
semplicemente non sa
come indagare oltre. Suo marito le posa gentilmente una mano sul
braccio. «Il
ragazzo è esausto, Angeline. Lasciamolo stare. Arty, sei al
sicuro adesso?
Leale è con te?»
«Certo,
papà. Sta preparando la cena.» La disinvoltura con
cui Artemis mente la lascia
sempre interdetta: se Spinella non fosse certa che Leale in questo
momento si
trova su una panca per addominali, quasi gli crederebbe.
«Allora ci sentiamo
domani, va bene? Abbracciate i ragazzi da parte mia.»
I
suoi genitori lo salutano e riappendono, non si sa bene se rassicurati
oppure
no. Artemis rimane in silenzio per un po’ a guardare lo
schermo vuoto del
computer con aria estremamente stanca.
«Sono
mortificato, Spinella» dice dopo un po’.
«Non pensavo che la conversazione
avrebbe preso questa piega.»
Spinella
avrebbe voglia di irriderlo in un centinaio di modi diversi; ma non sa
come
cominciare. Spegne lo schermo. Artemis spalanca le braccia, mostrandole
il
petto come se vi fosse un bersaglio dipinto sopra, e dice:
«Avanti. Spara.»
Spinella
pesca a caso dalla decina di battute ironiche che le salgono tutte
insieme alle
labbra. «Liv Tyler, eh?»
Artemis
si acciglia per un momento. «Questo è un mistero
anche per me. Non ho idea di
dove mia madre possa aver letto una cosa del genere, anche
perché sono
abbastanza sicuro che non ci abbiano mai fotografato insieme. Era a una
serata
di gala dell’Unicef, effettivamente, ma non ci hanno neppure
presentati,
perciò…»
L’idea
che Artemis perda tempo a cercare di giustificarsi le strappa un
sorriso. «Ma
perché tua madre ha pensato a lei quando hai pronunciato la
parola elfa?»
«Beh,
perché…» D’improvviso cambia
qualcosa negli occhi di Artemis che si spalancano
come per un’epifania. Si alza lentamente dalla scrivania.
«Aspetta un attimo. Tu
non lo sai.»
Normalmente
Artemis non è tipo a cui piaccia sottolineare
l’ovvio. Spinella aggrotta la
fronte. «Già, Artemis… è
proprio questo il punto quando si fa una domanda. Te
l’ho chiesto perché non lo so.»
Artemis
solleva il polso. Rimane a guardare
l’orologio in silenzio per un istante, come indeciso tra due
opposti partiti,
prima di alzare gli occhi su di lei. «Ce le hai tre ore e
mezza?»
Artemis
riemerge dalla cucina portando cautamente in bilico una pizza
già spicchiata, una
gargantuesca ciotola di pop-corn e una bottiglia con due calici.
«L’ultima
volta che ti ho visto, non sapevi neanche fare un panino»
osserva Spinella con
una certa preoccupazione.
«La
pizza era surgelata» specifica Artemis come se dovesse
discolparsi da qualcosa.
«Andava solo messa in forno.»
«Meglio
così. La cosa mi tranquillizza.»
Artemis
sistema il cibo sul tavolino, dopodiché sfila dalla tasca
della giacca, con la
grazia di un consumato maitre da ristorante stellato,
un cavatappi, e le
porge un calice. Spinella lo prende con viva perplessità tra
due dita.
«Artemis,
posso ricordarti che…»
Artemis
si limita a mostrarle l’etichetta della bottiglia come
farebbe un sommelier
per
ricevere la sua approvazione prima di stapparla.
C’è scritto: Tenute Fowl.
Vino dealcolato biologico e biodinamico.
Spinella
alza gli occhi su di lui. «Dealcolato?»
«Totalmente
privo di alcol» spiega Artemis. «Abbiamo trovato un
agronomo e un’enologa
veramente in gamba e siamo riusciti a impiantare dei buoni vigneti
Rondo sulle
colline a nord della tenuta. A quanto pare, un monastero vicino
produceva vino
già in antichità, perciò sono riuscito
a convincere mio padre a fare un
tentativo. Siamo già al terzo anno di produzione con buoni
risultati.»
«Anche
il vino senz’alcol è una tradizione monastica
irlandese?»
Artemis
sorride del suo sorriso da vampiro. «Questa è
un’innovazione di Artemis Fowl
II, naturalmente. A mio padre l’ho fatta passare come
un’idea per aprire il
mercato anche a coloro che non possono bere per motivi religiosi o di
salute, e
devo dire che ha funzionato anche su quella fetta di clienti. Ma la
verità è
che ho sempre pensato che se mai avessi incontrato di nuovo qualcuno
del Popolo
sulla mia strada, sarebbe stato scortese non avere niente da offrirgli
da
bere.»
Spinella
assaggia il vino sforzandosi di non pensare né al fatto che
questo è uno dei
soliti piani di Artemis Fowl che potrebbe farle perdere la sua magia
né al
fatto che Artemis ha impiantato un vigneto per produrre un vino che lei
possa
bere. Manda giù il primo sorso quasi con terrore; ma non
accade niente. La sua
magia sta benone, decide dopo qualche momento, il che significa che il
vino è
realmente del tutto privo della minima traccia di alcol;
però è anche quanto di
più simile alla sciacquatura di piatti all’aroma
di uva abbia mai assaggiato.
Posa il calice sul tavolino facendo finta di niente. L’acqua
andrà benissimo
anche stasera come tutte le sere della sua vita, anche se la sensazione
di aver
provato qualcosa di nuovo le lascia un pizzicore piacevole sulla punta
delle
dita.
«Posso
far partire il film?» chiede Artemis sollevando il
telecomando del lettore 4K.
Ora,
non è che Il Signore degli Anelli sia del tutto sconosciuto
per il
Popolo. Copie pirata di questo film, ovviamente, sono circolate anche a
Cantuccio, e Spinella è quasi sicura che Brucolo Algonzo se
ne sia procurata
una, qualche anno fa; ma non è un film che sia andato tanto
per la maggiore, in
verità. La rappresentazione degli elfi come creature alte,
bionde ed eteree ha
fatto sorridere per qualche mese, ma niente di più, e da
qualcuno è stata
giudicata anche profondamente razzista e insultante; di certo nessuno,
tranne
forse Polledro, che essendo un centauro non si sentiva chiamato in
causa, s’è
dato pena di imparare i nomi degli attori, e la faccenda si
è comunque
sgonfiata molto rapidamente dopo l’uscita
dell’ultimo film della trilogia.
Perciò questa è la prima volta che Spinella ha
occasione di vedere La Compagnia
dell’Anello.
Non
è poi tanto male. Una volta che si affievolisce
la stranezza di veder considerati elfi quelli che sono
palesemente Fangosi
con le orecchie a punta, e che le passa la prima ridarella, tutto
sommato è un
bel film, e a un tratto Spinella si sorprende a mangiare distrattamente
fette
di pizza seguendone anche la trama. Ogni tanto, con la coda
dell’occhio,
s’accorge che Artemis la guarda dall’altro lato del
divano, separato da lei da
un’enorme vasca di pop-corn. Forse dovrebbe sentirsi a
disagio; ma la verità è
che le sembra che non sia cambiato nulla da dieci anni fa, per stasera,
solo
questa sera. Lo lascia fare. Avrà tempo più
tardi, domani, dopodomani, di
ripensarci e dire a se stessa che è stato strano e
inappropriato – per adesso
le va bene mangiare pizza e guardare un film come se fosse con un amico
perduto
da troppo tempo.
Si
appisola durante gli ultimi minuti di film. Il
viaggio da Cantuccio l’ha sballottata troppo, e forse la
giornata è stata
troppo densa e ricca di avventimenti; forse non saprà mai
che fine ha fatto il
piccoletto moro cogli occhi grandi che è l’unico a
sembrare non proprio un
elfo, ma quantomeno un folletto, di tutti gli attori che hanno scelto.
Si
riscuote d’un tratto sui titoli di coda e si stropiccia gli
occhi come una
bambina prima di ricordarsi che ha le mani unte del burro dei pop-corn.
«L’attrice
alta e mora, quindi» borbotta
raddrizzandosi sul divano.
«Già.»
«Troppo
carina per te, Fangosetto. E anche troppo
alta. Mi dispiace.»
Artemis
si stringe nelle spalle. «Speriamo che mia
madre se ne faccia una ragione.»
Spinella
si stira sul divano. Ha le gambe
informicolite per esser stata seduta troppo a lungo in una posizione
sbagliata.
«Com’è che i tuoi hanno aspettato fino a
oggi per farti il discorsetto sulla
sessualità? Un po’ tardino per parlarti di api e
fiori. A questo punto potevano
aspettare il tuo pensionamento.»
Artemis
scrolla le spalle. «Presumo perché non ho
mai presentato nessuna ragazza a casa, nemmeno quando frequentavo
l’Università.
A volte mia madre si preoccupa perché pensa che…
non so. Che io sia troppo solo,
penso. O che non voglia confessarle qualcosa di me.»
«Ed
è come pensa lei?»
Artemis
sorride. «Quale delle due?»
«Non
lo so. Quale delle due?»
Artemis
concede a se stesso persino qualche secondo
per vagliare seriamente entrambe le alternative. Questo, per come la
vede Spinella,
è uno dei suoi rari abissi di sincerità e
introspezione. «La seconda sarà
sempre vera, in un certo senso. Ma solo no, non direi. Non adesso,
comunque.»
È
stato tanto solo, sai, grida dentro
di lei quell’accusa continua, che in questo momento parla con
la voce di Leale
ed echeggia le parole che le ha detto sull’aereo, qualche ora
fa, forse una
vita fa; Spinella guarda fisso davanti a sé, con la bocca
improvvisamente
asciutta, e dice: «Artemis… mi dispiace di non
essermi mai fatta sentire in
questi dieci anni.»
Sarebbe
più semplice se adesso Artemis parlasse, se
la interrompesse; se prendesse la parola, in questo spazio di tempo che
Spinella ha frapposto tra le proprie parole, per dirle che non importa,
che non
c’è bisogno che si scusi, che… ma
Artemis si limita ad ascoltare, e allora lei
è costretta a continuare. «Ci ho pensato, qualche
volta. Ma la verità è che,
per come sono andate le nostre vite dopo quel giorno…non
avrei avuto nulla da
dirti né da chiederti.»
Artemis
aspetta un po’, per accertarsi che lei
abbia proprio finito di parlare, e mormora: «Lo immaginavo.
Ma grazie di averlo
detto.»
«Comunque
avresti potuto farti vivo anche tu»
aggiunge Spinella scherzando, per spezzare quella tensione che si sta
facendo
troppo carica di dolore e rimpianto. Artemis non ride, però.
«Ci
ho pensato davvero, sai, qualche volta. Ma…»
«Ma?»
«Ma
senza il mio genio e i miei piani criminali,
ero un ragazzino come un altro» risponde Artemis
semplicemente. «Neanche io
avevo niente da raccontarti, forse. Che potevo fare? Cercare di
contattarti per
dirti cosa? Che mi diplomavo, che mi laureavo, che andavo al primo
ballo della
scuola? A un tratto ho realizzato che l’unica cosa che mi
aveva unito a te era
la mia attività criminale, e che ora che mi stavo sforzando
di restare sulla
retta via saremmo stati destinati a non vederci mai più; ma
ho continuato
comunque, perché…»
D’un
tratto la risposta a quel perché le pare
importante, fondamentale, come se fosse la chiave di tutto, e fosse
raggiungibile, a portata di mano e finalmente tangibile, concreta:
Spinella si
volta verso di lui e domanda: «Perché,
Artemis?»
«Perché
ho continuato a ripetere a me stesso che se
fossi tornato quello di un tempo, allora ti avrei delusa per
l’ultima volta»
mormora Artemis guardandola negli occhi. «E non volevo
correre un simile
rischio.»
I suoi
occhi sono rimasti dello stesso azzurro
doloroso, intenso, che Spinella ricorda ancora da dieci anni prima;
sono
tremendamente sinceri, adesso; ma proprio questo le fa provare un
grande
dolore. «Allora perché stai facendo questo alla
mia gente?»
Artemis
sorride con una certa amarezza distogliendo
lo sguardo da lei. Rimane a fissare le proprie mani per un
po’. «Posso farti
notare che sei qui da sola con me?»
Spinella
agita una mano come per scacciare quel
pensiero privo di significato. «Che c’entra? Anche
tu sei qui da solo con me.
Che cosa significa questo?»
«Appunto.
E tu sei armata fino agli occhi. Il fatto
che io abbia comunque congedato Leale non ti dice niente?»
Spinella
non trova dentro di sé nessuna risposta
plausibile per quella domanda. Rimane a fissarlo senza dire niente.
«Ho
congedato Leale perché so che non mi faresti
mai del male, Spinella, e perché non permetteresti mai che
me ne accada, se è
in tuo potere evitarlo. E io credo che tu abbia accettato di restare
sola con
me per tutto questo tempo perché nonostante tutto ti fidi di
me ancora a
sufficienza da pensare che neanche io ti farei mai del male. Mi
sbaglio?»
Spinella
scuote lentamente la testa. Non è in grado
di articolare alcun pensiero, tantomeno parole: le gira quasi la testa.
Artemis
la guarda sospirando profondamente. È enormemente stanco.
«L’unico
modo per non
trovare
qualcosa in nessun modo, nemmeno per sbaglio, è sapere
benissimo dove si trova
e cercare da tutt’altra parte. Spinella, chiunque si fosse
aggiudicato quel
bando dell’Unione Europea avrebbe potuto trovare Cantuccio o
Atlantide in modo
del tutto accidentale. L’unico modo per essere sicuro di non
rivelare mai la
vostra civiltà era aggiudicarmelo io e scavare esattamente
dove so
che non
si
trova niente. Adesso capisci?»
Ora la
testa le gira davvero, tutti i pezzi si
stanno rimettendo insieme, girando a una velocità vorticosa
nella sua mente.
«Non hai mai voluto rivelare l’esistenza del
Popolo.»
«Non
credevo di dovertelo dimostrare ancora»
risponde Artemis pazientemente. «Comunque, no. Tantomeno
ora.»
«Quando
hai detto a tuo padre che hai paura di
fallire, stavi mentendo.»
Artemis
abbassa gli occhi. «Non è che questo mi
piaccia, ma non ho altra scelta. Faremo partire gli scavi ed eseguiremo
importanti carotaggi e analisi sulla crosta terrestre, ma poi
è essenziale che
il progetto finisca per naufragare, in modo tale che a poco a poco
perdano
interesse su questa tipologia di studi e tutto finisca nel
dimenticatoio. Il
rischio, altrimenti, è che vengano lanciate altre iniziative
del genere. Dopo
il fallimento di Zito, pensavo che non ce ne sarebbero più
state per decenni,
ma mi sbagliavo. All’Unione Europea il suo progetto ha fatto
gola.»
«E
questo come intendi farlo accadere?»
Artemis
tace per un momento. «Boicottaggi.»
Spinella
impiega qualche istante a comprendere il
senso di quello che Artemis intende dire. «Vuoi boicottare il
tuo stesso
progetto?»
«Certo.
Chi pensi che finanzi gli attivisti per il
clima?»
«Quindi
anche la ragazza che ti ha aggredito lavora
per te?»
Artemis
si sforza almeno di assumere un’aria
colpevole. Non che gli riesca molto bene. «A sua discolpa,
lei non lo sa. È in
buona fede. Il suo gruppo pensa di essere finanziato da un membro
minore della
famiglia reale danese che per ovvi motivi preferisce rimanere
anonimo.»
«Leale
lo sa?»
L’aria
colpevole di Artemis si fa autentica, ora, e
la sicurezza nei suoi occhi vacilla per un istante. «Non di
oggi. È solo che
non avrebbe approvato che io corressi il minimo rischio, anche solo per
finta»
si affretta a specificare. «E poi, non ero sicuro che
sarebbero riusciti ad
arrivare fino a me. L’avrei messo in allarme per
niente.»
Spinella
lascia perdere questa discussione perché
sente che è già persa in partenza.
«Lasciamo stare, Artemis. Questi
boicottaggi…»
Artemis
li enumera sulle dita. «Saranno di varie
tipologie, dai flashmob pacifici fino a vere e proprie manomissioni dei
laboratori e degli strumenti di scavo che andranno avanti per anni.
Questo farà
salire i costi finché non saranno più
sostenibili.»
«Ma
i tuoi collaboratori...»
«Accumuleranno
un tale numero di pubblicazioni a
loro nome che potranno lavorare per qualsiasi azienda o
università desiderino»
conclude Artemis. «Spinella, andiamo… vincono
tutti. Io, il Popolo, gli
studiosi, gli attivisti, la scienza.»
«E
tu ti intaschi un po’ di fondi da parte
dell’Unione Europea.»
Artemis
sorride di un sorriso triste. «Pensi
davvero quello che hai detto?»
Spinella
lo guarda negli occhi finché la sicurezza
che prova in petto vacilla. «Va bene. Ma allora
perché non hai contattato il
Consiglio e spiegato il tuo piano? Ci avresti risparmiato tanto
allarme, e
forse avrebbero persino potuto aiutarti.»
«Volevi
proprio trovare un atto di egoismo, quindi»
risponde Artemis, alzando le mani come colto in fallo. «Va
bene. Perché speravo
che sentendosi con le spalle al muro avrebbero mandato te a cercare di
farmi
cambiare idea. E, come vedi, ho avuto ragione. Come sempre, del
resto.»
Spinella
si lascia sprofondare nel divano. Scuote
la testa lentamente mentre un’ondata di sollievo le scuote il
petto come un
singhiozzo che non trova voce: continueranno a nascondersi come ratti e
come
topi, dunque, ma Artemis non li ha traditi. In fin dei conti
è per questo che è
venuta fin quassù – per guardarlo negli occhi e
sentire dalle sue labbra quello
che dentro di sé non ha mai voluto smettere di credere. Che
è ancora l’Artemis
di dieci anni fa, con cui è strisciata sulle pareti e nel
fango, e che
nonostante tutto non l’ha abbandonata.
Artemis
l’osserva in silenzio, compostamente, per
un po’. Quando parla di nuovo, la sua voce ha un accento
nuovo, inusitato,
eppure stranamente calmo. «Se anche avessi voluto distruggere
Cantuccio, non
l’avrei fatto per te.»
Ha il
suono di chissà quale dichiarazione
altisonante, un po’ patetica, troppo grossa per quel divano,
per quella notte,
per quella vasca enorme di pop-corn che li separa. Spinella ride.
«Non so cosa
volessi dire, Fangosetto, ma non ti è uscita bene. Sembra
una cosa che potrebbe
dire uno psicopatico.»
Artemis
sembra riascoltare la frase un paio di
volte nella sua testa, confuso per un istante, e va a finire che ne
sorride
anche lui. «Hai ragione. Ma ti giuro che nella mia testa
suonava meglio. Ci
riproverò un’altra volta.»
Spinella
non spreca tempo né energie a indagare né
a chiedere, forse neanche vuol sentirselo dire. Sente che quelle parole
hanno
un significato troppo grande per affrontarlo, e che se le guardasse
direttamente non potrebbe più fingere di ignorarlo. Si
concede di appoggiarsi
allo schienale del divano e chiudere gli occhi per un momento.
La
voce di Artemis galleggia nell’aria da qualche
parte vicina alla sua testa. «Posso farti una
domanda?»
«Prova»
risponde Spinella scrollando le spalle. «E
io posso non risponderti?»
«Com’è
stata la tua vita?»
Artemis
non sa né pensa quale groppo prenda la sua
gola a questa domanda, forse perché è andato
avanti, lui, come gli altri, come
tutti; ma per lei è come sprofondare, ritornare in quel
vortice dal cui gorgo
che l’avvolge lei vede le vite degli altri proseguire
sfrecciando intorno alla
sua, mentre lei invece rimane immobile schiacciata dalla forza
centripeta e non
può annegare né risalire. Come dirgli che in
questa vita Spinella si sente
impotente come se fosse prigioniera al centro di un cristallo, che
soffoca; che
la notte popolano i suoi sogni fiori di fuoco arancione che
è troppo stanca per
affrontare di nuovo, e di nuovo, e di nuovo, notte dopo notte, giorno
dopo
giorno, dal mattino alla sera, sola; che in questa vita che
testardamente si è
scelta a volte vorrebbe solamente sospirare e piangere, rimpiangere, e
finalmente guardare dentro se stessa e ammettere ad alta voce che la
morte di
Tubero le ha portato via qualcosa che prima non conosceva o forse
neppure
sapeva di possedere, ma che credeva fosse parte di lei come gli occhi e
la
punta delle dita, tanto importante e fondamentale, come
l’anima o come il
cuore, da non meritare neppure un nome proprio; e che ancora adesso il
nome di
quella parte di sé che le manca non lo sa. Vede soltanto il
vuoto che ha
lasciato. Vorrebbe aver saputo come si chiamasse quella parte di lei,
sapere
fin da subito che era importante; stringere le dita, forse, e non
permetterle
di scappare, come a un uccellino; ma forse non è
così che l’avrebbe trattenuta,
tenendola ferma, perché quella parte di lei non è
scappata. È morta, e sarebbe
rimasta morta tra le sue dita, come l’uccellino, se
l’avesse trattenuta.
Artemis
deve rendersi conto d’averle fatto una
domanda troppo scomoda, difficile, un istante dopo averla posta,
perché
d’improvviso cerca di tirarla indietro. «Perdonami,
Spinella. Non volevo essere
indiscreto. Non…»
«È
stata diversa da come avrei voluto» dice
Spinella ad alta voce, e Artemis l’osserva in silenzio per un
momento, per
cercare sul suo volto qualcosa che gli dica se può chiedere
ancora o se deve
fermarsi. Non lo trova, e Spinella neppure lo guarda; allora Artemis si
sbilancia e parla ancora.
«Peggiore?»
«Sì»
risponde Spinella dopo un momento. È la prima
volta che lo dice ad alta voce. «Peggiore.»
«Allora
resta qui.»
Questa
volta, lentamente, molto lentamente,
Spinella si volta verso di lui e lo guarda. Non chiede: aspetta. Che
questa sia
una proposta o un’offerta, o piuttosto una richiesta, vuole
sentirla dalle sue
labbra senza bisogno di aiutarlo. Artemis Fowl di cose gliene ha
chieste tante,
ma questa le batte tutte.
«Resta
con me, Spinella. Tu sai che qui potresti
avere tutto quello che vuoi.»
Spinella
aggrotta un sopracciglio. Quel pensiero
l’ha quasi fatta sorridere. «Una frase troppo da
Fangosetto riccastro persino
per te, non trovi?»
«Davvero?»
risponde Artemis, e la sfida di
scetticismo che alberga nelle sue parole si sospende
nell’aria tra di loro, si
sfilaccia, si allunga: Artemis è scettico perché
non crede alle sue parole.
«Spinella, che cos’è che hai sempre
voluto?»
Per un
attimo riprende il sopravvento la vecchia
lei, quella della LEP e dei tuffi con la navetta fino al cuore della
Terra,
ancora un po’ più vicino fino a sentirsene bruciar
le nocche, e delle sfide e
dei voli in superficie, coi delfini e coi gufi, nella notte infinita
nel tempo
e nello spazio. È lei che risponde a questa domanda,
perché Spinella queste
parole non avrebbe più il coraggio di pronunciarle ad alta
voce.
«Avventure»
dice senza pensare. «E libertà.»
Gli
occhi di Artemis sono tremendamente seri.
«Perché hai pensato che ti offrissi qualcosa di
diverso da questo? Resta qui,
Spinella. Con me, come una volta.»
«Come
no, Artemis. Per il bel gusto di perdere la
mia magia, giusto?»
«Non
la perderesti» risponde Artemis con una
sicurezza che la sorprende. «Ho consultato il Libro in lungo
e in largo. Non
perderesti mai la tua magia stando qui col mio consenso.»
Spinella
china il capo sulle proprie ginocchia e
ride scuotendo la testa. «Ci hai pensato tanto, eh?»
«Ci
ho pensato» dice Artemis semplicemente. «Hai
qualcosa da perdere?»
L’improvvisa
realizzazione che no,
qualcosa
da perdere non ce l’ha è come aceto sulla carne
scoperta di una ferita: per non
sentir bruciare, per non dover guardare verso la ferita dentro di
sé che non
vuole vedere, Spinella cerca ovunque qualcosa da rispondere a quella
domanda.
«Tu non mi offri libertà, Artemis. Tu saresti
libero ovunque, mentre io sarei
reclusa qui, senza potermi far vedere, in eterno.» Ma dentro
di sé sa che non è
questo che teme veramente; che quella voce, dentro di lei, ancora
sussurra ai
margini della sua coscienza che è stanca, sempre
più stanca di nascondersi come
un ratto; e che nascondersi in superficie è sempre un
po’ meno peggio che
sottoterra.
Artemis
non batte ciglio. «Non posso controbattere
a questo, Spinella. È ovvio che è come dici tu.
Ma pensa a tutto ciò che ti
offro in cambio: ho tanti progetti, anche per migliorare il mondo.
Progetti
onesti eppure grandiosi. Tu potresti farne parte insieme a
me.»
«Tu
morirai prima di me.» Spinella non riesce a
credere di averlo detto ad alta voce: perché è
orribile, prima di tutto, e
perché è come ammettere che una parte di lei sta
prendendo in considerazione
l’idea come se fosse reale, plausibile, persino valutabile in
termini che siano
razionali e realistici e possibilistici, e non come se fosse la
farneticazione
di un insensato; ma in questa notte irreale e infinita, in questa
missione che
non comparirà negli archivi né nelle
registrazioni, l’ipocrisia e i silenzi non
hanno più scopo, ormai. Si possono dire ad alta voce parole
indicibili.
Artemis
non sa come reagire per un istante.
«È
stato sciocco da parte mia» mormora infine. «In
qualche modo, pensavo che questo non ti avrebbe spaventata.»
Spinella
sorride tra sé. «Non sfidarmi, Fangosetto.
È un colpo basso.»
«Perdonami,
Spinella» risponde Artemis. La sua voce
è tornata serena d’improvviso, la tensione
è svanita: la conversazione è
finita, quantomeno su quell’argomento. Non ha vinto nessuno.
«Dovevo almeno
fare un tentativo. Se non l’avessi fatto, non me lo sarei mai
perdonato.»
Sul
suo volto c’è un’imperscrutabile
melanconia che
Spinella riconosce come se fosse la sua propria sul volto di
un’altra persona.
Perché la riconosce come se fosse una cosa proprio sua?
«Neanche
tu sei andato avanti» dice d’improvviso.
«Sei rimasto anche tu a quel giorno di dieci anni fa. A me e
te che ci
arrampichiamo su quel tempio, soli contro tutto il mondo.»
Artemis
ha l’espressione di qualcuno che veda d’un
tratto rivelato, inaspettatamente, un segreto che credeva
d’aver ben custodito
e nascosto in un luogo in cui nessuno sarebbe andato mai a guardare.
Abbassa lo
sguardo distogliendo gli occhi dai suoi.
«Puoi
biasimarmi?»
D’un
tratto Spinella scopre che in quel punto
misterioso del tempo in cui è rimasta invischiata per anni,
prigioniera come in
una rete del dramma della sua vita, per tutto questo tempo non
è rimasta mai
sola. C’era anche Artemis, nello stesso punto del tempo
sebbene in un luogo
diverso, prigioniero esattamente come lei di un istante in cui la vita
gli era
sembrata più avventurosa e più piena, incapace di
guardare al futuro senza
tornare continuamente lì. Questo pensiero è
enormemente triste eppure stranamente
confortante, perché Artemis, in quel punto del loro passato
di cui entrambi
sono prigionieri come nella tela di un ragno, ha trovato una via di
fuga e le
ha prospettato una vita che può ancora essere bella. Non che
Spinella a questa
nuova vita e a questa scappatoia riesca a credere; ma è
confortante vederla,
come attraverso una feritoia o una finestra, al di fuori della gabbia
che lei
stessa si è costruita.
«No,
Artemis, non posso» risponde. Si sente stanca,
spossata, come svuotata insieme della sua magia e delle sue forze, ma
si sforza
ancora, egualmente, di sorridergli. «Grazie di aver cercato
una soluzione che
salvasse entrambi.»
«Come
sempre» dice Artemis.
«Come
sempre» ripete Spinella.
Si
sveglia la mattina anchilosata, quasi incastrata
tra un bracciolo e il cuscino del divano. Artemis deve averla coperta
con la
sua giacca quando si è addormentata: le fa strano trovarsela
in grembo quando
si solleva a sedere. È stato quasi un gesto da gentiluomo,
anche se non gli
darà mai la soddisfazione di dirglielo.
Artemis
è in piedi dietro il grande angolo bar del
salotto, in maniche di camicia, ad affettare qualcosa con una cura
metodica che
probabilmente serve solo a supplire alla sua terrificante carenza di
manualità.
Per un attimo Spinella teme che abbia ceduto alla tentazione di farsi
un drink
alle undici e mezza del mattino, ma, quando si solleva sul divano per
vedere al
di là del bordo del tavolo, vede soltanto frutta su un
tagliere. Perlopiù
mirtilli, fragole e fette di banana tagliate tanto malamente che, se
venissero
ricomposte, non ricostituirebbero mai più la banana
originale. Artemis è
concentrato come per un intervento chirurgico.
«Non
ti sai neppure preparare la colazione senza
Leale?»
«So
fare il caffè» risponde Artemis senza degnarsi
di alzare gli occhi su di lei, tutto intendo ad aprire un mango.
«E tostare il
pane. Però ho pensato che ti potesse andare un frullato con
uno yogurt alla
frutta. È tutto biologico e lo yogurt è prodotto
in casa con una yogurtiera» si
sente in dovere di specificare.
«Questo
non risponde alla mia domanda, lo sai?»
Il
silenzio che segue lascia intendere che a questa
domanda il grande Fowl ritiene non necessario rispondere. Dopo lunghi
minuti,
Artemis le porge una ciotola di yogurt carica di frutta. Spinella lo
ringrazia
con un cenno.
Giocherella
per un po’ col cucchiaio semiaffondato
nella massa bianca, senza decidersi a sollevarlo. «Artemis,
senti. Riguardo a…»
«Non
rispondere.»
Spinella
si posa sospirando la ciotola sulle
ginocchia. «Perché no?» Artemis rimane
in silenzio. «Perché tutte quelle
domande e quelle proposte per poi non voler neppure sentire la mia
risposta?»
«Perché
vorrei soltanto che tu ci riflettessi»
risponde Artemis. «Io sarò sempre qui, Spinella.
Non voglio una risposta subito,
perché quello che ti ho chiesto è troppo grande e
troppo impegnativo per una
sola notte. Hai tutto il tempo del mondo.»
«Non
tutto il tempo» gli ricorda Spinella. Le
stringe il cuore una presa dolorosa.
La
serenità dello sguardo di Artemis vacilla per un
istante. «No, non tutto il tempo, è
vero» risponde chinando gli occhi sul
tagliere. «Ma hai lo stesso tempo che ho io. Per una volta
siamo pari.»
Lo
stesso tempo che ha lui, una vita breve,
mortale, o quantomeno più della sua. Spinella mescola lo
yogurt
pensierosamente. «Forse dovresti trovarti una Fangosetta
della tua età,
Artemis. Una in grado di tenerti testa, come la giornalista di ieri
pomeriggio,
e pensare a metter su famiglia. Forse sarebbe la cosa migliore per
tutti.» Forse
almeno lui potrebbe andare avanti da quel giorno di dieci anni fa, mormora la voce
dentro di lei.
Il
suono del frullatore appena acceso riempie
l’aria con il clamore di un piccolo vortice domestico.
«Forse sì. Ma forse
questo non è uno di quei film cliché in cui
bisogna trovare l’amore per essere
felici e l’amore basta per sanare tutto quanto»
dice Artemis. «Io e te sappiamo
entrambi che è diverso quello che cerchiamo. Soltanto, se
posso chiederti un
favore…»
La sua
esitazione la sorprende. Spinella alza lo
sguardo su di lui per invitarlo a proseguire.
«Se
dovesse essere un no, non dirmelo.» Per la
prima volta da molto tempo, quelle parole sembrano costargli un
notevole
sforzo. «Io lo capirò ugualmente… ma
lasciami l’illusione di questa notte
trascorsa a guardare un film come se un giorno potesse diventare
reale.»
Le sue
parole hanno un che di straziante cui
Spinella non può permettersi di cedere. Prova il bisogno
d’ironizzare. «Siamo
diventati sentimentali, eh?»
Artemis
sorride. «Forse, ma che rimanga tra me e
te. Io lo negherò sempre.»
Lo
yogurt e il frullato sono molto più commestibili
del vino di ieri sera e al momento, per quanto ne sappia Spinella,
rappresentano anche la massima vetta culinaria mai raggiunta da
Artemis; ma una
volta finita la colazione, non rimane altro da dirsi. Artemis si
rimette la
giacca e l’accompagna a una terrazza da cui possa levarsi in
volo.
«Andrai
subito dal Consiglio?»
«Manderò
un messaggio per tranquillizzarli fino al
mio ritorno» risponde Spinella calandosi l’elmetto
sulla testa. È strano
tornare a indossare la divisa, anche se solo per qualche giorno e in
modo
ufficioso. Non se la sente più giusta addosso, come la pelle
di qualcun altro.
«Ma mi sono presa un mese di ferie, e non intendo tornare
fino a che non l’avrò
fatto tutto.»
Artemis
sogghigna. «Mi pare giusto.»
Spinella
si accovaccia sul davanzale. Con la
visiera dell’elmetto abbassata, salutarsi è
più facile e meno doloroso. «Porgi
i miei saluti a Leale.»
«Lo
farò» promette Artemis.
«E
cambia enologa, Fangosetto. Per essere il mio
primo sorso di vino, è stato agghiacciante.»
Questa
volta Artemis ammutolisce per un attimo.
Decisamente questa non se l’aspettava. «Ah. Grazie
del feedback.»
Quando
Spinella accende le ali, d’improvviso
Artemis pare ricordarsi qualcosa che gli è appena balenato
in mente.
«Quasi
dimenticavo» dice sfilandosi un’anonima
busta di carta bianca da lettere dalla tasca della giacca. Gliela
porge. «Leggi
pure con calma. Uno è un modulo che dovresti compilare. Non
sono certo che
abbia valore per la tua gente, ma valeva la pena tentare.»
Spinella
prende la busta un po’ perplessa.
«Cos’è,
devo metterci i miei dati personali?»
Artemis
si stringe nelle spalle. «Non conoscevo la
tua data di nascita, e non sta bene chiedere l’età
a una signora. Perciò, direi
di sì.»
Questo
Fangosetto non cesserà mai di sorprenderla.
Nonostante la visiera dell’elmetto abbassata, Spinella gli
sorride, ed è certa
che Artemis il suo sorriso l’abbia visto, perché
le risponde, prima di levarsi
in volo. Artemis rimane in piedi sulla terrazza, col naso
all’insù, a
osservarla svanire nell’aria in un luccichio lontano come
vapore.
Spinella
mette una trentina di chilometri in linea
d’aria tra lei e Casa Fowl prima di fermarsi, appollaiata
sulla cima di un
albero, e di tirare fuori la busta da una tasca. Contiene due fogli: il
primo è
scritto in gnomico, ma è battuto a macchina, e contiene
righe di testo
interrotte da numerosi spazi bianchi. È il modulo da
compilare: Spinella lo
scorre rapidamente. È una dichiarazione, firmata di pugno da
Artemis, che
attesta che lei è sempre autorizzata a entrare in casa sua.
Un permesso firmato
potrebbe persino reggere in tribunale, considera Spinella sorridendo
mentre se
lo ripone in tasca. Deve ricordarsi di chiedere a Polledro se ci sono
precedenti.
Il
secondo foglio è sempre in gnomico, ma è scritto
a mano con la grafia incerta di qualcuno che conosca la scrittura ma
non sia
mai stato corretto da un insegnante. È una lettera.
C’è qualche errore
sintattico qua e là, ma nell’insieme è
comunque più corretto di come scrivono
tanti agenti della LEP. C’è scritto:
Ho
pensato tutta la notte
alla frase che ti ho detto e che nella mia testa suonava meglio. Questa
mattina
ho concluso che la frase era corretta nella forma, ma non esprimeva
comunque al
meglio quello che avrei voluto dirti e che forse avrebbe richiesto
qualche
parola in più. Quello che avrei dovuto dire era: se anche
avessi voluto
distruggere Cantuccio, non l’avrei fatto perché tu
mi hai cambiato. Ma ora che
rileggo questa frase mi rendo conto che non è ancora
corretta, perché potrebbe
voler dire che tu mi hai cambiato contro la mia volontà e
senza che io vi
apportassi una mia attiva partecipazione. Dunque quello che volevo dire
era:
non l’avrei fatto perché tu hai fatto in modo che
io volessi cambiare. Il mio
cambiamento è avvenuto grazie a te, ma perché
l’ho voluto io. Spinella, grazie
di avermi spinto a diventare migliore. Ti amo.
Spinella
legge la lettera un paio di volte finché
non diventa dolorosa nella sua gola come una lama, dopodiché
la ripone in
tasca, con un po’ più di cura della prima volta, e
si alza in volo. Batte i
tacchi per prendere velocità e si dirige verso sud.
Ha
ancora un permesso per Disneyland, del resto, e
intende goderselo fino in fondo. Avrà tempo poi per pensare
al resto,
quantomeno lo stesso tempo che ha Artemis.
Fine
|